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Kitabı oku: «I misteri del castello d'Udolfo, vol. 4», sayfa 3

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CAPITOLO XLII

La notte seguente, all'istessa ora circa, Dorotea venne a prendere Emilia e portò le chiavi dell'appartamento della marchesa, che si trovava dalla parte opposta, al nord. Dovevano passare vicino alle stanze della servitù, e Dorotea desiderava sfuggire alle loro osservazioni. Volle dunque aspettare un'altra mezz'ora ond'assicurarsi che tutti i servitori dormissero. Era quasi un'ora dopo mezzanotte allorchè si misero in cammino. Dorotea andava innanzi e portava il lume; ma il suo braccio, indebolito dal timore e dalla vecchiaia, tremava sì forte, che Emilia, presa ella stessa la lucerna, s'offrì a sostenere i di lei passi mal sicuri. Bisognava scendere lo scalone, traversare gran parte del castello, e salire l'altro situato al nord. Non incontrarono nulla che alterasse vie maggiormente la loro agitata fantasia, e giunte in cima alla scala Dorotea mise la chiave nella serratura. « Ah! » diss'ella sforzandosi di girarla; « è chiusa da tanto tempo, che forse la ruggine non ci permetterà di aprirla. » Emilia però, più destra di lei, girò la chiave, aprì la porta, ed entrarono in una stanza antica e spaziosa.

« Dio buono! » disse Dorotea nell'entrare; « l'ultima volta che son passata da questa porta, io seguiva la salma della mia povera padrona! »

Traversarono una fila di stanze, e giunsero in un salotto adorno ancora con magnificenza.

« Riposiamo qui un momento, » disse Dorotea; « quella è la porta della camera, in cui è morta la padrona. Ah! signorina, perchè mi avete fatto venir qua? »

Emilia, vedendo la povera vecchia in uno stato compassionevole, la fece sedere e procurò di tranquillarla.

« Come la vista di questo appartamento mi richiama alla memoria l'immagine del tempo passato! Mi pare che fosse ieri. »

– Zitto! qual rumore è questo? » disse Emilia.

Dorotea, spaventata, guardò per tutta la camera; ascoltarono ma non intesero nulla. La vecchia allora riprese il soggetto del suo dolore: « Questo salotto era, al tempo della signora, la più bella stanza del castello. Era mobiliato all'ultimo gusto. Tutti questi mobili vennero da Parigi; quei grandi specchi sono di Venezia. Questi arazzi erano in ispecie ammirati da tutti; rappresentano essi un'istoria che si trova in un libro, di cui ora non mi ricordo il nome. »

Emilia si alzò per esaminarli. Alcuni versi in provenzale, in fondo ai medesimi, le fecero riconoscere la storia di Coriolano.

Dorotea essendosi alquanto rimessa, aprì finalmente la porta fatale. Entrarono in una camera cupa e spaziosa. La custode si abbandonò tosto su d'una sedia esalando profondi sospiri, e ardiva appena alzar gli occhi. Emilia osservò il letto ove dicevasi morta la marchesa. Era parato di damasco verde. Un gran panno di velluto nero lo cuopriva fino a terra. Mentre la fanciulla, col lume in mano, girava intorno alla camera: « Dio buono! » esclamò Dorotea; « mi par di veder la mia padrona distesa su quel letto, come la vidi per l'ultima volta. Ah! » soggiunse ella piangendo ed appoggiandosi al letto; « io era qui quella notte terribile: le teneva la mano; intesi le sue ultime parole, vidi tutti i suoi patimenti, e spirò fra le mie braccia.

– Non vi abbandonate a queste funeste rimembranze, » disse Emilia; « usciamo e mostratemi il ritratto di cui mi parlate.

– Egli è nel gabinetto, » rispose Dorotea, mostrandole un uscio. L'aprì, ed entrarono ambedue nel gabinetto della marchesa.

« Aimè! eccola là, » disse la custode, additando un quadro. « Ecco com'era allorchè giunse qui. Vedete bene ch'era fresca quanto voi. »

Mentr'ella continuava a smaniarsi, Emilia osservava attenta il ritratto, che somigliava moltissimo alla miniatura trovata fra le carte di Sant'Aubert: eravi soltanto una piccola differenza nell'espressione della fisonomia, e le parve riconoscere nel quadro un'ombra di quella malinconia pensierosa che caratterizzava sì forte il ritratto in miniatura.

« Vi prego, signorina, » disse Dorotea, « di situarvi presso questo quadro, affinchè io possa confrontarvi. »

Emilia la compiacque, e la vecchia rinnovò gli atti di sorpresa sulla di lei somiglianza. La fanciulla tornò a guardare, e le parve d'aver veduta in qualche parte una persona simigliante al ritratto; ma non potè rammentarselo bene. In quel gabinetto eranvi tuttavia molte cose d'uso della defunta, un abito, una sottana, un cappello, scarpe e guanti gettati là sul tavolino, come se li avesse cavati poco prima: eravi inoltre un gran velo nero ricamato; Emilia lo prese in mano per esaminarlo, ma si avvide tosto che cadeva in pezzi per vetustà; lo depose, e scorrendo il gabinetto, tutti gli oggetti le pareano parlar della marchesa.

Rientrata nella camera, Emilia volle vedere di nuovo il letto; osservando la punta bianca del guanciale che usciva di sotto al velluto nero, le parve scorgere un movimento. Senz'aprir bocca prese il braccio di Dorotea, la quale, sorpresa dall'azione e dal terrore di lei, rivolse gli occhi verso il letto, e vide il velluto sollevarsi ed abbassarsi; Emilia volle fuggire, ma la vecchia, cogli occhi fissi sul letto, le disse: « E il vento, signorina; abbiamo lasciato tutte le porte aperte. Vedete come l'aria agita anche il lume; è il vento sicuramente. »

Appena ebbe detto così, il panno si agitò con maggior violenza. Emilia, vergognandosi del suo timore, si riavvicina al letto, volendo assicurarsi se il vento solo le avesse impaurite: osserva attentamente, il velluto si agita ancora, si solleva e lascia vedere… una figura umana. Misero entrambe un grido spaventoso, e lasciando le porte aperte, fuggirono a precipizio. Allorchè giunsero alla scala, Dorotea aprì una camera, in cui dormivano due serve, e cadde svenuta sul letto. Emilia, abbandonata dalla sua solita presenza di spirito, fece un debole sforzo per nascondere alle donne stupefatte la vera cagione del suo terrore. Dorotea, riavendosi, si sforzò di ridere del suo timore; ma quelle serve, giustamente allarmate, non poterono risolversi a passare il resto della notte in vicinanza del terribile appartamento.

La custode condusse Emilia alle sue stanze, ove parlarono con più calma del caso strano. Quest'ultima avrebbe quasi dubitato di quella visione, se la vecchia non glie ne avesse attestata la realtà. Le domandò dunque se era ben sicura che qualcuno non si fosse introdotto segretamente colà: essa le rispose che le chiavi non erano mai uscite dalle sue mani, e facendo spesso la ronda, aveva più volte esaminata quella porta, e trovatala sempre chiusa.

« È dunque impossibile, » soggiunse ella, « che nessuno siasi introdotto in quelle stanze, e quando avessero potuto farlo, com'è probabile che abbiano scelto d'andar a dormire in un luogo così freddo e solitario! »

Emilia le fece osservare che la loro gita notturna poteva essere stata spiata; che forse qualcuno, per burla, le aveva seguite coll'intenzione di far loro paura, e che, mentre esaminavano il gabinetto, erasi nascosto nel letto. Dorotea convenne da principio che la cosa era possibile, ma si rammentò quindi che, entrando, aveva per precauzione levata la chiave della prima porta, e chiusala di dentro. Non eravi dunque potuto penetrare alcuno, e Dorotea affermò che il fantasma veduto non aveva nulla d'umano, ed era una spaventevole apparizione.

Emilia era molto commossa; di qualunque natura fosse quell'apparizione, umana o soprannaturale, il destino della marchesa era una verità incontrastabile. L'inesplicabile incidente accaduto nel luogo istesso dov'era morta, incusse ad Emilia un timore superstizioso. Scongiurò Dorotea di non parlare di quel caso a chicchessia, perchè il conte non fosse importunato da rapporti che avrebbero potuto spargere l'allarme in tutta la casa.

La vecchia acconsentì, ma si rammentò allora che l'appartamento era rimasto aperto, e non si sentì il coraggio di tornar sola a chiuderlo. Emilia, vincendo i suoi timori, le offrì di accompagnarla sino in fondo alla scala, ed ivi aspettarla. Rianimata da tale compiacenza, Dorotea andò nel modo proposto, e si contentò di chiuder la prima porta e poi raggiungere Emilia. Avanzandosi lungo l'andito che conduceva nella sala, udirono sospiri e lamenti che sembravano venire dal salone medesimo. Emilia ascoltò attenta, e riconobbe subito la voce di Annetta, che, spaventata dal racconto fattole dalle due serve, e non credendosi sicura che vicino alla padrona, andava a rifugiarsi da lei. Emilia cercò indarno di tranquillarla; ebbe pietà del suo spavento, ed acconsentì a lasciarla dormire nella sua camera.

CAPITOLO XLIII

Gli ordini precisi dati ad Annetta da Emilia, di tacere, cioè, sull'occorso, non produssero verun effetto. Il soggetto del di lei terrore aveva sparso un allarme così vivo tra la servitù, che tutti affermavano allora di aver sentito nel castello i rumori più straordinari. Il conte ne fu ben presto informato, e gli disser che la parte del nord era indubbitatamente frequentata dagli spiriti. Ne rise in principio, e mise la cosa in ridicolo, ma accorgendosi quindi che produceva confusione nel castello, proibì di parlarne sotto pena di castigo. L'arrivo di qualche amico lo distrasse intieramente, ed i suoi medesimi servi non avean tempo di parlare di quest'affare se non dopo aver cenato. Riuniti allora nel tinello, raccontavano del continuo istorie di morti, di maghi, di spiriti e d'ombre fino al punto che non ardivano più alzar gli occhi, tremavano tutti al più piccolo rumore, e ricusavano di andar soli in qualunque luogo della casa.

Annetta si distingueva raccontando non solo i prodigi, ond'era stata testimone, ma anche tutto ciò che aveva immaginato nel recinto del castello di Udolfo. Non obliava la strana scomparsa della signora Laurentini, che faceva una forte impressione sull'animo degli ascoltanti. Annetta avrebbe anche chiacchierato de' sospetti concepiti su Montoni, se il prudente Lodovico, allora al servizio di Villefort, non l'avesse sempre a tal punto interrotta.

Tra i forestieri venuti a visitare il conte nel suo castello, eranvi il barone di Santa-Fè suo amico, e il di lui figlio, cavaliere amabilissimo e sensibile. Egli aveva conosciuto Bianca a Parigi l'anno precedente, e concepita per lei una vera passione. L'antica amicizia del conte per suo padre, e le reciproche convenienze di cotesto parentado, aveanlo fatto internamente desiderare al conte. Ma trovando la figlia ancor troppo giovine per fissare la scelta della sua vita, e volendo d'altronde provar la costanza del cavaliere, aveva differito di approvare quest'unione, senza però toglierne la speranza. Or il giovine veniva col barone suo padre a reclamare il premio della sua perseveranza; il conte acconsentì, e Bianca non vi si oppose.

Il castello, così bene abitato, divenne ridente e magnifico. Il casino sulla riva del mare era spessissimo visitato da tutta la compagnia, che vi cenava quasi sempre quando permettevalo il tempo, e la sera finiva regolarmente con un'accademia di musica. Il conte e la contessa erano buoni filarmonici. Enrico, il giovine Santa-Fè, Bianca ed Emilia avevano tutti bella voce, ed il gusto suppliva alla mancanza del metodo. Parecchi suonatori di corni e strumenti a fiato, posti nel bosco, rispondevano con soavi armonie a quella che partiva dal casino.

In ogni altro tempo quei luoghi sarebbero stati deliziosi per Emilia, ma troppo oppressa allora dalla sua malinconia, trovava che nessun divertimento poteva riuscire a distrarla, e spesso l'interessantissima melodia di quelle accademie accresceva invece la sua tristezza. Preferiva perciò di passeggiar sola ne' boschi circostanti. La calma che vi regnava influiva sul suo cuore, e non tornava al castello se non costrettavi dall'assoluta oscurità. Una sera vi si trattenne più del solito: assisa su d'un masso, vide la luna sorgere sull'orizzonte a poco a poco, e rivestir successivamente della sua debole luce il mare, il castello ed il convento di Santa Chiara poco distante. Pensierosa, contemplava e meditava, quando d'improvviso una voce e la musica, già udita a mezzanotte, venne a colpirle l'orecchio. Il sentimento che provò fu un misto di sorpresa e terrore, considerando il suo isolamento. La musica si avvicinò; si sarebbe alzata per fuggire, ma i suoni parevan venire dalla parte per cui doveva passare, e tutta tremante ristette ad aspettar gli eventi; d'improvviso la musica cessò, e vide uscir dal bosco e passare una figura molto vicino a lei, ma così ratto, e l'emozione di lei fu si grande, che non distinse quasi nulla. Finalmente tornò al castello, risoluta di non venir più sola e così tardi in quel luogo.

Questo leggiero avvenimento produsse grand'impressione sul di lei spirito. Rientrata in camera, si rammentò sì bene l'altra circostanza spaventosa di cui era stata testimone pochi di prima, che appena ebbe coraggio di restar sola. Vegliò a lungo, ma nessun rumore venendo a rinnovare i suoi timori, andò a letto per cercar di gustare un po' di riposo.

Fu breve però; un chiasso spaventoso e singolare parve sorgere dal corridoio: s'udirono gemiti distinti; un corpo pesante urtò l'uscio che fu scosso dalla violenza del colpo: essa chiamò per sapere che fosse: non le fu risposto, ma ad intervalli udiva cupi gemiti. Il terrore la privò sulle prime della favella; ma quando intese strepito di passi nella galleria, gridò più forte. I passi fermaronsi al di lei uscio; ella distinse la voce di alcune fantesche, che pareano troppo occupate per poter risponderle. Annetta entrò a prender acqua, ed Emilia seppe allora come una donna fosse svenuta; la fece portare in camera per prestarle soccorso. Quando colei ebbe ricuperato i sensi, affermò che, salendo le scale per andar a dormire, aveva visto un fantasma sul secondo ripiano. Essa tenea la lampada abbasso a motivo dei gradini rovinati; sollevando gli occhi, scorse lo spettro, il quale dapprima immobile in un cantuccio, erasi poscia cacciato sulla scala, scomparendo alla porta dell'appartamento visitato ultimamente da Emilia. Un suono lugubre era susseguito a questo prodigio.

La fante tornò a scendere e correndo spaventata, era andata a cadere con un grido dinanzi all'uscio d'Emilia.

« Il diavolo senza dubbio, » disse Dorotea, accorsa al chiasso, « ha preso una chiave di quell'appartamento; non può essere altri; ho chiusa la porta io stessa. »

La fanciulla sgridò la donna dolcemente, e cercò di farla vergognare del suo spavento. La fante persistè a sostenere d'aver visto una vera apparizione. Tutte le altre donne accompagnaronla alla di lei stanza, tranne Dorotea, che Emilia trattenne seco. La vecchia, tutta paurosa, narrolle antiche circostanze in appoggio del caso occorso. Di tal novero era una consimile apparizione da lei vista nel medesimo sito; tal rimembranza aveala fatta esitare prima di salir la scala, ed avea accresciuta la di lei ripugnanza ad aprir l'appartamento del nord. Emilia s'astenne dall'esternare la sua opinione intorno a ciò; ma ascoltò attentamente la ciarliera, e ne risentì vie maggiore inquietudine.

Da quella notte il terrore de' servi crebbe al punto, che gran parte di essi risolse d'accommiatarsi. Se il conte prestava fede ai loro timori, aveva cura di dissimularlo, e volendo prevenire gl'inconvenienti che lo minacciavano, impiegava il ridicolo ed i ragionamenti per distruggere quei timori e quegli spaventi soprannaturali. Nondimeno, la paura aveva reso tutti gli spiriti ribelli alla ragione. Lodovico scelse quel momento per provare al conte il suo coraggio e la riconoscenza pe' di lui buoni trattamenti. Si offrì di passare una notte nella parte del castello, cui pretendevano abitata dagli spiriti, ch'egli assicurava di non temere; e se fosse comparso qualche essere vivente, disse che avrebbe fatto vedere che nol temea egualmente.

Il conte riflettè alla proposta; i domestici che lo udirono si guardarono l'un l'altro muti per la sorpresa e la paura. Annetta, spaventata per Lodovico, impiegò lagrime e preghiere per dissuaderlo da tale disegno.

« Tu sei un bravo giovane, » disse il conte sorridendo; « pensa bene alla tua impresa prima di accingerviti, ma se vi persisti, accetto la tua offerta, e la tua intrepidezza sarà generosamente ricompensata.

– Eccellenza, » rispose Lodovico, « io non desidero ricompense, ma la vostra approvazione. Vostra eccellenza ha già avuto molta bontà per me. Desidero soltanto aver qualche arme per difendermi in caso di bisogno.

– Una spada non potrà difenderti contro gli spiriti, » disse ironicamente il conte, guardando i servi; « essi non temono nè porte, nè catenacci: un fantasma, voi lo sapete, passa tanto dal buco d'una serratura, come da una porta aperta.

– Datemi una spada, signor conte, » disse Lodovico, « ed io m'incarico di cacciare nel mar Rosso tutti gli spiriti che volessero attaccarmi.

– Ebbene, » rispose il conte, « avrai una spada, e di più una buona cena. I tuoi camerati avranno forse il coraggio di restare ancora per istanotte nel castello: certo è che almeno per questa notte il tuo ardire attirerà su di te tutti i malefizi dello spettro. »

Una estrema curiosità contrastò allora colla paura nello spirito degli uditori, i quali risolsero d'aspettare l'esito della temeraria impresa del loro collega.

CAPITOLO XLIV

Il conte avea ordinato che l'appartamento del nord fosse aperto e preparato, ma Dorotea, rammentandosi quanto ci aveva veduto, non ebbe coraggio di obbedire: nessuno dei servitori volle prestarvisi, ed esso restò chiuso fino al momento in cui Lodovico doveva entrarvi, momento aspettato da tutti con impazienza.

Dopo cena, il giovane seguì il conte nel suo gabinetto, e vi rimasero quasi mezz'ora; nell'uscire, il conte gli consegnò una spada. « Questa ha servito nelle guerre mortali, » diss'egli ridendo; « tu ne farai senza dubbio uso onorevole in una mischia affatto spirituale; e domattina sentirò con piacere che non resta più un solo fantasma nel castello. »

Lodovico ricevè la spada con un saluto rispettoso, e rispose: « Sarete obbedito, signor conte, e m'impegno da ora in avanti che veruno spettro non turbi ulteriormente il riposo di questa dimora. »

Recaronsi nel salotto, ove gli ospiti del conte aspettavano per accompagnarlo all'appartamento del nord. Dorotea consegnò le chiavi a Lodovico, e s'incamminò a quella volta in compagnia della maggior parte degli abitanti. Giunti a' piè della scala, parecchi servitori, impauriti, non vollero andar più innanzi, e gli altri la salirono sino al pianerottolo. Lodovico mise la chiave nella serratura, ed intanto tutti lo guardavano con tanta curiosità, come se fosse occupato di qualche operazione magica; e siccome egli non era pratico di quella serratura, Dorotea l'aprì pian piano; ma quando i di lei sguardi ebbero penetrato nell'interno oscuro della stanza, mise un grido e si ritirò. A questo segnale d'allarme, la maggior parte degli spettatori fuggirono a precipizio giù per la scala; il conte, Enrico e Lodovico, rimasti soli, entrarono nell'appartamento; Lodovico teneva in mano la spada nuda, il conte portava una lampada, ed Enrico un paniere pieno di provvisioni pel bravo avventuriere. Traversando quella fila di stanze, il conte restò sorpreso del loro stato rovinoso, ed ordinò al servo di dire il giorno dopo a Dorotea, d'aprire tutte quelle finestre, volendo far restaurare quel magnifico appartamento; indi gli chiese dove facesse conto di stabilirsi.

« Dicono esserci un letto in una stanza; è là che voglio dormire, se per caso mi sentissi stanco di vegliare. »

Giunti alla camera indicata, v'entrarono tutti: il conte fu colpito nel vederne l'aspetto funebre; accostossi al letto commosso, e trovandolo coperto col panno di velluto nero, sclamò: « Che cosa significa ciò? – Mi fu detto che la marchesa di Villeroy è morta in questo luogo stesso, e vi giacque sino all'ora del seppellimento. Quel velluto ricopriva per certo il feretro. »

Il conte non rispose nulla, ma divenne pensieroso; voltossi quindi verso Lodovico, gli domandò con serietà se realmente avrebbe coraggio di restar lì solo tutta la notte. « Se hai paura, » soggiunse, « non arrossire di confessarmelo; io saprò scioglierti dal tuo impegno senza esporti ai sarcasmi degli altri. »

L'orgoglio e qualche poco di paura parevan tenere perplessa l'anima di Lodovico. Finalmente l'orgoglio trionfò e rispose:

« No, signore, no, finirò l'impresa che ho cominciata, e sono commosso della vostra attenzione. Accenderò un bel fuoco nel camino, e spero passare bene il tempo colle provvisioni del paniere.

– Benissimo, ma come farai a difenderti dalla noia, se tu non potessi dormire?

– Quando sarò stanco, eccellenza, non avrò paura di dormire; ma in tutti i casi ho meco un libro che mi divertirà.

– Spero che non sarai sturbato; ma se nel corso della notte tu potessi concepire qualche serio timore, vieni a trovarmi nel mio appartamento. Confido troppo nel tuo giudizio e coraggio, per temere che tu possa spaventarti per qualche frivolezza. Domani io t'avrò l'obbligo d'un servigio importante. Si aprirà l'appartamento, e tutta la servitù sarà convinta della sua stoltezza. Buona notte, Lodovico; vieni a trovarmi di buon'ora, e ricordati ciò che ti ho detto.

– Sì, signore, me ne rammenterò. Buona notte, eccellenza; permettete che vi faccia lume. »

Accompagnò il conte ed Enrico fino all'ultima porta, e siccome qualche servitore, nel fuggire, aveva lasciato un lume sul pianerottolo, il contino lo prese, e augurò la buona notte a Lodovico, il quale rispose con molto rispetto, e chiuse la porta. Cammin facendo per tornare nella camera da letto, esaminò con iscrupolosa cura tutte le stanze per le quali doveva passare, temendo vi si potesse essere nascosto qualcuno per ispaventarlo. Non vi trovò nessuno. Lasciò aperti tutti gli usci, e giunse nel salone, la cui muta oscurità lo fece gelare. Voltandosi indietro a guardare la lunga fila di stanze percorse, nel procedere innanzi scorse un lume e la propria figura riflettuti in uno specchio; rabbrividì. Altri oggetti pingeansivi oscuramente; non si fermò a considerarli; avanzandosi ratto nella camera da letto, vide la porta dell'oratorio. L'aprì, tutto era tranquillo. Colpito alla vista del ritratto della defunta, lo considerò lungo tempo con sorpresa ed ammirazione. Esaminato quindi il luogo, rientrò in camera, ed accese un buon fuoco, la cui vivida fiamma rianimò il di lui spirito, che cominciava a indebolirsi per l'oscurità e pel silenzio. Non si sentiva allora se non il vento soffiare attraverso le finestre, prese una sedia trascinò un tavolino presso al fuoco, cavò una bottiglia di vino con alcune provvisioni dal paniere, e cominciò a mangiare. Allorchè ebbe cenato, pose la spada sul tavolino, e non essendo disposto a dormire, trasse di tasca il libro ond'aveva parlato. Era una raccolta di antiche novelle provenzali. Attizzò il fuoco, smoccolò la lampada, e si mise a leggere. La novella che scelse attirò in breve tutta la sua attenzione........

Il conte frattanto era tornato nel tinello ove tutti l'aspettavano. Ciascuno era fuggito al grido penetrante di Dorotea, e gli fecero mille domande sullo stato dell'appartamento. Il conte li beffò per quella fuga precipitata e la superstiziosa loro debolezza.

Quando la compagnia si fu separata, il conte si ritirò nel suo quartiere. La rimembranza delle scene onde la casa era stata il teatro, l'affannava singolarmente. Alla fine fu scosso da' suoi pensieri dal suono d'una musica che intese vicino alla finestra.

« Cos'è quest'armonia? » diss'egli al suo cameriere; « chi suona e canta a quest'ora sì tarda? »

Pietro rispose, quella musica aggirarsi spesso intorno al castello verso mezzanotte, e credere averla udita anch'egli altre volte.

« Che bella voce! » soggiunse il conte; « che suono melodioso è mai questo! sembra qualcosa di sovrumano. Ma ora si allontana… »

E fatto cenno al servo di ritirarsi, stette assorto un pezzo in dubbiosi pensieri.

Lodovico intanto, nella sua camera isolata, sentiva tratto tratto il rumore lontano di una porta che si chiudeva. L'orologio del salone, da cui era molto distante, suonò dodici colpi. « È mezzanotte, » diss'egli, e guardò per la camera. Il fuoco era quasi spento; l'alimentò con nuove legna, bevve un buon bicchier di vino, e avvicinandosi sempre più al caminetto, procurò di esser sordo al rumorio del vento che fischiava da tutte le parti. Infine, per resistere alla malinconia che gradatamente s'impadroniva di lui, riprese la sua lettura.

Dopo qualche tempo, depose il libro avendo sonno; accomodatosi alla meglio sulla sedia, si addormentò. Gli parve vedere in sogno la camera, ove si trovava realmente; due o tre volte si svegliò dal sonno leggero, sembrandogli scorgere la faccia d'un uomo appoggiata alla sua sedia. Quest'idea fece su di lui tanta impressione, che, alzando gli occhi, gli parve quasi di vederne altri che si fissassero nei suoi. Si alzò e andò a fare una visita scrupolosa della camera, prima di convincersi appieno non esservi nessuno dietro la sedia.

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Litres'teki yayın tarihi:
03 ağustos 2018
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