Kitabı oku: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II», sayfa 11
LIBRO QUARTO
CAPITOLO I
La tribù di Kelb,515 rampollo di Kodhâ'a, e però del ceppo himiarita, diè soldati agli eserciti che passavano in occidente al principio dell'ottavo secolo; occorrendo poco dipoi nella storia di Affrica e Spagna emiri kelbiti di gran fama,516 dei quali Biscir-ibn-Sefwân capitanò una correria sopra la Sicilia.517 Prevalsi poi in Affrica gli Arabi di Adnân, i quali in ogni modo abbassarono e calpestarono la schiatta di Cahtân, si vede tuttavia un capitano kelbita ucciso nelle guerre civili alla fin dell'ottavo secolo, ch'avea tenuto Mila presso Costantina,518 e però nei luoghi ove facea soggiorno la tribù di Kotama. Preso infine lo stato dalla casa modharita d'Aghlab, si dilegua il nome kelbita dalle storie, fino alla esaltazione dei Fatemiti; ai quali era ragione che si accostassero gli avanzi dei nobili arabi nemici della passata dinastia. Intanto uomini kelbiti aveano acquistato séguito, e forse stretto parentele, nella gente di Kotama, che amava ad arabizzare; poichè nei tempi appresso (986) veggiamo sceikh de' Kotamii in Egitto, capo connivente a loro insolenza e non dato al certo dai califi, un Kelbita della casa appunto degli emiri di Sicilia.519 Sia dunque in grazia dei Kotamii, sia della setta ismaeliana o d'altri servigi i Beni-abi-Hosein di Kelb furono ben visti a corte del Mehdi;520 Ali di quella gente, morì a Girgenti combattendo per Kâim;521 Hasan, figlio di Ali, guadagnò nuovi meriti appo Mansûr, come si è detto. Affidando a costui la Sicilia, Mansûr potea fare assegnamento, non meno su la fedeltà e il valor dell'uomo, che su le qualità della famiglia: nobile e però riverita dal popolo; nuova in Sicilia e però sciolta d'ogni legame con la parte aristocratica del paese.
Non occorre di esaminare la sognata concessione feudale della Sicilia ad Hasan, che si fondava su la versione erronea del testo d'un plagiario; e i moderni compilatori l'hanno abbandonata, conoscendo quanto ripugnasse agli ordini musulmani.522 In vece di quella impossibilità legale, il Martorana pensò che il califo fatemita, a un tempo con la elezione di Hasan, avesse ordinato il governo di Sicilia con titolo più illustre ed autorità più larga, accordando all'isola “un emirato suo proprio.”523 Ma veramente, nè il nome era nuovo, nè l'autorità. La prima cosa, l'oficio di wâli, che il Martorana crede inferiore a quel d'emiro, è il medesimo, semprechè si tratti d'una provincia; e vale tanto a dir wâli d'Africa, d'Egitto, di Sicilia, o simili, quanto emiro: e ciò in linguaggio comune al par che in linguaggio legale.524 In secondo luogo, nessuno scrittore fa motto di mutati ordini al tempo di Hasan;525 nessuno serba a lui ed ai successori il titolo di emir ed ai predecessori quello di wâli: fin dai principii del conquisto di Sicilia, son adoperati da sinonimi, or l'uno or l'altro, come portava l'uso della lingua e il capriccio dello scrittore; allo stesso modo che gli Aghlabiti or son detti wâli, ed or emiri d'Affrica. In fine, se per “emirato suo proprio” s'intenda governo che non abbracciasse altra provincia, la Sicilia se l'ebbe sempre sotto i Musulmani. E se voglia significarsi emirato con pien potere, oficio di wâli o emir generate, come lo chiamano i pubblicisti, la Sicilia l'ebbe senza interruzione fino all'ottocentosettantotto, e di tratto in tratto, nei settant'anni che seguirono infino al novecenquarantotto, quante volte i principi d'Affrica non poteano calpestare i coloni a lor talento.526 In ciò si dèe dunque correggere la sentenza. Da un'altra mano la si dèe spiegare alla più parte dei lettori. “Governo proprio” significava in Sicilia, venti o trent'anni addietro, un luogotenente del re di Napoli, albergato più o meno splendidamente nella reggia di Palermo, ed un'amministrazione civile, finanziaria e giudiziale independente dai ministri napoletani: il qual ordine bramavano que' Siciliani che non odiasser molto la dinastia regnante; e loro ne fu conceduta una sembianza che durò qualche anno. Donde “emirato proprio della Sicilia,” era frase grata a taluni e credo al Martorana, chiarissima a tutti nel paese; e nel nostro caso, rendea, propriamente o no, una idea giusta; poichè l'ordine del milleottocentrentadue somigliò molto a quello del novecenquarantotto, astrazion fatta dagli antecedenti e dalle conseguenze. Il Wenrich, non avendo alle mani tal cemento, si appigliò alla innovazione di titolo e d'autorità, ch'era la parte più debole del concetto di Martorana; vi persistè non ostante gli schiarimenti datigli dalla erudizione orientale; e con troppa fretta si cavò da cotesta esamina di dritto pubblico.527
La quale a me par molto piana. Il dritto musulmano ammette due forme di governo provinciale; autorità civile e militare raccolta in unica mano, o divisa. La prima forma, obbligatoria nei nuovi conquisti e nei paesi confinanti con Infedeli, fu adoperata necessariamente in Sicilia, dove i coloni la tiravano a independenza. Ibrahim-ibn-Ahmed, Mehdi e Kâim vollero provar l'altra forma; e non bastaron fiumi di sangue a farla allignare. Mansûr, più generoso, più savio, o che gli aprisse gli occhi la rivoluzione d'Abu-Iezîd, rinunziò al gusto di reggere la Sicilia, come un villaggio d'Affrica, dal suo sofà, e di espilarla a suo talento per commissarii: le rese il governo normale di grande provincia di confini, con mandarvi un vicerè, com'oggi si direbbe. Il qual fatto non fu, ne poteva essere, accompagnato da novello statuto, nè da novello titolo.528
Molto manco potea Mansûr istituire l'emirato ereditario. La successione del quale oficio in una famiglia si vede sovente nelle storie musulmane, dagli Aghlabiti d'Affrica infino agli odierni pascià d'Egitto, ma sempre nacque di fatto e durò con le sembianze di elezione che venisse dalla volontà del principe. Cominciò sempre da un emir temporaneo; finì sempre col fatto di novella dinastia independente; passando per una serie di vicende, che da una dinastia all'altra si assomigliano come le figure simili in geometria; procedono secondo unica legge; e danno agli occhi lo stesso aspetto. Morto Mansûr, pochi anni appresso la elezione di Hasan, i successori del primo non mutarono la famiglia degli emiri in Sicilia, perchè l'era potentissima a corte e governava l'isola tranquillamente. Quando poi i Kelbiti caddero in disgrazia al Cairo, i califi fatemiti si accorsero di non poterli sradicare dalla Sicilia. Perchè già era avvenuto il caso che nascea necessariamente dagli ordini sociali e politici dei Musulmani, come altrove accennammo. La nobiltà militare, i soldati mercenarii, i dottori erano avvinti alla famiglia kelbita dal saldo vincolo dell'interesse, per via degli stipendii e del patrocinio; la plebe nudrita con le scorrerie contro i Cristiani e le limosine in patria; l'universale soddisfatto delle entrate che s'investiano in comodo pubblico o di privati siciliani, degli edifizii che sorgeano, dello splendor d'una corte protettrice di begli ingegni, del reggimento condotto secondo i bisogni o il genio dei cittadini di Sicilia, non degli impiegati di Mehdia; soddisfatto delle colonie che moveano dal Val di Mazara a ripopolare le città della Sicilia orientale, a coltivarne le campagne o godersi i tributi di quelle ove rimanessero i Cristiani. Però non è a domandare se i Musulmani dell'isola volessero correre il rischio d'un governo d'uomini nuovi, che avrebbe potuto rimutar tutto e ricondurre i bargelli è i commissarii fiscali del tempo di Sâlem. Una volta che il califo fatemita il tentò, acconsentendo, com'e' pare, la casa kelbita per la promessa di maggiore stato in Egitto, i Siciliani corsero alle armi (969); e il califo non trovò altro modo di porre fine ai tumulti che d'inviare al più presto un emiro kelbita. In venti anni dunque era fondata di fatto là eredità dell'emirato, la quale premeva tanto ai Siciliani.
E però era già surto un principato di Sicilia: senza decreto nè plebiscito che potesse registrarsi dai cronisti, ognuno ormai sel vedeva. Ibn-Haukal, venuto in Palermo del trecentosessantadue (972-3), parla del palagio ove albergava il Sultano; la qual voce è usata già dagli scrittori del decimo secolo per designare principi di fatto, riconosciuti o no dal califo: e veramente ella ha valore radicale di violenza; e quando il tempo onestò la cosa e il nome e mutò questo in titolo pubblico, significò impero privo della sacra potestà dei califi.529 Sia che Ibn-Haukal abbia ripetuto la voce Sultano perchè la sentiva in Palermo, o che l'abbia detto dassè per definire l'ordine di cose che toccava con mano, l'attestato è di gran momento collimando con lo scopo della rivoluzione divampata in Sicilia tre anni prima, e col ritratto delle vicende che seguirono fino alla metà dell'undecimo secolo. Dal novecensettanta in poi non muovon d'Affrica nè d'Egitto eserciti che combattano in terraferma d'Italia, non che in Sicilia, insieme coi Musulmani dell'isola. I Siciliani, quando lor pare, depongono un emir kelbita e ne scelgono un altro nella famiglia. Che se il califo manda tuttavia al designato dall'emir predecessore, o dal popolo, un diploma, con le insegne dell'oficio e col titol sonante di Corona dell'Impero, Spada della Fede e simili, ciò significa soltanto che la Sicilia riconoscea pontefici i fatemiti. Nè monta il nome loro stampato nelle monete siciliane fino alla metà dello undecimo secolo. Abbiamo notato più volte che nel medio evo i Musulmani tenesser poco conto di tal regalia, sì gelosamente custodita dai principi cristiani. Inoltre il nome dei Fatemiti dava corso più largo al conio siciliano nei frequenti commerci con l'Affrica e l'Egitto, per la qual ragione non ebbero scrupolo a contraffarlo o imitarlo i principi longobardi di Salerno.530 Ma niuno sosterrà che l'isola obbediva al califo fatemita Daher o Zâhir (1021-1036) perchè v'abbian di lui e del successore tante monete battute in Palermo,531 quando i lor nomi non si ricordano punto nè poco nella sollevazione contro i Kelbiti; nè que' califi se ne dierono briga; nè pensò a loro la casa kelbita, nè alcuna delle fazioni che agognavano al potere dello Stato: anzi una parte che cercò aiuti di fuori, si volse agli emiri zîriti d'Affrica, minacciando, s'e' ricusavano, di chiamare a dirittura i Bizantini.
Aiutaron cotesta emancipazione della Sicilia, la potenza dei Kelbiti a corte, com'abbiam detto; il tramutamento della sede fatemita, da Mehdia al Cairo; le guerre orientali dei primi califi d'Egitto; la pazzia e debolezza degli altri; la emancipazione contemporanea dell'Affrica. Pur la cagione principale fu che i Siciliani voleano. Raro avvien che rimangano frustrati i popoli quando fermamente si propongano e tenacemente procaccino di scuotere il giogo: che se una generazione fallisca, per colpa propria o fortezza del nemico, un'altra coglierà il nemico sprovveduto e avvolto in alcuna delle brighe che non mancano mai agli oppressori; e vincerà, forse senza combattere. Il sangue sparso per sessant'anni, fruttò alla Sicilia che nel novecenquarantotto, col romor d'un tumulto, riebbe l'emir generale; e nel novecensettanta, con breve guerra, si sciolse dall'arbitrio del califo nelle elezioni: che è a dire salì al sommo grado di libertà d'un popolo musulmano. E prima vi sarebbe giunta la colonia, se non fosse stato per le divisioni etniche, municipali e sociali, che sempre la dilaniarono.
CAPITOLO II
Fin dalla morte del Mehdi, o vogliam dire dalla rivolta di Girgenti, l'impero bizantino non soddisfaceva il tributo di Calabria;532 le città assicurate di Sicilia lo avean anco smesso negli ultimi tempi. Ma, risaputo come Hasan dava sesto alla cosa pubblica, venne tosto in Palermo un frate a recare i decorsi di tre anni da parte di qualche città.533 Altre di Sicilia o di Calabria che nol fecero, furon punite dal novello emiro con aspre correrie; onde chiesero aiuti a Costantinopoli.534 Dove rimase inaspettatamente padrone il Porfirogenito, gli parve indegno della maestà imperiale pagar quel tributo ai Barbari. Sforzandosi, quanto il poteva un picciolo ingegno ed una natura inerte, a ristorare gli ordini della civiltà romana ch'egli avea studiato su i libri ed affastellato in sue compilazioni, Costantino Porfirogenito non lasciò da canto l'amministrazione militare, nè la disciplina; di che tornò qualche frutto all'impero, ed egli molto più se ne prometteva. E però mandava in Italia, in vece d'oratori col tributo, que' che gli parean capitani e soldati. I quali alla prima si diedero a maltrattare e taglieggiare i sudditi, peggio che non avrebbe fatto il nemico.535
Hasan, dal suo canto, com'ei seppe sbarcati i Bizantini ad Otranto, chiese rinforzi. Mandatigli da Mansûr settemila cavalli e tremila cinquecento uomini da piè, oltre i soldati d'armata e le navi da guerra e da carico, giugneano in Palermo, il due luglio novecencinquanta, condotti dal liberto schiavone Farag-Mohadded. L'esercito siciliano era in punto; sì che a' dodici luglio poderoso sforzo mosse per mare e per terra alla volta di Messina, sotto il comando di Hasan. Immantinenti, valicato lo stretto, assalirono Reggio, cui trovaron vota di abitatori. Hasan spargeva i cavalli a far preda intorno; andava egli col grosso delle genti all'assedio di Gerace; davale indarno aspri assalti; e già la riducea, tagliatole l'acqua da bere, quando ebbe nuove dell'esercito bizantino che venisse a trovarlo. Perlochè, composto coi Geracini e presone danari e statichi, raccolti i suoi, mosse contro i Greci; i quali precipitosamente si rifuggirono ad Otranto e Bari. Hasan, inseguendoli, poneva il campo sotto Cassano; infestava i dintorni. Combattuta per un mese la città senza frutto, e sopravvenuto l'inverno, fe' l'accordo come a Gerace; ripassò il Faro; lasciò l'armata a svernare nel porto di Messina; ed ei tornò alle stanze in Palermo.536 I patti di Gerace e Cassano sembrano tregua per un anno, comperata con una taglia che si pagava parte in contanti, e si davano gli statichi in sicurtà del resto.537
S'adunavano intanto in Calabria le armi bizantine, che l'anno innanzi o non eran tutte passate in Italia, ovvero avean osteggiato i dominii beneventani in Puglia, ove occuparon Ascoli.538 L'armata obbediva ad un Macrojoanni, o diremmo noi Giovanni il Lungo; l'esercito, che fu grosso se non valido, al patrizio Malaceno, col quale si accozzarono le genti di Pasquale stratego di Calabria539 Hasan, per comando del califo, riassaltava la terraferma in primavera del novecencinquantadue. L'otto maggio, che fu quell'anno tra i dì festivi alla Mecca, scontravansi i due eserciti sotto Gerace: della quale battaglia gli annali arabici dicono non essersi unque vista più aspra e fiera; gli annali greci attestano averne il nemico riportata nobilissima vittoria; e par torni a questo, che i Cristiani avean l'avvantaggio del numero, i Musulmani degli ordini e della fiducia nel capitano,540 il valore si pareggiava. Li sbaragliati poi, sfrenatamente fuggirono; inseguendoli i Musulmani infino a notte, con grande strage, cattura d'uomini, preda d'armi, cavalli, bagaglie: e a mala pena camparono il patrizio e lo stratego.541 Le teste degli uccisi mandate a trionfo nelle varie città di Sicilia e d'Affrica, come tuttavia porta il brutto costume degli Arabi. Hasan strinse d'assedio Gerace, che di nuovo fe' bella difesa, non ostante la mancata speranza d'aiuti. Pur Costantino mandava il segretario Giovanni Pilato all'emir di Sicilia; il quale, notano i Bizantini, non s'inebbriando nelle vittorie, assentì la tregua.542 Fermossi nella state del cinquantadue; e sembra limitata dapprima a Gerace, poi resa comune a tutti i luoghi di Calabria che obbedivano all'imperatore, e stipulatovi il solito patto del tributo e di più la tolleranza del culto musulmano. Uno stuolo mandato da Hasan saccheggiava intanto Petracucca, come par si chiamasse a quel tempo una grossa terra tra i capi di Spartivento e di Bruzzano.543 Altri assalivano un'altra terra, non sapremmo dir se Roseto su i confini della Calabria con la Basilicata, ovvero le isole di Tremiti, presso il Gargano:544 e si nota in questo medesimo anno saccheggiato il santuario del Gargano e infestati parecchi luoghi dello Stato di Benevento.545 I prigioni di Petracucca e di Roseto, o Tremiti, che furon molti; andavano di Sicilia in Affrica; e con essi, incatenato il capitano, del navilio musulmano, per nome Abu-Mehell; il quale, giunto a Mehdia, era punito con l'estremo supplizio. S'ignora il delitto: se infrazion della tregua, se peculato sul bottino; che è più verosimile.546
Mentre i suoi infestavano le costiere dell'Adriatico,
. Hasan, ritrattossi da Gerace a Reggio, apriva547 nel bel mezzo della città una moschea; cospicua al minaretto spiccantesi in alto da un angolo, perchè tutti il vedessero e ne sentissero la cantilena del muezzin. Stipulò in fatti libero ai Musulmani l'appello alla preghiera e ogni altro rito pubblico; che cristiano non mettesse mai piè nella moschea; che la desse legittimo asilo ad ogni musulmano, anche prigione di guerra ed anche fatto cristiano, al quale paresse di rifuggirvisi. E minacciò che, sapendo tolta, non che altro, una pietra della moschea di Reggio, farebbe diroccar le chiese cristiane per ogni luogo di Sicilia e d'Affrica. I quali patti, i Cristiani umilmente osservarono, scrive tutto lieto Ibn-el-Athîr; ignorando che la moschea di Reggio non durò oltre quattro anni.548 E preoccupato del gran dispetto degli Infedeli, passò sotto silenzio la vera importanza del fatto: il civil pensamento di Hasan ad usar la vittoria in favore del commercio, ch'era operoso al certo tra la Sicilia e la Calabria e molto più potea progredire con la tolleranza dell'islamismo a Reggio. Non guari dopo l'impresa di Calabria, venuto a morte Mansûr (marzo 953), e rifatto califo il figliuolo Abu-Tamîn-Ma'àd, che fu soprannominato Moezz-li-dîn-illah, l'emiro Hasan andava a corte a Mehdia; lasciato al governo della Sicilia il proprio figlio Abu-Hasan-Ahmed. E Moezz ratificava: il quale atto riferiscono i cronisti con parole diverse; ma la somma è che il califo lasciò l'emirato ad Hasan con sostituzione d'Ahmed in caso d'assenza e di morte.549 Segnalatissimo favore, da potersi comprendere col bisogno che avea Moezz del vincitor di Gerace per l'impresa d'Egitto, la quale poi si differì. Dovea forse combattervi l'esercito affricano, tornato di Calabria in Sicilia, il quale ripassò in Affrica poco dopo il viaggio di Hasan.550
Mentre si pensava a tal conquisto, l'emiro andò ad audace fazione in Spagna. Era occorso che spacciato un corriere di Sicilia in Affrica con lettere per Moezz, s'imbattè in una nave di mole non più vista in que' tempi, fatta costruire da Abd-er-Rahman califo omeiade di Spagna e mandata a mercatare in Egitto; le genti della quale detter di piglio piratescamente al legnetto siciliano, nè rispettarono gli spacci. Il che risaputo da Moezz, commetteva ad Hasan di far la vendetta con l'armata di Sicilia. Entrato nel porto d'Almeria, l'emir bruciò quanti legni v'erano; prese il naviglio che avea fatto l'insulto, tornato già d'Alessandria con ricche merci e giovani cantatrici per Abd-er-Rahman; poi sbarcò, messe Almeria a sangue ed a ruba; e salvo si ridusse a Mebdia. Due correrie delli Spagnuoli su le costiere d'Affrica mal rendeano la pariglia; essendosi combattuto con varia fortuna. Seguì l'assalto d'Almeria l'anno trecenquarantaquattro (26 aprile 955 a 13 apr. 956).551
Maggior guerra richiamò Hasan in Sicilia. La tregua coi Bizantini, era stata rinnovata il cinquantaquattro forse per altri due anni, venuto a ciò in Palermo un frate Assiropulo.552 Ma Costantino, mal soffrendo sempre il tributo, e rinfrancato dal valore che cominciavano a mostrare i suoi contro i Musulmani dell'Asia Minore, volle ritentar la fortuna in Italia. Mandovvi le soldatesche di Tracia e Macedonia col patrizio Mariano Argirio, e l'armata che ubbidiva a due capitani minori, Crambéa e Moroleone, il novecencinquantasei,553 quando spirava la tregua. L'Argirio cominciò da Napoli, notata allora a corte come ribelle e amica de' Musulmani per antichi e forse anco recenti patti: la strinse per mare e per terra; bruciò il contado; ridusse i cittadini a riconoscere la signoria bizantina finchè avessero il coltello alla gola. Varii luoghi dei principati longobardi e di Calabria, più o meno disubbidienti, si sottomessero del pari;554 e chi sa se coi voti, fors'anco con pratiche, non chiamavano i Musulmani? I quali non tardarono. 'Ammâr, fratello di Hasan, giunto d'Affrica con l'armata il nove agosto del cinquantasei, svernò in Palermo ed a primavera assaltò la Calabria.555 Non che correre il paese, par abbia dovuto afforzarsi 'Ammâr in qualche luogo; e chiamare in soccorso il fratello; vedendosi chiuso a settentrione dal grosso delle forze bizantine, mentre al suo fianco o alle spalle tentava audacissima fazione Basilio, protocarebo, o direm noi capitan di vascello, con un'armatetta. Sbarcato a Reggio costui distruggeva la moschea; poi risolutamente drizzava le prore al bel mezzo della colonia musulmana di Sicilia; prendea Termini a ventiquattro miglia di Palermo; assaliva indi la città di Mazara. Dove sopraccorso Hasan, l'emiro ebbe la peggio, e perdè molti de' suoi:556 pur Basilio se ne andò senza infestar l'isola altrimenti. L'anno appresso (958), Hasan con l'armata siciliana toccava le costiere di Calabria; congiungea le forze con 'Ammâr; e insieme andavano ad affrontare ad Otranto l'armata bizantina, capitanata da Mariano Argirio in persona. Dalle tre narrazioni, diverse e mutile, che abbiam di questa fazione, si ritrae come un gagliardo vento levatosi contro l'armata di Sicilia quando si veniva alle mani, desse agio al patrizio d'uscir di briga senza battaglia, e di prendere una nave musulmana imbattutasi tra le sue. Le altre, ricacciate dalla medesima tempesta vêr la Sicilia, la più parte fecero naufragio. I Siciliani poi si vantarono della fuga dell'Argirio; questi impiastrò a Costantinopoli che, aiutandolo il vento, avea distrutto e affondato tutte lor navi; un cronista bizantino, di cui s'ignora la età, scrisse che i Musulmani accampati a Reggio, mentre l'armata bizantina stava per passare d'Otranto in Sicilia, presi di timor panico, se ne tornarono a furia ed annegarono nei mari di Palermo. E in vero, se 'Ammâr avea le stanze presso Reggio, i cittadini dovean credere precipitosa fuga quel montar delle sue genti su le navi d'Hasan, delle quali poi si riseppe, non l'andata ad Otranto, ma il naufragio presso la Sicilia.557
In ogni modo, il patrizio nè assali L'isola, ne tentò altra impresa di che si faccia memoria. Hasan in men d'un anno rifece l'armata siciliana.558 Non è inverosimile, ma nè anco provato, che in questo tempo un'armatetta musulmana abbia osteggiato Napoli per parecchi dì, fatto prigioni, perduto la maggior nave in un assalto, e in fine assentito a lasciar tranquilla la città, prendendone taglia in moneta e vasellame d'oro e d'argento: e può credersi anco ch'alcun dei prigioni avesse visto in sogno San Gennaro e Sant'Agrippino, i quali gli promettessero il riscatto che poi seguì.559 Da miglior fonte sappiamo che seguirono avvisaglie: il novecensessanta preso dai Musulmani un Afrina o come che si chiamasse, capitan greco al certo, e dai Bizantini un Ibn-Baslûs e menato a Costantinopoli; il novecensessantuno venuto in Sicilia un legato bizantino che portava il gran nome di Socrate, il quale riscattò con danaro Afrina e gli altri prigioni di sua gente.560 La debole guerra finì con una tregua, fermata, com'ei pare, il medesimo anno, e durata infino all'esaltazione di Niceforo Foca.561