Sadece LitRes`te okuyun

Kitap dosya olarak indirilemez ancak uygulamamız üzerinden veya online olarak web sitemizden okunabilir.

Kitabı oku: «I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1», sayfa 3

Yazı tipi:

CAPITOLO III

Sant'Aubert, in vece di prendere la strada diretta che conduceva in Linguadoca, seguitando le falde dei Pirenei, preferì un cammino sulle alture, perchè offriva vedute più estese e più pittoresche. Uscì un poco di strada per congedarsi da Barreaux; lo trovò che erborizzava vicino al suo castello, e quando gli manifestò il soggetto della sua visita e la sua risoluzione, l'amico gli dimostrò una sensibilità di cui fino a quel punto Sant'Aubert non avevalo creduto capace. Si separarono con reciproco rammarico.

« Se qualcosa avesse potuto togliermi dal mio ritiro, » disse Barreaux, « sarebbe stato il piacere di accompagnarvi in questo viaggio; io non faccio complimenti, e potete credermi: attenderò il vostro ritorno con grande impazienza. »

I viaggiatori continuarono il loro cammino: nel montare in carrozza, Sant'Aubert si volse e vide il suo castello nella pianura. Idee lugubri gl'invasero lo spirito, e la sua immaginazione malinconica gli suggerì che non doveva più ritornarvi. Respinse questo pensiero, ma continuò a guardare il suo asilo fino a che la distanza non gli permise più di distinguerlo.

Emilia restò, come lui, in un profondo silenzio, ma dopo qualche miglio, la di lei immaginazione, colpita dalla maestosità degli oggetti circostanti, cedè alle impressioni più deliziose. La strada passava, ora lungo orridi precipizi, ora pei siti più deliziosi.

Emilia non potè trattenere i suoi trasporti, quando, dal mezzo de' monti e de' boschi di abeti, scoprì in lontananza immense pianure, sparse di ville, di vigneti e di piantagioni d'ogni specie. Le onde maestose della Garonna scorrevano in quella ricca valle, e dalla sommità dei Pirenei, d'onde ella trae origine, si conducevano verso l'Oceano.

La difficoltà di una strada così poco frequentata obbligò spesso i viaggiatori di camminare a piedi; ma si trovavano essi ampiamente ricompensati dalla fatica per la vaghezza dello spettacolo offerto dalla natura. Mentre il mulattiere conduceva lentamente la carrozza, avevano tutto il comodo di percorrere le solitudini e di abbandonarsi alle sublimi riflessioni che sollevano l'anima, la leniscono, e la riempiono in fine di quella consolante certezza che Iddio, è presente dappertutto. I godimenti di Sant'Aubert portavan l'impronta della sua meditabonda malinconia. Questa disposizione aggiunge un incanto segreto agli oggetti, e inspira un sentimento religioso per la contemplazione della natura.

I nostri viaggiatori si erano premuniti contro la mancanza degli alberghi, portando seco provvisioni; potevano dunque fare le loro refezioni a ciel sereno, e riposare la notte in qualunque luogo avessero trovato una capanna abitabile. Avevano egualmente fatte provvisioni per lo spirito, portando seco un'opera di botanica scritta da Barreaux, e qualche poeta latino o italiano. Emilia, d'altronde, aveva seco le matite, e tratto tratto disegnava i punti di vista che la colpivano maggiormente.

La solitudine della strada aumentava l'effetto della scena; appena incontravano essi di tempo in tempo un contadino coi muli, o qualche fanciullo che scherzava tra le rupi. Sant'Aubert, incantato di quella maniera di viaggiare, si decise di avanzare sempre nelle montagne finchè trovasse strada, e di non uscirne che al Rossiglione, vicino al mare, per passare quindi in Linguadoca.

Un po' dopo mezzodì giunsero in vetta d'un alto picco che dominava parte della Guascogna e della Linguadoca. Colà godevasi d'una folta ombra. Vi scaturiva una fonte, che, fuggendo sotto gli alberi fra erbosi margini, correva a precipitarsi al basso in brillanti cascatelle. Il suo lene murmure alfine perdevasi nel sottoposto baratro, ed il candido polvischio della sua spuma serviva solo a distinguerne il corso in mezzo ai negri abeti.

Il luogo invitava al riposo. Si ammannì il pranzo; le mule furono staccate, e l'erba che fitta cresceva quivi intorno, lor fornì copioso nutrimento.

Finito il pasto, Sant'Aubert prese la mano d'Emilia, e teneramente la strinse senza dir verbo. Poco stante, chiamò il mulattiere, e chiesegli se conoscesse una via tra i monti che guidar potesse nel Rossiglione. Michele rispose trovarsene parecchie, ma esserne poco pratico. Sant'Aubert, non volendo viaggiare se non fino al tramonto, domandò il nome di vari casali vicini, ed informossi del tempo cui impiegherebbero a giugnervi. Il mulattiere calcolò che si potea andare a Mateau, ma che, se si volesse movere verso mezzogiorno, dalla parte del Rossiglione, eravi un villaggio dove si giugnerebbe assai prima del tramonto.

Sant'Aubert s'appigliò a quest'ultimo partito. Michele finì il pasto, attaccò le mule, si ripose in via, e poco stante sostò. Sant'Aubert lo vide pregare appiè d'una croce piantata sulla punta d'una rupe all'orlo della strada; finita l'orazione, fe' schioccar la frusta e, senza riguardo alcuno per la difficoltà della via, nè per la vita delle povere mule, le spinse di gran galoppo sul margine d'uno spaventoso precipizio. Lo spavento d'Emilia le tolse quasi l'uso de' sensi. Suo padre, il quale temeva ancor più il pericolo di fermarsi d'improvviso, fu costretto a tornar a sedere, e tutto lasciare in balia alle mule, le quali parvero più savie del loro conduttore. I viaggiatori giunsero sani e salvi nella valle, e sostarono sul margine d'un ruscello.

Dimenticando ormai la magnificenza delle viste grandiose, internaronsi nell'angusta valle. Tutto quivi era solitario o sterile; non vi si vedea anima viva fuorchè il capriuolo montano, il quale, talfiata, mostravasi di repente sullo scosceso culmine di qualche inaccessibile dirupo. Era un sito qual l'avrebbe scelto Salvator Rosa, se avesse vissuto. Allora Sant'Aubert, colpito da tale aspetto, attendeasi quasi a veder isbucare da qualche antro vicino una torma di masnadieri, e tenea in mano le armi.

Intanto inoltravano, e la valle allargavasi, assumendo carattere meno spaventoso. Verso sera, trovaronsi sulle montagne, in mezzo a scopeti. Da lunge, intorno ad essi, il campanaccio degli armenti, la voce de' mandriani eran l'unico suono che udir si facesse; e la dimora de' pastori l'unica abitazione che là si scoprisse. Sant'Aubert notò che il lecce, il sovero e l'abete vegetavano per gli ultimi sulle vette circostanti. Ridente verzura tappezzava il fondo della valle. Scorgeasi nelle profondità, all'ombra di castagni e querce, pascere e saltellare grosse mandre, disperse od aggruppate con grazia; taluni animali dormivano presso la fresca corrente, altri vi spegnevano la sete, ed altri vi si bagnavano.

Il sole cominciava ad abbandonare la valle; i suoi ultimi raggi brillavano sul torrente, ravvivando i ricchi colori della ginestra e delle eriche fiorite. Sant'Aubert domandò a Michele quanto fosse distante il casale di cui avevagli parlato, ma esso non potè rispondergli con esattezza. Emilia cominciò a temere avesse smarrita la strada; non eravi ente umano che potesse soccorrerli, nè guidarli. Avevano lasciato da lunga mano dietro a sè e il pastore e la capanna, il crepuscolo scemava ognor più, l'occhio nulla potea discernere tra l'oscurità, e non distingueva nè casale, nè tugurio; una riga colorata segnava solo l'orizzonte, formando l'unica risorsa de' viaggiatori. Michele si sforzava di farsi coraggio cantando ariette, che per vero dire, non valevano molto a scacciare le idee lugubri, ond'erano occupati i viaggiatori.

Continuarono a camminare assorti in quei profondi pensieri cui seco traggono la solitudine e la notte. Michele non cantava più, e non si udiva che il mormorio della brezza nei boschi, nè si sentiva che la frescura. D'improvviso furono scossi dallo scoppio d'un'arme da fuoco; Sant'Aubert fece fermare la carrozza, e si pose ad ascoltare. Il romore non viene ripetuto, ma si sente correre nella macchia. Sant'Aubert prende le sue pistole, e ordina a Michele di accelerare il passo. Il suono di un corno da caccia fa rimbombare i monti; Sant'Aubert osserva, e vede un giovine slanciarsi nella strada, seguito da due cani; lo straniero era vestito da cacciatore; un moschetto ad armacollo, un corno alla cintura, ed una specie di picca in mano, davano una grazia particolare, alla sua persona, secondando l'agilità dei suoi passi.

Dopo un momento di riflessione, Sant'Aubert volle aspettarlo per interrogarlo sul casale cui cercava: il forestiere rispose che il villaggio era distante solo una mezza lega, che vi andava egli stesso, e gli avrebbe servito di guida; Sant'Aubert lo ringraziò, e colpito dalle di lui maniere semplici e franche, gli offrì un posto in carrozza. Lo straniero ricusò, assicurandolo che avrebbe seguito le mule senza fatica. « Ma voi sarete alloggiato male, » soggiuns'egli; « questi montanari sono gente poverissima; non solo non conoscono lusso, ma mancano eziandio delle cose reputate più indispensabili. – Mi accorgo che voi non siete di questo paese, » disse Sant'Aubert. – No, signore, io sono viaggiatore. »

La carrozza si avanzava, e l'oscurità crescente fe' meglio conoscere l'utilità di una guida; i sentieri poi che s'incontravano spesso, avrebbero aumentata la loro incertezza. Finalmente videro i lumi del villaggio: si distinsero alcuni casolari, o meglio si poterono discernere mercè il ruscello che ripercotea ancora il fioco chiaror del crepuscolo. Lo straniero si avanzò, e Sant'Aubert intese da lui non esistere in quel luogo nessun albergo, ma egli si offrì di cercare un ricetto. Sant'Aubert lo ringraziò, e siccome il villaggio era vicinissimo, scese per accompagnarlo, mentre Emilia li seguiva in carrozza.

Cammin facendo, Sant'Aubert domandò al compagno se aveva fatta una buona caccia. « No, signore, » rispos'egli, « e nemmanco era il mio progetto; amo questo paese e mi propongo di scorrerlo ancora per qualche settimana; ho i cani con me piuttosto per piacere, che per utilità; questo abito da cacciatore poi mi serve di pretesto, e mi fa godere della considerazione, che verrebbe ricusata senza dubbio ad un forestiero senza apparente occupazione. – Ammiro il vostro gusto, » rispose Sant'Aubert, « e, se fossi più giovine, vorrei io pure passare qualche settimana costì; siamo anche noi viaggiatori, ma il nostro scopo non è l'istesso. Io cerco la salute ancor più del piacere. » Qui sospirò e tacque per un momento; poi, raccogliendosi soggiunse: « Vorrei trovare una strada un po' buona, che mi conducesse nel Rossiglione, per passar quindi in Linguadoca. Voi, che sembrate conoscere il paese, potreste indicarmene una? »

Lo straniero lo assicurò che si sarebbe fatto un piacere di servirlo, e gli parlò d'una strada più a levante, che dovea condurre ad una città, e di là facilmente nel Rossiglione.

Giunti al villaggio, cominciarono a cercare un asilo, che potesse offrir loro ricovero per la notte; non trovarono nella maggior parte delle case che ignoranza, povertà e brio; Sant'Aubert veniva guardato con aria timida e curiosa; non bisognava aspettarsi un buon letto. Arrivò Emilia, ed osservando la fisonomia stanca ed afflitta del povero padre, si querelò ch'egli avesse scelta una strada sì poco comoda per un malato. Le migliori abitazioni erano composte di due camere; una per le mule e il bestiame, e l'altra per la famiglia, composta quasi da per tutto di sette o otto figli, e tutti, con il padre e la madre, dormivano su pelli o foglie secche; e siccome la sola apertura che fosse in quelle camere era nel tetto, eravi un fumo ed un odore nauseabondo tali, che toglievan quasi il respiro nell'entrarvi. Emilia distolse gli sguardi, e fissò il padre con tenera inquietudine, di cui il giovine forestiero parve intendere l'espressione; trasse in disparte Sant'Aubert, e gli offrì il suo letto. « Se lo paragoniamo a tutti gli altri, è abbastanza comodo, » gli disse, « ma altrove mi vergognerei di offrirvelo. »

Sant'Aubert gli attestò la sua riconoscenza e ricusò l'offerta; ma lo straniero insistette. « Non rifiutate; sarei dolente troppo, signore, » ripres'egli, « se voi giaceste sopra una pelle mentr'io mi trovassi in un letto; i vostri rifiuti offenderebbero il mio amor proprio, e potrei pensare che la mia proposta vi spiaccia; vi mostrerò la strada, e la mia albergatrice troverà modo d'allogare anche la signorina. »

Sant'Aubert consentì alfine; e restò sorpreso che lo straniero fosse tanto poco galante da preferire il riposo di un uomo a quello d'una giovane vezzosa, non avendo offerta la camera ad Emilia; ma essa non fu della medesima opinione, e con un sorriso espressivo gli dimostrò quanto fosse sensibile all'attenzione da lui avuta pel padre.

Il forestiero, che si chiamava Valancourt, si fermò il primo per dire qualche cosa alla sua albergatrice. L'alloggio ch'essa aprì non somigliava punto a tutti quelli che fin allora avevan veduti. La buona donna impiegò tutte le sue premure nell'accoglier bene i viaggiatori, ed essi furono costretti di accettare i due soli letti che si trovassero in quella casa. Ova e latte erano il solo cibo che potesse offrire, ma Sant'Aubert aveva provvisioni, e pregò Valancourt di cenare con loro; l'invito fu benissimo accolto, e la conversazione si animò. La franchezza, la semplicità, le idee grandiose ed il gusto per la natura che mostrava di aver il giovane, incantavano Sant'Aubert. Egli aveva detto spesso che quest'interesse per la natura non poteva esistere in un'anima che non avesse gran purità di cuore e d'immaginazione.

I discorsi furono interrotti da un violento tumulto, in cui la voce del mulattiere cuopriva tutte le altre. Valancourt si alzò per saperne il motivo, e la disputa durò tanto, che Sant'Aubert perdè la pazienza e uscì egualmente. Michele altercava coll'albergatrice, perchè essa proibivagli d'introdurre i muli nella stalla, che gli aveva permesso di dividere co' suoi tre figli; il sito non era molto bello per verità, ma non eravi nulla di meglio, e, più delicata dei suoi conterranei, essa non voleva che i figli dormissero nella medesima stanza coi muli. Valancourt riuscì finalmente a pacificar tutti. Pregò l'albergatrice di lasciare la stalla al mulattiere ed ai suoi muli; cedè ai di lei figli le pelli stategli preparate per riposarsi, e l'assicurò che, avvolto nel mantello, avrebbe passato benissimo la notte su di una panca vicino alla porta. La buona donna non voleva accettare simile accomodamento, ma Valancourt insistè tanto, che questo grande affare terminò così.

Era tardi, quando Sant'Aubert ed Emilia si ritirarono nelle loro stanze; Valancourt restò dinanzi alla porta. In quella bella stagione preferiva siffatto posto ad una stanzuccia e ad un letto di pelli. Sant'Aubert fu alcun poco sorpreso di trovare nella camera Omero, Orazio ed il Petrarca, ma il nome di Valancourt scritto su quei volumi, glie ne fece conoscere il possessore.

CAPITOLO IV

Sant'Aubert si svegliò di buonissim'ora; il sonno l'aveva ristorato, e volle partire subito. Valancourt fece colazione con lui, e narrò che pochi mesi prima era stato fino a Beaujeu, città grossa del Rossiglione, e Sant'Aubert, dietro suo consiglio, si decise di prendere quella direzione.

« La scorciatoia, e la strada che conduce a Beaujeu, » disse il giovane, « si uniscono alla distanza di una lega e mezza di qua: se volete permetterlo, posso dirigervi il vostro mulattiere; bisogna ch'io passeggi, e la passeggiata che farò con voi, vi sarà più gradita di qualunque altra. »

Sant'Aubert accettò la proposta con grato animo; partirono insieme, ma il giovine non volle acconsentire di entrare nella carrozza. La strada alle falde de' monti percorreva una valle ridente splendida per verzura e sparsa di boschetti. Numerosi armenti vi riposavano all'ombra delle quercette, dei faggi e de' sicomori; il frassino e la tremula lasciavan ricadere le fronzute punte de' rami sulle aride rocce; un po' di terra appena ne ricopriva le radici, ed il più lieve soffio ne agitava tutti i rami.

Ad ogni ora del dì vi s'incontrava gente. Il sole non compariva ancora, e già i pastori guidavano una immensa mandra a pascere su pe' monti. Sant'Aubert era partito assai presto per godere della vista del sorger del sole e respirare l'aura pura mattutina, tanto proficua a' malati, e che dovea esserlo specialmente in quelle regioni ove la copia e varietà delle piante aromatiche la impregnavano della più soave fragranza.

La leggera nebbia che velava gli oggetti circostanti dileguossi a poco a poco, e permise ad Emilia di contemplare i progressi del dì.

I riflessi incerti dell'aurora, indorando le punte delle rupi, rivestironle successivamente di vivida luce, mentre la lor base ed il fondo della valle restavan coperti da negro vapore. Intanto, le tinte delle nubi d'oriente rischiararonsi, s'imporporarono, e rifulsero alfine di mille splendidi colori.

La trasparenza dell'atmosfera lasciò allo scoverto fiotti d'oro puro, i raggi brillanti fugarono le tenebre, e penetrarono nelle fondure della valle ripercotendosi negli argentei rivi: la natura destavasi da morte a vita. Sant'Aubert si sentì ravvivato; avea il cuore commosso; versò lagrime ed innalzò i pensieri al Creatore di tutte le cose.

Emilia volle scendere a calpestar quell'erba tutta rorida di fresca rugiada; essa voleva gustar quella libertà onde il camoscio parea fruire sulle brune vette de' monti. Valancourt sostava coi viaggiatori, mostrando loro con sentimento gli oggetti particolari della sua ammirazione. Sant'Aubert se gli affezionava. – Il giovine è focoso, ma buono; dicea fra sè; – ben si vede che non ha mai abitato Parigi. – Egli arrivò al punto dove si univano le due strade, con molto suo dispiacere; e si congedò con più cordialità che non lo permetta d'ordinario una nuova conoscenza. Valancourt continuò a discorrere buona pezza vicino alla carrozza; era il momento di separarsi, e non dimanco restava sempre mettendo in campo argomenti che lo scusassero di questo prolungamento. Alla perfine accommiatossi, e quando partì, Sant'Aubert osservò come contemplasse Emilia con isguardo attento ed espressivo; ella lo salutò con timida dolcezza; la carrozza partì, ma Sant'Aubert poco dopo, sporgendo la testa, osservò Valancourt immobile sulla strada, colle braccia incrociate sul bastone, e gli occhi fissi sulla carrozza; lo salutò colla mano, e Valancourt, scosso dalla sua estasi, gli fece il saluto e si allontanò.

L'aspetto del paese cambiò in breve: i viaggiatori, si trovavano allora in mezzo ad altissime montagne coperte fino alla sommità da negri boschi di abeti. Varie punte granitiche, sorgendo dalla valle stessa, andavan a celare in grembo alle nubi le nevose cime. Il ruscello, divenuto un fiume, scorreva in dolce silenzio, e quei cupi boschi riflettevano la loro ombra nelle sue limpide acque. Per intervalli uno scosceso dirupo inalzava l'ardita fronte al di sopra dei boschi e dei vapori che servivan di cintura ai monti; talvolta una marmorea aguglia sosteneasi perpendicolarmente al fiorito margine delle acque; un larice colossale la stringea colle robuste braccia, e la sua fronte, solcata dalla folgore, coronavasi ancora di verdi pampini.

Quando la carrozza camminava adagio, Sant'Aubert scendeva, e si compiaceva di andare in cerca di piante curiose, ond'erano sparsi quei luoghi; Emilia, nell'esaltazione dell'entusiasmo, s'internava nei folti boschi, tendendo l'orecchio in silenzio al loro imponente mormorio.

Per lo spazio di molte leghe non incontrarono nè villaggi, nè casali di sorte alcuna; qualche capanna di cacciatori qua e là era la sola traccia di abitazione umana. I viaggiatori pranzarono a ciel sereno, in un bel sito della valle, assisi all'ombra dei faggi; dopo di che partirono immediatamente per Beaujeu.

La strada saliva sensibilmente, e lasciando i pini disotto a loro, trovaronsi in mezzo a precipizi. Il crepuscolo della sera accrescea l'orrore de' luoghi, ed i viaggiatori ignoravano la distanza di Beaujeu. Sant'Aubert nonpertanto credea di non esserne molto lontano, e si rallegrava di non aver quindi più oltre quella città, a varcare simili deserti. Le selve, le rupi, i circostanti gioghi confondevansi a poco a poco nell'oscurità, ed in breve non fu più possibile discernere quelle indistinte immagini. Michele precedeva cauto, appena scorgendo la via ma le sue mule, più esperte, camminavano ancora con passo franco.

Alla svolta di un monte, videro un lume; i dirupi e l'orizzonte furono illuminati a gran distanza. Gli era certo un gran fuoco, ma nulla indicava se fosse accidentale o preparato. Sant'Aubert lo credette acceso da qualche masnada di quei banditi che infestavano i Pirenei; stava molto attento, e desiderava sapere se la strada passava vicino a quel fuoco. Aveva armi da potersi difendere in caso di bisogno; ma a che serviva una sì debole risorsa contro una banda di assassini determinati? Rifletteva a questa circostanza, quando udì una voce dietro di essi, che intimava al mulattiere di fermarsi. Sant'Aubert gli ordinò di camminar più presto, ma o fosse per testardaggine di Michele, o dei muli, questi non cambiarono il loro passo; s'intese il galoppo di un cavallo; un uomo raggiunse la carrozza, e ordinò nuovamente di fermarsi. Sant'Aubert, non dubitando più del costui disegno, scaricò una pistola dallo sportello; l'incognito vacillò sul cavallo, ed il romore del colpo fu seguito da un gemito di dolore. Sarà facile immaginarsi lo spavento di Sant'Aubert, il quale credè riconoscere allora la voce dolente di Valancourt. Fece arrestare egli stesso la carrozza, pronunziò il nome del giovane, e non potè averne più alcun dubbio. Scese tosto, e corse a soccorrerlo; il giovane era ancora a cavallo, il suo sangue scorreva in copia, e sembrava soffrir molto, sebbene cercasse di consolare Sant'Aubert, assicurandolo che non era nulla, e sentivasi ferito solo leggermente nel braccio. Sant'Aubert e il mulattiere lo aiutarono a smontare e l'adagiarono in terra; il primo voleva fasciargli la ferita, ma gli tremavano le mani talmente, che non potè riuscirvi. Michele intanto correa dietro al cavallo ch'era fuggito mentre ne scendea il padrone; chiamò Emilia, e non ricevendo risposta, corse alla carrozza, e la trovò svenuta. In questa terribile situazione, e spinto dal dolore di lasciare Valancourt perdere il sangue, si sforzò di sollevarla, e chiamò Michele per chieder acqua dal ruscello vicino. Michele era andato troppo lontano, ma Valancourt, udendo il nome di Emilia, capì di che si trattava, ed obbliando sè medesimo, andò in suo soccorso; essa era già rinvenuta quando le fu vicino; egli seppe che il deliquio era stato cagionato dal timore del sinistro occorsogli, e con voce turbata da tutt'altro sentimento che da quello del dolore, l'assicurò che la sua ferita era di pochissima conseguenza. Sant'Aubert si accorse allora che il sangue non era ancora stagnato; i suoi timori cambiarono oggetto; lacerò un fazzoletto per bendargli la piaga: il sangue si fermò, ma egli temendo le conseguenze, domandò più volte se Beaujeu fosse ancora molto lontano, ed avendo inteso ch'era distante due leghe, il suo timore crebbe. Ignorava se Valancourt avrebbe potuto resistere al moto della carrozza, e lo vedeva sul punto di svenire. Appena questi ebbe conosciuta la sua inquietudine, si affrettò di rincorarlo, e parlò della sua avventura come di una bagatella. Michele aveva ricondotto il cavallo; Valancourt, salì nella carrozza; Emilia s'era riavuta, e continuarono la strada di Beaujeu.

Sant'Aubert, rinvenuto dal terrore, manifestò la sua sorpresa sull'incontro di Valancourt; ma questi la fece cessare. « Voi avete rinnovato il mio gusto per la società, » gli disse; « dopo la vostra partenza, il mio casolare mi sembrava un deserto. E giacchè il mio unico scopo è quello di viaggiare per diletto, mi sono deciso di partire immediatamente. Ho presa questa strada, perchè sapeva ch'era più bella di qualunque altra; e d'altronde, » aggiunse esitando un poco, « lo confesserò (e perchè non dovrei confessarlo?), io aveva qualche speranza di raggiungervi. – Ed io ho crudelmente corrisposto alla vostra gentilezza, » riprese Sant'Aubert, che si rimproverava la sua fretta, e glie ne spiegò il motivo. Ma Valancourt, premuroso di evitare qualunque inquietudine sul di lui conto, nascose l'ambascia che provava, e seguitò a conversare allegramente. Emilia stava in silenzio, a meno che Valancourt non le volgesse la parola, ed il tuono commosso con cui lo faceva, valeva da per sè loro ad esprimere molto.

Trovavansi allora presso a quel fuoco che spiccava tanto vivamente nell'oscurità della notte: illuminava allora la strada tutta, e poteasi facilmente distinguere le figure che la circondavano. Accostandosi, riconobbero una banda di zingari che, specialmente in quell'epoca frequentavano i Pirenei, svaligiando i viaggiatori. Emilia notò con ispavento l'aspetto truce di quella compagnia, ed il fuoco che li rischiarava, diffondendo una nube purpurea sugli alberi, gli scogli e le frondi, aumentava l'effetto bizzarro del quadro.

Tutti quegli zingari preparavano la cena. Una larga caldaia stava sul fuoco, e parecchie persone occupavansi ad empirla. Lo splendore della fiamma faceva scorgere una specie di rozza tenda, intorno alla quale giuocherellavano alla rinfusa ragazzi e cani. Il tutto formava un complesso veramente grottesco. I viaggiatori sentivano il pericolo. Valancourt taceva, ma mise la mano sur una delle pistole di Sant'Aubert, il quale, fatto altrettanto, fece avanzare il mulattiere. Passarono nondimeno senza ricevere insulti. I ladri non s'aspettavano probabilmente a tale incontro, ed occupavansi troppo della cena per sentire allora tutt'altro interesse.

Dopo un'ora e mezza di cammino nella più profonda oscurità, i viaggiatori arrivarono a Beaujeu e smontarono al solo albergo che vi fosse, e che, sebbene molto superiore alle capanne, non cessava però di essere cattivo.

Fu fatto venire immediatamente il chirurgo della città, se tuttavolta si può dar questo nome ad una specie di maniscalco, che curava uomini e cavalli, e che in caso di bisogno, faceva anche da barbiere. Esaminò il braccio di Valancourt, e avendo riconosciuto che la palla non era penetrata nelle carni, lo medicò e gli raccomandò il riposo; ma il paziente non era in verun modo disposto ad obbedirlo. Il piacere di star meglio era succeduto all'inquietudine del male; chè ogni godimento diviene positivo quando contrasta con un pericolo. Valancourt aveva riacquistate le forze, e volle prender parte alla conversazione. Sant'Aubert ed Emilia, liberi da qualunque timore, erano di una singolare allegrezza. Era già tardi, e Sant'Aubert fu costretto di uscire col locandiere per andar a cercare qualche cosa per la cena. Emilia, nell'intervallo, si assentò anch'essa sotto pretesto di mettere in ordine alcune sue cose; trovò l'alloggio meglio disposto di quello che credea e quindi tornò a raggiugnere Valancourt. Parlarono delle vedute scoperte in quel giorno, dell'istoria naturale, della poesia, e finalmente del padre d'Emilia la quale non poteva parlare o sentir parlare, se non con gioia, d'un soggetto tanto caro al suo cuore.

La serata passò piacevolmente, ma siccome Sant'Aubert era stanco, e Valancourt soffriva ancora, si separarono subito dopo cena.

La mattina seguente, Valancourt aveva la febbre, non aveva dormito e la sua ferita era infiammata: il chirurgo, che venne a visitarlo di buon'ora, lo consigliò di restar tranquillo a Beaujeu. Sant'Aubert aveva pochissima fiducia nei di lui talenti; ma avendo inteso che non se ne poteva trovare uno più abile, cambiò il suo piano, e risolse di aspettare la guarigione del malato. Valancourt parve cercar di dissuadernelo, ma con più garbo che buona fede. La sua indisposizione trattenne i viaggiatori per più giorni colà. Sant'Aubert ebbe luogo di conoscere i di lui talenti ed il suo carattere, con quella precauzione filosofica, che sapeva tanto bene impiegare in tutte le circostanze. Conobbe un naturale franco e generoso, pieno di ardore, suscettibile di tutto ciò ch'è grande e buono, ma impetuoso, quasi selvaggio ed alquanto romanzesco. Valancourt conosceva poco il mondo; avea idee assennate, sentimenti giusti; la sua indignazione, come la sua stima si esprimevano senza misura, nè riguardi. Sant'Aubert sorrideva della sua veemenza, ma la reprimea di rado, e diceva fra sè: – Questo giovine, senza dubbio, non è mai stato a Parigi. – Un sospiro succedeva a queste riflessioni: egli era deciso di non lasciar Valancourt prima del suo pieno ristabilimento, e siccome esso era allora in istato di viaggiare, ma non a cavallo, Sant'Aubert l'invitò ad approfittar qualche giorno della sua carrozza. Avendo saputo che il giovine era d'una famiglia distinta di Guascogna, il cui grado e la considerazione erangli ben noti, la sua riserva fu meno grande, e Valancourt avendo accettato l'offerta con piacere, ripresero tutti insieme la strada che conduceva al Rossiglione.

Viaggiavano senza sollecitarsi, fermandosi quando il sito meritava attenzione; s'inerpicavano spesso sopra alture, cui non potevan giugnere le mule; smarrivansi tra que' dirupi, coperti di lavanda, di timo, di ginepro di tamarindo, e protetti da ombre antiche; una bella vista entusiasmava Emilia, superando le maraviglie della più fervida imaginazione. Sant'Aubert si divertiva talvolta ad erborizzare, mentre Emilia e Valancourt attendevano a qualche scoperta: il giovane le faceva osservare gli oggetti particolari della sua ammirazione, e recitava i più bei passi dei poeti italiani o latini cui essa prediligeva. Nell'intervallo della conversazione, e quando non era osservato, fissava gli sguardi su quel leggiadro volto, i cui lineamenti animati indicavano tanto spirito ed intelligenza: quando parlava in seguito, la dolcezza della sua voce palesava un sentimento cui cercava invano di nascondere. Grado grado, le pause ed il silenzio di lui divennero più frequenti: Emilia mostrò molta premura d'interromperli: essa fin allora così riservata, parlava del continuo, ora dei boschi, ora delle valli, ora dei monti, anzichè esporsi al pericolo di certi momenti di silenzio e di simpatia.

La via di Beaujeu saliva rapidissimamente: ei si trovarono in mezzo a' più eccelsi monti; la serenità e purezza dell'aere, in quell'alte regioni, entusiasmavano i tre viaggiatori; l'anima loro ne pareva alleggerita, ed il loro spirito diventato più penetrante. Ei non avevano parole ad esprimere emozioni tanto sublimi, quelle di Sant'Aubert ricevevano un espressione più solenne: le lagrime irrigavangli le guancie, e camminava in disparte. Valancourt parlava tratto tratto per attirar l'attenzione di Emilia; la limpidezza dell'atmosfera che lasciavale distinguere tutti gli oggetti, ingannavala talvolta, e sempre con piacere. Essa non poteva credere sì lunge da lei ciò che parevale così vicino; il silenzio profondo della solitudine non era interrotto se non dal grido delle aquile svolazzanti per l'aere, e dal sordo rumoreggiar de' torrenti in fondo degli abissi. Di sopra ad essi la splendida volta de' cieli non era oscurata da nube alcuna, i vortici di vapore sostavano in grembo a' monti, il loro rapido movimento velava talvolta tutto il paese, e tal altra scoprendone parte, lasciava all'occhio alquanti momenti d'osservazione. Emilia, estatica, contemplava la grandezza di quelle nubi che variavano forma e tinte; ne ammirava l'effetto sulle sottostanti contrade cui davano ad ogni istante mille nuove forme.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
04 ağustos 2018
Hacim:
170 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain

Bu kitabı okuyanlar şunları da okudu