Kitabı oku: «Il diavolo nell'ampolla»
LE FIGURINE
– Mulattiere!
Al vicino, che gli chiedeva del suo servizio, rispose con l'impeto d'una coscienza aperta a tutti i doveri e a tutti i pericoli della carica. E per dimostrarne meglio la gravità, aggiunse:
– Addetto al vettovagliamento!
Anche la voce, forte, sonora, era espressione di vigoria.
– Di dove venite?
– Dal Trentino.
– E siete in licenza?
– Sì. Otto giorni di licenza straordinaria. Vado a casa a divertirmi.
Ora sorrise; ma l'ironia si adattava così male a quella sua faccia di uomo sano e florido e a quei suoi occhi chiariti dall'anima schietta e semplice, che gli ascoltatori rimasero incerti.
– Mi è morta la moglie quasi all'improvviso. – Dimenando la testa significava: – Questa doveva capitar proprio a me!
Quando la porticella fu riaperta, che già il treno era in moto.
– Oh! Carlino!
– Oh! Saverio! Sei qui?
Il sopravvenuto atteggiava il volto a mestizia; nell'altro il piacere dell'incontro pareva superar la tristezza dell'occasione.
– Ho viaggiato tutta notte. Sono arrivato, da Verona, a mezzodì, e ho fatto appena in tempo a correre da mio cognato, all'arsenale.
– Rubata! – esclamò l'amico. – Ti è stata rubata, Saverio! Nemmeno il dottore sa capire il come e il perchè della disgrazia, così, d'un tratto.
– Cosa importa saper il come e il perchè? – il soldato disse a voce anche più alta. – È morta, ecco!
– Hai ragione.
Inutile indagare; argomento concluso. Potevan passare ad altro.
– Ditemi, Carlino. Vostro nipote?
– Ferito a una gamba; ne avrà per qualche settimana.
– Me ne rallegro, che si tratti di poco. E gli amici? Otto mesi che non ne ho nuova! Michele Costa?
– È prigioniero.
– Prigioniero! Michele? – La notizia conteneva per lui tale contrasto fra l'idea di prigionia e l'immagine dell'amico spaccone o gaudente, che il soldato scoppiò a ridere. E udendolo e vedendolo ridere, più d'uno, ai prossimi posti, pensò: – Bel dolore ha costui d'esser rimasto vedovo!
Ma il dialogo seguitava.
– E Luigi dell'Osteria Grande?
– Imboscato.
– Figlio d'un cane! E Isidoro?
– È morto; a Bainsizza. Anche Giovanni del Poggio: ha lasciata la pelle in Albania.
Il mulattiere stette un po' a bocca aperta; e soggiunse:
– Io non trovo che morir qui o morir là sia lo stesso. Io preferirei la fine d'Isidoro.
Non tutti eran del suo parere, e sorse una discussione; della quale approfittò l'amico, che stava in piedi, per andar a un posto, in fondo alla carrozza.
– Ehi, Carlino! – Saverio gli urlò dietro. – Vi ringrazio di quel che avrete fatto per la mia vecchia.
E poi volgendosi alla donna dirimpetto a lui:
– Se tutti fossero galantuomini come Carlino, la guerra non ci sarebbe.
– Non ci sarebbero tante famiglie addolorate – sospirò la donna.
Riprese il mulattiere:
– La guerra non si può fare senza ammazzar il prossimo, e non c'è da meravigliarsi che molti abbiano da patire. Non c'è da meravigliarsi che uno si salvi e uno ci resti. Secondo il destino! Un giorno io conducevo la mula su per un monte battuto dalla mitraglia. Tenevo la briglia a man mancina, dalla parte bassa del sentiero. Un colpo, e la mula stramazzò con la testa fracassata. Se ero a mano diritta, il colpo toccava a me. Bene; chi mi avesse detto quel giorno: – Tu l'hai scampata; tua moglie non la scamperà – , gli avrei dato del matto.
Sempre col tono d'uno che narra una storia non sua, il soldato continuò:
– Matto invece sono stato io, dall'altra sera fino a oggi, fino all'ora che ho discorso con mio cognato. L'altra sera io e il mio compagno, Biagini, un toscano, avevamo già caricate le bestie (si andava al reparto, al lume di luna), quando mi consegnarono una lettera. Accendo un zolfanello. Vedo che non è la scrittura di mia moglie; è della mamma. – Uhm! – dico. – Scrivermi la mamma?: m'insospettisce. – Non ci pensare – fa Biagini. – Siamo al Natale e tutte le mamme scrivono ai su' figliuoli. – E non ci pensai più. Tornati, nella baracca ci avevo un pezzo di candela. Lessi. È persuasa? Mi misi in mente che fosse un raggiro di mia madre con qualcuno del Comune per ottenermi la licenza. Anche il certificato di morte mi pareva una fola! Ma oggi ho dovuto credere. Mia moglie il sabato avanti le Feste venne a Bologna a trovar la sorella; stava bene; allegra; il ritratto della salute. Arrivò a casa, e andò a letto, che non era più lei. Mio fratello corse dal dottore, e lei in quel mentre spirava.
Una breve pausa; e dopo:
– Cosa importa saper il come e il perchè? È morta: ecco!
La donna chiese:
– Avete figli?
– Uno; di sei anni. Il giorno che partii, volli mangiare, prima d'avviarmi. Mia moglie – piangeva – cominciò a tagliar del prosciutto. – Basta! – diss'io. E il bambino: – No, mamma; tagliane pur molto, del prosciutto, al babbo, che non ne mangerà più. – Fra poco il bambino mi verrà incontro e mi dirà: – La mamma è morta.
Il vicino di posto guardò il mulattiere: immutato nel viso come nella voce. Solo gli vide una lagrima, ferma, tra ciglio e ciglio, in coda all'occhio.
Allora parlò colui:
– Sapete perchè l'avete perduta, la vostra donna? Perchè era onesta. Le altre, che non si accorano d'aver il marito lontano, quelle, state pur sicuro, non muoiono!
Gli ascoltatori approvarono, e la conversazione prese un andamento piacevole. Saverio rideva non meno degli altri, e più forte.
Nessuno avvertiva in lui un'eccitazione strana: per l'insonnia – tre notti che non dormiva – ; per la fame – dalla sera innanzi non aveva mangiato che una mezza pagnotta – ; per il piacere stesso che, in contrasto con la sua sventura, provava a riudire il suo dialetto, a trovarsi fra gente delle sue parti, in vista ai noti luoghi, lontano dalla vita di guerra. Nessuno, neppure il vicino, dubitava ch'egli non fosse una clamorosa testimonianza del motto: «Chi è morto, giace; e chi è vivo, si dà pace».
—
Carlino e Saverio discesero alla stazione di San Niccolò. Una stretta di mano; buona sera!, e si separarono.
Il soldato s'incamminò a passo di marcia per la viottola solitaria.
Cadeva rapido il crepuscolo; la luce sfuggiva dalla tetraggine dei campi arati, umidi e neri; dei filari degli olmi scheletriti; della nebbia che celava le montagne e velava di desolazione le cascine e le case sperdute nel freddo. I pappi delle vitalbe coprivano d'una bianchezza funerea le siepi brulle ed irte. E Saverio andava per il fango.
Precorrendo col pensiero rivedeva il fratello, maggiore di parecchi anni, sempre uguale: taciturno, rozzo, e robusto e paziente come i buoi a cui s'affezionava più che agli uomini; rivedeva, invecchiata, la madre; cresciuto il figliuolo. Che smania di stringerselo sul cuore! – Giorgio! Giorgio! – Ma il timore di udirlo piangere, invocar la madre, gli diveniva un senso di peso enorme, addosso.
Eppure aveva seco, nel tascapane, il modo di quetarlo. – Guarda cosa t'ho portato! Un pastorino con l'agnello! – L'aveva comperato a Bologna, sotto il portico della chiesa dei Servi, ove i venditori di figurine da presepio indugiavano sin oltre l'Epifania. Quattro soldi! Per quattro soldi, una volta, se ne avevan quattro delle figure di terracotta.
Il mondo, non c'è che dire, va a rovescio; chi però abbia voglia di lavorare ci troverà sempre da far bene. E la guerra se molti ne porta in su, molti ne porta in basso; calerà il prezzo del terreno, e fortunati quelli che avran capitale da investire in campagna! A guerra finita, lui e il fratello potrebbero lasciar la mezzadria e prendere in affitto un buon podere; e industriarsi col bestiame. Mercante di buoi: era stato il suo sogno fin da ragazzo. Occhio sicuro, astuzia, parola di galantuomo; la frusta in mano, e il portafogli pieno di biglietti da cento.
Così, sognando per arrivare a casa di buon animo, arrivò finalmente a casa.
—
Il cane pareva impazzito; balzava contro e guaiva; correva a furia intorno e abbaiava; chiamava.
Il fratello, che aveva già rifatto il letto alle bestie, uscì dalla stalla col lanternino acceso. Non si commosse.
– Cos'hai di licenza?
– Otto giorni.
– Va bene. Mi aiuterai a potare.
La madre, abbandonata la polenta al fuoco, spalancò le braccia.
– Quanto aspettare, figliol mio!
– Ehi, mamma!, non voglio pianti – ammonì il soldato entrando. – Pugni al cielo non se ne danno: dunque… E Giorgio?
– L'ho messo a letto; stanco; addormentato. Non sta mai fermo in tutto il giorno!
Il soldato si levò il rotolo del mantello, che aveva a tracolla, e lo depose sul cassone; appiccò la bisaccia a un chiodo; tolse di mano al fratello il lanternino, e dicendo: – Vuotate la polenta, che son morto di fame – salì, per la scala di legno, al piano di sopra. Ridiscese tosto.
– Dorme. È bello. Son contento.
Gli lucevano gli occhi, ma il fratello e la madre finsero di non accorgersene.
Sedettero; i due uomini, alla tavola, la vecchia, sul focolare; e ingoiarono le fette fumanti.
– Hai saputo di Michele Costa? – chiese il fratello.
– Sì, me l'ha detto Carlino in treno.
Allora la madre pigliò coraggio.
– T'avrà detto anche, Carlino, che abbiam fatto quel che abbiam potuto?
– Sì. Non ne discorriamo più.
– E la guerra? – il fratello dimandò, dopo un poco.
Saverio scosse le spalle. C'era ben altro da pensare, da dire! Parlò con voce ferma.
– La mamma è vecchia; e d'una donna giovine in famiglia ne abbiam bisogno. Prendi moglie tu.
– No – rispose il fratello, risoluto. – Tribolare piuttosto.
– Ne prenderò un'altra io. Ma badate: una come quella non la trovo più in tutto il mondo.
– È vero – confermò la madre. Soggiunse: – Sinchè io camperò, una matrigna non lo tratterà male, il bambino.
– E dopo – esclamò torvo Saverio – non mi mancherebbe un randello da romperle su la schiena se non rispettasse il mio sangue!
La vecchia si alzò in fretta; andò a deporre il piatto nel secchiaio; si asciugò gli occhi col dorso della mano, e Saverio finse di non accorgersene.
– Adesso – il fratello disse riempiendo la pipa – ti mostro i conti. Li ha fatti Carlino iersera. Due volte è venuto per consolarci.
E tornò con le carte. Saverio accostò a sè il lume a petrolio e cominciò a rintracciare e sommare rendite e spese. In fine, le spese del mortorio: tanto, nelle torce; tanto, nelle messe; tanto, nel resto.
– Anche i preti non scherzano! – commentò.
Ma le rendite del grano e dell'uva erano grandi.
– Ti scaldo il letto? – propose la madre.
– No, vado a dormir nella stalla.
E riacceso il lanternino, i fratelli uscirono.
Nella stalla Saverio guardò ai buoi giacenti. Fe' rialzare i manzoli nuovi; li palpò; li accarezzò.
– Belli! Da guadagno.
Poscia l'uno si gettò su la branda; l'altro – il soldato – nel mucchio di paglia: vi si immerse; se ne ricoperse con un piacere di ragazzo.
E il russare degli uomini non tardò a confondersi col respirar fondo dei buoi.
—
Allorchè, la mattina dopo, Saverio entrò in casa, nel camino fiammeggiava un bel fuoco.
– Mamma, preparatemi i vestiti, da mutarmi.
– E alzerò Giorgio – disse la vecchia sorridendo. – Sgambetta per tempo.
Il soldato rimase solo. La cucina gli sembrava più ampia e più nera nel contrasto delle due luci: la fiamma rossa e riverberante, e l'albore, che entrava per la finestra appannata.
E d'improvviso, in quello schiarire incerto, ebbe dinanzi a sè l'immagine della morta: così evidente da chiamarla. Volse il capo; e ugualmente improvviso gli tornò un ricordo. Il dì che si sposarono, in municipio, uno di coloro che scrivevano esclamò, serio: – Bella coppia di sposi!
Un brivido gli corse per la vita; sentì una colpa nel ripensare a lei bella senza pensare a lei buona. E cominciò a parlare, a mezza voce, quasi ci fosse qualcuno ad ascoltar la lezione della sua esperienza.
– Alla passione non si comanda. È nel cuore? E anche se non ci date mente, anche se discorrete d'altro, anche se scherzate e ridete, anche se non ve ne accorgete, a poco a poco, la passione, dentro, cresce cresce…
Si rivide nel tragitto a piedi sino al deposito, nel tragitto in camion sino a Verona, nel viaggio da Verona a Bologna, e da Bologna a San Niccolò, in piacevole compagnia.
Chi avrebbe mai detto che il cuore, intanto, gli si riempiva in questa maniera? E lungo la strada da San Niccolò a casa non s'era divagato facendo castelli in aria? E nell'incontro col fratello e con la madre, e durante la cena non aveva provato come l'alleggerimento d'un peso? Non aveva dormito tutta la notte, di gusto, senza sogni? Ma intanto, a poco a poco, la passione cresceva, seguitava a riempirgli il cuore. E quando è pieno, basta un niente perchè trabocchi.
No! Si contenne. Il bambino, di sopra, chiamava: – Babbo! babbo! – ; scendeva.
Gli mosse incontro; lo prese per mano gridando: – Vieni a vedere, Giorgio, cosa ti ho portato!
E con lui andò a staccar dal chiodo la bisaccia; si sedè, con lui accanto, alla tavola, presso alla finestra; introdusse la mano nel tascapane, adagio, per aumentar l'aspettazione gioiosa.
Ma – addio pastorino di terracotta! – : la mano ne toccò due, tre pezzi.
Forse aveva sbattuta la bisaccia salendo in treno, o scendendo? Non importava saper il come e il perchè; era rotta, ecco!
Ne ritrasse i pezzi, li osservò, e allora – basta un niente quando il cuore è troppo pieno – allora stringendo di più a sè il figliuolo col braccio destro, distese il braccio sinistro su la tavola, vi appoggiò la fronte e ruppe in singhiozzi.
Il bambino taceva. Stupito, considerava la figurina infranta e il padre piangente. Ma si divincolò.
– Aspetta, babbo! Lasciami andare! Lasciami andare!
Sfuggì, salì a gran passi la scala. Tornò che lo sfogo non era cessato.
– Guarda, babbo! Guarda! Questa è più bella della tua! Me la portò la mamma da Bologna, prima di morire. Non piangere! te la dò a te. Prendila.
Il padre sollevò il capo; sorrise tra le grosse lagrime; scorse negli occhi del figliuolo, mentre gli offriva la figurina, gli occhi della sua donna; e prese a tempestarlo di baci.
E il bambino si mise a piangere anche lui.
IL CAMICIOTTO ROSSO
Un discorde mugliare: richiami angusti di vitelli, come impediti da un soffocamento; aperte, disperate invocazioni di madri; risposte lunghe, come estratte dal torace profondo, di buoi. E uno strepito di campanacci e un romore di voci umane.
Sotto l'ombria dei tigli e delle acacie arboree l'agitazione delle bestie e degli uomini da lontano appariva confusa di bianco e di scuro; lenta, folta. Ma a penetrarvi si scorgeva un comporsi e uno scomporsi di gruppi nelle vicende del mercato; un diradar della folla quando, a ogni prova di compera, si facevan andare le paia che i garzoni tiravano per le mordacchie. I sensali schioccavan le fruste; frustavano seguendo per alcuni passi; e arrestandosi nel dar l'ultimo colpo, piegavano innanzi la persona e la risollevavano quasi a ritirarsi dagli animali lasciati in libero movimento.
– Guardate!
Cominciava l'esaltazione dei pregi; la speculazione dubitosa dei difetti e dei vizi; e mentre i venditori attendevano con le braccia conserte o le mani aperte sul petto, il pollice entro i giri del panciotto, i compratori esaminavano a fatica i denti, sorridevano al vecchio inganno delle corna ingiallite e lustrate con olio e mallo di noce, scostavan le moscaiuole per veder del tutto la quiete degli occhi, tastavano le gambe ai malleoli se non celassero vesciconi, raccoglievano in pugno la pelle del fianco per accertarne la morbidezza, accostavano l'orecchio ad ascoltar il respiro e il cuore. E venivan, dopo, le chiassose richieste e le proposte commentate da bestemmie, da risate, da gioconde contumelie. Finchè il sensale tratteneva per un braccio l'acquirente che fingeva di voler scappare; afferrava sotto il braccio o col braccio dietro al dorso il venditore, che si fingeva irremovibile, e trascinatolo in disparte, gli parlava sottovoce e lo riconduceva all'altro. Nuova richiesta; nuova proposta.
E si ripeteva la disamina; e si trovavano non abbastanza diritte o asciutte le gambe, non perfetto l'appaiamento. Intorno, i curiosi aspettavano. Poi, all'ultima proposta del sensale, avanzavano faccendieri e amici a sospingere il braccio del venditore, il braccio del compratore; e le due destre s'impalmavano che l'accordo non era ancora pieno. Con dinieghi aspri si svincolavano le mani; con qualche piccolo rialzo e ribasso di prezzo, concesso a stento, si riprendevano. E se, dopo tanto, il contratto era concluso, che strapponi lo consacravano! Il sensale da un lato, gli amici dall'altro, con ambedue le mani premevano alla poderosa, imprescindibile stretta finale.
—
Fra i paltonieri che al mercato cercavano di buscar qualche soldo e tra gli spettatori più attenti lo Scricco non mancava mai, da poi che era tornato in paese. Ma non infastidiva nessuno. Là in mezzo sentiva meno la fame e si saziava di innocua invidia e di una speranza che solo nel suo segreto si arrovellava in minaccia. Perchè, uscito dal penitenziario dopo la lunga condanna, non l'avevano commosso troppo i mutamenti del mondo: i traffici intravveduti alle stazioni ferroviarie, i transiti delle biciclette e delle automobili per ogni strada, le fabbriche sorte anche nel paese nativo non gli avevano distolto l'animo dalle rimembranze per amareggiarlo con lo spettacolo di ricchezze e soddisfazioni impensate, di una felicità ignorata. Per lui i beni grandi e invidiabili restavan quelli per cui aveva ceduto alla colpa e sopportata la pena; erano i campi verdi e solatii; erano le case ove i sacchi di frumento, di frumentone e sementi si addossavano lungo la loggia ed ove fermentava l'uva nei tini enormi; erano le stalle ove non una delle dodici poste si lasciava mai vuota.
Ah, il sogno della sua giovinezza! Accumular denaro che bastasse all'acquisto di un pezzo di terra, e di là estendere possedimento e fortuna, e conquistar la ricchezza che non muta per mutar di tempi e di progressi e di macchine; ed essere felice!
Invece, ecco: ricettando e rivendendo le cose rubate, aveva perduto tutto; resistendo alla forza, aveva aggravato il delitto; tacendo ostinatamente, sempre, il nome dei complici e salvando il maggior colpevole, aveva aggravata la condanna su di sè. Diciotto anni! E intanto Sandro Molenda, Sandro il ladro, il maggior colpevole che egli aveva salvato col silenzio, si era fatto ricco lui. Possedeva fondi e bestiame!
E tutti lo rispettavano. E scorgendo al mercato chi l'aveva salvato dalla galera, non dava segno di riconoscerlo. Temeva. Ma verrebbe l'ora di comparirgli dinanzi, guardarlo in faccia e dirgli: – Son qui!
L'occasione venne il dì che Sandro Molenda contrattava un bel paio di bestie con un contadino di Romagna bassa. Quando chiese: – Son fidi? – , il venditore rispose: – Fidi – ; e, volto l'occhio in giro, fe' cenno a quello che tra i presenti gli parve prestarsi meglio alla prova. Poco più alto di un ragazzo, spelazzato nella faccia strana, in testa un cappellaccio da risaiolo, lo Scricco si avvicinò. Con vecchia esperienza palpò nel collo, l'un dopo l'altro, i mirabili buoi; li grattò tra le corna; avvicinò il volto ai musi abbassati tirando la cavezza; tolse le mordacchie: non si muovevano. Fidi! Guardavano lontano, come in uno stupore di sogno perduto.
I due tentarono, strinsero il contratto.
– Ve li guido a casa io? – disse lo Scricco a Sandro, piantandogli gli occhi in faccia, appena avvenuta la compera.
Quasi non l'avesse mai conosciuto o lo avesse sempre conosciuto per galantuomo, Sandro disse:
– E tu guidali.
Poi si scostò col sensale e il venditore; rimise in tasca il grosso taccuino; e si rivolse:
– Avvìati, che ti raggiungo.
Un amico gli strizzò l'occhio. Mormorò:
– Li hai consegnati a buone mani!
—
Con il cavallo al passo dietro i buoi che lo Scricco conduceva, Sandro Molenda trovava sollievo in un sospetto che altra volta gli sarebbe stato gravoso.
Quei due animali così belli e forti e bene appaiati, da esposizione, li aveva comperati per meno di quanto valevano in apparenza. Qualche difetto dovevano averlo. Quale? Li considerava; li immaginava sotto il giogo, a timone del carro o dell'aratro: quale dei due gli sfigurerebbe?
Ma perchè impensierirsi se aveva agio a sperimentarli, e otto giorni di tempo al referto e alla restituzione? Perchè confondersi in quel pensiero? Lo minacciava ben altro pericolo: un pericolo tale che la mente rifuggiva dal chiarirlo e il cuore se ne angosciava quasi a una oscura rovina, a un disastro travolgente, mortale. L'energia e l'astuzia che l'avevano tirato fuori dal fango, che nelle prime furfanterie l'avevan difeso dai pericoli e dalle paure, che l'avevan sospinto, dopo, a camminare per la via diritta, lo sosterrebbero ancora. Voleva! Ma intanto non poteva concepire l'azione liberatrice se non afferrando, fermando l'idea che dal dì che aveva riveduto lo Scricco gli era balenata tremenda. Non c'era scampo; o non lo soccorreva, l'antico complice, e lo Scricco avrebbe presto o tardi rivelato a tutti l'antica complicità, la generosità che non riceveva compenso; lo soccorreva, e la gente chiederebbe per che vincoli egli fosse tenuto a un avanzo di galera, e qualcuno rinvangherebbe il passato e scoprirebbe il principio di quella fortuna che ingelosiva gli uguali d'un tempo e i nemici d'adesso. Nessuno scampo… finchè il complice, che aveva scontato per lui, viveva. Diciott'anni! Pareva ieri; e una denunzia sarebbe forse ancor valida! Diciotto anni, a Portolongone, a Castelfranco; ed era tornato, quel miserabile, a guardarlo in faccia e a dirgli con gli occhi: – Son qui. O mi aiuti, o ti smacco!
Ma che varrebbe comperarne il silenzio? Dimostrando obbligazione a un galeotto non dimostrerebbe che ladro era stato anche lui?
Così Sandro Molenda – lo saprebbe tutto il mondo – aveva fatti i quattrini. Ladro! Nessuno scampo finchè lo Scricco viveva!
… D'improvviso, al passare d'un biroccino, i buoi balzarono; e lo Scricco fece appena in tempo a scansarsi, a trattenerli.
Sandro strinse gli occhi. Nel riflettere raccoglieva sempre lo sguardo sotto le grosse ciglia. Dunque erano ombrosi? No: uno si era spaurito alla mossa repentina dell'altro, e l'altro, il destro, aveva dato un balzo innanzi come per assalire, di furia.
Allora Sandro rincorse con lo sguardo il biroccino che era oltrepassato; vide e disse: – Ho capito. – Avevano cercato d'ingannarlo nella compera, e per la rabbia si mordeva le labbra; sfogava il segreto sgomento con imprecazioni a mezza voce contro il venditore.
Se non che, a poco a poco, spianò il viso; gli rifulsero gli occhi e le idee torbide scomparvero quasi al seguire di una vivida speranza, o al risolversi dell'animo in un savio proposito.
E quando furono a casa il bifolco e gli altri uomini ammirarono i buoi. Sorridente, senza interloquire, lo Scricco ammirava tutto intorno, e sembrava lieto. La casa, tozza e massiccia, attestava uno stabile benessere; la cascina era gonfia di fieno e di paglia; il campo arato, tra i diritti filari, aveva le zolle nere di concime, al sole. Sotto il portichetto una delle nuore allattava un bambino paffuto; la reggitora, nell'aia, diffondeva palate di mondiglia a una moltitudine di galline e pollastri, faraone e anitre.
– A te! – chiamò Sandro contando pochi soldi e porgendoli allo Scricco. Questi li intascò; disse: – Vi saluto, gente! – ; e se ne andava. Ma si fermò là, dove, presso la catasta di legna e di fasci, erano ammucchiate le zucche per i porci.
– Vuoi una zucca? – gli chiese a voce alta Sandro, per ridere.
Rise anche lo Scricco tornando indietro; e quando gli fu presso disse a mezza voce:
– Fareste meglio a tenermi qua da voi, per garzone.
L'altro strinse gli occhi fissandolo; poi rispose:
– E io ti tengo.
—
Così lo Scricco fu contento. Cominciata la vendemmia, accettò volentieri di portare con gli operai più robusti i cesti e i bigonci; e sapendosi da che parte veniva, i compagni l'incitavano a raccontare. – Cosa facevi in collegio? Come ci campavi? Stavi allegro? – Egli, durante le soste dell'opera, raccontava; teneva allegra la compagnia per il modo con cui esaltava le delizie del reclusorio. Cantava anche a squarciagola una canzone che aveva sommessamente imparata a Castelfranco; e ridevano, sebbene fosse una canzone da piangere.
Ma per il campo lo Scricco si meravigliava e godeva – e non lo diceva – delle piccole cose che ritrovava dopo tanti anni, e che gli ridestavano impressioni di sogni avuti là dentro, nella cella, alle notti grevi.
Allodole trillavano invisibili contro il sole; cincie e lui si chiamavano, mai stanchi, d'albero in albero; le passere frullavano a frotte. Nei prati, i fiori d'inverno rompevano di lilla le verdi distese, brillavano gocce di guazza; candide famiglie di funghi spuntavano dalle radure. Si spandeva lontano l'odore dei pioppi. E al sole la dolcezza dell'aria faceva ricordare i giorni più tristi, ma passati per sempre.
Frattanto con cautela, in segreto, il padrone si era accertato del vizio che aveva uno dei buoi acquistati da poco. Come aveva dato un balzo al passaggio di quel biroccino su cui era una donna col fazzoletto rosso, la bestia infuriava a mostrarle un fazzoletto rosso: tentava assalire cozzando. Terribile, se potesse! Era pericoloso irritarla anche là, legata alla posta. Quando i buoi han l'ira del rosso, nel sangue, guai; per ammazzare si lascerebbero ammazzare.
Pure, Sandro non fece il referto; non ne parlò con nessuno.
E temeva se ne accorgesse il bifolco.
E fece fretta al sarto che, a norma dei patti, venisse a trar di cenci il garzone. Comperò anche, per il garzone, la flanella da fargli un camiciotto; rossa; e lo cuciva una delle nuore.
– Vi nomineremo Garibaldi – dicevano ridendo le donne.
Allo Scricco pareva di tornare ragazzo, quando aspettava ansioso il giorno della festa che indosserebbe il vestito nuovo, la camicia nuova.
—
E fu un giorno di festa. Tutti, fuor che lor due – reggitore e garzone – erano ai vesperi. Giuocata che ebbero una partita alle bocce – la vinse lo Scricco – , entrarono nella stalla; lo Scricco a prender la sacchetta per andare alla foglia; Sandro per salir dalla botola nella cascina a dormire – disse – un bel sonno, tra il fieno.
Ma appena fu disopra, il padrone ridiscese, svelto.
Ascoltava allontanarsi la voce, che cantava la canzone di Castelfranco e, interrotta, rispondeva a uno che moveva parola dalla strada. Quindi sciolse, Sandro Molenda, il bue insano; lo spinse fuori della posta; lo avviò fuori della stalla, guatando (il camiciotto rosso non era a metà della capedagna); si nascose, svelto.
E pochi istanti passarono, eterni.
Chi non crederebbe a una disgrazia? Il bue insano (chi ne aveva colpa?) si era slegato, era scappato; e lui, accorso subito – troppo tardi – alle grida.
Ecco.
– Correte, gente! – gridò l'uomo che aveva mosso parola dalla strada.
– Madonna, aiuto! – lo Scricco gridò: una volta sola.
– Aiuto! – ripetè Sandro Molenda accorrendo con un forcale: – Aiuto! – E giunse… – troppo presto? – : no.