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Kitabı oku: «Garibaldi e Montevideo», sayfa 2

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Sorvenuta la guerra del Brasile nel 1826, Buenos-Ayres soccorse alla nazione con ogni sorta di sacrifizi. Assorbite le finanze, disordinata l'amministrazione, indebolito il governo, nacquero i torbidi. Cresceano intanto coi diversi interessi, varie le opinioni tra gli abitanti della campagna e della città. Levatasi Buenos-Ayres a tumulto, la campagna in massa assalì la città, e fe' Rosas suo capo, centro del potere. Eletto egli nel 1830 governatore, malgrado l'opposizione della città, tenta riconciliarsi con essa. Spogliati i selvaggi costumi del Gaucho, come il serpente fa della pelle, finge rifarsi uomo della città. Ma essa resiste, e la civilizzazione sdegna perdonare a un traditore che è passato sotto la bandiera della barbarie. Se avviene ch'egli si mostri in abito militare, è un chiedere sommesso in qual campo di battaglia abbia Rosas guadagnato il suo grado; se parla in qualche convegno, si domanda ove abbia appreso un simile stile; se arriva in una tertulìa (conversazione serale) le donne segnandolo a dito, lo chiamano il Gaucho mascherato. In breve, Rosas è fatto segno dovunque ai pungenti epigrammi, per cui i Porténnos godono alta la fama.

Questa lotta mortale al suo orgoglio durò tutti i tre anni del suo reggimento, e quando cesse il potere, coll'odio nell'anima e il fiele nel cuore, fatto certo che tra sè e la città era impossibile un componimento, cacciossi di bel nuovo nei suoi fedeli Gauchos, e nelle sue Estancias, di cui era il signore, ma col fermo proposito di rientrare, quando che fosse, dittatore in Buenos-Ayres, come Silla in Roma colla spada in una mano, la fiaccola nell'altra.

A tal fine egli richiese il governo d'un comando dell'armata che movea contro i selvaggi Indiani. Il governo che lo temeva, avvisando di allontanarlo coll'accedere al suo desiderio, gli diè tutte le truppe di cui gli era fatto disporre, dimentico che correva a rovina accrescendo le forze di Rosas.

Costui trovatosi a capo dell'armata, promossa una rivoluzione a Buenos-Ayres che lo chiamò al potere, non volle accettarlo che a quelle condizioni, che la forza armata del paese in sue mani poteva imporre, e rientrò in Buenos-Ayres dittatore assoluto, cioè con toda la suma del poder público; colla somma del pubblico potere.

Fu sua prima vittima il governatore generale Juan Ramon Balcarce, uomo distinto nella guerra dell'indipendenza, e tra i capi del partito federale di cui Rosas si diceva il sostegno. Nobil di cuore e d'una fede nella patria ardentissima, credendo pure le intenzioni di Rosas, s'era molto adoperato alla sua fortuna. Egli morì proscritto; e quando il suo cadavere ripassò la frontiera, la famiglia non potè, per divieto di Rosas, rendergli non solo i pubblici onori d'un governatore, ma neppure gli estremi uffici dovuti al cittadino.

Il vero potere di Rosas ebbe dunque principio nel 1833. Gli istinti crudeli, che procacciarongli poi una celebrità di sangue, non mostraronsi in piena luce nei primi tempi del suo governo, se ne togli la fucilazione del maggior Montero, e dei prigionieri di San Nicolò. Non è però a tacersi che avvenivano in quel torno alcune morti oscure e inaspettate, che la storia registra severa in lettere di sangue nel libro delle nazioni. Diffatti scomparvero due capi della campagna di cui Rosas potea temer la potenza; morirono del pari in quei giorni Arbolito e Molina. È forse in tal modo che perivano i due consoli che accompagnavano Ottavio alla battaglia d'Azio.

Ora ci corre debito far più intima conoscenza con Rosas già dittatore, e che nondimeno tocca appena la soglia di quel potere, che non gli fuggirà più dalle mani.

Nel 1833 Rosas ha trentacinque anni, di aspetto europeo, di biondi capelli, di colorito bianchissimo, di occhi azzurri, porta soltanto la barba tagliata all'altezza della bocca. Bello il suo sguardo se fosse dato giudicarlo, avendo per costume volgerlo a terra anche in faccia agli amici, ch'egli conosce avergli sempre nemici. Dolce la voce, e all'uopo, insinuante la parola; d'animo vigliacco e ferocemente astuto: proclive alle mistificazioni, ne faceva suo scopo esclusivo prima ch'ei s'occupasse di cose più serie; ora gli è una distrazione e nulla più. Come si vedrà da questi due esempi, le sue mistificazioni erano brutali, come il suo carattere che accoppia la scaltrezza alla ferocia.

Una sera invitato a commensale un amico, nascosto il vino destinato alla cena, lasciò solo sulla mensa una bottiglia di quel Leroy, alla cui fama non manca che l'esser nato al tempo di Molière. L'amico, gustato il liquore e trovatolo abbastanza piacevole, ne votò la bottiglia lungo la cena, mentre Rosas non prese che acqua. Nella notte l'amico ebbe quasi a morirne. Rosas ne rise molto, e se quegli fosse morto ne avrebbe, fuor di dubbio, riso moltissimo.

Era suo passatempo, allorchè veniva a lui qualche pueblero (abitante della città), costringerlo a salire i più sfrenati cavalli, e la sua gioia era maggiore, se più grave la caduta del cavaliere.

Nel governo poi tra i più difficili affari, erano suoi consiglieri i giullari e i buffoni. Nell'assedio di Buenos-Ayres nel 1829, avea quattro di questi infelici presso di sè; creatili monaci, erasene, di privata autorità, costituito priore; e li chiamava fray Bygûa, fray Chaja, fray Lechusa, e fray Biscacha11. Amava pure immensamente i confetti, ed aveane nella sua tenda d'ogni maniera, nè con minore affetto li amavano i frati. Or come spesso avveniva che ne mancasse buon numero, Rosas chiamava i fratelli a confessione. Sapendo essi qual premio la menzogna aspettasse, il reo confessava, che spogliato all'istante degli abiti, venia vergheggiato da' suoi compagni.

Tutti conoscono in Buenos-Ayres, Eusebio il molatto di Rosas, cui un giorno di pubblica festa, prese il talento di fare per lui, ciò che madama Dubbarry faceva a Lucienne del suo negro Zamore; ed Eusebio vestito degli abiti del governatore ebbe a ricevere gli omaggi delle autorità al luogo del suo signore.

Costui dunque notissimo, lo ripetiamo a Buenos-Ayres, fu vittima d'un capriccio terribile, come solo Rosas può averne. Chiamatolo a sè, accusandolo capo d'una cospirazione per pugnalarlo, ordinò si arrestasse malgrado le sue proteste di devozione. I giudici, cui bastava l'accusa di Rosas, per non inquietarsi se Eusebio era colpevole o no, condannarono l'infelice alla pena del capo. Preparatosi all'estremo supplizio, si confessò e fu tradotto sul luogo dell'esecuzione, ove aspettavalo il carnefice co' suoi ministri. Allora quasi per incanto, comparve Rosas e dicendo al meschino, presso a morir di paura, che sua figlia Manuelita presa d'amore per lui, voleva sposarlo, lo graziò!

Manuelita al dì d'oggi è sui vent'otto o trent'anni; se non può dirsi una donna bella, è, ciò che val meglio, una piacevol persona, di figura distinta, di tatto profondo, capricciosa come un'europea.

Come figlia di Rosas, fu fatta segno alle calunnie. La dissero erede dei feroci istinti del padre e dimentica, come quelle figlie di imperatori romani, dell'amore filiale per un amore più tenero e meno cristiano.

Niente di più falso. Manuelita è rimasta zitella per molte ragioni; Rosas talvolta sente il bisogno d'essere amato, e sa che l'unico su cui possa contare, è l'amor di sua figlia; d'altronde nessuna potente famiglia di Buenos-Ayres cercò di congiungersi col dittatore. Infine è pur da notarsi che Rosas ne' suoi sogni di regno crede veder l'avvenire di Manuelita fecondo di nozze più aristocratiche di quelle abbia diritto a pretendere in questo momento.

Manuelita non è punto crudele; è anzi noto a tutti coloro cui non offende amore di parte, che dessa è un freno continuo alla collera del padre, sempre pronta ad irrompere. Fanciulla ancora, strappava le grazie da Rosas con un mezzo stranissimo. Spogliato quasi degli abiti il molatto Eusebio, ordinava gli mettessero la sella e le briglie come un cavallo: addattati poi a' suoi piccioli piedi andalusi i speroni del Gaucho, gli saliva sul dorso, e amazzone strana, venía su questo bucefalo umano davanti a suo padre, che ridendo dei capricci della fanciulla, accordavale la grazia richiesta.

Ora poi che tai mezzi non hanno più l'antico prestigio, ella circonda suo padre, quasi sorella di misericordia, di cure incessanti. Studiato il di lui cuore, ne conosce le vanità più secrete che lo tormentano; ora indugiando, ora chiedendo, riesce talvolta ad ottenere, e se è vera l'intimità che le appongono, noi oseremmo quasi asseverare, che il suo delitto è non solo scusabile agli occhi di Dio, ma potrà tenerle luogo d'una virtù.

Manuelita è la regina e insieme la schiava del tetto domestico; essa governa la casa, presta a suo padre le più tenere cure, ed incaricata di tutte le relazioni diplomatiche, può dirsi il vero ministro degli affari esteri di Buenos-Ayres.

Diffatti per la tertulìa di Manuelita, ora Manuela, ma a cui suo padre dà sempre il nome d'infanzia, deve l'agente straniero far la sua diplomatica entrata presso di Rosas.

Nella sua terlulìa Manuela si rappresenta come entusiasta del padre. Ivi, senza che cada in dubbio ad alcuno, si uniforma agli avvisi del dittatore; e colle grazie della gioventù, e colla poca importanza politica, che si suol dare ad una bocca ridente e a due begli occhi, avviluppa lo straniero in tal guisa che a gran fatica egli può sciorsene.

Infine del pari che Rosas è un essere eccezionale e diviso dalla società, Manuelita è una strana creatura, che, incognita a tutti, passa solitaria su questa terra, lungi dall'amore degli uomini e della simpatia delle donne.

Infelice! essa sola può dire quanto è sventurata e quante lacrime versa quando Iddio le chiede conto delle sue colpe, ed ella chiede conto a Dio de' propri dolori.

Rosas ha pure un figlio, di nome Juan, di nessun peso nel sistema politico del padre. Egli è un giovane d'aspetto comune, minore d'un anno o due di Manuelita; privo di nome può dirsi non avrà mai che quello che viene dai triviali amori e da corrotti costumi.

Capitolo Secondo

Giunto al sommo del potere, fu cura di Rosas spegnere la federazione. Lopez, autore di questa, caduto malato, va a Buenos-Ayres sull'invito di Rosas che lo vuole presso di sè. Lopez muor di veleno. Quiroga, capo della federazione, sfuggito per incanto a venti sanguinosi combattimenti, il cui coraggio e fortuna son proverbiali, muore assassinato. Cullen, mente della federazione, governatore di Santa-Fè per una rivoluzione suscitata da Rosas, gli è dato nelle mani dal governatore di Santiago. Cullen muor fucilato.

Quanto v'ha di più alto nel partito federale corre le istesse fortune de' più sommi in Italia sotto i Borgia; e a mano a mano Rosas adoperando le istesse mene di Alessandro VI e suo figlio Cesare, pervenne a dominare la Repubblica Argentina, la quale sebbene ridotta a perfetta unità, continua nel titolo specioso di federazione.

Ora occorre di dare alcun cenno dei personaggi da noi nominati, evocando un istante i loro accusatori fantasmi; tanto più che vi ha in tutti questi uomini una tal quale primitiva selvatichezza che merita se ne faccia caso. E per cominciare dal generale Lopez, un solo aneddoto ci darà contezza non tanto di lui, sibbene ancora degli uomini che trattava. Egli reggea Santa-Fè e contava in Entre-Rios un suo personale nemico, il colonnello Ovando, che in seguito ad una rivolta fu tradotto a lui prigioniero. Il generale era a mensa e ricevendo con oneste accoglienze Ovando, l'invitò ad assidersi seco e si stabilì fra essi un colloquio come in due convitati ne' quali l'eguaglianza delle fortune comandi la più perfetta ed egual gentilezza. Se non che a mezzo il desinare, Lopez interrompendosi a un tratto: Colonnello, disse, s'io fossi caduto in vostro potere come voi nel mio e ciò fosse avvenuto nell'ora dei cibi, che avreste voi fatto? – Io vi avrei invitato a sedere alla mia tavola, come voi faceste con meco. – Sì, ma dopo il convito? – V'avrei fatto fucilare. – Son soddisfatto che una tale idea v'abbia balenato alla mente, essendo pure la mia; voi sarete fucilato all'alzarvi di tavola. – Debbo io levarmi di subito, o proseguire il mio pranzo? – Oh! continuate, Colonnello, non v'è poi molta urgenza. Continuarono adunque, gustarono caffè e liquori, dopo di che disse Ovando: – Credo che questo sia il tempo. – Vi ringrazio, rispose Lopez, di non aver atteso ch'io ve lo rammemorassi. Indi, chiamato un soldato, – La squadra è pronta? dimandò – Sì, mio generale, rispose costui. Allora voltosi a Ovando, – Addio, Colonnello, gli disse – Addio, rispose, non è lunga la vita nelle guerre come le nostre. E salutandolo, sortiva. Cinque minuti dopo una fucilata alla porta di Lopez, gli annunziava che il colonnello Ovando non era più.

In quanto a Quiroga, egli era un uomo della campagna al pari di Rosas. Un tempo, sergente nell'armata di linea contro gli Spagnuoli, s'era poi ritirato alla Rioja, suo paese natale. Fatto per le interne discordie signor del paese, appena ebbe la somma del potere, si cacciò a tutt'uomo nella lotta delle varie fazioni della repubblica, e per queste fe' per la prima volta sentire il suo nome all'America.

Nello spazio d'un anno Quiroga era la spada del partito federale; nessuno ebbe al pari di lui ad ottenere più felici successi col solo suo valor personale, talchè il prestigio del suo nome potea dirsi supplisse a un esercito. Cumulata nel calor della mischia intorno a sè la somma dei pericoli, gettava allora il suo grido di guerra e impugnata la lunga lancia, sua arma prediletta, volgeva in fuga anche i più coraggiosi.

Quiroga, anzichè crudele, era feroce; ma d'una ferocia magnanima, generosa; d'una ferocia non di tigre, ma di leone. Infatti il colonnello Pringles, suo giurato nemico, è fatto prigione, poscia assassinato. L'assassino agli ordini di Quiroga, che nella speranza d'un premio, gli vien narrando il delitto, è fucilato.

Un bel giorno i suoi soldati, memori dell'accaduto, traggongli innanzi due ufficiali nemici fatti allora prigioni. All'invito di disertare la propria bandiera, l'uno rifiuta, l'altro consente.

– Orsù dunque, disse a quest'ultimo, a cavallo, andiamo a veder fucilare il vostro compagno. – Egli obbedisce, e lungo la via vien novellando con Quiroga, di cui già si crede aiutante di campo, mentre in mezzo ai soldati il povero condannato va tranquillamente alla morte. Giunti sul luogo, Quiroga ingiunge all'ufficiale che si rifiutò al tradimento, di mettersi in ginocchio. Ma dopo il comando, pronti! fermandosi:

– Orsù, disse a lui che si tenea già per morto, voi siete un prode, ecco il cavallo del signore, partite.

E colla mano accennava al cavallo del rinnegato.

– Ed io? chiedeva egli.

– Tu non ne hai mestieri, chè sei presso a morire.

Nulla valsero i preghi dell'amico reso alla vita; pochi minuti dopo era morto.

La gloria di batter Quiroga era serbata al generale Paz, il Fabio americano, uomo per virtù e illibatezza specchiatissimo. Due volte ei ne distrusse le armate nei terribili combattimenti della Tablada e d'Oncativo. Ma fatto prigioniero il general Paz a cento passi dalla sua armata per la caduta del suo cavallo, Quiroga opponendo alla tattica e strategia di queste allora nascenti repubbliche, un indomito coraggio ed una volontà di ferro, fu invincibile.

Cessata la guerra tra i federali e gli unitari, volle Quiroga visitare le interne provincie. Nel ritorno assalito a Barranca-Jaco da una mano di trenta assassini, una palla che traversò la vettura, in cui era soffrente, lo colse nel petto. Quantunque ferito a morte, pallido, grondante sangue, potè sollevarsi ed aprir la portiera. Alla vista dell'eroe rizzato in piedi e quasi cadavere, gli assassini si diedero alla fuga. Ma Santos-Perez lor capo trattosi innanzi a Quiroga, che caduto gli abbracciava i ginocchi e lo fissava nel viso, l'uccise, mentre gli altri assassini tornavano a dar compimento al misfatto. Furono i fratelli Reinafi che reggeano Cordova, braccio di questa spedizione d'accordo con Rosas. Ma egli riparatosi in una macchia onde non esser visto, potè, prese le parti dell'innocente, farli arrestare e condannare e fucilare.

Ora di Cullen. Nato egli in Ispagna, abitava la città di Santa-Fè, ove strettosi con Lopez, ne era venuto il ministro e il consigliere. L'influenza che ebbe ad esercitare nella repubblica argentina dal 1820 al 1833, epoca della sua morte, lo rese uomo d'alto rilievo. Le oneste accoglienze di Cullen per Rosas, quando proscritto nel dì della sventura riparò a Santa-Fè, non ebbero potenza di cancellare dalla mente del futuro dittatore, che Cullen volea tornare la repubblica argentina sotto l'impero delle leggi; seppe però, protestando eterna amicizia, nascondere l'empio disegno.

Chiamato Cullen, per la morte di Lopez, al governo di Santa-Fè, datosi con ogni studio a migliorar la provincia, lungi dal dirsi nemico del blocco francese, esternava le sue simpatie per la Francia, come leva potente alle sue idee di civiltà. Rosas allora, coll'appoggio e concorso delle truppe, gli suscitò una rivoluzione, in cui vinto Cullen fu costretto a riparar presso Ibarra suo amico governatore della provincia di Santiago dell'Estero. Dichiarato Cullen selvaggio unitario, si proposero trattative da Rosas per averlo in sue mani, che lunga pezza tornarono vane. Teneasi quindi Cullen sicuro riposando sulla fede del giuramento d'Ibarra, allorchè ad un tratto inaspettatamente arrestato da' suoi soldati, fu condotto a Rosas. Egli intesane la venuta, ordinava si fucilasse a mezza strada, poichè, scriveva egli al nuovo governatore di Santa-Fè, il suo processo era fatto da' suoi stessi delitti. Cullen avea gentili maniere e cuore bennato; l'influenza che esercitò su di Lopez fu sempre rivolta al perdono ed è sua gloria se il generale Lopez, a fronte delle preghiere di Rosas, non condannò all'estremo supplizio alcuno dei prigionieri fatti nella campagna del 1831, che mise in sua balìa i capi più importanti del partito unitario. Di frivola istruzione, di mediocri talenti, avea però l'esterno d'un uomo eminentemente civilizzato.

Con tali mezzi spenti gli eroi del partito federalista, Rosas, povero d'ogni gloria militare, divenne il solo uomo importante della repubblica argentina e il signore assoluto di Buenos-Ayres. Avuto nelle mani il potere, cominciò le vendette contro le classi elevate, che non ebbero per lui che disprezzo. Godea mostrarsi tra gli uomini più aristocratici ed eleganti, quasi discinto, e sempre indossando la chaqueta. Ai balli presieduti da sua moglie e sua figlia, cui non intervenivano che carrettieri e macellai e la più vile bordaglia, ei fu visto aprir la festa danzando con una schiava e sua figlia con un Gaucho.

Nè qui s'arrestò il suo odio contro la nobil città. Proclamato il principio, chi non è con me è contro di me, chiunque non gli andasse a sangue, venia qualificato selvaggio unitario, nome per cui venia meno ogni diritto alla libertà, alla proprietà, alla vita, all'onore.

A secondare praticamente queste teorie, ebbe vita sotto gli auspici di Rosas la famosa società di Mas-Horca, che suona Ancora forche, composta d'uomini più abbietti, di bancarottieri e di assassini. A questa veniano affigliati per comando superiore, il capo della polizia, i giudici di pace, tutti infine i preposti all'ordine pubblico; di tal maniera che quando un cittadino minacciato in sua casa di saccheggio o assassinio dai membri della società, ricorreva al braccio della giustizia, tornava inutile ogni reclamo; niuno facea fronte a tali violenze, poco monta venissero fatte in pien meriggio, o nel colmo della notte; era una fatalità che bisognava subire.

E a comprovar coll'esempio, in quei giorni era moda degli eleganti di Buenos-Ayres portar la barba e collare; ma col pretosto che tagliata in tal guisa formasse la lettera U, e significasse unitario; la società, arrestati questi infelici, con coltelli poco taglienti tagliava loro la barba che cadeva unita a pezzi di carne, abbandonava quindi la vittima alla più vile feccia del popolo, che lieta spettatrice dello spettacolo, lo prolungava talora sino alla morte.

Usavano in quell'epoca le donne del popolo intrecciare ai capegli un nastro rosso, chiamato monno12; un bel giorno la società convenuta alle porte delle chiese maggiori, ne fregiò con catrame bollente il capo delle infelici che ne erano prive. Un abito, un fazzoletto, un nastro che accenasse al bleu od al verde era tale delitto, perchè la donna che se ne adornava fosse nuda bastonata sulla pubblica strada. Nè l'ingegno, la fama, o la fortuna erano scudo al bisogno; un semplice indizio faceva temere del sommo pericolo.

Ora mentre gli uomini più distinti dell'alta classe, fatta segno alle vendette di Rosas, cadeano vittime d'una prepotente violenza, veniano a centinaja imprigionati tutti gli altri cittadini, le opinioni dei quali non fossero in armonia con quelle del dittatore o osteggiassero i calcoli della sua futura politica. Ignoti a tutti tranne che Rosas che l'ordinava, la causa dell'arresto, venia pure dichiarato inutile il giudizio; così le numerose non interrotte fucilazioni davano luogo a nuovi prigioni. Le tenebre proteggevano il delitto; e la città destavasi esterefatta al rumore di questi tuoni notturni che la decimavano. Il mattino poi raccolti tranquillamente dai carrettieri della polizia i corpi degli assassinati per le strade e dei fucilati nelle carceri, venian tutti questi cadaveri anonimi cacciati in un gran fosso alla rinfusa, negate perfino ai congiunti delle vittime l'uffizio supremo. Queste scene di sangue avean luogo tra le risa e lo sghignazzare atroce dei carrettieri che, recise le teste dei cadaveri, e messe in un paniere, le offrivano al popolo, che, chiuse le case fuggiva inorridito, e gridavano all'uso dei venditori di frutta:

– Ecco le belle pesche unitarie! chi compra le pesche unitarie?

Allora poi il calcolo tenne dietro alle barbarie, la confisca alla morte; creare interessi inseparabili dai propri, mostrare ad una classe della società la fortuna dell'altra, dicendole: è tua, fu trovata necessità di regno. Da quel punto sulle rovine degli antichi proprietari di Buenos-Ayres, s'elevarono le rapide e disoneste ricchezze degli odierni parteggianti di Rosas.

Toccò Rosas il sommo della ferocia, cui non osò sognare alcun tiranno, cui non soccorse la fertile mente di Nerone e di Domiziano, col divieto al figlio di vestire a corrotto per il padre morto da lui. La legge fu proclamata ed affissa in Buenos-Ayres; e v'era ben donde, chè ogni famiglia aveva un caro da piangere.

Per tale tirannide si commossero gli stranieri e principalmente i Francesi, co' quali Rosas si fea lecito ogni eccesso. La nota pazienza di Luigi-Filippo toccò all'estremo e ne venne il primo blocco francese.

Ma le alte classi della società così dileggiate presero a fuggir Buenos-Ayres e volsero lo sguardo sullo Stato orientale, ove quasi tutta la proscritta città venne a cercare un asilo.

Allora la polizia di Rosas fe' ogni sua possa; punì per legge di morte l'emigrazione, e vista ciò tornar vano, si volle circondare l'estremo supplizio co' tormenti più atroci, ma l'odio e il terrore inspirato da Rosas era più forte delle sue pene, e l'emigrazione cresceva ogni giorno. Alla fuga d'un'intera famiglia bastava un battello; su questo si cacciavano alla rinfusa padre, madre, figli, fratelli e sorelle, e lasciando ogni loro fortuna approdavano allo Stato Orientale, tenendo per tutta ricchezza gli abiti che avevano indossati. Nè alcuno ebbe a pentirsi di avere sperato nella ospitalità del popolo orientale. Dessa fu grande e generosa quale di antica repubblica e come il popolo argentino dovea aspettarsi da amici, o meglio da fratelli, che tante volte aveano combattuto sotto le stesse bandiere contro gli Inglesi, gli Spagnuoli e i Brasiliani, nemici comuni e stranieri, però meno crudeli di questo nemico figlio della stessa terra.

Gli Argentini giungevano a torme, e toccata la terra veniano dai premurosi abitanti raccolti, come meglio ne aveano agio dai mezzi di fortuna e dall'ampiezza delle abitazioni. Di nulla allora patiano difetto questi infelici, che riconoscenti si davano tosto al lavoro, onde gli ospiti loro ne fossero alleviati, e così potessero soccorrere ai nuovi fuggenti. A tal fine gli uomini più comodi si accingevano ai più bassi mestieri dando loro tanto più lustro, quanto più alto era il loro stato sociale.

Di tal fatta i nomi più celebri della repubblica argentina brillarono nell'emigrazione. Lavalle, la più valorosa spada della sua armata; Florencio Varela, il suo più bel genio; Aguero, tra suoi primi uomini di Stato; Echaverria, il Lamartine della Plata; Vega, il Bajardo dell'armata delle Ande; Guttierez, il felice cantore delle glorie nazionali; Alsina, il grande avvocato e l'illustre cittadino, primeggiano tra gli emigrati; come pure Saenz Valiente, Molino Torres, Ramos Megia, i ricchi proprietarii; come anche Rodriguez, il vecchio generale delle armate dell'indipendenza e delle armate unitarie, e Olozabal uno tra i più prodi di quell'armata delle Ande, di cui Vega, come dicemmo, era il Bajardo. Scopo alla crudeltà di Rosas era tanto l'unitario che il federista, se poteva essere di ostacolo alla sua dittatura. Ora devesi all'ospitalità accordata a' suoi nemici, l'odio immenso che Rosas nutre per lo Stato Orientale.

All'epoca in cui or si fa cenno, era a capo della Repubblica il generale Fructuoso Rivera. Costui è un uomo della campagna al paro di Rosas e Quiroga. Differisce dal primo per le sue tendenze alla civilizzazione. Come uomo di guerra e come capo di fazione non ha eguali in valore e in generosità. Da trent'anni che ebbe tanta parte nelle commozioni politiche del suo paese fu sempre primo a correre all'armi, quando s'intese il grido di guerra allo straniero.

Nella rivoluzione contro la Spagna, egli fe' getto delle sue fortune, essendo per lui il dare, bisogno irresistibile; anzichè generoso, egli è prodigo. E Dio fu pur tale verso di lui. Gentil cavaliere (nel senso della parola spagnuola, che comprende il soldato e il gentiluomo), di bruno colore, di alta figura, di sguardo acuto, di cortesi maniere, trascina gli astanti col fascino d'un gesto a lui solo concesso. Per tali doti fu l'uomo più popolare dello Stato Orientale; ma è forza pur dirlo, non vi fu chi più male di lui reggesse le finanze d'un popolo. Come la propria, sprecò le fortune del paese, non già per sè, ma perchè uomo pubblico ritenea le generose maniere dell'uomo privato. Però al tempo in cui si ragiona non appariva ancora un tale dissesto. Rivera sul primo della sua presidenza, erasi circondato degli uomini sommi del paese. Obes Herrera, Vasquez, Alvarez, Ellauri, Luiz, Eduard Perez governavano con lui la cosa pubblica e con questi non poteva fallire a quel bel paese, progresso, libertà ed incremento.

11.Fray Bigiia, Fray Chajà ecc. – Questi sono nomi proprii di volatili di America; quelli di Lechusa e Biscacha corrispondono ai nostri di Civetta e Becaccia.
12.Le donne argentine sono obbligate dal dittatore Rosas a portare in testa un nastro di color rosso detto Mono per distintivo federale, e guai a quella che tralasciasse di metterselo, essa verrebbe bastonata in pubblica strada. Agli uomini poi è prescritto un nastro pure di color rosso con il ritratto di Rosas, col motto: vivan los federales; mueran los selvages unitariosRosas o Muerte. Tale nastro lo portano all'occhiello della chaqueta (giacchetta), foggia di vestito prescritto dal dittatore indistintamente per tutte le classi di persone.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
11 ağustos 2017
Hacim:
100 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain

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