Kitabı oku: «I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1», sayfa 6
– È cosa straordinaria, » rispose Sant'Aubert, senza fermarsi alla domanda.
– E perchè? » disse Emilia con timida curiosità. Egli non rispose, e ricadde nella sua meditazione; ne uscì poco dopo, e domandò chi fosse il suo erede.
« Mi son dimenticato del nome » disse Voisin; « ma so che questo signore abita Parigi, e che non pensa neppur per ombra di venire al suo castello.
– Il castello è egli ancora chiuso?
– A un bel circa, signore; la vecchia castalda e suo marito ne hanno cura, ma vivono in una casuccia poco distante.
– Il castello è spazioso, » disse Emilia, « e dee essere molto deserto, se non ha che due abitanti.
– Deserto! oh sì, signorina, » rispose Voisin; « non vorrei passarvi la notte per tutti i tesori del mondo.
– Che dite mai? » soggiunse Sant'Aubert, uscendo dalla sua meditazione; e Voisin ripetè l'istessa protesta. Sant'Aubert non potè trattenere una specie di singulto; ma quasi avesse voluto evitare le osservazioni, domandò prontamente a Voisin da quanto tempo abitasse quel paese.
« Quasi dalla infanzia, » rispose l'ospite.
– Vi rammentate voi della defunta marchesa? » disse Sant'Aubert con voce alterata.
– Ah! signore, se me lo ricordo; ve ne sono molti altri che non l'hanno dimenticata neppur essi.
– Sì, » rispose Sant'Aubert, « ed io sono uno di quelli.
– Dunque vi ricorderete d'una bella ed eccellente signora: dessa meritava una sorte migliore. »
Sant'Aubert versò qualche lagrima.
« Basta, » diss'egli con voce quasi soffocata, « basta, amico mio. »
Emilia, sebbene sorpresissima, non si permise di manifestare i suoi sentimenti con veruna dimanda. Voisin volle scusarsi, ma Sant'Aubert l'interruppe. « L'apologia è inutile, » gli disse; « cambiamo piuttosto tema di conversazione. Voi parlavate della musica che abbiamo sentita.
– Sì, signore, ma zitto, essa ricomincia; ascoltate questa voce. »
Udirono infatti una voce dolce, tenera ed armoniosa, ma i cui suoni, debolmente articolati, non permettevano di distinguer nulla che somigliasse a parole. Ben presto essa cessò, e lo strumento che l'accompagnava intuonò teneri concenti. Sant'Aubert osservò che i tuoni n'erano più pieni e melodiosi di quelli d'una chitarra, ed anche più malinconici di quelli d'un liuto. Continuarono ad ascoltare, e non sentirono più nulla.
« Questo è strano, » disse Sant'Aubert, rompendo alfine il silenzio.
– Stranissimo, » disse Emilia.
– È vero, » soggiunse Voisin; e tacquero tutti.
Dopo una lunga pausa, Voisin ripigliò:
« Sono circa diciotto anni che intesi questa musica per la prima volta in una bellissima notte estiva, men ricordo; ma era più tardi. Io passeggiava solo nel bosco; mi ricordo ancora ch'era molto afflitto; aveva un figliuolo malato, e temeva di perderlo; aveva vegliato tutta sera al suo letto, mentre sua madre dormiva, avendolo essa assistito tutta la notte precedente. Uscii per prendere un po' d'aria; la giornata era stata caldissima, ed io passeggiava pensieroso sotto gli alberi; udii una musica in lontananza, e pensai fosse Claudio che suonasse la sua zampogna; egli era amantissimo di questo strumento. Quando la sera era bella, stavasi un pezzo sulla sua porta a suonare; ma quando arrivai in un luogo ove gli alberi erano meno folti (non me ne scorderò per tutta la vita), mentr'io guardava le stelle di settentrione, che in quel momento erano molto alte, tutto a un tratto udii suoni, ma suoni ch'io non posso descrivere: sembrava un concerto di angeli; guardai attentamente, e mi pareva sempre di vederli salire al cielo. Quando tornai a casa, raccontai ciò che aveva ascoltato; si burlarono tutti di me, e mi dissero ch'erano pastori, i quali avean suonato il loro flauto; non potei mai persuaderli del contrario. Poche sere dopo, mia moglie udì l'istessa armonia, e fu sorpresa quanto me. Il padre Dionigi la spaventò moltissimo, dicendole che il cielo mandava questo avvertimento per annunziare la morte di suo figlio, e che questa musica aggiravasi intorno alle case, contenenti qualche moribondo. »
Emilia, nell'ascoltare quelle parole, si sentì colpita da un timore superstizioso affatto nuovo per lei, ed ebbe molta difficoltà a nascondere il suo turbamento al padre.
« Ma nostro figlio visse, o signore, a dispetto del padre Dionigi.
– Il padre Dionigi? » disse Sant'Aubert, il quale ascoltava con attenzione tutti i racconti del buon vecchio; « noi siam dunque vicini ad un convento?
– Sì, signore, il convento di Santa Chiara è poco distante da noi; esso è sulla riva del mare.
– O cielo! » sclamò Sant'Aubert, come colpito da un'improvvisa rimembranza; « il convento di Santa Chiara! »
Emilia osservò che ai segni del dolore sparsi sulla di lui fronte, mescolavasi un sentimento di orrore. Esso restò immobile; l'argenteo chiaror della luna colpivagli allora il volto; somigliava ad una di quelle marmoree statue che, poste su di un mausoleo, sembran vegliare sulle fredde ceneri, ed affliggersi senza speranza.
« Ma, caro papà, » disse Emilia, volendo distrarlo dai tristi pensieri, « voi vi scordate quanto avete bisogno di riposo; se il nostro buon ospite me lo permette, io andrò a prepararvi il letto, giacchè so come desiderate che sia fatto. »
Sant'Aubert si raccolse alquanto, e sorridendole con dolcezza, la pregò di non aumentare la sua fatica con questa nuova premura. Voisin, la cui cortesia era stata sospesa dall'interesse che avevano eccitato i suoi racconti, si scusò di non aver fatto venire ancora Agnese, ed uscì per andare a prenderla.
Poco dopo tornò, conducendo sua figlia, giovine di amabilissima presenza. Emilia intese da lei ciò che non aveva ancora sospettato, cioè che, per dar ricovero a loro, bisognava che parte della famiglia cedesse i suoi letti. Si afflisse di questa circostanza; ma Agnese, nella sua risposta, mostrò la medesima buona grazia e l'istessa ospitalità del padre. Fu dunque deciso che parte dei figli e Michele andassero a dormire in una casa poco distante.
« Se domani io starò meglio, mia cara Emilia, » disse Sant'Aubert, « noi partiremo di buon'ora per poterci riposare durante il caldo del giorno, e torneremo a casa. Nello stato della mia salute e delle mie idee, non posso pensare se non con pena ad un viaggio più lungo, e sento il bisogno di tornare alla valle. »
Anche Emilia desiderava questo ritorno, ma si turbò sentendo una risoluzione così subitanea. Suo padre, senza dubbio, stava molto peggio di quello che voleva far credere. Sant'Aubert si ritirò per prendere un po' di riposo. Emilia chiuse la sua cameretta, e non potendo dormire, i di lei pensieri la ricondussero all'ultima conversazione relativa allo stato delle anime dopo morte. Questo soggetto l'alterava sensibilmente, dacchè non poteva più lusingarsi di conservare lungamente il padre. Ella si appoggiava pensierosa ad una finestrella aperta. Assorta nelle sue riflessioni, alzava gli occhi al cielo; vedeva il firmamento sparso d'innumerevoli stelle, abitate forse dagli spiriti incorporei; i suoi occhi erravano negli immensi spazi eterei: i di lei pensieri s'innalzavano, come prima, verso la sublimità di un Dio, e la contemplazione dell'avvenire. Il ballo era cessato, le capanne erano silenziose, l'aria sembrava appena sommuovere leggermente la sommità degli alberi; il belato di qualche pecorella smarrita, tratto tratto il suono lontano di un campanello, il romore di una porta che si chiudeva, interrompevano soli il silenzio della notte. Anzi da ultimo questi diversi suoni, che le rammentavano la terra e le sue occupazioni, cessarono del tutto: cogli occhi lagrimosi, penetrata da una rispettosa devozione, restò alla finestra fintanto che, verso mezzanotte, l'oscurità si fu estesa sulla terra, e che la stella indicata da Voisin disparve dietro il bosco. Si ricordò allora di ciò ch'egli aveva detto su tal proposito, e rammentossi la musica misteriosa; stava alla finestra, sperando e temendo nel tempo istesso di sentirla tornare; era occupata della forte commozione del padre, quando Voisin aveva annunziata la morte del marchese di Villeroy e rammentata la sorte della marchesa, e si sentiva vivamente interessata di conoscerne la causa. La di lei curiosità su questo oggetto era tanto più viva, in quanto che suo padre non aveva mai pronunziato alla di lei presenza il nome di Villeroy. La musica non si sentì: Emilia si accorse che le ore riconducevanla a nuove fatiche; pensò che bisognava alzarsi di buon mattino, e si decise di porsi a letto.
CAPITOLO VII
Emilia fu svegliata di buon'ora, come l'aveva preveduto. Il sonno l'aveva ristorata un poco; era stata invasa da sogni penosi, e la più dolce consolazione degl'infelici non aveale menomamente giovato. Aprì la finestra, guardò il bosco, respirò l'aria pura dell'aurora, e si sentì più tranquilla. Tutto il paese spirava quella frescura che sembra apportar la salute. Non si sentivano che suoni dolci e simpatici, come la campana d'un convento lontano, il mormorio delle onde, il canto degli uccelli e il muggito del bestiame, ch'essa vedeva camminare lentamente fra gli sterpi e gli alberi.
Emilia udì un movimento nella sala, e riconobbe la voce di Michele, che parlava alle sue mule ed usciva con loro da una capanna vicina: uscì essa pure, e trovò il padre, il quale erasi alzato in quel momento, e non istava meglio di prima. Lo condusse nella stanzetta dove avevano cenato la sera avanti: vi trovarono una buonissima colazione, e l'ospite e sua figlia, che li aspettavano per augurar loro il buon giorno.
« Io v' invidio questa bella dimora, amici miei, » disse Sant'Aubert nel vederli; « essa è così piacevole, così placida, così decente! E l'aria che vi si respira! Son certo che questa potrebbe forse restituirmi la salute. »
Voisin lo salutò garbatamente, e gli rispose con civiltà squisita: « La mia dimora è divenuta invidiabile, dacchè voi e questa signorina l'avete onorata della vostra presenza. »
Sant'Aubert sorrise amichevolmente a questo complimento, e si mise a tavola, la quale era coperta di frutta, burro e cacio fresco. Emilia, che aveva esaminato attentamente il padre, e lo trovava in uno stato deplorabile, l'impegnava premurosamente a protrarre la sua partenza fino a sera; ma egli sembrava impaziente di tornare a casa, ed esprimeva questa impazienza con un calore veramente straordinario. Assicurava che da lunga pezza non s'era sentito tanto bene, e che viaggerebbe con minor pena al fresco del mattino che ad ogni altra ora del dì. Ma mentre esso parlava col suo ospite rispettabile, e lo ringraziava della cortese accoglienza fattagli, Emilia lo vide cambiar di colore e cadere sulla sedia prima ch'essa potesse sostenerlo. In pochi momenti si rimise dall'improvviso deliquio, ma stava così male, che si riconobbe incapace di viaggiare; e dopo aver lottato un poco contro la violenza dei suoi mali, domandò di essere aiutato a risalire la scala, e rimettersi in letto. Questa preghiera rinnovò tutti i terrori di Emilia provati il giorno antecedente, ma sebbene potesse appena sostenersi, e resistere al colpo fatale che la colpiva, procurò di reprimere il proprio dolore, e dandogli il braccio tremante, aiutò il padre a tornare nella sua camera.
Appena fu in letto, egli fece chiamare Emilia, la quale piangeva fuori della stanza, e chiese di esser lasciato solo con lei. Allora le prese la mano, e fissò gli occhi nella figlia con tanta tenerezza e dolore, che il suo coraggio l'abbandonò, ed essa proruppe in un pianto dirotto. Sant'Aubert cercava di conservare la sua fermezza, e non poteva parlare; non poteva che stringerle la mano, e trattenere a stento le proprie lacrime; alfine prese la parola.
« Mia cara figlia, » diss'egli, sforzandosi di sorridere in mezzo all'impressione del suo dolore, « mia cara Emilia! » Fece una pausa, alzò gli occhi al cielo, come per implorarne l'assistenza, ed allora con un tuono di voce più fermo, con uno sguardo in cui la tenerezza paterna univasi con dignità alla pia solennità d'un santo, « Figliuola, » le disse, « io vorrei addolcire le tristi verità che sono costretto a svelarti, ma non so nasconderti nulla. Oimè! vorrei poterlo fare, ma sarebbe troppo crudele di prolungare il tuo errore: la nostra separazione è imminente; convien dunque parlarne, e prepararci a sopportarla con le nostre riflessioni e le preghiere. » Gli mancò la voce; Emilia, sempre piangendo, si strinse la di lui mano al seno, ed oppressa da convulsi sospiri, non aveva nemmen forza d'alzare gli occhi.
« Non perdiamo un solo momento, » disse Sant'Aubert, rientrando in sè stesso; « ho molte cose da dirti. Debbo rivelarti un segreto della più alta importanza, ed ottenere da te una solenne promessa; quando ciò sarà fatto, io sarò più tranquillo. Tu devi aver già osservato, mia cara, quanto desidero di essere a casa mia; tu ne ignori la ragione: ascolta ciò che sono per dirti. Ma aspetta, ho bisogno di questa promessa, fatta a tuo padre moribondo! »
Emilia colpita da queste ultime parole, come se per la prima volta avesse conosciuto il pericolo del padre, alzò la testa; le sue lacrime si arrestarono, e guardandolo un momento con l'espressione di un'insopportabile afflizione, fu assalita dalle convulsioni, e svenne. Le grida di Sant'Aubert attirarono Voisin ed Agnese, che le apprestarono tutti i possibili soccorsi, ma per lunga pezza indarno. Quando Emilia rinvenne, Sant'Aubert era così spossato da tutta quella scena, che restò qualche minuto senza poter parlare. Un cordiale presentatogli da Emilia, rianimò le sue forze. Allorchè per la seconda volta furono soli, egli sforzossi di calmarla, e le prodigò tutte le consolazioni compatibili colla circostanza. Ella si gettò nelle sue braccia, pianse dirottamente, ed il dolore la rendeva talmente insensibile a' suoi discorsi, ch'egli cessò di parlare, non potendo che intenerirsi e mescolare le proprie lacrime a quelle della fanciulla. Richiamata alfine ad un sentimento di dovere, volle risparmiare al padre un più lungo spettacolo del suo dolore; si sciolse dalle di lui braccia, asciugò le lacrime, ed articolò qualche parola di consolazione.
« Cara Emilia, » riprese Sant'Aubert, « figliuola mia, assoggettiamoci con umile rassegnazione all'Ente che ci ha protetti e consolati nei pericoli e nelle afflizioni. Ogni istante della nostra vita è da lui conosciuto; egli non ci ha mai abbandonati, e non ci vorrà abbandonare neppure in questo momento. Io sento questa consolazione nel mio cuore; ti lascerò, figlia mia, ti lascerò nelle di lui braccia, e sebbene io abbandoni questo mondo, sarò sempre alla tua presenza. Sì; Emilia cara, non piangere: la morte in sè stessa non ha nulla di nuovo o di sorprendente, giacchè sappiamo tutti di essere nati per morire; essa non ha nulla di terribile per coloro che confidano in un Dio onnipotente. Se la vita mi fosse stata prolungata, il corso della natura me la avrebbe tolta fra pochi anni. La vecchiaia, e tuttociò ch'ella porta seco d'infermità, di privazioni e d'affanni, sarebbero state quanto prima il mio retaggio; la morte finalmente sarebbe giunta, e ti sarebbe costata quelle lacrime che spargi in questo momento. Rallegrati piuttosto, cara figlia, di vedermi liberato da tanti mali. Io muoio con uno spirito libero, suscettibile delle consolazioni della fede, e con perfetta rassegnazione. »
Si fermò stanco di parlare. Emilia si sforzò di ricomporsi, e rispondendo a ciò che le aveva detto, cercò di persuaderlo che non aveva parlato invano.
Dopo un poco di riposo, egli ripigliò. « Ma torniamo al soggetto che tanto mi preme. Ti ho detto che aveva da chiederti una promessa solenne; bisogna ch'io la riceva, prima di spiegarti la circostanza principale di cui devo parlarti; sonvene altre che, pel tuo riposo, importa che tu ignori per sempre. Promettimi dunque che eseguirai esattamente ciò che sono per ordinarti. »
Emilia, colpita dalla gravità di queste espressioni, si terse le lagrime, cui non poteva impedirsi dallo spargere; e guardando il padre eloquentemente, si obbligò con giuramento a fare ciò che egli esigerebbe da lei, senza sapere di che si trattasse. Allora egli continuò: « Ti conosco troppo, Emilia cara, per temere che tu abbia a mancar mai ai tuoi impegni, ma sopratutto ad un impegno così rispettabile. La tua parola mi pone in calma, e la tua lealtà diviene di un'importanza inconcepibile per la tranquillità dei tuoi giorni. Ascolta ora ciò che debbo dirti. Il gabinetto contiguo alla mia camera nel nostro castello della valle contiene una specie di botola, che si apre sotto un'asse del pavimento; la riconoscerai ad un nodo rimarchevole del legno; d'altronde, è la penultima asse dalla parte della parete, ed in faccia alla porta della camera. Circa ad un braccio di distanza dalla finestra, scorgerai una commessura, come se la tavola ne fosse stata cambiata; calca il piede su quella linea, la tavola si abbasserà, e potrai facilmente farla scorrere sotto l'altra; di sotto troverai un vuoto. » Egli si fermò per prender fiato, ed Emilia restò nella più profonda attenzione. « Capisci tu queste istruzioni, mia cara? » le disse egli. Emilia, capace appena di proferir accento, l'assicurò che l'intendeva benissimo.
« Quando tornerai a casa… » E sospirò profondamente.
Appena ella lo sentì parlare di questo ritorno, tutte le circostanze che dovevano accompagnarlo si presentarono alla di lei immaginazione; ebbe un nuovo accesso di dolore, e Sant'Aubert, più afflitto ancora dallo sforzo e dal ritegno fattosi, non potè trattenere le lacrime. Dopo alcuni momenti, si riebbe, e continuò: « Cara figlia, consolati; quando non esisterò più non sarai abbandonata. Ti lascio sotto l'immediata protezione della provvidenza, che non mi ha negato mai i suoi soccorsi. Non mi affliggere coll'accesso della tua disperazione; insegnami piuttosto, col tuo esempio, a moderare quella che risento. »
Il malato, il quale non parlava se non con difficoltà, ripigliò il suo discorso dopo una pausa. « Quel gabinetto, mia cara..... quando tornerai a casa, vacci, e sotto la tavola che ho descritta, troverai un fascio di carte; sta attenta adesso. La promessa che ho ricevuta da te, è relativa a questo unico oggetto; tu devi bruciare quelle carte senza osservarle, nè leggerle; io te l'ordino assolutamente. »
La sorpresa d'Emilia superando un istante il suo dolore, chiese il motivo di quella precauzione. Il padre rispose che se avesse potuto spiegarglielo, la promessa da lei richiesta non sarebbe stata più necessaria. « Ti basti, figlia mia, di penetrarti bene di questa ragione: essa è d'un'estrema importanza. Sotto quella medesima asse troverai circa dugento doppie in una borsa di seta. Questo segreto fu già immaginato per mettere in salvo il denaro che si trovava nel castello, allorchè la provincia era inondata da truppe, che, profittando della circostanza, si abbandonavano ad ogni sorta di depredazioni ed al saccheggio. Mi resta ancora da ricevere un'altra promessa da te, ed è, che in qualunque critica posizione possa trovarti, non venderai mai la nostra possessione della valle. »
Sant'Aubert aggiunse, che s' ella si fosse maritata, avrebbe dovuto specificare nel contratto nuziale, che il castello le sarebbe rimasto in assoluta proprietà. Le parlò in seguito del suo patrimonio con maggior dettaglio di quel che non avesse fatto fin a quel punto.
« Le dugento doppie, ed il poco denaro che troverai nella mia borsa, son tutto il contante che ho da lasciarti. Ti ho già detto in quale stato sono i nostri affari col signor Motteville di Parigi. Ah figlia mia, ti lascio povera, ma non nella miseria. »
Emilia non poteva rispondere a nulla; inginocchiata accanto al letto, bagnava di lacrime la mano diletta che teneva ancor nelle proprie.
Dopo questo discorso, lo spirito di Sant'Aubert parve molto più tranquillo; ma, spossato dallo sforzo fatto, cadde nel sopore. Emilia continuò ad assisterlo ed a piangere vicino a lui, fino a che un lieve colpo battuto alla porta della camera la costrinse a rialzarsi. Voisin venivale a dire che dabbasso eravi un confessore del convento vicino, pronto ad assistere suo padre; ma essa non volle che lo si svegliasse, e fece pregare il sacerdote a non andarsene. Quando Sant'Aubert uscì dal suo sopore, tutti i suoi sensi erano confusi; e ci volle qualche tempo prima ch'ei riconoscesse Emilia. Allora mosse le labbra, le stese la mano, ed essa fu dolorosamente colpita dall'impressione di morte che osservava in tutti i suoi lineamenti. Dopo pochi minuti ricuperò la voce, ed Emilia gli domandò se desiderava vedere un confessore. Le rispose di sì, ed appena fu introdotto il reverendo padre, ella si ritirò. Restarono insieme circa mezz'ora: quindi fu richiamata Emilia, che trovò il padre più agitato, ed essa allora guardò il confessore con alquanto risentimento, come s'egli ne fosse stato la cagione. Il buon religioso la rimirò con dolcezza, e Sant'Aubert, con voce tremebonda, la pregò di unire le sue preghiere a quelle degli altri, e dimandò se il suo ospite non volesse associarvisi. Il buon vecchio ed Agnese arrivarono amendue piangendo, e s'inginocchiarono vicino al letto. Il reverendo padre, con voce maestosa, recitò lentamente le preci degli agonizzanti. Sant'Aubert, con volto sereno, si univa con fervore alla loro devozione; qualche lacrima sfuggivagli talvolta dalle socchiuse pupille, ed i singulti di Emilia interruppero spesso l'uffizio. Quando fu finito, e che venne amministrata l'estrema unzione, il religioso se n'andò. Sant'Aubert fe' segno a Voisin d'avvicinarsegli, gli porse la mano, e stette alcun tempo in silenzio. Alfine gli disse con voce fioca:
« Mio buon amico, la nostra conoscenza fu breve, ma essa bastò per dimostrarmi il vostro buon cuore; io non dubito che voi non trasportiate tutta questa benevolenza su mia figlia: quando non sarò più, essa ne avrà bisogno. L'affido alle cure vostre, pei pochi giorni cui dee passar qui: non vi dico di più. Voi avete figli, conoscete i sentimenti d'un padre: i miei diventerebbero penosi assai se avessi meno fiducia in voi. »
Voisin lo rassicurò, e le lagrime attestavano la sua sincerità, che nulla trascurerebbe per addolcire l'affanno d'Emilia, e che, s'ei lo bramasse, l'avrebbe ricondotta in Guascogna. L'offerta gradì tanto al moribondo, che non trovò parole ond'esprimere la propria gratitudine, o a meglio dire che l'accettava.
« Soprattutto, Emilia cara, » ripigliò il morente, « non cedere alla magia de' bei sentimenti: gli è l'errore d'uno spirito amabile; ma quelli che posseggono una vera sensibilità, debbon sapere di buon'ora quant'ella sia cosa pericolosa; è dessa che tragge dalla menoma circostanza un eccesso di guai o di piacere. Nel nostro passaggio traverso questo mondo noi incontriamo più mali assai che godimenti; e siccome il sentimento della pena è sempre più vivo che quello del benessere, la nostra sensibilità ci rende vittima quando non sappiamo moderar e contenerla. »
Emilia gli ripetè quanto i suoi consigli le fossero preziosi, e gli promise di non dimenticarli mai e cercare di approfittarne. Sant'Aubert le sorrise con affetto e tristezza insieme. « Lo ripeto, » le disse, « io non vorrei renderti insensibile, quand'anche ne avessi il potere; vorrei solo guarentirti dagli eccessi della sensibilità ed insegnarti ad evitarli. È spregevolissima quella pretesa umanità che si contenta di compiangere, nè pensa a confortare!… »
Sant'Aubert, qualche tempo dopo, parlò della signora Cheron sua sorella.
« Bisogna ch'io t'informi, » aggiunse, « d'una circostanza interessante per te. Noi abbiamo avuto, lo sai, pochissimi rapporti con lei, ma è la sola parente che hai: ho creduto conveniente, come vedrai nel mio testamento, di affidarti alle sue cure sino all'età maggiorenne: essa non è veramente la persona alla quale avrei voluto rimettere la mia cara Emilia, ma non aveva altra alternativa, e la credo in fondo poi una buona donna; non ho d'uopo, figliuola, di raccomandarti d'usar la prudenza per conciliarti le sue buone grazie: lo farai del certo in memoria di chi l'ha tentato tante volte per te. »
Emilia protestò che quant'egli le raccomandava sarebbe religiosamente eseguito. « Aimè! » soggiunse affogata dai singhiozzi; « ecco in breve quanto mi rimarrà; sarà la mia unica consolazione il compiere esattamente tutti i vostri desiderii. »
La fanciulla non potea che ascoltare e piangere, ma la calma estrema del padre, la fede, la speranza cui dimostrava, lenivano alquanto la di lei disperazione. Nondimeno, essa vedeva quella figura scomposta, que' segni precursori di morte, quegli occhi infossati, e sempre fissi in lei, quelle pupille pesanti e preste a chiudersi: avea il cuore lacerato, e non poteva esprimersi. Ei volle darle ancora una volta la benedizione. « Dove sei, cara mia? » disse egli allungando debolmente le mani verso di lei.
Emilia era rivolta dalla parte della finestra per nascondere la sua inesprimibile afflizione; ma comprese allora ch'egli non ci vedeva più: le impartì la sua benedizione, che parve l'ultimo sforzo della sua vita spirante, e ricadde sul guanciale; essa lo baciò in fronte; il freddo sudore della morte gl'innondava le tempie; e dimenticando tutto il suo coraggio, gliele irrigò di lagrime. Il morente aprì gli occhi; egli esisteva ancora, ma erano gli ultimi sforzi della natura affralita, ed in breve la sua anima volò innanzi al Supremo Motore.
Emilia fu strappata a viva forza da quella camera da Voisin e da sua figlia, che procurarono di calmare il suo dolore; il vecchio piangeva con lei, ma i soccorsi di Agnese erano più opportuni.