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Kitabı oku: «Novelle e riviste drammatiche», sayfa 11

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Henri Morisson, che in fine de' conti è il personaggio che condensa in sé tutto il dramma, dev'essere meditato scrupolosamente dalla critica. Meditiamolo.

Henri Morisson è l'antagonista del soggetto di Sardou, è il parigino, è l'uomo della capitale, è il personaggio che rappresenta l'antica legge dei contrarii e dei contrasti, legge che nacque col dramma primitivo e che vivrà fin che vivrà il dramma sulla terra. Ecco dunque da un lato Grinchu, Floupin, Fetillard, villageois, dall'altro lato Henri Morisson, parigino. E fin dal primo atto appaiono sulla scena i difetti degli uni e dell'altro.

Gli abitanti della villa sono ignoranti, caparbi, egoisti, maligni, invidiosi, ingrati, burbanzosi, vigliacchi, e l'abitante della città è frivolo, leggero, volubile, pronto al male, ma pronto anche anche al bene, suscettibile al peccato, ma anche all'espiazione, effeminato ed eroe, coraggioso in tutto, tanto nel vizio come nella virtù, vero figliuolo del secolo. Tutti i giovani che hanno oggi vent'anni, sono fatti a simiglianza di Henri Morisson. Appena ch'essi sentono l'imperiosa necessità dell'amore, eccoli già posti in un bivio inevitabile e fatale: l'amor puro o l'amore colpevole? Non sanno se dare l'anima loro alla vergine o alla donna, a Geneviève o a Pauline. Quasi tutti, dopo aver molto sofferto, molto desiderato e molto titubato, scelgono… Pauline.

Questa è la storia quotidiana di tutti i primi amori, che oggi non sono certo i più puri, e la colpa non è di Sardou. Ma dopo i primi amori vengono i secondi, e allora si sceglie Geneviève, che si sposa al quinto atto. Che questo Henri sia un tipo vero, nessuno certo potrà contestarcelo; ma tutti ci contesteranno che sia un tipo estetico. E veramente fino al terzo atto nulla d'estetico, nulla d'ideale appare in codesto Henri Morisson. Ma al terzo atto il nostro personaggio s'ingrandisce meravigliosamente. La sua menzogna è stupenda; quel girella dell'amore, quel don Giovanni da dozzina, quel bardassa da boudoir, diventa un ideale eroico e tragico e mirabile, e allora l'arte incomincia:

"Ce rôle sans issue une fois adopté, il faut qu'il le soutienne, et nous soubissons lentement tous les détails que cette situation peut produire, depuis les mensonges variés de ce jeune imbécile jusqu'à la niaiserie de son père qui aime mieux se conformer à son dire et le déclarer un voleur que l'exposer à la colère de ce mari outragé ou plutôt croyant l'être. Certes la plume tombe des mains en résumant de pareilles aventures, e vingt fois devant cette succession d'absurdités la patience est sur le point de s'échapper à tout spectateur raisonnable".

Ecco ancora Prévost-Paradol che vocifera, e chiama l'azione di Henri un rôle sans issue, ma appunto perché è un rôle sans issue, fuorché l'issue della finestra e della fuga, o l'issue dell'infamia, l'azione è grande e drammatica. Prévost-Paradol avrebbe preferito il duello fin dal terzo atto, e che vantaggio avrebbe avuto la commedia dal duello? Henri si sarebbe lasciato uccidere dal Barone, o s'anche si fosse difeso, il Barone, vecchio militare, e vecchio geloso, e vecchio gentiluomo, avrebbe ucciso senza dubbio Henri. La colpa immaginaria della Baronessa si sarebbe confermata e aggravata col duello e tutte le apparenze avrebbero gridato la sua accusa. Il padre Morisson avrebbe, sconfessando la menzogna del figlio, immolata la vita di Henri a una apparente infamia di alcune ore, avrebbe da vigliacco, da plebeo, compromessa terribilmente la Baronessa. Tutto è combinato nell'atto terzo dei Bons villageois con profonda sapienza, e la critica non può assalirlo che combattendo in cattiva guerra e con cattive armi.

Eppure tutti i critici l'assalirono. Ci dev'essere una cagione nascosta a codesto sdegno universale: non possiamo supporre che gli scrittori francesi abbiano così fattamente smarrito il senso dell'arte e la gentilezza loro abituale. La ragione ci pare d'intravvederla in un periodo dello stesso Prévost-Paradol verso la fine del suo articolo. Alcuni calunniatori del fortunato commediografo hanno sparso la voce a Parigi che ne' Bons villageois ci erano delle allusioni politiche. Da qui la lapidazione di tutti i giornali oppositori al calunniato Victorien Sardou. Questa discolpa ci pare puerile e vana quanto la colpa. Sta bene l'opposizione, sta bene l'opinione politica, e non è difficile il manifestarla ogni mattina ed ogni sera su tutti gli articoli di fondo dei grandi giornali parigini. Rispettiamo ed onoriamo profondamente quel nobile circolo di persone che fanno od ispirano gli scritti della Revue des deux-mondes: hanno molto pensato, molto lottato, molto sofferto, molto osato per la Francia; ma rispettiamo ed onoriamo anche l'arte. Che i Nos bons villageois siano una commedia politica, lo neghiamo ricisamente in nome del buon senso, del buon senso del pubblico, del buon senso di Victorien Sardou. Chi crede al significato misterioso del "sindaco-barone", è un visionario, è un don Chisciotte, piglia mulini per mostri e lucciole per lanterne. I Nos bons villageois sono una semplice commedia e vanno giudicati come tale. Apprezziamo troppo l'importanza della politica per acconsentire quando la vediamo con paura spavalda nascondersi e mostrarsi in un articolo d'arte. Lo scritto di Prévost-Paradol è una cattiva azione giudicata dal punto di vista della critica, senz'essere una buona azione politicamente parlando. La stampa francese in questo affare dei Bons villageois ci ha mossi a sorpresa e a compianto. Abbiamo veduto con un certo ribrezzo tante altissime intelligenze dar fede a una fola da bimbi e su quella congiurare una dimostrazione politica. Il popolo della Rivoluzione, del Ohè Lambert, il popolo di Vergniaud e di Thérèse è sintetizzato in questo atteggiamento dei critici davanti a Sardou.

E qui è il caso di guardarci un po' noi con orgoglio lieto e sereno, noi liberissimi. Tutte le audacie ci sono permesse, tanto quello della penna come quelle della parola. Per dire altamente l'animo nostro non abbiamo bisogno di mascherarci dietro una rivista teatrale o di fischiare una bella commedia, o di applaudire una brutta. L'arte non deve nulla temere da noi; possiamo meditarla tranquilli, sciolti, senza manette ai polsi e senza vischio alle labbra. E perché possiamo ciò fare, ci piacque in queste pagine di riabilitare, per quanto le nostre forze lo permisero, la commedia di Victorien Sardou.

Un nobile esempio di questa nostra libertà l'ebbimo, or son poche sere, al Teatro Re nel dramma del signor Giovanni Biffi Il Ministro Prina. Bisognava essere ben saldi e bene affratellati e bene indipendenti per poter sostenere lo spettacolo d'un simile soggetto. Il signor Biffi osò presentarcelo coraggiosamente, noi osammo fissarlo pacati. La bieca data del 20 aprile 1814 poté oggi soltanto essere dissepolta senza pericolo. Se l'ombra del ministro Prina sorgesse dalla sua fossa del Gentilino e chiedesse a qualcuno

 
Cossa n'è staa di milanês dal dì
Vint d'april del quattordes fina adess?
 

udirebbe narrare ben altre storie di quella che narrò Tommaso Grossi ai suoi tempi. Quante altre date gloriose dopo quella data funerea! Foscolo la descrive mirabilmente, colla sua solita pompa d'amarezza nello stile, e col suo solito splendore, e sembra che la lettera di Foscolo alla contessa d'Albany, scritta il lunedì 16 maggio 1814, sia stata quasi il programma scenico del signor Biffi. V'è nel lavoro del signor Biffi un bel colore storico, un bel colore locale, primissimi doveri di chi vuol trar dalle cronache la materia dell'arte. V'è generosa moderazione nel concetto generale, v'è arguta semplicità nei particolari; la scienza del vero e la coscienza del buono lo guidarono. Tutti i caratteri sono diligentemente segnati, colla storia alla mano. A volte il lavoro del signor Biffi appare tanto culto e tanto austero da dirsi piuttosto uno studio che un dramma; utile esempio a' giorni nostri ed a' paesi nostri ove s'usa porre assai troppo sotto ai piedi le severe fatiche dell'arte, e sta bene che in un tempo in cui l'attualità sola trova facile il plauso, ci siano de' giovani i quali studino, malgrado ciò, le cose passate. La serietà del loro intento li fa degni della riconoscenza e dell'ossequio dei critici.

APPENDICE BIBLIOGRAFICA

Novelle e riviste ho fedelmente trascritto dai periodici dove furon dapprima pubblicate, indicati nella speciale Bibliografia che faccio seguire, correggendo la spesso capricciosa punteggiatura e riducendo ad uniformità la incongruente grafia. Ho corretto anche alcuni evidenti errori di stampa, ma di così poco momento che non credo opportuno riferirli; naturalmente ho restituita al Grossi la paternità della Prineide, ma non ho potuto ridare la sua unità alla baronne d'Ange, perché avrei dovuto mutare tutto un periodo. Un "1879", nell'ultimo capitolo d'Iberia, è evidente errore di stampa; ma a quella data altra non ho saputo, né altri, credo, saprebbe sostituire e quindi la lascio com'è, confidando nella sagacia del lettore. Nel Trapezio, a pag. 93, si leggerà una frase un po' strana: «la ferocità della corsa»: può darsi che «ferocità» sia errore di stampa per «velocità»; ma date le bizzarrie linguistiche e immaginative del Boito, – non sono tuttavia in queste prose le preziosità e le stranezze dei versi e di certi libretti se non in scarsissima misura, meno in Iberia– , non ho osato mutare.

Sul testo del Raynouard, solo il quale il Boito poteva conoscere, ho, finalmente, corretto i versi provenzali che si leggono a pag. 28: sono essi del trovatore Guglielmo de Béziers e si leggono a pag. 33 del 3° tomo della Choix des poésies originales des trobadours. Mi sia lecito notar, di passata, che nella stessa opera (vol. 2°, pag. 213 e vol. 4° passim) il Boito trovò il nome di Papiol, giullare di Bertrand de Born, da lui introdotto nel Re Orso, nonché i versi provenzali riportati in questo poemetto.

Dell'Alfier nero avevo la scelta tra due testi, quello del Politecnico e quello della Strenna Italiana; preferii questo perché riveduto dall'autore. Ecco ora le principali varianti tra i due:

Politecnico

Strenna

pag.4 l. 26 quel negro venne portato in Europa

quel negro, nativo del

Morant-Bay, venne portato

in Europa

» 6 » 6 e 7 distingue il vero gentiluomo dal gentiluomo

di contraffazione

distingue il vero gentleman dal gentleman

di contraffazione

» 7 » 16 Hanno l'intelletto ottuso

Hanno l'intelletto chiuso

» 7 » 26 né me sono pentito, solo un po' scoraggiato.

Voi vedete in me una specie di Diogene

Io sono una specie di Diogene

» 8 » 3 Gli sguardi di ognuno

Gli sguardi degli astanti

» « » 22-23 potrei proporvi un passatempo

potrei proporvi una distrazione

» 9 » 16-17 il lavoro di questi scacchi era così sottile che li riducea

il lavoro sottile di questi scacchi li riduceva

» 10 » 11 potrei darvi

potrei chiedere di darvi

» » » 27 il più celebre

uno dei più celebri

» » » 28 giuocatori a scacchi di Washington

giuocatori a scacchi d'America

» » » 31 emigrata in America

emigrata a Washington

» 10-11 » 31-1 si era fatto milionario

si era fatto quasi milionario

» 13 » 19-20 fosca e convulsa

fosca come la notte

» » » 27 quegli poneva ogni studio ed ogni sua forza

quegli poneva ogni sua forza

» 15 » 26 per darsi quale ad un libro

per darsi quale ad un lavoro

» 19 » 24 fuor che il battito d'un grande orologio

fuor che quello d'un grande orologio

» » » 30-31 aggiunte queste due righe:

Il selvaggio odore della razza

negra offendeva le nari

dell'Americano.

» 21 » 2 non era più uno scacco, ma un uomo

non era più uno scacco, era un uomo

» » » 3 non era più un nero, ma un negro

non era più nero, era negro.

» » » 5-6 aveva visto molti anni addietro quel volto

aveva visto molti anni addietro il suo volto

» » » 6 era un vivente… o un morto.

era un vivente… o forse un morto.

» » » 24 Passarono così quattro ore,

Passarono così altre quattro ore,

» 22 » 12 avventandosi l'un contro l'altro tragicamente

avventandosi fra loro tragicamente

» » » 15 della torre e dell'alfiere avevano trascinato

della torre e delle pedine avevano trascinato

» 23 » 29 ove incalzato dai rimorsi,

e là incalzato dai rimorsi,

» 24 » 1-2 l'assassinato era un negro

l'assassinato non era che un negro

» » » 10 tornò a casa sua

rientrò nelle sue terre

» » » 18 camminava per le piazze di New-York

camminava per le vie di New-York

BIBLIOGRAFIA

A) delle Novelle

1. – L'Alfier nero: a) Il Politecnico, Repertorio di studi letterarii, scientifici e tecnici. Parte letterario-scientifica. Milano 1867, Serie 4, vol. 3, pag. 269-282 (fascicolo del marzo).

b) Strenna italiana pel 1868. Milano, R. Stabilimento Nazionale di Ant. Ripamonti-Carpano; Venezia, Carlo Bianchi. Pag. 9-64: ARRIGO BOITO Un paio di novelle, pag. 11-31: L'Alfier nero.

2. —Iberia: Strenna citata, pag. 33-64.

3. —Il trapezio: Rivista Minima diretta da Antonio Ghislanzoni. Anno III, 1873. R. Stabilimento Ricordi, Milano. N. 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 14, 16, 17, 18, 19, 23. Rivista Minima diretta da A. Ghislanzoni-S. Farina. Anno IV, 1874. R. Stabilimento Ricordi, Milano. N. 2, 18 gennaio 1874, pag. 27. Con questa puntata resta troncato il racconto. Nel N. 13, nella rubrica Minime, si legge: «Nel prossimo numero sarà ripigliato e continuato senza interruzione il bel racconto di Tobia Gorrio: Il Trapezio», ma la promessa non ebbe né anche un principio di adempimento. La firma in calce alle singole puntate è sempre Tobia Gorrio, qualche volta in carattere tondo, qualche volta in corsivo, a forma di autografo. Anche nell'indice è sempre questo nome. Invece nel N. 10 del 1874, pag. 148, è pubblicata la nota poesia Lezione anatomica firmata con le sole iniziali A. B. In queste due annate della Rivista Minima altro non c'è del Boito.

B) Delle Riviste drammatiche

I. Il Politecnico citato. Serie 4. vol. I. Milano, 1866, pag. 635-646.

II. Ivi, pag. 915-23.

III. Ivi. Serie 4, vol. 3. Milano, 1867, pag. 86-96. La firma è, per I e II e per L'Alfier nero, =Arrigo Boito= (nell'indice, anche per la novella, =Boito prof. Arrigo=); per III A. B. (nell'indice B. A.)¹

¹ Non dispiaccia che, per la storia della fortuna del Boito e più specialmente del Mefistofele, ricordi come nel 1868 le riviste drammatiche del Politecnico nel 1868 furono continuate da un anonimo, il quale (vol. V, pag. 197-198) scrisse un severo giudizio del libretto appunto del Mefistofele, che dice, più che un errore, un assurdo, consigliando il poeta a mutar strada, poiché egli aveva provocato il pubblico a giudicare come opera letteraria un melodramma destinato a incarnare uno spartito musicale. Ricorderò anche che nella Strenna del Gazzettino Rosa (Milano, Gattinoni, 1868, ma stampata e pubblicata nei primi mesi del '69, e infatti la prefazione porta la data 16 gennaio 1869) L'economista per ridere scrive in una Rivista comica dell'anno 1868 (pag. 14): «Mefistofele, genio malefico, mosse aspra battaglia al genio dell'Armonia, e venne, lacerator di ben costrutti orecchi, evocato da non so quale medium sul palcoscenico della Scala». Dopo questa prima botta al Boito, che apparteneva alla consorteria del Pungolo inviso, al quale la Strenna continuamente e ferocemente allude, introduce (pag. 19-22) un dialogo, burlesco ma non spiritoso, tra il Boito e il ministro dell'Istruzione Emilio Broglio, che pare intendesse far risorgere la musica italiana, dimenticando, dice l'articolista, ch'era viva, mentre quello aveva col Mefistofele inteso allo stesso scopo e non si vedeva apprezzato dal ministro; finisce riproducendo una supposta lettera, stupidamente insolente, che pare prenda le mosse da una vera, del maestro al ministro. Nel dialogo il Boito si vanta di aver fatto molti sforzi per la risurrezione della musica italiana e di esserci riuscito: «chiedetelo dice, al Dottor Verità, poi a Leone Fortis, poi al Pungolo, e vedrete». Come la consorteria accogliesse questi assalti mostra il brindisi-melodramma La consorteria delle Effe di Paolo Ferrari, che è appunto del 1868, pubblicato da Vittorio Ferrari nel suo libro sul padre: il brindisi è notevole anche perché prova che il severo giudizio sulla Marianna non aveva per nulla offeso l'affettuosa amicizia ch'era tra i due scrittori. Vero è che il Ferrari, nella prefazione della Marianna, anteriore alla rivista del Boito, ribatte le accuse di immoralità rivolte alla sua commedia, e quanto ai giudizi estetici dichiara di rispettare il gusto di tutti.

C) Intorno alle Novelle

1. – =Albinati G.= Bibliografia letteraria e musicale di Arrigo Boito in I libri del giorno, Rassegna mensile internazionale, Milano, Treves, 1918, anno I, n. 4, pag. 165. Embrione di bibliografia più che vera bibliografia: le novelle sono ricordate così: "Moltissimi articoli di critica musicale, letteraria, tre novelle pubblicate in diverse "Riviste", tra le quali La Gazzetta Musicale". Esaminata questa Gazzetta, nulla vi ho trovato.

2. – =Barbiera Raffaello=. La veglia d'arme d'Arrigo Boito in Rivista d'Italia, anno XI, fasc. IX, 30 settembre 1918, Milano, p. 86.

Sono ricordi interessanti; delle novelle nomina L'Alfier nero e Il trapezio: di questa non dice nulla, di quella scrive che fu pubblicata nel Politecnico senza precisare il volume.

3. – =Croce Benedetto=. Note sulla letteratura italiana nella seconda metà del secolo XIX. «VIII: Boito – Tarchetti – Zanella in La Critica, anno II (1904), pag. 379: «Trovo ricordata nel Conversations-Lexicon del Meyer una serie di novelle (del Boito): L'alfiere nero, Il pugno chiuso, Honor, Il trapezio, Iberia; ma non so se non si tratti di un equivoco».

Nella Letteratura della Nuova Italia, Bari, Laterza, 1914, vol. 1°, pag. 259 e 419, il C. soppresse l'accenno alle novelle.

4. =Farina Salvatore=. La mia giornata (Dall'alba al meriggio). S. T. E. N. Torino 1910. p. 178-179.

5. =Gallignani G.= Arrigo Boito rievocato da un amico in La Lettura, anno XIX, n. 3, marzo 1919, pag. 153. È la migliore commemorazione del B. che io abbia letto; ricorda l'attività svariata di lui come giornalista, e dice che in quanto scriveva di critica, sebbene scrivesse senza ambizione d'arte, solo per guadagnarsi da vivere, imprimeva «tale marca personale di osservazione e di forma, da persuadere che quei suoi rilievi sarebbero accolti oggi ancora con grande piacere e profitto». A pag. 158 scrive: «butta giù (il B.) due novelle «Alfiere nero» ed «Iberia»: che proprio le buttasse giù, almeno per quanto riguarda L'Alfiere, smentiscono le correzioni fatte per la seconda edizione. Poco più oltre: «butta giù altre due novelle: «La musica in piazza» e «Il trapezio», rimasta incompiuta»: né anche al Trapezio è bene applicato il butta giù. Non dá nessuna indicazione bibliografica.

7. =Molmenti P. G.=, Impressioni letterarie. Milano, Battezzati, 1875. Arrigo Boito, pag. 188.

8. Pungolo (il), di Milano, 10 settembre e 27 dicembre 1867.

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27 haziran 2017
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