Kitabı oku: «Alla Ricerca Dell'Arcobaleno»

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Andrea Lepri

ALLA RICERCA DELL’ARCOBALENO

Storia & traduzione e immagini di Andrea Lepri

©Prima Edizione Febbraio 2021

Editore: Tektime – www.traduzionelibri.it

Questo romanzo è opera di fantasia.

Ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale.

Tutti i diritti sono riservati

INDICE

PROLOGO

IL TEMPORALE E L’ARCOBALENO

ALLA RICERCA DELL’ARCOBALENO

IL BOSCO MAGICO E IL REGNO DI TANTISOLDI

I QUATTRO TALISMANI

I FUNGHI SPAVENTOSI

LE TIGRI SDENTATE

IL RAGNO GIGANTE

L’EVASIONE

LA PENTOLA D’ORO

ORA DI TORNARE A CASA

ALLA FATTORIA

EPILOGO

ALLA RICERCA DELL’ARCOBALENO

PROLOGO

C’era una volta un bambino di nome... in realtà il suo nome non è poi così importante, perché tutti lo conoscevano come “Cipollino”. Quel nomignolo se l’era guadagnato fin dal primo giorno di scuola, più precisamente all’ora della merenda del primissimo giorno di scuola! Al suono della campanella i suoi compagni di classe avevano tirato fuori dagli zaini crackers, mele e banane, merendine con sorprese di ogni tipo e succhi di frutta. Invece lui aveva poggiato sul banco un bel panino farcito, croccante e profumato. Lo aveva scartato e lo aveva addentato sorridendo, mentre tutti gli altri lo guardavano disgustati. L’odore acre e intenso della cipolla appena raccolta aveva invaso rapidamente l’aula, maestra e compagni corsero in lacrime ad aprire la finestra per riprendere fiato.

Cipollino era piuttosto magrolino. Aveva i capelli lunghi e dritti e spessi, pieni di ritrose. Erano di un colore rossiccio così strano che a volte, a seconda della luce, sembravano quasi verdi. I suoi occhi erano di colore marrone chiaro, il suo viso inondato di lentiggini.

Aveva un amico per la pelle che tutti chiamavano “Ruotino” fin da quando, tanto tempo prima, era stato investito da un calesse. Ma non lo chiamavano così perché era finito sotto le ruote del carretto, il suo soprannome era dovuto al fatto che da allora, per muoversi, usava una sedia a rotelle. Infatti, anche se era trascorso ormai molto tempo dall’incidente, lui diceva di non essere ancora guarito bene. Diceva che le gambe non lo sorreggevano perché erano testarde e non ne volevano sapere di fare il loro dovere.

Ruotino aveva il viso paffuto e una gran cascata di riccioli neri che gli copriva quasi del tutto gli occhi scurissimi. Era grassottello anche nel corpo, infatti oltre a fare poco movimento perché non camminava era anche un gran mangione. Al contrario dei bambini della sua età lui mangiava di tutto, persino l’insalata e le verdure, e non aveva ancora trovato una sola ricetta che non gli piacesse.

Ruotino e Cipollino erano buoni amici, stavano sempre insieme e si aiutavano l’un l’altro nel fare i compiti. Spesso dovevano anche difendersi e farsi forza a vicenda, quando gli altri bambini li prendevano in giro per il loro aspetto oppure combinavano loro qualche scherzo poco simpatico.

Come in ogni classe che si rispetti, naturalmente, c’era anche un bambino un po’ antipatico. Era abbastanza alto, né magro né grasso, i suoi capelli fini erano biondissimi e i suoi occhi azzurri così chiari da sembrare un pezzetto di cielo.

I suoi compagni di classe lo avevano soprannominato “Dispettino” perché era un po’ mascalzone!

IL TEMPORALE E L’ARCOBALENO

Cipollino aveva anche una sorellina di cinque anni di nome Giuseppina. Giuseppina aveva due belle codine bionde e il nasino a punta, e soprattutto i suoi occhi e il suo sorriso erano quelli di una gran furbetta. Portava sempre con sé Emma, la sua inseparabile bambola pezza preferita.

Cipollino e Giuseppina vivevano in una bella fattoria sulla cima di Poggio Malconcio, una dolce collina posta al margine di un bel bosco che ospitava un laghetto brulicante di pesciolini, anatre e ranocchi. Bisogna però dire che la fattoria non era più così bella come una volta. Un tempo era stata davvero bellissima, ma ultimamente i genitori di Cipollino l’avevano un po’ trascurata perché avevano avuto sempre meno tempo e meno soldi per fare le manutenzioni. Infatti nelle ultime stagioni il cielo si era rivelato piuttosto avaro di pioggia, e così, come per ripicca, il terreno si era rifiutato di dare piante rigogliose e raccolti abbondanti come una volta.

Ma anche se lo steccato non era più nuovo e dritto come un tempo, anche se qualche finestra era rotta e ogni tanto pioveva dal tetto, Cipollino e Giuseppina non avrebbero mai lasciato la fattoria di Poggio Malconcio! Non se ne sarebbero andati per niente al mondo, erano felicissimi di vivere là e sapevano di essere molto fortunati. Infatti i loro compagni di scuola e di giochi vivevano tutti quanti nel vicino paese di Fabbricone, nato alcuni anni prima insieme alla grande fabbrica di automobili. Abitavano in piccoli appartamenti posti all’interno grandi palazzi dalle finestre piccole, come tante api in un alveare, e la maggior parte di essi non aveva mai visto da vicino una gallina o un porcospino. E probabilmente non avevano visto neanche un nido su un albero, oppure un fungo porcino. Anzi, i funghi li avevano visti sicuramente: nel banco frigo dell’immenso supermercato che qualcuno aveva pensato bene di costruire insieme alla fabbrica, ai distributori di benzina e alle loro case-alveare.

Comunque, anche se non era più nuova di zecca, la loro fattoria aveva comunque tutto ciò che una vera fattoria deve avere: c’erano un bel forno a legna per cuocere il pane e un piccolo frantoio per fare l’olio, c’erano le stalle e un grande fienile, c’era il pozzo di pietra e per finire c’era il granaio, dal quale ogni tanto facevano capolino i topolini di campagna. E poi c’erano il trattore, il ricovero per gli attrezzi e tanti alberi che regalavano loro frutti dolcissimi, di ogni specie e colore. Ma soprattutto c’erano gli animali, tanti animali.

C’erano due oche e un cavallo, due maiali e una mucca pezzata che tutte le mattine dava loro il latte fresco. E ancora le caprette e i conigli, un cane e un gatto, uccellini di tante razze e galline che regalavano loro uova a volontà. E tutto intorno c’erano i campi coltivati, che cambiavano colore ad ogni stagione: dal verde brunito dei cavoli di primavera al giallo acceso dei girasoli estivi, per finire con l’arancione settembrino delle zucche di halloween.

Ma sebbene per i bambini quello fosse un vero paradiso, da un po’ di tempo i loro genitori non sembravano più molto felici di vivere a Poggio Malconcio! Alcuni anni prima avevano deciso di lasciare la città per vivere a contatto con la natura, avevano trovato quel posto e se ne erano subito innamorati. Però quel tipo di vita richiedeva tanti sacrifici, così loro cominciavano a essere stanchi di andare a dormire la sera tarsi per poi alzarsi prima del canto del canto del gallo. Soprattutto perché ottenere buoni raccolti stava diventando ogni anno sempre più faticoso, così il loro entusiasmo diminuiva sempre più col passare del tempo.

La sera, davanti al caminetto acceso, Cipollino li aveva sentiti parlare più di una volta della possibilità di vendere la fattoria per trasferirsi nuovamente in città. Ma alla fine non riuscivano mai a decidersi perché erano troppo affezionati a quel posto e ai loro animali. Comunque, per farla breve, la vita alla fattoria non era più così serena e spensierata come una volta.

Cipollino e Giuseppina avevano capito la situazione e facevano del loro meglio per aiutare i genitori, avevano imparato a mungere la mucca e a strigliare il cavallo, a dar da mangiare ai maiali e alle galline e a raccogliere le uova. Avevano persino imparato a fare il pane. Per questo motivo, a volte, Cipollino restava un po’ indietro con i compiti per casa che la maestra gli assegnava.

Qualche volta lei lo rimproverava per non essersi preparato a dovere ma lui non se la prendeva, anzi, era felice perché sapeva di aver tolto un po’ di fatica ai genitori. “Andrà meglio la prossima volta” si diceva scrollando le spalle mentre tornava a casa spingendo la carrozzina di Ruotino.

Ma nonostante l’aiuto di Cipollino e Giuseppina, ultimamente i loro genitori erano sempre più stanchi e nervosi, infatti a volte la sera litigavano. Non che fossero diventati cattivi o che non si volessero più bene, o che non volessero più bene a lui e alla sua sorellina. Ma quella vita, così faticosa e avara di soddisfazioni, li aveva resi un po’ più duri. Soprattutto erano delusi, perché i loro sforzi non erano ricompensati dai risultati che si aspettavano e che avrebbero meritato.

A volte un piccolo guasto al trattore era sufficiente per metterli in grave difficoltà, allora tutto il lavoro pesante toccava al cavallo Orazio, che poverino era anche un po’ anziano. Quando vedeva entrare nella stalla il papà di Cipollino trascinando il giogo, sospirava rassegnato scuotendo leggermente la testa. “Di nuovo? Quand’è che ti deciderai a comprare un trattore nuovo?” sembrava pensare guardandolo.

Cipollino avrebbe voluto aiutare di più i suoi genitori, ma sapeva che il suo primo lavoro era la scuola perché era ancora piccolo. Il babbo e la mamma gli avevano spiegato mille volte che, se si fosse impegnato con la scuola, da grande avrebbe potuto scegliersi un lavoro importante e ricco di soddisfazioni. Allora, visto che gli piaceva così tanto, se lo avesse voluto avrebbe anche potuto comprarsi una fattoria tutta sua. Ma non avrebbe dovuto alzarsi all’alba per accudire gli animali, ci sarebbero state persone che lo facevano al posto suo. E lui questo fatto proprio non riusciva a capirlo: “perché spendere tanti soldi per comprare una fattoria se poi paghi qualcuno per divertirsi al posto tuo con i tuoi animali?” pensava!

A volte desiderava essere già grande, avrebbe voluto guadagnare già un bel po’ di soldi per poter aiutare i suoi genitori. Così loro avrebbero lavorato di meno e sorriso di più. Ma anche se in alcuni momenti lo desiderava davvero tanto intensamente, anche se di tanto in tanto si sforzava a cercare un’idea, non avrebbe proprio saputo come procurarsi dei soldi.

Anche il suo amico Ruotino avrebbe voluto tanto sapere come trovare un bel po’ di soldi. I suoi genitori lavoravano entrambi alla fabbrica di automobili e stavano facendo grandi sacrifici per risparmiare la somma che gli avrebbe permesso di andare a curarsi in America, in modo da guarire del tutto e tornare a camminare normalmente.

In realtà i dottori che lo avevano visitato avevano ripetuto tutti quanti la stessa cosa: erano convinti che le sue gambe funzionassero perfettamente, che l’unica cosa a non esser guarita fosse la sua paura. In parole povere, secondo i dottori, le gambe di Ruotino si rifiutavano di muoversi perché lui temeva che tornando a camminare avrebbe potuto essere nuovamente investito.

La carrozzella, che adesso Ruotino maneggiava abilmente, era diventata il suo carro armato. Per lui era la sua fortezza indistruttibile, si sentiva sicuro di sé soltanto quand’era a bordo. Comunque i suoi genitori lo amavano così tanto che pur di vederlo tornare a camminare e a correre con i suoi amici avrebbero fatto davvero di tutto. Se qualcuno gli avesse detto che per farlo guarire era necessario portarlo fin sulla Luna, loro ce lo avrebbero portato senza esitare!

Quanto a Dispettino... ebbene, lui era un bambino normalissimo. Non abitava nell’alveare ma in una graziosa villetta appena fuori dal paese. Infatti suo padre era un dirigente della fabbrica di automobili e sua madre era impiegata come segretaria nello stesso stabilimento. Quindi avevano una bella casa e un buon lavoro, e non gli facevano mancare proprio niente. A scuola si diceva che avesse addirittura una grande stanza tutta sua stracolma di giochi, anche dei più moderni. Ma nessuno li aveva mai visti, perché lui non aveva mai invitato nessuno a casa sua per fare i compiti e poi giocare insieme.

E per dirla tutta, se avesse invitato dei bambini a casa sua, non era sicuro che questi avrebbero accettato. E così passava quasi tutto il suo tempo da solo, persino il Natale e il giorno del suo Compleanno.

Probabilmente era per questo, che aveva un carattere un po’ briccone: benché avesse tutto ciò che un bambino possa desiderare si annoiava a morte. Non aveva fratelli né sorelle ed era cresciuto con una sfilza di baby sitter, che dopo un po’ abbandonavano puntualmente l’incarico con una qualche scusa perché lui era troppo bizzoso e dispettoso.

A causa del suo modo di fare, quindi, Dispettino non era ancora riuscito a farsi degli amici. Così, quando guardava Cipollino e Ruotino, provava un po’ di invidia perché quei due gli sembravano davvero inseparabili. In quei momenti si rendeva conto che per lui l’amicizia con la “a” maiuscola era un vero mistero, ancora tutto da scoprire e da provare. Avrebbe voluto avere anche lui un amico vero, magari anche più di uno... ma non aveva la minima idea di dove si cominciasse, a fare amicizia!

Insomma, per i nostri amici la vita nel paese di Fabbricone scorreva abbastanza tranquilla, tra alti e bassi, finché una mattina accadde una cosa che avrebbe spinto Cipollino e gli altri a vivere un’avventura indimenticabile.

Quella mattina di primavera, mentre la maestra faceva una noiosissima lezione di matematica sulle tabelline, il cielo aldilà delle finestre si tinse improvvisamente di nero. Un tappeto di scure nubi minacciose, gonfie e basse, ricoprì l’intero orizzonte in pochi minuti. Un vento forte scosse per un po’ gli alberi spaventando gli uccelli, che andarono a rifugiarsi sotto gli spioventi dei tetti. Poi, di colpo, calò uno strano silenzio e tutto sembrò fermarsi. La maestra, girata verso la lavagna, non si era accorta di niente. I bambini continuarono a guardare fuori dalla finestra col fiato sospeso, preoccupati, finché d’improvviso udirono un boato tremendo. Era stato così forte che quei bambini non ne avevano mai sentiti di simili in tutta la loro vita. Quel tuono era stato l’unico avvertimento della tremenda tempesta che si scatenò subito dopo, che infuriò sul paese per alcuni minuti: tuoni e lampi a ripetizione, e una pioggia così fitta che non si vedeva a un palmo dal naso.

La maestra sospirò rassegnata, interruppe la spiegazione e tornò a sedere alla cattedra, infatti la pioggia batteva sui vetri così forte da coprire anche la sua voce squillante. I bambini si erano incantati a guardare fuori, l’intero paese sembrava scomparso. In pochi minuti le strade deserte si erano ricoperte d’acqua, il giardino della scuola era diventato un’unica grande pozzanghera e l’altalena si muoveva da sola, spinta dal vento. Poi, così d’improvviso com’era cominciato, il temporale finì. Il vento soffiò via le poche nubi rimaste, mentre i primi timidi raggi di sole si riaffacciavano timidamente sul mondo facendo risplendere ogni cosa. I bambini continuarono ancora per qualche istante a guardare fuori, affascinati, finché la maestra richiamò la loro attenzione con un colpo di tosse.

Spiegò ai bambini che temporali come quello erano rari, ma che anche se li aveva spaventati erano importanti e utili, specialmente adesso che era primavera. Infatti era proprio quello il periodo in cui Madre Natura aveva bisogno di più acqua. Molti animali si stavano risvegliando dal letargo e avrebbero avuto sete, le piante avevano bisogno di acqua per fiorire, e quei fiori meravigliosi avrebbero dato da mangiare alle api, che poi avrebbero fatto il miele. Quelli stessi fiori in estate sarebbero poi diventati frutti buoni e succosi, e così via, in una catena infinita. Ma Cipollino queste cose le sapeva già, perciò si era distratto ed era tornato a guardare fuori attraverso i vetri.

E d’improvviso, come per magia, in lontananza si materializzò un arcobaleno così grande e colorato come non ne aveva mai visti.

«Ooooh!» esclamò a voce alta per lo stupore. Tutti i bambini si voltarono ad ammirare quel tripudio di colori, affascinati, e cominciarono a commentare tra loro. La maestra capì che la lezione di matematica ormai era finita perché non sarebbe riuscita in nessun modo a riportare i bambini sul pianeta Terra, ma anziché arrabbiarsi decise di sfruttare l’occasione per insegnar loro qualcosa di nuovo. Così prese la cimosa e cancellò la lavagna, poi prese i gessetti colorati e disegnò un arcobaleno, le cui estremità finivano in due grandi pozze d’acqua. Fece un passo indietro e ammirò soddisfatta il disegno, subito dopo prese fiato e si lanciò in una spiegazione scientifica così complicata che fece venire il mal di testa a tutti. La maestra parlava di luce riflessa, di scomposizione dei colori e di gocce d’acqua vaporizzate, e loro non ci capivano niente.

Per fortuna, dopo pochi minuti il bidello Mario venne salvarli.

«Buongiorno signora maestra, scusi se la interrompo. Mi hanno detto di riferirle che la vogliono in segreteria, c’è una telefonata per lei» disse.

«Grazie Mario, vado subito. Me li guarda lei i bambini?» rispose la maestra.

«Ci penso io, stia tranquilla... anche se non ci sarebbe alcun bisogno di controllarli perché sono davvero in gamba!» rispose Mario facendo loro l’occhiolino.

La maestra uscì di corsa e Mario guardò i bambini uno ad uno con quel suo solito sguardo misterioso, sorridendo. Alcuni di loro abbassarono lo sguardo, avevano un po’ paura di lui perché lo trovavano davvero strano. A prima vista sembrava molto vecchio, ma i suoi occhi vivaci che correvano continuamente qua e là sembravano quelli di un giovanotto.

Di lui sapevano soltanto che era sempre molto gentile e che lavorava lì fin da quando era stata aperta la scuola, molti anni prima, quando il paese era ancora soltanto un piccolissimo borgo di campagna. Viveva da solo in una casetta nel bosco appena fuori dal paese e veniva a lavorare a cavallo di un somaro di nome “Ciuchetto”. Questo accresceva l’aura di mistero che lo circondava.

«Cosa ne pensate?» chiese Mario indicando la spiegazione dell’arcobaleno sulla lavagna.

«Non ci abbiamo capito un fico secco» rispose Cipollino a nome di tutti.

«Non importa, tanto quella spiegazione è tutta sbagliata» replicò Mario guardandoli serio.

«Cosa vuoi dire?» chiese allora una bambina, prendendo coraggio.

«Mi posso fidare di voi?» chiese Mario scrutandoli nuovamente uno per uno, serio. I bambini annuirono tutti quanti, curiosi e intimoriti al tempo stesso, allora lui raccontò loro delle pentole traboccanti di monete d’oro poste all’inizio e alla fine dell’arcobaleno.

«Ma dai, lo sanno tutti che è soltanto una leggenda!» escluso Ruotino deluso, si era aspettato chissà che cosa.

«Lo credi davvero?» replicò Mario guardandolo convinto, poi riprese a raccontare. Disse loro che l’arcobaleno nasceva ogni volta che la pioggia faceva brillare le monete d’oro contenute nelle pentole, e che quelle pentole ne contenevano così tante che per contarle tutti ci sarebbero voluti giorni e giorni.

Ruotino gli chiese perché nessuno fosse ancora andato a prendersi quei tutti quei soldi, Mario rispose che ci avevano provato in molti ma che fino ad allora nessuno ci era riuscito. E questo era logico, perché se qualcuno si fosse preso tutti le monete, allora quella mattina l’arcobaleno non ci sarebbe stato! Quindi, fino a quel momento le monete d’oro dovevano essere ancora al sicuro nelle loro antiche ed enormi pentole.

Ruotino chiese come fosse possibile e Mario gli spiegò che, prima di tutto, i cacciatori di tesori erano andati a cercarle nel posto sbagliato. Le avevano cercate in superficie quando in realtà le pentole erano state nascoste in un mondo sotterraneo, proprio per evitare che qualcuno le trovasse.

Erano custodite in un luogo segreto nel magico Paese di Tantisoldi, e trovare il passaggio che conduceva a quel mondo era quasi impossibile. Ma se anche qualcuno ci fosse riuscito, per raggiungere le pentole avrebbe dovuto attraversare luoghi pericolosissimi e foreste stregate, popolate dagli esseri più strani. E se quel qualcuno fosse stato tanto fortunato da riuscire ad arrivare fino alla pentola, a quel punto avrebbe dovuto vedersela con i folletti che da sempre facevano la guardia alle monete d’oro.

«Allora trovare le pentole è impossibile...» commentò Cipollino deluso. Per un attimo aveva immaginato di andare a prendersi un bel po’ di quelle monete, con quelle sì che avrebbe potuto aiutare i suoi genitori!

«Non è impossibile ma quasi. Ci sono molti passaggi che portano a quel mondo sotterraneo, anche nei boschi qui intorno. Ma ammesso di trovarne uno, per riuscire nell’impresa bisogna essere decisi e molto coraggiosi, perché non si tratta di fare una semplice passeggiata. Di certo, i pochi che sono riusciti a trovare il passaggio sono tornati a mani vuote!» spiegò Mario.

«Tu ci hai mai provato?» chiese un bambino.

«E per cosa? Io ho il mio asino e la mia casetta, di tutti quei soldi non saprei davvero che farmene!» rispose il bidello.

Subito dopo rientrò la maestra. Mario se ne andò e i bambini tornarono a guardare l’arcobaleno con occhi sognanti. Quella visione donò a Cipollino una bellissima sensazione di leggerezza, che lo rese profondamente felice per tutto il resto della giornata.

Purtroppo, però, quella stessa sera accadde una cosa che lo fece molto dispiacere, quella bella sensazione con cui si era coccolato per tutto il giorno gli scappò via come sabbia tra le dita. Quando si misero a tavola per la cena, Giuseppina ebbe subito la sensazione che qualcosa non andasse per il verso giusto e guardò preoccupata suo fratello. Lui pensò che quell’atmosfera fosse dovuta alla solita stanchezza dei genitori, quindi si disse che c’era niente di cui preoccuparsi e le sorrise per rassicurarla. Ma Giuseppina aveva avuto ragione, perché poco dopo i suoi genitori cominciarono a litigare. Dalle loro espressioni e da alcune parole, mai sentite prima e quasi incomprensibili, Cipollino capì che non si trattava di uno dei loro soliti sfoghi passeggeri. Allora finì in fretta il suo piatto e con la scusa di controllare qualcosa portò via Giuseppina, non voleva che lei assistesse a quella brutta litigata.

I loro genitori continuarono a discutere senza quasi accorgersi che i bambini si erano alzati, Cipollino prese per mano Giuseppina e la accompagnò nella sua cameretta. Chiuse tutte le porte che trovava strada facendo perché non voleva che lei sentisse il baccano che facevano i suoi genitori, temeva che lei si sarebbe spaventata e avrebbe avuto gli incubi. Lei gli fece delle domande, lui minimizzò e cercò di cambiare argomento per tranquillizzarla, ma in realtà quando sentì il rumore di qualcosa che si rompeva, forse un piatto, si preoccupò un po’. Per tirarsi su il morale ripensò all’arcobaleno di quella mattina e si disse che non c’era di cui preoccuparsi.

Se da una tempesta così spaventosa era nato qualcosa di così bello, probabilmente lo stesso sarebbe accaduto al piano di sotto: magari, dopo quella sfuriata i suoi genitori avrebbero scoperto di volersi più bene di quanto pensavano, di far parte di una famiglia bella e colorata come quel grande arcobaleno.

Rasserenato da quel pensiero, coinvolse Giuseppina in un gioco, poi le raccontò la storia della pentola d’oro finché finalmente lei si addormentò. Cipollino si rese conto che i rumori di sotto erano cessati. Sorrise al pensiero di quanto a volte i grandi fossero simili ai bambini e si addormentò felice, sicuro che l’indomani mattina tutte le cose sarebbero tornate al loro posto.

Ma la mattina dopo, quando si svegliò, trovò una brutta sorpresa!

Anche se aldilà della finestra i rumori della campagna erano gli stessi di sempre, Cipollino si accorse subito che in casa regnava un insolito silenzio. Pensando di essersi svegliato troppo presto controllò l’orologio, vide che segnava le sette in punto come tutte le mattine e allora si alzò preoccupato. Giuseppina dormiva ancora pesantemente, perché la sera prima si era addormentata molto tardi, così lui scese di sotto per vedere cosa fosse accaduto. Entrò in cucina e trovò che la tavola non era stata ancora apparecchiata: al posto di succo di frutta, miele, biscotti, e tutto il resto, sul tavolo nudo c’era soltanto una lettera.

Sospettando che non significasse niente di buono, la prese e corse a chiudersi in bagno per leggerla. L’aprì con il cuore che batteva a mille, voleva leggerla in fretta e rimetterla dove l’aveva trovata perché non era sicuro di avere il permesso per farlo. Sul foglio, che suo padre aveva lasciato per sua madre, c’erano scritte diverse frasi difficili. Dopo la prima lettura si strofinò gli occhi e la rilesse daccapo, perché non era certo di aver capito bene. Dopo la seconda lettura restò seduto sul water e spenzolò per un po’ le gambe, incredulo.

Poi si scosse e si disse che doveva riportare immediatamente le lettera dove l’aveva trovata, dopodiché avrebbe pensato a cosa fare. Ripiegò il foglio e lo ripose nella busta, poi uscì dal bagno e andò in cucina per rimetterla al suo posto.

Si allungò verso il centro del tavolo, per posarla esattamente dove l’aveva trovata, e lì trovò un’altra sorpresa! Accanto alla lettera che aveva appena rimesso al suo posto, adesso ce n’era anche un’altra. La prese e corse di nuovo in bagno, e quando ebbe finito di leggere inghiottì più volte per non mettersi a piangere. In pratica suo padre aveva lasciato a sua madre una lettera dicendo che siccome lei l’accusava di pensare soltanto al lavoro e di non aiutarla a fare altro, e di tante altre cose come succede nei litigi tra persone adulte, allora se ne tornava a stare per qualche giorno dai nonni, in modo che così lei si sarebbe accorta della differenza. E proprio nello stesso momento, sua madre aveva scritto a suo padre una lettera che diceva le stesse identiche cose.

“E adesso alla fattoria chi ci pensa? E agli animali? E a riparare il trattore? E a me e Giuseppina? Chi ci pensa a noi due?” si chiese, ma subito dopo capì che quelle erano troppe domande tutte insieme e che non doveva lasciare che la paura si impadronisse di lui. “Adesso devo portare Giuseppina all’asilo e poi andare a scuola, è meglio che nessuno si accorga di quello che è successo. Sicuramente ci ripenseranno e torneranno tutti e due a casa per il pranzo, se così non fosse ci penserò quando sarà il momento” si disse per rassicurarsi. Pensava che magari, nella peggiore delle ipotesi, sarebbe stato sufficiente fare due telefonate e i suoi genitori sarebbero tornati a casa.

“Che assurdità! Pensandoci bene a scappare di casa di solito sono i bambini, non i genitori...e poi tutti e due insieme!” concluse scuotendo la testa.

Intanto si era fatto molto tardi e non avevano ancora fatto colazione. Cipollino voleva fare in modo che Giuseppina non si accorgesse di niente, per non spaventarla, così corse a preparare la colazione e le merende per la scuola. Preparò tutto quanto esattamente come faceva sua madre, o almeno era quello che pensava di aver fatto, poi andò a svegliare Giuseppina. Quando scesero in cucina, Cipollino si accorse che aveva dimenticato di togliere le lettere dal tavolo.

«Dove sono il babbo e la mamma?» chiese perplessa la bambina.

«Anziché venire a fare colazione con noi sono sono rimasti fuori a lavorare, perché più tardi devono andare in paese a fare delle commissioni» rispose Cipollino. «Ma la mamma ci ha lasciato la colazione pronta» aggiunse indicando la tavola imbandita.

«Mi prendi in giro? Se ne accorgerebbe anche Orazio che è un cavallo, che la colazione non l’ha certo preparato la mamma!» rispose lei.

Cipollino arrossì, era imbarazzato e contrariato al tempo stesso perché si era impegnato tanto e credeva di esser riuscito a fare un buon lavoro.

«Cosa c’è scritto in quelle lettere?» gli chiese la bambina.

«Niente di importante. Su, ora mangia o faremo tardi» rispose Cipollino, ma Giuseppina non mosse un passo, rimase a fissarlo con le mani sui fianchi.

«Te l’ho appena detto, c’è scritto che papà e mamma non vengono per la colazione perché hanno da fare» ripeté Cipollino, pensando che era una vera fortuna che Giuseppina non sapesse ancora leggere. Per farla smettere di pensarci, prese le lettere e le buttò nella spazzatura. «Ora muoviamoci, sicuramente Ruotino ci sta già aspettando e se non ci vede arrivare si preoccuperà inutilmente» aggiunse poi, ma Giuseppina continuò a scrutarlo seria, senza battere ciglio.

«Ma che cos’hai stamani? Su, ti prego...» la esortò di nuovo Cipollino. Guardandola in viso si accorse che i suoi occhi si erano inumiditi e le labbra le tremavano, stava per piangere perché era spaventata. Allora Cipollino si chinò davanti a lei, ma non sapeva cosa inventarsi per rassicurarla.

«Non sono andati via per sempre, vero?» gli chiese lei, ripensando alla litigata della sera precedente.

«Ma che cosa dici? Certo che non sono andati via per sempre! Quando torneremo da scuola li troveremo qui a tavola ad aspettarci per il pranzo! Dove vuoi che vadano senza di noi?»rispose lui.

«Me lo prometti?» insisté lei.

«Te lo prometto» confermò solennemente Cipollino.

«Bene!» disse allora Giuseppina, rinfrancata, correndo a tavola. Un minuto dopo stava canticchiando tutta sorridente mentre imboccava Emma, Cipollino si chiese come potesse cambiare umore tanto velocemente.

ALLA RICERCA DELL’ARCOBALENO

Tutte le mattine Cipollino e Ruotino si incontravano all’unico crocevia che portava in paese e andavano insieme a scuola, strada facendo deviavano un poco per lasciare Giuseppina all’asilo. Cipollino vide Ruotino al solito angolo in fondo alla strada e accelerò.

«Ma l’hai visto che ore sono? Stavo quasi per andarmene!» lo rimproverò l’amico quando lo raggiunsero.

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