Kitabı oku: «Sanctuary – Serie ”Legami Di Sangue” – Volume 9», sayfa 3

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Capitolo 3

Dire che Skye fosse confuso era un eufemismo. In qualche modo era passato da una prigione all’altra, senza rendersene conto finché non fu troppo tardi. Dopo essere stato inaspettatamente liberato dalla caverna in cui era prigioniero, aveva seguito Misery, sapendo della sua intenzione di liberare i demoni dalla crepa.

Una parte di sé sperava davvero che lei riuscisse nel suo intento, ma non per le ragioni che si potrebbero pensare... solo perché lui era un demone, non significava che simpatizzasse per quelli della sua razza.

Per secoli aveva sperato che Aurora fosse ancora viva da qualche parte, alla ricerca di un modo per tornare in questo mondo. Tuttavia, quando vide tutto ciò che fuoriuscì dalla crepa, le sue speranze si spensero e provava dolore ancora adesso. Non c’erano possibilità che Aurora fosse sopravvissuta in mezzo a tutti quei mostri.

Lui era stato intrappolato con un solo demone, Misery, e riusciva comunque a percepire il mondo esterno. Trovarsi ad un passo dalla libertà gli aveva ridato la speranza di cui aveva bisogno per rimanere lucido. Aurora, invece, era rimasta intrappolata in un altro mondo con una miriade di demoni, tra cui molti maestri.

Era così innocente, candida e pura, ma per i demoni era uguale al nemico che dava loro la caccia, perseguitandoli e intrappolandoli.

Adesso la città era piena di quelle creature e Skye era stato costretto a mimetizzarsi tra gli umani. Aveva notato anche un piccolo esercito di cacciatori di demoni che ne eliminavano un po’ per volta, solitamente appena essi conquistavano un territorio. Molti altri, invece, avevano già reclamato un’area e stavano cercando di mimetizzarsi come lui.

Mescolarsi agli umani era una cosa che aveva imparato a fare molto presto nella sua vita, poi aveva condiviso quell’abilità con Aurora.

Quando la incontrò per la prima volta capì che avrebbero avuto bisogno di proteggersi a vicenda. Lui veniva spesso scambiato per un caduto, mentre Aurora appariva effettivamente per ciò che era... a meno che non avrebbe imparato a nascondere la sua natura.

Il cuore gli era sprofondato nel petto quando, al ritorno dalla perlustrazione, aveva trovato il villaggio distrutto e quasi tutti gli abitanti spariti. Gli umani non erano estranei alla guerra, erano una razza resiliente a pieno titolo. Alcuni sopravvissuti erano sfuggiti al massacro nascondendosi nella foresta e fu così che lui scoprì cos’era successo.

Gli abitanti del villaggio gridavano che i demoni erano arrivati per divorare le loro anime e che poi gli dei erano scesi dal cielo per salvarli, anche se c’erano state molte vittime. Piangevano per i morti ma erano grati che gli dei avessero salvato loro.

Lui e gli altri guerrieri radunarono i sopravvissuti e si diressero verso un altro villaggio, visto che il loro era distrutto. Dopo due notti passate all’addiaccio, Skye aveva notato una sconosciuta tra loro... una bambina. Nessuno si era chiesto della sua presenza, pensavano che fosse fuggita da un altro villaggio distrutto... si chiamava Misery.

La terza notte, la bimba lo prese in disparte e gli raccontò i dettagli di cos’era realmente accaduto al suo villaggio... era colpa dei Caduti. Per quanto lui riuscisse a reprimere il proprio potere, lei sapeva che non era umano e la cosa lo turbava. La bambina gli disse che era stata la sua tristezza a smascherarlo.

Dal momento in cui raggiunsero il nuovo villaggio, Skye iniziò a temere che lei rivelasse la sua natura agli umani e, per questo, se ne stava in silenzio.

Nelle settimane successive, Misery terrorizzò ripetutamente gli abitanti con i suoi scherzi. A notte fonda si aggirava nella sua forma putrefatta e spaventava i malcapitati di turno, seminando il panico generale. Alcuni erano riusciti a salvarsi, mentre altri non erano stati così fortunati.

L’ultima goccia che fece traboccare il vaso fu quando tre guerrieri, amici da una vita, si uccisero a vicenda lasciando la piazza del villaggio in un lago di sangue.

Alla fine gli abitanti iniziarono a sprangare le porte di notte e si avventuravano fuori soltanto di giorno. Non molto tempo dopo, uno sconosciuto iniziò a frequentare il villaggio facendo acquisti al mercato. Skye riconobbe la sua vera natura e non disse nulla... rimase lontano dagli abitanti e lasciò Misery alla sua rovina.

Il suo piano di autoconservazione fallì quando Misery bussò forte alla sua porta, nel cuore della notte, chiedendogli di farla entrare. Lui l’aveva ignorata ed era sgattaiolato fuori di casa dalla porta sul retro. Sapeva che il demone era stato scoperto dallo sconosciuto... un caduto che aveva sentito voci su di lei.

Per sua sfortuna Misery lo seguì e, di conseguenza, portò il caduto direttamente a lui. Skye si rifugiò in una grotta e si nascose, sperando con tutto se stesso di non essere trovato. Il cuore gli sprofondò nel petto quando Misery entrò di corsa nella caverna per nascondersi. Il caduto sfruttò la sua occasione, creando una sorta di barriera attorno alla grotta e intrappolandoli per l’eternità.

Skye scacciò i dolorosi ricordi dei secoli trascorsi in quella grotta e continuò a vagare senza meta per le strade di Los Angeles. Non aveva altro da fare, oltre a camminare in quel labirinto di edifici alti e vicoli bui. Era tardi e la maggior parte degli umani dormiva, tranne quelli che bramavano la notte.

Anche i demoni vagavano per le strade, cercando proprio quegli umani che, stupidamente, consideravano l’oscurità come la loro casa.

Era ancora sbalordito per le dimensioni della città, non aveva mai visto niente di simile da quando aveva iniziato a vagare per il pianeta. Toccava le menti degli umani, ottenendo così le informazioni necessarie per comprendere tutto ciò che vedeva. Non aveva mai pensato che la razza umana potesse progredire fino a quel livello. Prima della sua prigionia, le abitazioni non erano altro che piccole capanne fatte di fango e paglia, mentre adesso erano torri alte fino al cielo.

Ciò che lo avviliva di più era che le storie sull’invasione dei demoni nel corso della storia venivano attribuite a leggende, miti e folclore. Se gli umani sapessero che i loro incubi peggiori sono reali, l’intera società andrebbe in pezzi o incolperebbe il governo di qualche esperimento sulla genetica umana.

Sentendo un improvviso bisogno di sicurezza, Skye iniziò ad evitare i pochi pedoni in giro, apparendo e scomparendo come una luce stroboscopica.

Si fermò davanti ad un vicolo buio e lo scrutò per un momento, poi si guardò intorno per accertarsi di non essere visto. Assicuratosi che la via era libera, avanzò senza esitazione. Gli edifici intorno a lui erano alti e creavano quasi un effetto del buio che lo inghiottiva. Ce ne aveva messo di tempo ma, alla fine, aveva trovato un nascondiglio nel seminterrato dell’enorme biblioteca.

Con la propria vista acuta individuò facilmente le sbarre che proteggevano la finestra nel buio. Accovacciandosi, sbirciò all’interno per assicurarsi che non ci fossero dipendenti ancora in servizio, com’era successo nell’ultima settimana.

Rimuovendo le sbarre in silenzio, scivolò lentamente nella stanza prima di girarsi e rimetterle a posto. Sospirò profondamente, sapendo che sarebbe stato al sicuro per un’altra notte. Dirigendosi verso l’area principale, si fece largo tra le innumerevoli file di scaffali che contenevano volumi antichi, finché non arrivò in una sezione che non veniva mai usata.

In mezzo agli scaffali c’era un vecchio divano, con lo schienale appoggiato ad un muro senza finestre. Intorno c’erano altri scaffali con scatole di libri qua e là. Accanto al divano c’era una lampada ma a Skye non era mai servita... avere la visione notturna era uno dei vantaggi di essere un mezzosangue.

Si era rifugiato lì molte volte dopo la fuga dalla grotta e, finora, non era mai stato disturbato. Pur non avendo bisogno di riposare tanto spesso, quella notte Skye era esausto. Aveva compiuto un eroico tentativo per lasciare la città ma qualcuno, o qualcosa, aveva eretto una barriera rendendo impossibile la fuga. Lui sapeva che c’era una via d’uscita, doveva solo trovare “la chiave”.

Avrebbe voluto sfogarsi contro Misery, era lei la causa di tutto, un demone potente con la mentalità di una mocciosa. Era rimasto intrappolato con lei per così tanto tempo che, quando trovò finalmente la libertà, non si rese conto che era una bugia. Non poteva lamentarsi, però... almeno questa seconda prigione era più grande e il paesaggio era migliore.

Misery aveva tenuto fede al suo piano di liberare i demoni in questo mondo, tuttavia lui ne aveva visti alcuni tentare di fuggire. Erano stati tutti liberati da una prigione per poi finire dritti in un’altra, apparentemente senza alcuna possibilità di fuga. Era quasi come se i due mondi si fossero scontrati creando una bolla.

Skye si avvicinò al divano per leggere un libro preso a caso. Le persone in biblioteca lo avevano indirettamente aiutato ad imparare a leggere ed era molto più facile di quanto si aspettasse. In pratica aveva toccato le loro menti per acquisire le conoscenze e, adesso, era in grado di leggere anche i libri più grossi in pochi minuti.

Un sorriso sfiorò le sue labbra perfette quando si rese conto che impiegava più tempo a girare le pagine che a leggere. Se riusciva ad assorbire la conoscenza dalle menti delle persone, perché non provare a fare lo stesso con i libri? Posando il volume sulla scatola, Skye vi poggiò la mano e chiuse gli occhi.

Dean era seduto su uno scaffale e osservava l’ibrido con curiosità. I suoi lunghi capelli biondi fluttuarono attorno a lui come se stesse volando e Dean alzò un sopracciglio quando un alone color ametista brillò attorno al corpo dell’uomo, facendolo oscillare. Era una visione affascinante.

Skye inspirò lentamente mentre scivolava nei libri. Un attimo era un pirata in mare aperto e quello dopo era innamorato di una principessa lontana; assaporò le sue labbra e sentì la stoffa dei pantaloni tendersi per il desiderio. Poi fu distratto da un drago nero, che fu ucciso da un mago più potente di lui.

“Tsk... figuriamoci.” si lamentò Skye, allontanandosi da quella che era, ovviamente, la sezione di narrativa.

Sospirando, fece per sedersi e si accigliò vedendo altri vestiti e un paio di scarpe da tennis nere. Chi diavolo era a lasciargli quella roba? Lui sapeva che i dipendenti andavano lì ogni tanto ma si assicurava che nessuno di loro lo sorprendesse ad usare il divano o i libri.

Imprecò tra sé quando si rese conto che, per la stanchezza, non aveva notato un’altra presenza. Si guardò attorno nervosamente ma non notò niente di strano. Si avvicinò e allungò una mano per toccare i vestiti, poi la ritrasse con sospetto.

Dean aveva deciso di restare nascosto per vedere cos’avrebbe fatto l’ibrido. Era piuttosto iperattivo ma, cavolo, rimanere intrappolato con Misery per secoli avrebbe fatto impazzire anche un santo. Ricordò di non averla sopportata già dopo pochi secondi e, di solito, il suo livello di pazienza era piuttosto alto... o almeno così credeva.

Guardò la scatola di libri che l’ibrido aveva appena visionato e quasi rise, notando il romanzo del vampiro più famoso del mondo. Ah, l’ironia della vita. Guardò di nuovo l’ibrido quando lo vide allontanarsi dai vestiti.

“Chi sei?” chiese Skye con i peli drizzati sulla nuca. Conosceva già la sensazione del sentirsi osservato dai caduti.

“Sono Dean.” sussurrò l’altro, cercando di non spaventarlo. Quando il silenzio cominciò a pesare, Dean si accigliò “Dovresti dirmi il tuo nome, se non vuoi farti chiamare ‘Ehi, tu!’...”.

“Cosa vuoi?” gli chiese Skye con voce fredda. Si guardò intorno nella stanza ma la voce sembrava provenire da dentro la sua testa, più che da una particolare direzione.

“Voglio solo parlare.” Dean scrollò le spalle, anche se l’altro uomo non poteva vederlo. Tirò su le gambe e si accovacciò, vedendo l’istinto della fuga brillare nei suoi occhi.

Skye digrignò i denti, non si fidava di quella voce senza un volto. “È davvero quello che vuoi?”

“A meno che tu non voglia altro...” La voce di Dean era sensuale e il suo sguardo scrutò il corpo dell’ibrido senza vergogna.

Quanto tempo era che quel ragazzo non sentiva il tocco di un’altra persona?! Era quasi un purosangue e i caduti non stabilivano alcun legame senza un contatto... era il loro modo di essere. Ecco perché aveva impedito a Kriss di toccare troppo Tabatha e il vederli abbracciati nel letto lo irritava. All’improvviso si chiese se Kriss sarebbe stato geloso, al posto suo.

“Perché dovrei crederti?”. Skye ringhiò, quello non era un gioco.

“Non sei obbligato.” dichiarò Dean, realizzando che, se voleva proteggere il piccolo ribelle, avrebbe dovuto andarci piano. “Ma che alternativa hai? O ti uccido prima che ti unisci ai demoni per solitudine, oppure...” sorrise maliziosamente, ansioso di combattere.

La paura di Skye schizzò fino al tetto e lui corse tra gli scaffali della libreria, poi sentì delle braccia possenti stringerlo da dietro. La forza della presa gli tose il fiato, sollevandolo da terra, e lui si dimenò senza preoccuparsi di respirare.

Le braccia lo strinsero più forte e lui ansimò rumorosamente sentendo quel corpo sodo premuto contro di lui. Si ricordò, all’improvviso, dell’ultima volta in cui era stato così vicino a qualcuno. Di notte, lui e Aurora si abbracciavano per stare al caldo o si tenevano per mano, sentendo l’uno il bisogno dell’altra. Adesso percepiva ogni cosa di quel corpo e ciò lo spaventava ancora di più.

“... oppure potresti unirti ai caduti.” gli sussurrò Dean all’orecchio.

“I caduti uccidono quelli come me.”. Skye ringhiò, afferrando il braccio attorno al proprio petto ma senza riuscire a liberarsi. “O li gettano in una caverna e se ne dimenticano.”. S’infuriò mentre il dolore e la rabbia si scontravano dentro di lui.

Dean sospirò e scosse la testa. Era in momenti come quello che avrebbe spaccato volentieri la testa ad alcuni suoi fratelli, per la loro negligenza durante le guerre demoniache.

“Se avessi saputo che eri laggiù con quel mostro, io ti avrei salvato!” sibilò Dean, scandendo ogni parola. “E voglio ancora salvarti.”.

Skye smise di lottare ma s’irrigidì per reprimere quel brivido che cercava di pervadergli il corpo. Girò lentamente la testa verso il suo rapitore ma si fermò quando sentì la pelle morbida e calda della sua guancia. Non riuscì ad impedire al dolore della solitudine di riaffiorare nel proprio sguardo... il tocco di quel caduto gli ricordava ciò che aveva perso con Aurora.

“Perché?” gli chiese Skye confuso.

Dean gli sfiorò la guancia, sentendo scendere una lacrima calda “Perché i demoni non piangono... tu sei un caduto. Anche Misery lo aveva detto, no?”.

*****

Kane sospirò e si girò sulla schiena, qualcosa non andava. Si voltò per guardare Tabatha e fu allora che lo sentì di nuovo. Guardando il soffitto, chiuse gli occhi e ascoltò attentamente. All’inizio il rumore era ovattato, come se provenisse da sotto un mucchio di cuscini, poi divenne martellante e costante.

I suoi occhi color ametista si riaprirono di scatto... era il debole rumore di un battito cardiaco in lontananza.

Sistemò con cura le coperte attorno a Tabatha e le diede un bacio sulla fronte, prima di scivolare giù dal letto. Infilandosi un paio di pantaloni di pelle nera, si fece strada nel club buio fino alla stanza della sicurezza, stropicciandosi gli occhi mentre camminava.

Non appena aprì la porta, una luce blu lo accecò. Guardò i monitor che mostravano ogni angolo esterno del club, compreso il tetto. Strinse gli occhi quando la telecamera sul tetto lampeggiò, segno che qualcosa aveva fatto scattare i sensori di movimento... un qualcosa che non doveva essere lì.

Toccando lo schermo, inquadrò meglio la porta che dava sul tetto e piegò la testa di lato. Non era roba che si vedeva tutti i giorni... una bella donna era rannicchiata sotto la tettoia e sembrava dormire profondamente.

“Proprio comodo, eh.” Kane fece una smorfia, sapendo che il pietrisco del catrame stava sicuramente pungendo quella pelle dall’aspetto delicato.

Tabatha aveva sentito Kane lasciare la camera da letto e si chiese cosa lo avesse destato dal riposo dopo ore di sfinimento.

Incuriosita, si alzò e seguì il suo odore fino alla stanza della sicurezza. Sbirciando dalla porta aperta, vide che era preso da qualcosa sullo schermo e si mosse in punta di piedi, nel tentativo di avvicinarsi di soppiatto. Ci era quasi riuscita quando la voce di lui la spaventò.

“Abbiamo visite.” Kane sorrise sentendo il sussulto di Tabatha.

“Accidenti.” lei sibilò e sbatté i piedi nudi sul tappeto morbido.

Kane si girò di scatto e la prese, tirandola a sé e rivolgendole un sorriso smagliante. “Non penserai davvero di poter spaventare l’uomo nero?”. La prese in giro, strofinandole il naso sulla guancia prima di rubarle un bacio.

Tabatha lo lasciò fare e sentì le dita dei piedi contrarsi per la passione, ma moriva dalla voglia di sapere chi era la ragazza che stava prendendo la tintarella di luna sul tetto di casa. Si scostò più velocemente di quanto Kane avrebbe voluto... o almeno fu quello che capì dal suo ringhio sommesso.

Gli leccò il labbro inferiore e poi lo morse. “E pensare che quando ero piccola avevo paura dell’uomo nero...”.

Le grida impaurite di una bambina sulla sua tomba tornò a perseguitarlo e la strinse più forte. La piccola aveva vagato nei boschi per giorni, da sola e spaventata, e il pensiero di ciò che doveva aver passato gli faceva ancora stringere il petto e cedere le ginocchia... ma risvegliava anche l’oscurità dentro di sé.

Tabatha percepì il cambiamento in lui e si scostò per guardarlo in quegli occhi che stavano diventando sempre più scuri. Non sapeva cosa avesse potuto farlo scattare, così cercò di riportare la sua attenzione al tetto.

“Credevo che demoni e umani non potessero avvicinarsi a questo posto, se non invitati.” e fece un cenno verso il monitor.

“Infatti è così.” rispose Kane, poi sorrise quando lei alzò un sopracciglio.

“E allora chi è quella?”. Tabatha si sporse verso lo schermo, ignorando Kane che approfittò dell’occasione e le accarezzò la schiena. Sembrava che la ragazza stesse dormendo, tuttavia si muoveva leggermente... come per allontanarsi da qualcosa.

Tabatha provò tristezza per lei, sembrava smarrita e sola. “Cos’ha?”.

Kane abbassò la mano e si girò per vedere cos’aveva catturato l’interesse della sua compagna. Riconobbe i sintomi di un incubo e disse “Sta sognando, tesoro.”.

Gli occhi di Tabatha si socchiusero quando la ragazza si girò “Hai ragione, sta tremando per un incubo. Non possiamo lasciarla lì fuori.”.

“Ma che...?”. Kane ringhiò quando Tabatha corse fuori dalla stanza. Spalancò gli occhi quando sentì la porta d’ingresso chiudersi piano. Si rese conto che lei si stava arrampicando in camicia da notte e sogghignò. In un lampo, uscì e guardò quello spettacolo mozzafiato da sotto.

“È questo il Paradiso.” sussurrò con un sorriso ammiccante.

Tabatha gli lanciò un’occhiataccia ma, in realtà, se lo aspettava... non sarebbe stato Kane, senza i suoi momenti di perversione.

Capitolo 4

Nel sogno, Aurora correva all’impazzata. Le ombre la circondavano ed erano terrificanti. Le sembrava di trovarsi in un labirinto senza uscita, con vicoli ciechi ad ogni angolo. Il terrore si faceva travolgente e lei inciampava spesso, stanca di correre... di fuggire sempre dai potenti. Non importava quanto lontano andasse o quanto velocemente corresse, l’oscurità la stava raggiungendo.

Ansimò rumorosamente e i suoi occhi si spalancarono per lo spavento. Vide le stelle e, all’improvviso, si rese conto che qualcosa di potente le si stava davvero avvicinando. Ancora spaventata e con il cuore a mille per il sogno, Aurora guardò oltre il tetto.

La stanchezza stava iniziando a prendere il sopravvento, era sfinita. Possibile che fosse così sfortunata da non poter riposare neanche in quel ‘santuario’? Sentendo una maniglia dietro la schiena, la cercò e aprì rapidamente la porta. Corse dentro, sperando di eludere la potente energia che la stava raggiungendo, ma sbatté contro un corpo sodo e percepì un altro strano potere.

Fece la prima cosa che il suo istinto di sopravvivenza le disse di fare... combattere. Con un calcio mandò l’uomo giù per le scale, fino al piano di sotto. Poi si voltò per affrontare qualunque fosse la creatura alle sue spalle, ma si fermò confusa quando vide una donna seminuda davanti alla porta.

Tabatha la vide impallidire ma il suo sguardo era esplicito... era spaventata a morte e pronta a combattere per uscire da lì, se necessario. Deglutì e allungò le mani con i palmi rivolti verso di lei, per calmarla.

“Va tutto bene.” le disse. “Vogliamo solo aiutarti.”.

Aurora restrinse lo sguardo sulla donna. Perché qualcuno di così potente voleva aiutarla?

Tabatha fece un passo avanti e le tese una mano. “Qui sei al sicuro.” disse dolcemente e sperò che lei le credesse. Ad ogni modo, qualsiasi progresso poteva aver fatto andò in fumo quando Kane corse per le scale e afferrò la ragazza in una presa soffocante.

Tabatha scrollò le spalle e sospirò “Kane, ti prego, l’abbiamo spaventata. Lasciala andare.”.

Lui le rivolse uno sguardo ferito “Ma amore, mi ha appena dato un calcio fino al piano di sotto. Non dirmi che stai dalla sua parte!”.

“Ti si vedono i canini...” Tabatha lo guardò in cagnesco, poi alzò gli occhi al cielo quando lui si limitò a guardarsi i pantaloni per vedere se la cerniera era chiusa. Lei strinse i denti per non ridere, non poteva biasimarlo... dopotutto, aveva soltanto i pantaloni addosso... ed erano sbottonati.

Aurora girò la testa e fissò colui che la teneva stretta, cercando di vedere le zanne. Era un vampiro come l’uomo con cui aveva fatto l’amore nella metropolitana?

Kane notò che lei lo guardava e non riuscì a trattenersi, sorridendole con tanto di zanne.

“Kane.” esclamò Tabatha e fece un passo avanti, ma si fermò quando lui le lanciò un’occhiataccia, accompagnata da un ringhio pericoloso. “Sei meschino.” protestò lei un po’ arrabbiata, e incrociò le braccia al petto.

Vedendo le sue zanne, Aurora alzò lo sguardo verso i suoi occhi e rimase scioccata. Ricordava di averli già visti... erano profondi, color ametista e sembravano scrutarle l’anima.

Ora che aveva l’attenzione della ragazza, Kane smise di sorridere... non era un gioco. Se fosse stata Tabatha a cadere dalle scale, il risultato sarebbe stato lo stesso... ma con la differenza che, adesso, la creatura avrebbe avuto il collo spezzato.

Dilatò le pupille e le disse “Bene, io mi sono presentato. Sarebbe educato che lo faccia anche tu.”.

“Un vampiro.” Aurora sibilò e riprese a dimenarsi.

Kane sospirò, gli sembrava di avere una biscia tra le braccia. “No, tesoro... quello sono io. La domanda è cosa sei tu. Non sei umana, ed è ovvio. Se fossi un demone, avresti provato dolore già prima di superare le barriere che circondano la nostra casa. Te lo chiedo ancora una volta... come ti chiami e cosa sei?”.

Aurora serrò le labbra. Aveva imparato sin da bambina a non dire mai cos’era... anche se, di solito, gli esseri più pericolosi se ne accorgevano subito. Quell’uomo le aveva mentito, interpretando la parte del vampiro. Lei sapeva che non era vero, la sua anima era come un libro aperto... anche se, doveva ammetterlo, aveva qualcosa di strano.

Oltre alla sua anima, Aurora poteva vedere anche l’oscurità attorno ad essa e capì che lui ne sarebbe stato sopraffatto, se fosse stato provocato oltre il limite.

Il cuore le sprofondò nel petto quando si rese conto di avere ragione... quel posto era proprio un santuario. Lui aveva detto che i demoni non potevano oltrepassare le barriere e, a quel pensiero, le venne il disperato desiderio di restare. Smise di lottare e guardò la donna che aveva cercato di difenderla... poteva fidarsi di loro abbastanza da dirgli chi era veramente? Non ne era sicura.

“Cercavo solo un nascondiglio dai demoni.” disse onestamente, guardando l’altra donna negli occhi. “Non posso dirvi cosa sono... mi dispiace. Se mi lascerete libera, me ne andrò in silenzio e non tornerò mai più.”.

Kane notò l’ombra delle ali sul proprio braccio e, per un momento, fu indeciso se lasciarla andare o stringerla più forte. Guardò Tabatha per accertarsi che non se ne fosse accorta.

‘Kane, non vuole farmi del male.’ gli disse Tabatha nella sua mente, poi sussurrò ‘Ti prego, fallo per me... lasciala andare.”.

Allentando la presa, lui disse a bassa voce “Non credo che farai del male a qualcuno. Ti ho spaventata, vero? Sarai la benvenuta ogni volta che avrai bisogno di un rifugio... sarai al sicuro all’interno della barriera. Se invece vuoi dormire sul tetto, lascia almeno che ti dia delle coperte calde e un cuscino.”.

Trattenendo il respiro, Kane lasciò andare lentamente la femmina di caduto e fece un passo indietro, scomparendo giù per le scale. Tornando in camera da letto, prese subito delle coperte e due cuscini dall’armadio. Tornò indietro prima ancora che Tabatha potesse avvicinarsi alla ragazza e, posando a terra le coperte e i cuscini, le fece cenno di andare.

Tabatha annuì, mantenendo la calma nonostante avesse visto le mani di Kane tremare, poi guardò di sfuggita la ragazza mentre le passava accanto.

Aurora prese la biancheria e si appoggiò al muro, prima di spingere lentamente la porta dietro di sé. Si sentiva più esausta di prima, però aveva il suo rifugio... almeno per un altro paio d’ore.

Tabatha si girò verso Kane, pronta a rimproverarlo, ma si fermò quando lui le mise un dito sulle labbra.

“Shhh.” le sussurrò lui all’orecchio “Andiamo.”.

Tabatha annuì e rimase in silenzio mentre lo seguiva nella stanza della sicurezza. Lui chiuse la porta ed entrambi guardarono il monitor, vedendo la ragazza ancora in piedi lì dove l’avevano lasciata. Tabatha inspirò quando la vide asciugarsi una lacrima sulla guancia.

“Poverina. Odio vedere le persone sole e così spaventate. Chissà perché è da sola, è così bella.”. Guardò Kane, vedendo i muscoli della sua mascella scattare, e capì che stava stringendo i denti. “Perché hai cambiato idea all’improvviso e hai deciso di farla restare?” Tabatha sussurrò come se la ragazza potesse sentirli.

Kane fece un cenno verso il monitor “Fa bene a non dire a nessuno che cos’è.”. La ragazza, intanto, si appoggiò alla porta e poi si mise seduta. Kane scosse la testa, vedendo il modo in cui lei stava ancora fissando le coperte con gli occhi pieni di lacrime.

“Non può essere una creatura più rara di te.” Tabatha si accigliò, vedendo la preoccupazione negli occhi del suo compagno. Tornò a guardare il monitor e sentì il cuore spezzarsi quando la ragazza abbracciò le coperte, come se qualcuno potesse portargliele via all’improvviso.

“Penso che sia uscita dalla crepa insieme ai demoni.” disse Kane, evitando la questione della ‘creatura rara’.

Doveva riflettere e trovare buona ragione per non prendere il telefono e chiamare subito Dean. Ovviamente lei aveva vissuto tra i demoni per chissà quanto tempo, e il prezzo che doveva aver pagato era inimmaginabile. Non si fidava di nessuno e, adesso che lui ne conosceva il motivo, non poteva certo mandarla via. Guardò Tabatha, sentendo improvvisamente la sua tristezza.

“Kane... tu mi ami davvero?” gli chiese lei.

Lui annuì guardandola negli occhi “Con tutto me stesso.”.

Tabatha sorrise per la dolcezza delle sue parole e disse “Allora fidati di me e lasciami entrare nella tua anima, non sei più da solo.” Allungò una mano e gli accarezzò la guancia. “Sei preoccupato e voglio esserlo anch’io. Magari riesco addirittura a scacciare i tuoi demoni.”.

Kane fece un respiro profondo. “E se ti dicessi che, probabilmente, la ragazza è l’unico esemplare femmina della sua razza sulla Terra?” disse, con la mente che correva all’impazzata. “Deve stare con i suoi simili, con quelli della sua specie ma, se lo dico a loro, distruggerò tutto quello che hanno adesso. Non voglio sentirmi responsabile.”.

Tabatha si accigliò pensierosa. Era contenta che lui stesse provando a dirle tutto, anche se non era molto chiaro. Vide che stringeva lo schienale della sedia così forte da far diventare bianche le nocche delle dita e, a giudicare da ciò, capì che la cosa era un peso per lui.

“Il mio primo istinto è stato quello di alzare la cornetta e dire agli uomini della sua specie che lei è qui. Si sta nascondendo da qualcosa e, con il loro aiuto, sarebbe più protetta. Io voglio dirglielo, ma è sbagliato.” Scagliò via la sedia, che si schiantò contro il muro spaventando entrambi. “Maledizione!”.

Poi guardò Tabatha “Anche tu glielo diresti... e sbaglieremmo entrambi.”.

“Cosa succederebbe se glielo dicessimo?” chiese lei tranquillamente, ancora non del tutto sicura di cosa si trattasse.

Kane inspirò profondamente prima di fidarsi di lei e rivelarle i suoi pensieri più intimi. “I due uomini in questione smetterebbero di amarsi e sposterebbero quell’amore verso di lei... ma solo uno dei due può averla. Alla fine l’altro perderebbe tutto o, nel peggiore dei casi... lei potrebbe rifiutarli entrambi e il danno sarebbe già stato fatto.”.

Kane allungò una mano e le accarezzò la guancia. “Dire di lei a Kriss e Dean li distruggerebbe inevitabilmente.”.

Tabatha sbatté le palpebre, realizzando quello che Kane aveva cercato di dirle... la ragazza era una femmina di caduto. Guardò di nuovo il monitor e ricordò la prima volta che aveva incontrato Dean. Era furioso perché l’odore di Kriss era addosso a lei e credeva che fossero stati insieme. Possessivo e spaventoso erano le uniche due parole che le venivano in mente.

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