Kitabı oku: «Frammenti Di Cuore», sayfa 2
Capitolo Tre
Al Sicuro
“Dove vivi?” chiese Silas.
Aaron si premette le mani sugli occhi. “Vai a casa tua. Tornerò alla mia da lì.”
“C'è qualcuno che può prendersi cura di te?”
Aaron deglutì a fatica. Robert doveva essere a casa, a meno che non fosse rimasto ancora al bar. Se davvero c'era un Dio in paradiso, lo avrebbe fatto rimanere ancora a lungo fuori casa per impedirgli di assistere alla caduta di Aaron.
“Lo prendo come un no,” disse Silas.
Aaron doveva aver impiegato troppo tempo per rispondere.
“Mio padre,” disse. “Vivo con mio padre.”
“È sicuro?” domandò Silas. “Si prenderà cura di te?”
“Non preoccuparti.” Si spostò sul sedile e il culo gli inviò una fitta. Il fantasma della mano di Ralph gli toccò la carne martoriata. “Accosta,” farfugliò.
“Che succede?”
Aaron si afferrò lo stomaco. “Accosta e basta,” ringhiò. Silas rallentò e fermò l'auto sul ciglio della strada.
Aaron spalancò di colpo la portiera e si sporse fuori. Aveva voglia di vomitare ma non c'era più niente da buttare fuori. Rimase chinato in avanti, ansimando in cerca d'aria.
Silas gli toccò una spalla e Aaron sussultò così forte che quasi cadde a terra.
“Aaron,” mormorò piano l'uomo.
“Non toccarmi,” ansimò Aaron. Sentiva le mani di Ralph ovunque sul proprio corpo.
'Bravo ragazzo.'
Aaron scese barcollando dall'auto, una mano ancora stretta intorno alla portiera. L'erba fresca e bagnata di rugiada gli accarezzò le ginocchia. Sentì la portiera dal lato del guidatore aprirsi e poi richiudersi.
Silas si inginocchiò in modo da avere gli occhi alla stessa altezza dei suoi. “Penso che dovresti andare al pronto soccorso,” mormorò.
Il pronto soccorso. Non era un'emergenza. Non era stato violentato. Si stava solo comportando come un bambino. Aveva soltanto bisogno di calmarsi. Aveva soltanto bisogno di smettere di tremare. “Sto bene,” rispose. Il suo stomaco sussultò di nuovo.
“Hai bisogno di farti vedere da un dottore.”
“Non posso farlo.”
Non posso permettere a nessuno di vedermi così. E che io sia maledetto se rischierò di farmi riconoscere da qualcuno all'ospedale.
“Allora lascia che ti porti a casa mia,” disse Silas gentilmente. “Ero un medico, una volta. Ma capisco se non ti fidi di me.”
Aaron finalmente riuscì ad alzare lo sguardo dal terreno.
Le sopracciglia di Silas erano aggrottate dalla preoccupazione. La sua espressione in qualche modo faceva sentire ancora più dolore ad Aaron.
“Ho bisogno di sapere cos'è successo – se ti hanno drogato e in che modo ti hanno picchiato – ma non voglio metterti a disagio.”
“Mi ha solo messo alcune dita nel culo e schiaffeggiato un po',” borbottò Aaron. “Ecco tutto. Non mi ha violentato.” Barcollò leggermente e strinse la presa sulla portiera. “Non è un grande problema. Sto solo reagendo in modo esagerato. Ogni tanto lo faccio. Probabilmente per attirare l'attenzione. Ignorami e basta.”
“Aaron.” La voce di Silas era ancora dolce ma adesso conteneva anche una punta di autorità. “Questo è un grosso problema.”
“Non lo è,” ribatté Aaron. Aveva la vista offuscata dalle lacrime e stava per piangere di nuovo, dannazione. Non si meritava di tornare a casa. Non si meritava suo padre o suo fratello.
“Riesci a rientrare in auto?” domandò Silas.
Aaron chiuse gli occhi e annuì.
“Hai bisogno di aiuto?”
Scosse la testa. Il minimo che poteva fare era riuscire ad alzarsi da solo. Si sollevò, sentendo le ginocchia tremare con forza, e si rimise seduto. Silas gli chiuse la portiera e prese di nuovo posto dietro il volante.
“A casa mia?” domandò.
“Sì,” mormorò Aaron.
Silas guidò velocemente. Quando raggiunse il quartiere in cui viveva, fece più volte il giro dell'isolato, dicendo che era il modo migliore per assicurarsi che nessuno li stesse seguendo. Dopodiché, si fermò in un vialetto e parcheggiò la macchina.
“Aaron,” lo chiamò, con voce ancora gentile, “ho bisogno che tu prenda le chiavi e ti sieda al volante con le portiere bloccate. Vado a controllare la casa e il giardino per assicurarmi che siamo davvero soli.”
“Non dovresti andare da solo,” disse Aaron.
Silas sembrava quasi offeso. “Ti giuro che andrà tutto bene.” Gli consegnò le chiavi e prese la pistola. “Se vedi qualcosa di sospetto o qualcuno che non sono io avvicinarsi, non aspettarmi: guida il più lontano possibile e il più velocemente possibile, senza guardarti indietro.”
Col cazzo che lo farò.
“Va bene,” rispose comunque.
Silas annuì, anche se non sembrava del tutto tranquillo. Chiuse la portiera e aspettò che Aaron le avesse bloccate tutte prima di andarsene. La sua figura scomparve rapidamente nell'ombra e Aaron lo perse di vista. I dieci minuti successivi si trascinarono in modo estremamente lento.
Quando la luce del portico si accese, Aaron rilasciò un respiro che non si ricordava neanche di aver trattenuto. Silas ricomparve nel suo campo visivo, alzando un pollice in direzione dell'auto.
Aaron afferrò in fretta i vestiti e la borsa e scese. Silas si offrì di portarlo di nuovo in braccio ma Aaron rifiutò, la sua dignità era stata già calpestata abbastanza per un solo giorno. Silas lo condusse in soggiorno e gli disse di mettersi comodo sul divano mentre andava a chiudere la macchina e il garage.
Pochi minuti dopo era di ritorno. “La tua macchina è al sicuro. Il sistema di allarme è inserito e tutte le porte e le finestre sono bloccate. I sensori in giardino sono attivi e lascio la luce del portico accesa, quindi sarà difficile sgattaiolare in casa senza venire scoperti. Sei al sicuro, qui.”
“Porno attore, dottore, esperto di sicurezza…” elencò Aaron.
“Sono un ex-militare,” gli spiegò Silas.
“Oh. Non ci avevo pensato. Esercito?”
“Una cosa del genere.”
Quello spiegava molte cose. “Eri un medico nell'esercito?” domandò Aaron.
“Sì.” Silas fece il giro del divano. “Posso avvicinarmi?”
“Certo.”
Silas si avvicinò, la testa inclinata e le sopracciglia aggrottate. “Vorrei darti un'occhiata,” disse. “Ma non so se ti aiuterei o peggiorerei la situazione. Sono abituato a trattare i traumi fisici. Con quelli psicologici non ho molta esperienza.”
Aaron appoggiò la testa contro l'imbottitura del divano. Era ancora avvolto nel giubbotto di Silas, e si stringeva il borsone e i vestiti contro il petto. Gli avvenimenti delle ultime ore stavano sul serio iniziando a pesargli addosso. Si sentiva in bilico tra intorpidimento e pazzia. Aveva voglia di urlare.
“Non voglio vomitare sul tuo divano,” disse.
“Penso che il tuo stomaco sia completamente vuoto,” rispose Silas. “Quando è stata l'ultima volta che hai mangiato?”
“Non ne sono sicuro,” mormorò Aaron. “L'altro ieri?”
“Gesù,” sospirò Silas. “Hai bisogno di mangiare… niente di pesante, ovviamente, ma il tuo corpo ha bisogno di energie. Ti consiglio di farti una doccia, o un bagno se ti senti troppo debole, poi vorrei visitarti e dopo ancora darti da mangiare.”
“Va bene.”
Silas lo guardò. “Posso accompagnarti in bagno?”
“Sì.”
'Sì, signore.'
Aaron si coprì il viso con le mani. Trenta docce non sarebbero state sufficienti neppure per iniziare a lavare via quello che era successo. Era sporco. Ma avrebbe dovuto imparare a conviverci.
Permise a Silas di trascinarlo in piedi e di accompagnarlo in bagno.
“Doccia o vasca?” domandò Silas.
“Doccia,” rispose subito Aaron. “Non voglio rimanere immerso nella sporcizia.”
Silas fece scorrere lentamente il pollice sulla spalla di Aaron, poi aprì l'acqua e controllò la temperatura. “Hai bisogno di aiuto per lavarti?”
Aaron guardò il pavimento piastrellato e sentì come se la sua testa fosse diventata troppo pesante per poter essere sollevata. “No,” borbottò.
“Sei sicuro? Ho già aiutato molti pazienti a lavarsi. Non ti farò del male.”
Aaron trattenne un singhiozzo. Avrebbe dovuto dare ascolto a Silas quando gli aveva detto che Ralph era rude. Avrebbe dovuto insistere per restare con Silas. Non avrebbe dovuto dare ascolto alla propria avidità. Avrebbe dovuto accontentarsi della riduzione di denaro ma stare bene.
“La safe word non ha funzionato,” sussurrò Aaron, con lo sguardo sempre rivolto al pavimento. “L'ho detta, ma…” Trattenne un altro singhiozzo. Il rumore della doccia in sottofondo gli rendeva più facile parlare, faceva sembrare la sua voce più leggera e distante.
“Sono dei mostri,” disse Silas. “Non avrei dovuto lasciarti solo con loro.”
“Come puoi lavorare con persone del genere?” chiese Aaron. Si pentì delle proprie parole appena le ebbe pronunciate. Silas non era un mostro. Non avrebbe dovuto accostarlo a loro.
“Ho lavorato con loro per due settimane,” rispose Silas. “Questa è stata la prima volta che li ho visti fare qualcosa di così brutto. Anche se probabilmente sparare al regista e al Dom di turno mi farà ricevere una lettera di licenziamento molto presto.”
Aaron rise. Quella risata lo fece sentire un po' meglio, come se gli avvenimenti di quel giorno avessero fatto un piccolo passo indietro.
Alzò lo sguardo su Silas, che gli rivolse un mezzo sorriso venato di tristezza prima di dire: “Devo confessare che sono in parte, se non del tutto, responsabile di quello che ti è successo.”
“Come può essere colpa tua?”
“Ripicca,” rispose Silas. “Dicono che ci metto troppo tempo e che le mie scene non sono convincenti. Ti hanno punito per punire me.”
“Ne dubito,” lo contraddisse Aaron. “Farley era già piuttosto incazzato prima che tu entrassi nella stanza.”
Silas sospirò. “Mi dispiace così tanto averti lasciato da solo con loro. Sapevo che non avrei dovuto farlo, ma l'ho fatto lo stesso.”
“Non è colpa tua,” disse Aaron. “Ti ho detto io di andartene.”
Me la sono cercata. È stata colpa mia.
Aaron tornò a fissare il pavimento.
La mano di Silas era ancora appoggiata sulla sua spalla. “Non gli permetterò di farti ancora del male.”
Aaron annuì, ma si allontanò dal suo tocco.
Silas lo lasciò andare. “Chiamami se hai bisogno di aiuto.”
“Lo farò.”
Senza aggiungere altro, Silas si voltò e lasciò la stanza, chiudendosi la porta del bagno alle spalle.
Capitolo Quattro
Minestra e Cappotto
Aaron strofinò il proprio corpo fin quasi a scorticarsi vivo. Il suo uccello era dolorante e l'acqua calda gli pungeva la pelle dove Ralph lo aveva colpito. Si appoggiò alle piastrelle e ruotò la manopola fino a quando l'acqua diventò quasi troppo calda e il vapore così denso da impedirgli di respirare. Il bruciore dell'acqua annullava il ricordo del dolore causato da Ralph. Nella propria mente cercò di convincersi che la sofferenza che provava era dovuta all'acqua bollente. La doccia era troppo calda. Era un dolore che poteva controllare.
Da solo, a occhi chiusi e sotto il potente getto d'acqua, la sua mente iniziò a vagare e gli sembrò quasi di essere a casa propria e che non fosse accaduto niente, come se le ultime ventiquattro ore non fossero mai esistite.
Quando uscì dalla doccia, la sua pelle era arrossata e dolorante. Si asciugò e vide che Silas aveva lasciato per lui due pile di vestiti sulla tavoletta del water. La prima comprendeva i suoi vestiti, quelli che aveva indossato per le riprese. L'altro mucchietto era sconosciuto, morbido e profumava di pulito. Optò per i vestiti nuovi. Era quasi certo che avrebbe bruciato i propri appena ne avesse avuta la possibilità.
Iniziò a vestirsi, poi però si ricordò che Silas aveva detto qualcosa sul dargli un'occhiata. Per qualche ragione che non capiva, il pensiero di vestirsi e poi spogliarsi davanti a qualcuno gli faceva paura. Si avvolse un asciugamano intorno alla vita e si piegò sul lavandino.
Un lieve bussare risuonò nella stanza. “Ti ho sentito chiudere l'acqua,” disse la voce di Silas. “Va ancora tutto bene?”
Per un breve, orribile momento Aaron desiderò aprire la porta con un calcio e picchiare Silas fino a farlo sanguinare. Un'altra domanda, un'altra frase piena di preoccupazione, un'altra implicazione che Aaron fosse troppo debole per comportarsi in modo normale… Poi, con la stessa rapidità con cui era apparsa, la rabbia sparì.
“Aaron?”
“Sto bene,” rispose. “Puoi fare in fretta a darmi un'occhiata?”
“Sei sicuro di volerlo fare?” domandò Silas, sempre parlando attraverso la porta.
“No, ma probabilmente è la cosa migliore, vero?”
Silas fece una pausa. “Non ne sono sicuro,” rispose sinceramente. “Non ho mai avuto a che fare con una vittima di stupro, prima d'ora. Non voglio farti…”
Aaron afferrò il portaspazzolino dal bordo del lavandino e lo lanciò contro il muro. Il contenitore, che si rivelò essere di ceramica, andò in frantumi.
“Non sono stato violentato!” urlò Aaron.
Silas aprì la porta, guardandolo con gli occhi spalancati.
Aaron lo fissò, poi guardò i frammenti di ceramica sul pavimento. Si allontanò dalla porta fino a quando andò a sbattere contro la parete. Scivolò lungo il muro fino a ritrovarsi seduto, il viso stretto tra le mani.
Percepì Silas avvicinarsi e sedersi al suo fianco.
“Scusami,” disse Silas. “Non sono famoso per le mie buone maniere.”
“Non è colpa tua,” mormorò Aaron. “Sono solo un po' incasinato, in questo momento.”
“Hai tutto il diritto di esserlo,” rispose l'altro. “Non dovrei metterti fretta.”
“Ti comprerò un nuovo spazzolino. E anche un contenitore.”
“Questa è davvero l'ultima delle mie preoccupazioni, al momento,” lo rassicurò Silas. “Te la senti di mangiare un po' di minestra?”
Aaron sbuffò. “Sinceramente prima vorrei che mi dessi un'occhiata. Penso di stare sanguinando, e non voglio macchiarti i vestiti. E sicuramente non voglio continuare a rimanere nudo e seduto sul pavimento di un bagno.”
“Va bene,” disse Silas. “Assumi qualche farmaco?”
“L'alcol conta?”
“No. Beh, tecnicamente no. Ma ne prendo nota.”
“Allora no, non assumo niente.”
“Che ne dici degli integratori? Sia da banco che da erboristeria?”
“No. Solo alcol.”
Silas annuì e si alzò. Spinse di lato alcuni frammenti di ceramica e frugò nell'armadietto dei medicinali sopra il lavandino. Recuperò diverse bottigliette, poi indicò la porta con la testa. “Vieni con me.”
Aaron si tirò su e seguì Silas in soggiorno. C'erano una ciotola di acqua calda e un asciugamano sul tavolo, oltre a un grosso kit di pronto soccorso organizzato in modo quasi maniacale.
Silas notò che Aaron stava guardando i medicinali mentre appoggiava i flaconcini di pillole sul tavolo. “Volevo che fosse già tutto pronto, per fare più in fretta possibile,” disse. Aprì una delle bottigliette e si fece cadere una pastiglia sul palmo. “Hai mai assunto lo Xanax prima d'ora?”
“No.”
Gli porse la pastiglia. “Questa è la dose da un milligrammo. Ti aiuterà con l'ansia e lo stress. Potresti sentirti un po' assonnato. Se la tua vista inizia ad oscurarsi, o ti senti confuso in qualche modo, dimmelo subito.”
Aaron esitò prima di prendere la pillola tra le dita.
“Non devi prenderla per forza,” disse Silas. “Te l'ho data solo per aiutarti a calmare i nervi.”
Aaron la afferrò. Fino a quel momento si era fidato di Silas, che lo aveva aiutato. Senza indugiare oltre, la ingoiò, poi si mise in attesa di una reazione, sentendosi uno stupido quando non accadde nulla – non poteva avere una reazione immediata, no? Uno schiocco catturò la sua attenzione.
Silas si stava mettendo dei guanti di lattice. “Pensavo di controllare prima il tuo ano,” gli spiegò. All'improvviso sembrò avere difficoltà a mantenere il contatto visivo. “Il resto dell'esame sarà molto meno invasivo.”
“Facciamolo e basta,” sbottò Aaron. “Devo piegarmi e afferrarmi le caviglie?” Cercò di ridere ma la risata gli si strozzò in gola. Evidentemente il suo cervello pensava che fosse ancora troppo presto per fare delle battute.
“Se potessi sdraiarti su un fianco con le ginocchia divaricate, penso che sarebbe meglio,” disse Silas. Gli porse un cuscino e stese un asciugamano sull'imbottitura.
Aaron non seppe cosa rispondere, quindi rimase in silenzio e si stese come gli aveva detto Silas, infilandosi il cuscino tra le ginocchia.
“È importante che tu mi dica come ti senti mentre ti esamino,” gli spiegò Silas. “Se ti faccio male, dimmelo. Se ti senti a disagio, dimmelo. Se ti senti incapace di continuare, dimmelo.”
“Sono a disagio dalle cinque di questo pomeriggio,” ribatté Aaron con un grugnito.
“Sto per toccarti,” disse Silas. “Solo all'esterno. Ti aprirò soltanto le natiche.”
Aaron gemette e prese fiato. “Fammi un favore,” sbottò. “Evita di raccontare tutto per filo e per segno.”
“D'accordo,” gli assicurò Silas. Dopodiché tenne la bocca chiusa. Le sue dita erano scivolose, ma non appiccicose come quelle di Ralph. Le sue mani erano calde e decise, ma ancora gentili. Non era invasivo né brusco. Se Aaron sussultava, si fermava per un paio di secondi prima di continuare. L'intero esame durò più o meno cinque minuti.
“L'apertura è un po' lacerata,” disse Silas. “Guarirà da sola, ma vorrei applicare una pomata per alleviare il dolore e prevenire un'infezione.”
“Va bene,” rispose Aaron. Aveva il viso girato nell'altra direzione e guardava i cuscini azzurri del divano. Se ne tirò uno vicino al petto, come per proteggersi.
“Vorrei anche applicare una crema sulle natiche dove Ralph ti ha colpito. La pelle non è ferita ma molto arrossata. La crema ti aiuterà col dolore.”
“Va bene,” ripeté Aaron.
Sentì Silas toccargli il culo, poi allargargli di nuovo le natiche e sfregargli qualcosa di fresco contro l'apertura. Impiegò meno di trenta secondi per fare tutto.
Silas si tolse i guanti. “Puoi voltarti lentamente, adesso.”
Aaron si girò e trovò Silas pronto a coprirlo con un asciugamano tiepido.
“Devo controllare anche la presenza di lividi e segni di traumi sul pene e sui testicoli,” gli disse l'uomo.
Aaron fissò il cuscino.
“Te lo ripeto, la comunicazione è fondamentale.”
“Va bene,” bofonchiò allora Aaron.
Silas si infilò un altro paio di guanti e sollevò l'asciugamano dal suo inguine. Aprì delicatamente le ginocchia di Aaron, in modo molto simile a come aveva fatto quando si erano incontrati per la prima volta quel pomeriggio, quando era stato “Padrone” e non “Silas”.
Aaron era vagamente consapevole che le sue ginocchia stavano tremando.
“Quanti anni hai?” domandò Silas.
“Ventuno.”
“Da quanto tempo possiedi quell'auto?” chiese, mentre sollevava il pene di Aaron.
Aaron cercò di non sussultare. “Papà me l'ha regalata lo scorso anno.”
“Da quanto tempo vivi in città?” Premette delicatamente i polpastrelli sulla base.
“Abbiamo vissuto qui di tanto in tanto. Dopo un paio d'anni ce ne andiamo e dopo un altro paio ritorniamo.”
“Hai altri familiari nelle vicinanze?”
“Mio fratello minore,” rispose Aaron.
Silas gli alzò le ginocchia, facendogli cenno di rilassare di nuovo le gambe. “Quanti anni ha?”
“Diciassette,” rispose Aaron. “Andrà al college il prossimo autunno.”
Annuendo, Silas gli coprì di nuovo l'inguine con l'asciugamano e si tolse i guanti. “Ha già deciso che cosa studierà?”
“Legge,” rispose. Abbassò lo sguardo su Silas, che si era seduto sul bordo del divano.
“Deve essere bello avere un futuro avvocato in famiglia,” commentò.
“Sì. È anche molto intelligente. Non ho proprio idea da chi abbia preso quel cervello. Deve essere una eredità della famiglia di mamma.” Prese aria bruscamente appena la parola mamma ebbe lasciato le sue labbra.
Per fortuna Silas non insistette oltre. “Devi essere molto orgoglioso di lui.”
“Lo sono.”
“Vado a prenderti dei vestiti. Credi di poter mangiare qualcosa, adesso?”
Lo stomaco di Aaron rispose al posto suo, quasi ruggendo.
Silas sorrise e si alzò. Tornò pochi secondi dopo con i vestiti che avevano lasciato in bagno. “Vado a scaldare un po' di minestra. Hai qualche allergia?”
“No,” rispose Aaron.
“Sei vegano o vegetariano?”
Aaron rise. “No.”
“Bene. Vestiti mentre vado a prendere due piatti.”
Aaron non era sicuro del perché Silas fosse rimasto nella modalità medico sicuro di sé invece di tornare a quella di chioccia iperprotettiva, ma accolse con favore quel comportamento. Forse aveva qualcosa a che vedere col modo in cui aveva lanciato oggetti contro il muro poco prima.
Si alzò dal divano e si infilò un paio di boxer di Silas. Udì un suono raschiante nel corridoio e si sentì un po' in colpa. Probabilmente stava pulendo il casino che aveva combinato.
I pantaloni della tuta erano morbidi e consunti. Si adattarono perfettamente ai fianchi di Aaron, che poté solo immaginare come pendessero da quelli più magri di Silas. Era snello e di poco più basso di Aaron. La maglietta era un po' aderente, ma anche morbida. Aaron osservò il cappotto appeso all'attaccapanni nell'ingresso. Sentì uno strano bisogno di avvolgerselo intorno al corpo.
Fallo e basta. Ti ha messo della crema sul culo come se fossi un bambino. Se questo non ha attraversato la linea del 'e che cazzo', dubito che lo farà indossare il suo cappotto.
Aaron si sentiva un po' intontito mentre si avvicinava all'appendiabiti, ma non ci fece caso.
Forse era lo Xanax a parlare. Qualunque cosa fosse, gli piaceva. Si infilò il cappotto e se lo avvolse stretto intorno al petto, stringendolo così tanto da rischiare di non respirare. Come i pantaloni, anche il cappotto si adattava meglio alla figura di Aaron che a quella di Silas. Dovevano piacergli gli abiti comodi.
Ovviamente Silas scelse proprio quel momento per tornare.
“Ho del manzo con le verdure oppure dei noodle di… oh,” disse Silas, inclinando la testa di lato.
Aaron stava per spiegargli la situazione, ma Silas lo anticipò.
“O dei noodle di pollo,” concluse. “Lo ammetto, non ho mai imparato a fare molto altro oltre a uova e toast, e il più delle volte bruciacchio anche quelli. Spero che la zuppa in scatola vada bene.”
“Non sono schizzinoso,” rispose Aaron, ancora avvolto completamente dal cappotto.
“Vuoi mangiare sul divano oppure in cucina?” chiese Silas. “Se posso darti un consiglio, ti suggerisco il divano, è più morbido.”
“Uh, sì… va bene il divano,” disse Aaron. “Ecco… avrei dovuto chiederti il permesso.” Fece un mezzo gesto verso il cappotto. “Io… non ho… non so perché l'ho fatto.”
“Non hai bisogno di dire niente. Per quanto mi riguarda, questo è il tuo spazio sicuro e puoi fare quello che vuoi. Ciò che è mio è anche tuo.” Le sue guance si colorarono all'improvviso di un rosa acceso. “Sono felice di possedere qualcosa che ti dia un po' di conforto.”
Aaron sentì l'impulso irrefrenabile di correre verso di lui e seppellire il viso nel suo collo, di abbracciarlo e farsi abbracciare. Invece, strinse più forte il cappotto. “Oggi mi hai salvato,” disse con calma. “Spero tu te ne renda conto.”
Le sopracciglia di Silas si aggrottarono e le sue mani iniziarono a tremare. “Vorrei tanto abbracciarti, adesso, ma non voglio metterti a disagio o spaventarti in qualche modo.”
“Oh,” esclamò Aaron. “Puoi… sì, dovresti farlo. La cosa dell'abbraccio, intendo.”
Silas ridusse la distanza tra loro in due rapidi passi e lo prese tra le braccia. Aaron gli nascose il viso nell'incavo del collo. Silas gli appoggiò il palmo aperto sulla schiena, facendo scorrere la mano in un rilassante movimento circolare.
E, dannazione, Aaron si ritrovò a piangere di nuovo. Silas prese un respiro tremante e Aaron capì di non essere l'unico rimasto turbato dagli eventi della giornata. Si avvicinò ancora di più al suo corpo e Silas rispose stringendolo con più forza. In quel momento, Aaron si rese conto che anche Silas doveva avere una storia alle spalle. A un certo punto, qualcosa nella sua vita doveva essere andato storto e adesso lo faceva sentire a pezzi. Era successo senza dubbio qualcosa che gli stava permettendo di capire bene quello che Aaron stava provando. Qualcuno doveva averlo ferito molto profondamente.
Aaron chiuse gli occhi e deglutì. Silas era una brava persona. Aaron avrebbe ucciso qualsiasi figlio di puttana lo avesse fatto sentire come si sentiva in quel momento. Ma non Silas. Senza pensare, premette le labbra contro la pelle esposta della sua spalla.
Silas fece un altro respiro tremante ed emise un piccolo gemito. “Sei al sicuro con me, Aaron, te lo prometto.”
“Anche tu sei al sicuro con me, Silas,” gli assicurò. Fece scorrere una mano sul suo collo fino ad affondare le dita nei suoi capelli morbidi. “E sfido quegli stronzi a cercare di darci la caccia.”