Kitabı oku: «Non Andare Mai Dal Dentista Di Lunedì»
Ana Escudero
Belén Escudero
NON ANDARE MAI
DAL DENTISTA DI LUNEDÌ
Prima edizione: febbraio 2020
© 2020 Ana Escudero Canosa
© 2020 Belén Escudero Canosa
© Non andare mai dal dentista di lunedi
Registrato in Safe Creative: 1804076483175 – Tutti i diritti riservati
Immagini della copertina: licenza Creative Commons
Origine delle immagini: Pixabay
Autori delle immagini originali: Mysticsartdesign, martaposemuckel.
Traduttore: Aliki Zanessis
I – La messa in moto
– Peter, ricordati che oggi devi portare Alexis dal dentista.
Peter annuì con la testa, anche se non ne aveva nessuna voglia.
– E non dimenticare di passare dal supermercato a comprare il cibo per Sultán – continuò a dare istruzioni Vivian.
Peter lanciò un'occhiata al suddetto, che stava riposando vicino al camino. Non si mosse, fece solo un lieve movimento con le orecchie sentendo la parola cibo.
– Tu dove andrai, Vivian? – chiese, anche se sapeva già la risposta.
– Sai già che ho delle faccende da sbrigare, dei debiti da riscuotere. A proposito, quando mi restituirai tutto quello che mi devi ancora? Gli anni passano e gli interessi aumentano.
– Ma non era già stato tutto pagato? – chiese Peter.
– Perché ci siamo sposati?
– Sì, non era questo il patto?
– Davvero? Non mi ricordo. Comprendimi, il nervosismo per il matrimonio mi ha obbligato a dire cose che non pensavo davvero.
Peter si ricordò di quel giorno, era passato tutto così velocemente, lui credette che l'avrebbero ucciso.
Vivian si alzò dalla sedia, si avvicinò a Peter, gli diede un bacio per poi rivolgersi a suo figlio, che stava giocando con Sultán tirandogli le orecchie.
– A più tardi – salutò —. E non fate tardi, Peter. Non ho intenzione di cambiare l'ora un'altra volta.
Peter vide che sua moglie se ne stava andando e non gli fece pena, era prepotente e lui faceva fatica a condurre una vita con così tante regole. Era contro il suo modo di essere.
– Alexis, vai a vestirti e non dimenticare di prendere la felpa, sennò la mamma ti rimprovererà se rovini i vestiti. Quando usciremo dal dentista, andremo dove vorrai.
– Sì, paparino. Dove vorrò, vero?
– Sì, ovunque. – Secondo Peter si sarebbe meritato una ricompensa per essere andato dal dentista.
Venti minuti dopo tutti e due uscirono dalla porta accompagnati da Sultán.
Lo studio del dentista non era vicino, c'era da camminare per più di mezz'ora, quindi Peter commentò:
– Ti va di prendere l'autobus, Alexis?
– Sì! E Sultán?
– Sultán viene con noi, è chiaro.
Alexis rimase a pensare, c'era qualcosa che non gli quadrava, ma decise di dare retta a suo papà. Tutti e tre si avviarono verso la fermata dell'autobus. Peter e Alexis erano davanti, invece Sultán, in retroguardia, più che camminare sembrava che si trascinasse.
Mentre stavano arrivando, Peter osservò che c'erano parecchie persone ad aspettare l'autobus.
– Non mi piace andare a piedi – disse —. Vieni, Alexis. Saliremo per primi.
Sultán scosse la testa e abbaiò in segno di disapprovazione, ma non fece nient'altro, non aveva più l'energia di prima.
Da lontano apparve un autobus, mentre una macchina lo stava sorpassando con destrezza. Il semaforo rosso diede il tempo a Peter di arrivare e sistemarsi.
La macchina si fermò e il conducente suonò il clacson un paio di volte. Quasi tutti lo guardarono. Sultán abbaiò allegramente e Alexis applaudì, mentre Peter guardava spaventato il conducente.
– Salve, salite? – invitò.
– Non ce n'è bisogno, possiamo cavarcela benissimo con il bus – rispose Peter.
Il bus avanzò e diverse persone richiamarono la sua attenzione affinché si fermasse. Peter strattonò suo figlio, mentre chiamava Sultán e si dirigeva verso l'autobus pronto a salirci. Ma Sultán non si mosse, stava comodamente seduto sul sedile posteriore della macchina.
– Papi, guarda Sultán. È salito sulla macchina di quel tizio – commentò Alexis spiegando quello che era evidente.
Peter si girò per verificare quello che aveva detto suo figlio, mentre l'autobus si fermava.
La gente iniziò a salire, alcuni colpirono lievemente quelli che avevano di fianco con l'idea di salire per primi per riuscire a trovare un posto libero.
Appoggiato sul cofano, l'Esattore arrotolò una sigaretta aspettando che Peter si decidesse.
– Se ci pensi tanto, arriverete tardi al vostro appuntamento – disse l'Esattore.
– D'accordo, ma guido io.
L'Esattore fece una battuta come solo lui sapeva fare, con una risata tenebrosamente oscura che scosse nel profondo Peter.
– Sto per prendere la patente – protestò senza far notare che era il suo ventesimo tentativo.
L'Esattore rise di nuovo, se quello che emetteva poteva chiamarsi risata.
– Dai, sali. Guarda, tuo figlio è già di fianco a Sultán.
– Papà, sali, altrimenti la mamma si arrabbierà di nuovo con noi – disse Alexis.
Salirono tutti e due e l'Esattore mise in moto la macchina.
– Dove andiamo? – chiese.
– In via dell'Arrivista, 150.
– E cosa andate a fare là?
– Lo sai già, andiamo dal dentista.
– Io? Come faccio a saperlo, fratellino?
– Mi sa che stai invecchiando. L'Alzheimer ti sta facendo dei brutti scherzi.
– Come sei spiritoso, fratellino! Ti piacerebbe che io perdessi la memoria.
– Mi preoccupo per te. Sono un sacco di anni che ci conosciamo. Quanti anni hai?
– Quarantadue, direi.
– Solo? Sembri più vecchio. Questo tuo lavoro ti fa invecchiare velocemente – commentò Peter —. Guardami, di recente ho compiuto trent'anni e guarda che pelle – concluse.
– Sì, sei ancora un bambino, fratellino. Bene, sarà meglio che ci mettiamo in moto, altrimenti tua moglie darà una lavata di capo a tutti e due. – E l'Esattore girò il volante della macchina, pronto a introdursi nel traffico.
Più si avvicinavano alla meta, più Peter si agitava, mentre Alexis si divertiva a guardare le macchine.
– Senti, una domanda. Come ti chiami? Esattore? Zio? Quando ti nomina, mio papà dice "quello" o altre parole che la mamma dice che non devo ripetere a voce alta.
– Ha, ha, ha – rise l'Esattore —. Mi puoi chiamare Esattore, come tutti.
– Ok, zio Esattore.
– Perché vai dal dentista, Alexis?
– Mia mamma dice che è perché ho mangiato troppe caramelle. Dice anche che è colpa di papà.
– Quanti anni hai?
Alexis sollevò una mano e distese le cinque dita, poi sollevò l'altra mano e ne distese uno.
– Sei. Ma hai ancora i denti da latte. Dai retta a tua madre, Alexis.
– Non capisco, zio. Che vuoi dire con questo? Io obbedisco sempre alla mamma. È la mamma che comanda in casa.
– A proposito, sei molto elegante vestito così – lo complimentò, poiché poteva vederlo in parte, dato che il bambino aveva la chiusura lampo della felpa aperta a causa del caldo che regnava nella macchina dell'Esattore.
– Grazie. Sono Eridanus – disse senza sapere cosa stava dicendo, ma orgoglioso di ricordarsene.
Peter non stava ad ascoltare, aveva la testa altrove, molto lontano da lì. Come sarebbe stato felice su una spiaggia della California!
– È quell'edificio lì? – chiese l'Esattore senza ottenere risposta —. Peter, Peter, Peter!
– Eh? Che succede?
– Dov'eri? Ti sto chiedendo se è lì – disse indicando un immobile con su scritto Clinica Dentale.
– Non lo so, non ho mai guardato fuori e non ho fatto caso alla strada che abbiamo fatto.
– Non so perché sto a chiedere – disse a se stesso l'Esattore. Aguzzò la vista per leggere il numero.
Scesero tutti dalla macchina, dato che era l'indirizzo giusto.
– Puoi andare. Ciao, Esattore.
– A presto, fratellino. – Qualche secondo dopo svoltò l'angolo con la sua macchina.
Molto triste, Sultán vide la macchina allontanarsi e poi andò alla porta dell'edificio.
Padre e figlio si diressero alla clinica dentale. Il padre, trascinando i piedi e il figlio, era allegro e saltellante.
II – La clinica dentale
La receptionist fece una faccia spaventata quando li vide entrare e prese velocemente il telefono.
– Dottore, ho bisogno di lei qui fuori – disse la receptionist e allo stesso tempo infermiera della clinica dentale —. Non ci crederà quando lo vedrà.
– Che succede, Xenia?
– È arrivato il paziente delle nove con suo padre.
Il dottore guardò sulla sua agenda chi era il paziente delle nove e anche lui si spaventò, ma finse di essere tranquillo.
– Puoi farli passare, Xenia.
– Tutti e due?
– Sì, Xenia. – E poi aggiunse, sebbene più per se stesso —. Che sia quello che Dio vuole!
– Buongiorno. Il dottore dice che può entrare.
Peter guardò in direzione della porta con l'orrore negli occhi.
– Andiamo, papà – disse Alexis tirandolo.
Lui era un codardo? Poteva mostrarsi così davanti a suo figlio?
Il dottore uscì per venire loro incontro e, prendendo per mano Alexis, disse:
– Andiamo, giovanotto, vedrai che finiremo presto. – E rivolgendosi a Peter —. Entriamo?
Peter tentennò, si sentiva male.
Il dottore osservò che Peter stava diventando sempre più pallido. Temette che sarebbe svenuto o, peggio ancora, che avrebbe vomitato proprio lì.
– Xenia, indica al signore dove sono i bagni.
Ma Peter non fece niente. Iniziò a respirare come se gli mancasse l'aria, boccheggiando come un pesce fuor d'acqua.
– Sto bene – disse Peter, sebbene fosse evidente che stava mentendo.
– Si sieda un attimo – disse il dottore accompagnandolo a una sedia —. Ora respiri piano. Inspiri, espiri…
Peter inspirò ed espirò come gli venne indicato dal dentista, di fronte allo sguardo attonito di Alexis, che, dopo aver riflettuto qualche secondo, si sedette al fianco di suo padre pronto a imitarlo.
– Xenia, accompagna il bambino dentro e inizia a preparare le cose – disse il dottore —. Così, molto bene. Inspirare ed espirare.
– Per quanto tempo? – chiese tra le inspirazioni.
– Finché lo dico io. Se si sente già bene, si alzi ed entriamo. Presto verrà il prossimo paziente.
La porta d'ingresso si aprì, facendo passare una signora di mezza età, che, guardando lì dove si trovavano il dottore e Peter, rimase in attesa.
– Buongiorno, signora. Ora viene l'infermiera e le prende i dati.
La signora, che aveva una guancia più gonfia dell'altra, annuì con un movimento della testa e rimase in attesa, mentre vedeva sparire dietro una porta il dottore e il suo accompagnatore.
Alexis era comodamente seduto sulla sedia con il bavaglio e l'infermiera aveva appena finito di organizzare tutti gli strumenti.
– Bene, Alexis, vediamo questa bocca. Hai qualche fastidio?
– No.
– Meglio. Ora apri la bocca e verificherò che sia tutto a posto.
Alexis obbedì e il dentista verificò che andasse tutto bene.
Il dentista iniziò a controllare la bocca di Alexis, cominciando dalla mascella inferiore e continuando con quella superiore fino a concludere l'ispezione visiva.
– Ho visto qualcosa – disse tra i denti —. Sicuro che non fa male qui? – chiese mentre picchiettava uno dei denti inferiori.
– A volte, ma a papà fa male. Si lamenta sempre.
– Io? Io! Non sono un piagnucolone! – si lamentò Peter gridando.
– Papà, non bisogna mentire.
– Cosa? Sono un bugiardo? È quello che pensi di me?
– No, papà, ma perché non dici al signor dentista qual è il molare che ti infastidisce tutti i giorni?
– Non è niente, solo un leggero fastidio, passerà.
– Papà, tu che sei scappato da un orco, hai vissuto con sette giganti e conosci una strega, non ti farai spaventare da un dentista, vero?
– Non ti ho ancora spiegato – scherzò Peter, ma tacque cambiando idea —. Alexis, sta' zitto, altrimenti il dottore non può lavorare.
Il dottore, che non si era perso nessun dettaglio della conversazione, disse:
– Sì, finiamo con te, Alexis. Poi le posso dare un'occhiata – disse rivolgendosi a Peter.
– Finiamo con…? Cosa farai a mio figlio? Assassino! – esclamò Peter con le nocche sui fianchi.
– Mi faccia il favore di non gridare. Questa è una clinica prestigiosa. L'unica cosa che devo spiegare è che presto inizieranno a cadergli i denti da latte e a comparire quelli definitivi. E adesso si accomodi e si sieda qui – disse quest'ultima cosa in modo autoritario.
Peter obbedì e si sedette sulla poltrona con la schiena dritta, tesa.
– Apra la bocca.
Peter separò lievemente le labbra lasciando in vista parte dei denti.
– No, papà, così – disse Alexis aprendo la bocca completamente.
Peter, imitando suo figlio, separò ancora di più le labbra per poi mostrare le gengive e parte della lingua.
Il dottor Bisturi avvicinò il riflettore per poter osservare bene l'interno della bocca. Verificò i denti uno a uno, gettando aria con il compressore ogni volta che vedeva qualcosa di sospetto. Il molare cariato apparve davanti ai suoi occhi. La faccia del dottore espresse sorpresa pensando al dolore che aveva sopportato, e ancora di più sapendo chi era Peter, che conosceva perfettamente non solo come paziente, ma anche perché l'aveva frequentato in alcune riunioni sociali.
– Questo richiede abbastanza lavoro – disse a se stesso e poi guardò l'orologio sul muro, che segnava le dieci meno venti —. Ora le addormenterò la zona affinché non senta dolore.
– Non ce n'è bisogno – disse Peter facendo cenno di alzarsi —. Dobbiamo andare.
– Le consiglio di non andare. Ora possiamo ancora salvare questo elemento, ma se lo lascia per più in là, dovrò sicuramente estrarlo – commentò il dottore.
Nel giro di pochi secondi Peter si immaginò torturato da un dentista che gli strappava il molare, ma fu la presenza di suo figlio che lo fece accomodare di nuovo sulla poltrona.
– Faccia quello che deve fare – disse con tutta la dignità di cui fu capace.
Aveva bisogno di aiuto, così chiamò Xenia, che preparò tutto per l'intervento.
L'infermiera gli mise il tubo piegato a un lato della bocca e si sedette in attesa degli ordini del dottore.
L'iniezione che gli aveva fatto alcuni minuti prima gli manteneva il lato sinistro addormentato.
Il dottore accese il trapano, mentre diceva:
– Se le faccio male, alzi la mano e mi fermerò.
Un rumore inaspettato simile a quello di un'esplosione spaventò tutti e il dottore smise di trapanare.
– Xenia, porta il bambino in un'altra stanza e dagli qualcosa per disegnare.
L'infermiera si avvicinò al dottore e gli sussurrò all'orecchio:
– Dobbiamo andarcene. È il segnale.
– È vero – confermò, mentre si stava alzando.
Il dottore si tolse il camice, mentre l'infermiera apriva una porta adiacente che dava accesso all'ufficio, tutto questo mentre Peter era sulla poltrona con la bocca aperta.
Passarono alcuni secondi, quasi un minuto senza che il dottore, né l'infermiera tornassero dal paziente, che teneva la bocca aperta quanto ne era capace.
– Papà, dov'è andato il dottore? – chiese Alexis.
Peter emise dei suoni strani, Alexis cercò di capire cosa gli stava dicendo suo padre.
– Papà, vado a cercarlo – disse saltando giù dalla sedia e correndo verso la porta.
Peter lo lasciò andare, mentre chiudeva la bocca e pensava con alcuni minuti di ritardo che il dentista non era presente per obbligarlo a tenere la bocca aperta, quindi poteva chiuderla senza problemi.
<<Ha già finito?>>, pensò. <<È stato molto veloce. Dovrebbe sciacquarmi la bocca.>>
Si alzò e prese il bicchiere di plastica pieno d'acqua. Stava per bere quando la lingua si introdusse nel buco che il dentista aveva fatto nel suo molare.
– Cosa? – Peter voleva sapere cos'era successo, ma la risposta lo spaventava.
Alexis non rispose quando suo padre lo chiamò. Il silenzio si era impossessato della clinica dentale; un silenzio che era rotto solo dal rumore prodotto dalla paziente successiva, che sfogliava le pagine di un rotocalco nella sala d'attesa, e da un orologio che suonò quando furono le dieci del mattino.
Uscì dalla stanza e andò dalla signora:
– Mi scusi, ha visto passare di qui un bambino?
– Be', a dire il vero non ci ho fatto caso. L'ha perso?
– No. E il dentista? L'ha visto?
– Non è passato di qui. Che succede? Io avevo un appuntamento per le nove e mezza ed è già passato parecchio tempo.
Peter non rispose, iniziò ad aprire alcune porte, mentre chiamava suo figlio.
– Alexis! Alexis! Dove diavolo sei? Guarda che mi arrabbierò se non ti fai vedere subito.
III – Indagine nella clinica
Allora si ricordò di Sultán e andò a cercarlo. Sultán stava aspettando pazientemente vicino alla porta della clinica.
– Sultán, vieni. Hai da fare. Devi cercare Alexis.
Sultán si alzò, sbadigliò e si stirò prima di avvicinarsi a Peter.
– Bau? – chiese interrogativo.
– Cerca, Sultán! Cerca! – gli chiese Peter.
Come aveva perso il bambino? Cosa aveva fatto quello sciocco per perderlo?
Peter lasciò entrare Sultán nello studio davanti allo sguardo accusatorio della paziente successiva.
Sultán raggiunse la stanza dov'erano prima e abbaiò forte poiché non gli piaceva quel posto, gli ricordava quando lo portavano dal veterinario.
– Sultán, smettila di perdere tempo e cerca Alexis.
Sultán si diresse verso la porta dalla quale erano spariti e poi verso una seconda porta che era chiusa.
Sollevò la zampa per abbassare la maniglia. La porta si aprì, permettendo a Sultán e a Peter di entrare in un'altra stanza, anch'essa vuota. Dove potevano essere?
Peter aprì l'unica porta che c'era e si trovò faccia a faccia con suo fratello. L'espressione di preoccupazione lo allertò, conosceva abbastanza bene Peter per sapere che stava succedendo qualcosa.
– Cosa ci fai ancora qui? È da un po' che il dottore se n'è andato.
– Cosa hai fatto con Alexis? Sicuramente sei stato tu!
– Alexis? – chiese pensieroso —. No, non l'ho visto.
– Non mentire! L'hai visto e l'hai sequestrato.
– L'hai perso? Sicuramente è da queste parti. Hai guardato in bagno?
– No.
– Allora andiamo a vedere. Vieni, andiamoci insieme.
Peter seguì suo fratello con un'espressione incerta fino alla porta del gabinetto. L'Esattore l'aprì e invitò Peter a entrare per primo.
La luce del bagno era spenta. Peter premette l'interruttore e la lampadina che penzolava dal soffitto illuminò la piccola stanza.
Sultán abbaiò varie volte, il suo olfatto l'aveva condotto alla porta d'emergenza.
– Andiamo, Peter! Adesso non è il momento di pisciare – gli disse l'Esattore quando vide Peter che si slacciava i bottoni dei pantaloni.
– Lasciami fare la pipì. Bisogna approfittare del momento.
– Sei proprio un bambino.
Peter si allacciò i bottoni e si lavò le mani.
– Non vuoi pisciare? Dovresti approfittarne anche tu.
Nel frattempo Sultán stava abbaiando senza sosta. Cosa stavano aspettando quegli stupidi umani?
Peter uscì dal bagno ed esclamò:
– Andiamo! Sultán sta abbaiando.
Sultán vide apparire i due umani, era ora!
L'Esattore aprì la porta che dava accesso a delle scale e alla fine a un'altra porta che dava sulla strada. Sultán si diresse sicuro verso questa seconda porta e aspettò finché qualcuno l'aprisse mettendosi di fianco ed emettendo un breve latrato.
– Non può essere uscito in strada! – esclamò Peter preoccupato —. Sa che non deve uscire da solo.
– La questione è se sia uscito di sua spontanea volontà o se l'abbiano obbligato.
– Obbligato? Chi l'avrebbe obbligato? Tu, tu, sapevo che sei stato tu!
– Come faccio a essere stato io se sono qui ad aiutarti? Non essere sciocco, fratellino.
– Hai mandato qualcuno. Hai dei servi persino all'inferno.
– È vero che le cose sarebbero potute andare così. L'hai pensata bene, Peter.
– Bau, bau, bau – abbaiò Sultán furioso. Perché agli umani piaceva così tanto perdere tempo?
L'Esattore aprì la porta e uscì fuori, seguito da Peter e Sultán.
La macchina dell'Esattore era parcheggiata lì vicino, così tutti e tre corsero verso di essa. Qualche secondo dopo l'Esattore accese il motore.
– Alexis è uscito dietro il dentista – ricordò Peter —, che mi ha lasciato un buco, e sì che Vivian diceva che era il migliore della città.
– Spiegami, Peter, cos'è successo? Dov'è andato il dentista?
– Non lo so. C'è stata un'esplosione, non l'hai sentita? E all'improvviso mi sono trovato solo.
– Ti spieghi proprio male. Pensa che quello che mi dici può aiutarci a trovare Alexis. Spiegami tutto quello che è successo nella clinica.
– Siamo entrati. Alexis era molto contento. L'infermiera era al banco e poi ha preso il telefono.
– Non ce n'è bisogno – iniziò a dire l'Esattore per poi aggiungere —, ma continua, cos'altro?
– L'infermiera ha detto che potevamo entrare, ma io non potevo fare un passo. Osservavo Alexis che mi stava tirando, ma io non volevo entrare.
– Tuo figlio dev'essere un santo per sopportarti. Cos'altro è successo quando hai smesso di fare lo sciocco?
– Ho inspirato e ho espirato… ho inspirato e ho espirato… – ripeté Peter tante volte quante l'aveva fatto nello studio.
– Se continui a spiegare le cose di questo passo, faremo notte. Accelera!
– Dopo aver fatto la revisione ad Alexis, ha insistito affinché mi sedessi io e poi ha insistito sul fatto che avevo un molare cariato e che doveva otturarlo.
– Ed era vero?
– No, ma mi ha minacciato che me l'avrebbe tolto un dentista sadico. Dopo un po' c'è stata l'esplosione.
– Esplosione? Che esplosione?
– Non dirmi che non l'hai sentita! È stata molto forte, anche se è sembrata lontana. Boom!
– Io ho sentito come dei rimbombi, mi sono sembrati più dei fuochi d'artificio che un'esplosione, ma adesso che ci penso ti do ragione.
– Bene. Be', il dottore ordinò all'infermiera di portare Alexis in un'altra stanza e poco dopo ho sentito una sedia muoversi, come se qualcuno si stesse alzando, ho sentito una porta aprirsi e dei passi – ricordò Peter – e poi silenzio.
– Ma Alexis è andato nell'altra stanza o no? Perché mi sembra che tu abbia detto che è andato a cercare il dottore.
– Questo è successo dopo. Alexis è uscito a cercare il dottore e anch'io. – La suoneria del cellulare lo interruppe —. È Vivian! Cosa le dico?
– La verità. È tua moglie e la madre di Alexis.
– Non posso dirle la verità. Si arrabbierà molto.
– Con ragione, non credi?
– Io non posso dirglielo, sarà meglio che glielo dica tu. Con te non si arrabbierà.
– Che non mi tocchi portare questa croce! – rispose l'Esattore, dopodiché prese il telefono e rispose: – Vivian, ciao. Adesso ti passo tuo marito. – E tese il cellulare a Peter.
– Ciao, Vivian, cosa vuoi?
– Peter, hai lasciato qui la tessera sanitaria di Alexis.
– Eh? Cosa? – rispose Peter, che non si aspettava quella risposta.
– La receptionist non te l'ha chiesta?
– No. Siamo passati direttamente nello studio.
– Allora te la chiederà quando uscirete. E Alexis?
– Sta bene. Sai, credo che manderò l'Esattore a prenderla. Ci ha accompagnato fin qui – le comunicò di fronte allo sguardo di rimprovero di quest'ultimo.
– Buona idea. Frans gli aprirà la porta.
– Vuoi dirmi qualcos'altro? No? – E riattaccò senza dare tempo a Vivian di reagire.
– Ho guadagnato un po' di tempo. Mentre tu vai a prendere la tessera, io e Sultán cerchiamo Alexis.
– Sai già dove cercarlo? Hai qualche piano?
– No, però magari qualcuno l'ha visto. Ho una foto sul cellulare – disse facendogliela vedere.
– Solo una? Bel padre! Anch'io ho delle foto di Alexis sul cellulare essendo suo zio.
– I miei genitori hanno avuto solo un figlio, cioè me. Dopo tanti anni credevo che ti fosse chiaro.
– È vero? Ne sei sicuro? Tua madre mi ha sempre trattato molto bene.
– Mia madre tratta tutti bene. È stata una madre in affidamento, lo sapevi?
– Credi che sia un momento opportuno per affrontare questo argomento? Non hai in ballo qualcosa di più importante?
– È vero! Corri, vai a casa. Io e Sultán ti aspettiamo qui.
L'Esattore rifletté un millesimo di secondo: era meglio fidarsi di Peter e seguirlo nel gioco, per così dire.
Parcheggiò la macchina in doppia fila e disse a Peter:
– Scendete. Io torno subito.
Peter saltò giù dalla macchina, seguito da un Sultán ricalcitrante. La macchina si perse dietro l'angolo.
– E adesso cosa facciamo, Sultán?
– Bau – rispose quest'ultimo. Aveva perso la traccia quattro strade prima.
– Bau? Non capisco questo bau. Io non parlo il cagnesco. Cosa vuoi dire, Sultán?
– Bau – abbaiò di nuovo e si sdraiò sulla strada allungandosi più che poté.
– Sultán! Non è né l'ora, né il luogo adatto per un sonnellino.
Sultán chiuse gli occhi. Non pensava di muoversi finché l'Esattore non fosse tornato, non aveva intenzione di andare in giro senza una meta precisa.
– Alzati, Sultán! So che gli anni pesano, ma Alexis ha bisogno di noi – disse Peter.
– Bau! – rispose Sultán con più energia, sedendosi di nuovo dopo aver sentito il nome di Alexis.