Kitabı oku: «Il Fascino Di Medusa Tra Arte, Mito E Leggenda»
Andrea Piancastelli
L'AUTRICE
Andrea Piancastelli è una traduttrice italiana indipendente specializzata in testi dall’inglese, francese e tedesco e laureata in archeologia presso l’Università di Bologna. Nel 2000 vince il III premio per il concorso di scrittura di storia dell’arte ‘Italia Nostra’ e il I premio ad un concorso letterario di Lidia Ravera. Attualmente scrive regolarmente un blog su antichità, arte e collezionismo e traduce libri di vario genere. Originaria della provincia di Ravenna, viaggia, studia e lavora all’estero dal 1999 e ora vive a Londra, dove ha avuto modo di collaborare con Christie’s, Sotheby’s ed enti inglesi per il patrimonio storico-artistico come l’English Heritage.
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Copyright Andrea Piancastelli 2017
I edizione 2017
Tutti i diritti sono riservati.
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Copertina: design dell'autrice
Foto di copertina: copyrights Marie-Lan Nguyen, fonte Wickimedia Commons
Tavole: immagini dal web libere da copyright
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Indice
MEDUSA TRA ARTE E MITO
I. GORGONI ARCAICHE
1. Maschera terrifica
2. Il terrore della morte
3. La guerra di Medusa: oltre il terrore
4. Distruzione e protezione: Medusa e l’egida di Atena
II. SVOLTE ARTISTICHE
1. Medusa tra Babilonia e Corinto
2. Medusa e l'ambiguità dell'acqua
III. L’ETÀ CLASSICA
1. La fonte della conoscenza: metamorfosi di uno sguardo
2. L’arte della vista: uno sguardo d’insieme
3. Lo specchio di Medusa
IV. GORGONI ELLENISTICHE E ROMANE
1. Medusa dominata
2. Medusa smembrata: i pezzi di Medusa
Conclusione: Medusa immortale. Il fascinum dell’ambiguo.
PRIMA DI MEDUSA: TRA STORIA E MITO
1. Computazione del tempo: dal matriarcato al patriarcato
2. Perdere la testa
3. Medusa usurpata
4. Realtà o leggenda?
5. Atena e Medusa, la trasformazione interiore
6. Medusa e i misteri femminili
7. Il potere di Medusa, il potere della Dea
8. Medusa e il sangue
Conclusione: la forza di Medusa. Il fascinum del mistero
Bibliografia
MEDUSA TRA ARTE E MITO
Introduzione
Esiste un legame tra la parola e l’immagine, entrambe portatrici della voce e della vista umana. Si può vedere il mito nell’arte e si può leggere l’arte nel mito. Mi accingo a parlare di un mito da vedere, da guardare negli occhi, un mito che col suo sguardo ha lasciato i poeti greci quasi senza parole per descriverlo. La sola vista del personaggio di Medusa è sufficiente: un mito che lascia la parola all’arte, data la scarsità di informazioni che ricaviamo dalle numerose fonti scritte.
Tante e diverse sono le definizioni del mito secondo gli innumerevoli studiosi che lo hanno trattato: seguiamo in questa sede l’analisi di R. Otto (1). In greco, mythos ha il senso fondamentale di “elocuzione”, cosa detta. Il primo autore a usare il termine mythologia è Platone, e per il filosofo significava “raccontare storie o parlare di esse”. In questo modo la parola mythos viene a significare una cosa detta in forma di racconto, una storia. Ma naturalmente non tutte le storie sono miti: per miti si intende comunemente “storie tradizionali”, così come gli antichi Greci con la parola mythoi alludevano alle storie tradizionali degli dei e degli eroi.
Nascono allora gli dei greci: la tradizione mitologica narra i racconti delle loro gesta attribuendo loro un nome e le relative funzioni, un’apparenza fisica e un insieme di atteggiamenti ordinati intorno al loro aspetto umano. E i poeti, con i loro inni e le loro teogonie, canti che celebrano la generazione degli dei, allestiscono un pantheon destinato a diventare “tradizionale” quanto il mito.
Tenendo in considerazione lo studio di K.O. Müller (2), la creazione del pensiero e la realtà, l’ideale e il reale, appaiono spesso strettamente connessi in una narrazione mitica, e quanto più antico è il mito, tanto più intimamente in esso l’elemento reale è fuso con la creazione del pensiero. Questo è dimostrato anche dal fatto che notizie del tutto storiche parlano spesso delle stesse circostanze che vengono menzionate nei miti. Il mito, secondo K.O. Müller, dunque, deriverebbe dalla storia; ma sarebbe anche l’espressione della fede negli dei della Grecia, della religione, dal momento che in questi racconti l’influsso esercitato dalle divinità è costante. Alla storia e alla religione poi, fin dai tempi antichi, si sarebbero aggiunte idee “etiche”, che costituiscono il fondamento del costume e del diritto e che si trovano espresse nei miti. Avendo origine dalla realtà e dalla religiosità, il mito assume valore anche per ogni attività poetica e di pensiero, come mezzo per comunicare in modo efficace.
Il mito nasce dalla realtà, ma dal punto di vista dell’uomo: per questo i miti non sono né uniformi, né logici, né internamente coerenti; sono multiformi e mutevoli come l’animo umano che li produce. Ed è vero anche il contrario: seguendo lo sviluppo dell’uomo greco, il mito si misura con il processo di razionalizzazione della realtà e del mondo; simboleggiando concetti, fa emergere un mondo che esso stesso crea e fa essere attraverso il suo stesso racconto, attraverso la parola. Si configura così un universo ordinato, fatto di dei dalle competenze e sfere d’azione ben delineate e delimitate, parallelo a quello umano ordinario; una sorta di livello sovrumano del reale, un mondo che, creato dall’uomo, serve come mezzo per “autocertificare” il proprio statuto di persona razionale e reale.
Tuttavia resta all’uomo la coscienza, soffocata, dell’irrazionalità e della mutevolezza del proprio animo. Questa cosa spaventa, terrorizza, perché non c’è mai la certezza di averla dominata del tutto. Così attorno alla grande famiglia olimpica continuano a esistere costellazioni di figure minori difficilmente classificabili come divinità. Esse coprono spazi marginali e talvolta traducono l’incubo inquietante e incombente del disordine nella forma di una frastagliata serie di collettività mitiche, come i Giganti e i Ciclopi; figure collocate al margine del pantheon e comunque escluse dal culto.
Tra queste si colloca Medusa. Un daimon ambivalente che provoca uno sconvolgimento, un sussulto interiore nel momento in cui lo si guarda. E laddove la parola non può descrivere questo mostro, l’arte può raggiungerlo con più efficacia, dal momento che ciò che provoca tale scossa può essere sì il suo nome, ma associato inestricabilmente al suo aspetto. Medusa è da vedere, Medusa ci guarda. Un percorso iconografico sulla paura dell’affermazione di qualcosa di incontrollabile, di indescrivibile; è l’arte del “doppio”, dell’ambivalente.
[1] R. OTTO, Das Heilige. Über das Irrazionale in der Idee des Göttlichen und sein Verältnis zum Rationalen, München 1936 (trad. it. Il sacro. L’irrazionale nella idea del divino e la sua relazione al razionale, Milano 1976).
[2] K.O. MÜLLER, Prolegomeni zu einer wissenschaftlichen Mythologie, Göttingen 1825 (trad. it. Prolegomeni ad una mitologia scientifica, Napoli 1991).
I. GORGONI ARCAICHE
Tav. 1 Medusa, rilievo di anfora cicladica da Tebe, 670 a.C., Parigi, Museo del Louvre.
1. Maschera terrifica
Tav.2 Maschera in terracotta della Gorgone Medusa, VI–V secolo a.C., dal tempio di Palaikastro di Zeus Diktaian, Creta, Museo Archeologico di Heraklion.
Le fonti figurative documentano in un primo momento la sola testa delle Gorgoni ( gorgoneion). L’iconografia del mostro non presenta sin dall’inizio uno schema iconografico preciso, ma tipi diversi, genericamente mostruosi, caratterizzati dalla visione frontale e dai grandi occhi. Alla fine dell’VIII secolo a.C. deve essere datato un tipo di maschera fittile da Tirinto, identificato come quello di una Gorgone, che presenta grandi orecchie aperte, occhi a globo, bocca fornita di zanne ferine. La maschera è stata trovata insieme ad altre in un pozzo sacrificale associato al santuario di Hera e si trova al Museo Archeologico di Napoli (1).
Valutando queste prime raffigurazioni della Gorgone si deduce facilmente che Medusa nasce come maschera. Ma chiariamo ora il concetto di maschera. Se usiamo la definizione di H. Pernet, maschera è “nel senso stretto e usuale del termine, una falsa faccia dietro la quale ci si nasconde allo scopo di travestirsi” (2). E’ cioè un mezzo per cessare di essere se stessi: indossando una maschera, si incarna la potenza di cui si prendono le sembianze per giungere alla possessione. Una possessione che sovrappone la divinità all’uomo, fa sì che questa si impadronisca del celebrante rendendolo irriconoscibile e producendo un’alienazione in rapporto alla sua identità. In questo modo si stabilisce tra l’uomo e il dio uno scambio, un’identificazione che allontana l’uomo dalla sua natura per avvicinarlo all’alterità incarnata dalla divinità.
Ma se osserviamo attentamente la maschera recuperata a Tirinto, una delle prime produzioni artistiche della Gorgone, potremo notare che sono assenti i fori degli occhi: infatti la faccia di Medusa è una maschera, ma non la si porta su di sé per mimare la divinità; non si conoscono culti legati a Medusa.
Approfondendo la nostra analisi noteremo un’altra funzione della maschera: quella di spaventare. Pindaro ci descrive la Gorgone come una figura terrificante, con un potere mortifero che da essa si irradierebbe (3). Con ciò, però, la funzione particolare della Gorgone non è più semplicemente di spaventare: è la morte per irrigidimento davanti alla vista terribile. La rigidità è propria di tutte le maschere; nel mitologema di Medusa tale funzione, intensificata, appare come effetto di un essere sovrumano, di un volto che esercita questo effetto anche dopo essere staccato dal corpo. Maschera e Gorgone non vanno separate, esse sono identiche. Medusa è la maschera, essa inizialmente poteva esistere per se stessa, senza portatori umani. Attribuire una figura alla paura è un modo di darle corpo, di oggettivarla e di conseguenza di renderla sopportabile. Si può forse dire che le prime opere d’arte, quindi, non sono nate dal bisogno di venerare divinità o ingraziarsi potenze invisibili, bensì dalla necessità di scongiurare la potenza dei morti. La religione e l’arte avrebbero quindi un’origine comune: l’esigenza di assicurarsi la protezione dell’aldilà (4).
Tav.3 Maschera in terracotta della Gorgone Medusa, VI–V secolo a.C., dal tempio di Palaikastro di Zeus Diktaian, Creta, Museo Archeologico di Heraklion.
La maschera nasconde, la maschera spaventa, soprattutto, però, essa crea una relazione tra l’uomo che la porta e l’essere che essa rappresenta. Così la maschera, per la sua stessa rigidità, viene messa in connessione anzitutto con i morti nella sua applicazione arcaica. Essa crea un rapporto tra i vivi e i morti: gli uni si trasformano negli altri; è lo strumento di una trasformazione unificatrice: lo è in senso negativo, in quanto essa elimina i limiti divisori, in questo caso quelli tra vivi e morti, facendo apparire ciò che era nascosto; in senso positivo, in quanto tale liberazione del nascosto, dimenticato o trascurato, comporta, da parte del portatore della maschera, una identificazione con esso; nel caso di Medusa, però, la trasformazione unificatrice si fa unificazione trasformatrice. Si tratta di una identificazione che, invece di sovrapporsi, si cristallizza nell’attimo in cui gli sguardi si incrociano, e avviene come nel riflesso di uno specchio (5). Lo sguardo gorgonico ha la stessa funzione che la maschera ha nei riti religiosi; nel contatto che avviene guardandola si realizza la possessione.
La maschera di Medusa presenta due caratteristiche costanti: innanzitutto la frontalità. Contrariamente alle convenzioni figurative che regolano lo spazio pittorico in epoca arcaica, la Gorgone è sempre rappresentata di faccia, frontale rispetto all’osservatore. Medusa guarda dritto negli occhi di chi la guarda, coinvolgendolo così in una sorta di contagio mimetico, immergendolo nel proprio sguardo.
Tav.4 Applique, gorgoneion. lastra di bronzo con decorazione repoussé, fine VII secolo a.C., dalla Kabeirion di Tebe.
In secondo luogo la mostruosità. Se prendiamo in esame le maschere gorgoniche di età arcaica noteremo che nel corso del tempo, pur subendo mutazioni, l’aspetto di Medusa rimane, nella distorsione espressiva, una commistione sistematica di interferenze tra l’umano e il bestiale, tale da farla sconfinare nella categoria del “diverso”, dell’ “altro”. La distorsione espressiva prevede una testa allargata e arrotondata, che ricorda un muso leonino; gli occhi sono sbarrati, con uno sguardo fisso e penetrante; i capelli diventano serpenti o sono trattati come una criniera animalesca. Le orecchie ingrandite e deformate si collocano in un cranio che talvolta presenta corna; la bocca, ghignante, si allarga fino a occupare tutta l’ampiezza del volto, scoprendo zanne ferine o di cinghiale. La lingua fuoriesce, protesa in avanti; il mento è peloso o barbuto e la pelle solcata talvolta da rughe profonde (6). La dimensione antropomorfa e la dimensione teriomorfa sono in Medusa costantemente mescolate e la pongono in bilico tra umano e ferino collocandola in una zona di confine. La sua stessa natura sembra ricacciarla nel mondo dell’inerte e dell’inanimato, tanto che, sull’anfora protoattica del Museo di Eleusi, attribuita al pittore detto di Polifemo, le sorelle Gorgoni offrono allo sguardo una faccia a forma di terracotta primitiva (7).
Tav.5 Una delle sorelle di Medusa, anfora protoattica da Eleusi, Pittore di Polifemo, 670-650 a.C., Eleusi, Museo di Eleusi.
Non è un volto: è un’ hydria, un paiolo mostruoso e ridicolo al tempo stesso. Siamo nel registro dell’arguzia popolare, che ricorre alla burla per esorcizzare il terrore. La testa si presenta così come un vaso derisorio e bonario sui cui fianchi sono dipinti gli attributi della ferocia: gli occhi a mandorla, ingranditi e confinati ai lati del viso, le zanne diligentemente allineate. Si allontana la paura negando ciò che di umano queste creature potrebbero avere. Il volto della Gorgone è orribile, ma anche grottesco: suscita paura, ma poiché si è a sua volta obiettivato, pietrificato in una maschera, è ostentazione di sé: è il ridicolo.
Tav.6 Kotyle con Gorgone, Pittore del Lupo Cattivo, ca. 600-585 a.C., Pontecagnano.
[1] S.R. WILK, Medusa, Solving the Mystery of the Gorgon, Oxford 2000, pp. 35-36.
[2] H. PERNET, Masks, Theoretical Perspectives, in M. ELIADE (cur.), The Encyclopedia of Religion, I-XVI, IX, New York 1987 (trad. it. Maschere rituali. Prospettive Teoretiche, in Enciclopedia delle religioni, II, pp. 342-46, Milano 1994).
[3] PINDARO, Pitica, X 47; XII 12.
[4] J. CLAIR, Méduse. Contribution à une anthropologie des arts du visuel, Paris 1992 (trad. it. Medusa : l’orrido e il sublime nell’arte, Milano 1992).
[5] Si ricordi che lo specchio dei Greci permetteva di vedere solo la faccia, la testa.
[6] J.P. VERNANT, La mort dans les yeux, Paris 1985 (trad. it. La morte negli occhi, Bologna 1987).
[7] J. CLAIR, Méduse. Contribution à une anthropologie des arts du visuel, Paris 1992 (trad. it. Medusa: l’orrido e il sublime nell’arte, Milano 1992).
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