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Kitabı oku: «Novelle», sayfa 6

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MARGHERITA

Ei non ha cosa di che io cerchi più correggere i miei scolari, come delle sciocche paure e superstizioni che quasi tutti mi vengono arrecando dalla casa paterna. Delle quali, ogni volta che io volli chiedere ragione agl'ignoranti genitori, il più sovente trovai che non davano credenza essi medesimi a quelle befane, a quegli uomini, o lupi neri, a quegli spiriti, di che andavano spaventando i paurosi monelli. Ma dicono non potersi educare bambini, nè far loro fare ciò che si vuole, o trattenerli da ciò che non si vuole senza queste paure. Stolta pigrizia di questi, come di molti altri educatori! che studiano diminuire le difficoltà non a' loro fanciulli, ma a sè stessi; e quando loro è chiesta una spiegazione, danno invece una bugia; e invece d'una correzione una bussa o una paura. Molte di queste poi, principalmente se il luogo aiuti colla spaventosa apparenza, rimangono anche negli adulti, e passano d'una in altra generazione, asserite finalmente come cose vere, e credute ab antico. Tuttavia, perchè uso andar cercando quel po' di bene che si trova quasi sempre anche nel male, credo che di quella non mal intenzionata origine delle superstizioni popolari venga che quasi tutte hanno in sè qualche insegnamento virtuoso; ed alle novelle di esse rimane siffatto vantaggio sopra molte di quelle immaginate dagl'ingegni più colti, ma più corrotti.

Questi, e molti altri pensieri nati di essi, io andava seguendo sta sera come il sole cadente dietro le alpi di Susa veniva cogli obliqui raggi allungando le ombre, ricercando i chiari-scuri, e distinguendo con infinite mezze tinte giallognole ogni vetta, ogni paesuccio, ogni castello di questi Appennini, Astigiani e Monferrini; i quali all'altr'ore del giorno non sembrano che onde indistinte di un mare di colli. Aggiugnevasi nel cielo, rasserenatosi dopo un grosso temporale, quell'umido trasparente che accresce la luce, avviva i colori, e diminuisce le distanze apparenti di ogni oggetto. Così è che io distingueva chiaramente il castello di C., detto anche volgarmente il castello Verde e le sue torri; cui niun moderno novelliere dubiterebbe dire romantiche, solo a vederle spiccar di mezzo a' neri boschi, campo adattatissimo a tal quadro. Quanto più poi, se fermandosi all'ombra dell'une o degli altri, e interrogando qualche romito là presso, o qualche pastore o pastorella sbigottita, od anche un parroco, o un vecchio nonno, ne avessero la narrazione popolare seguente!

Ei fu già nel castello Verde un vecchio e potente signore, che dopo molte vicende di guerra e di corte ritrattosi là a viver solo con una moglie giovinetta, e avuto poi un figliuolo unico, ambi lo educavano con quello sviscerato amore e quella cieca arrendevolezza, solita in chi cerca nell'educazione più piaceri che doveri, nociva sempre all'infelice educato. Peggio è se la vita solitaria della famiglia accresca nel bimbo l'idea della potenza de' genitori, e dell'importanza di sè stesso, e gli tolga le occasioni di emulazione, e gli incoraggiamenti de' compagni. Tra i molti danni di sì fatte educazioni, uno de' più frequenti, ed a parer mio de' peggiori, è, che fatto adulto il mal amato giovinastro, come prima va a mettersi fra gli uomini, il mondo e i negozii, ei trova uomini, mondo e negozii troppo diversi per lui da ciò che gli erano tra le mura paterne. Ondechè, non reggendo all'impensata contrarietà, non mira ad altro che a tornare a quelle mura dov'egli è libero e signore, e se il può, vi corre in fretta: ed ivi poi tra i servi e i rozzi adulatori da campagna vive vita inutile, e poltrisce nell'ozio e in tanti vizii, quante forse avrebbe avute virtù vivendo vita attiva ed occupata. Così accadde a Manfredi, rimasto per più disgrazia orbo del padre intorno ai diciotto anni. Pochi o niun uomo nacque mai con tanti buoni favori del cielo. Così i mali favori degli uomini non glieli avessero guasti! Alto, ben formato della persona, membra erculee per la forza, ma per le proporzioni piuttosto simili a quelle snelle ed eleganti del gladiatore Borghese o del Meleagro; capelli ed occhi come corvo; naso più romano che greco, ma qual s'addiceva, con bocca un po' ampia ad esprimer forza ed impero, benchè la bocca sapeva volgersi in un tratto a una espressione soave di dolcezza e d'amore, che avrebbe, potuto essere angelica; ma fu detta indemoniata da chi la conobbe. Così era del suo ingegno alto, pronto, aspirante; onde aggiungendovi la forza, che vien dall'uso buono e costante di quelle qualità, sarebbe stato ottimo; ma lasciato avvezzarsi ad intraprender molto, seguir poco, adempir nulla; indifferentemente poi avviarsi alle cose buone e alle mediocri, e talor anche alle cattive cui (dicevasi) il tempo e gli anni insegnerebbergli a discernere; ma gli anni non facendogli discernere se non il dolcissimo pendio delle cattive, e non insegnandogli se non passioni nuove e crescenti; fu sprecata così, menomata e corrotta l'opera, che era uscita pur bella, della mano del Creatore. Il primo pensiero di Manfredi, signore di sè e della fortuna paterna, fu lasciar il castello e la villa, e recarsi alla corte de' duchi di Milano, dove il padre aveva già avuta intenzione di mandarlo. Erane poi stato trattenuto gran tempo da quel cieco amore, che non gli concedea scostar da sè il figliuolo così tenero; poi dal pensiero migliore di voler pur morir nelle sue braccia; ma in ultimo morendo avea ordinato che ei non tardasse più. Nè la vedova madre, svisceratemente e anche essa irragionevolmente tenera del figliuolo, ma avvezza a seguire la volontà del marito, seppe contraddire a quest'ultima sua. Ondechè, compiuto appena il tristo ufficio delle esequie del marito, diedesi senza intervallo a quello degli apparecchi per la partenza del figliuolo. E perchè il pensiero di questi apparecchi, del corteggio, delle cavalcature, e degli equipaggi del giovine, quantunque frivolo possa parere a noi, era pure stato l'estremo del morente barone, che n'avea date minute instruzioni alla moglie; questa anche in ciò non fu se non esatta esecutrice; e in breve ogni cosa fu in pronto; e fermato il giorno, e sparse molte lagrime prima rattenute, poi dirotte all'istante della partita, ella gli diè l'ultimo abbraccio; e risalita sulla torre settentrionale mirò alla cavalcata, finchè la potè discerner fra gli andirivieni de' boschi vicini, sulla via a Casale e a Milano.

Quanto breve poi a descrivere e facile a immaginare è il dolor rassegnato d'una madre che faccia il primo sacrificio al figliuolo, tanto numerosi, varii, intricati, ed anche opposti sono i pensieri del giovane, che, rotti per la prima volta i lacci della casa paterna, corre tutto speranza e presunzione ad incontrar quel turbine, quella bufera del mondo, quantunque pericoloso, oscuro e nemico glielo abbian dipinto i disingannati genitori. Qual giovane è allora che non creda anzi questi ingannati, o forse ingannatori; e più o meno dentro a sè non li accusi, o di animo stato sempre poco atto a godere, condurre, e per così dire possedere il mondo, o di spiriti ora invecchiati e depressi, che faccian loro dimenticare i piaceri avutivi a lor tempo? «Ed io pur ne vuo' il mio satollo» diceva Manfredi, come uscito appena dalla vista del castello, e non avendo più a rispondere a' segni lontani della madre, smetteva con quelli ogni pensiero del passato, e precipitava sull'avvenire, fantasticando tacito contro l'uso suo, e senza rispondere alle adulazioni degli otto o nove scudieri e donzelli che il seguivano: «Ed io pur ne vuo' il mio satollo. E me l'avrò; se mai ricchezze, se gioventù, se bellezza, se cuore ardito e mano pronta e buona spada il possono o per amore o per forza procacciar a nissuno. E vengano pure opposizioni, rivali, contrarietà. Non io forse sono avvezzo a vincerle? Chi era ugual mio negli esercizii cavallereschi tra i vicini signori? Chi appresso le damigelle, o le villanelle all'intorno? Chi di queste poi troppo ritrosa? Or bene. Sieno pure più gentili costumi là in corte; ei non saranno più schivi. Sieno più rivalità, saran più vittorie. Quanto più mi si è venuto allargando il mondo finora, tanto mi si sono moltiplicati piaceri ed applausi. Or mi si allarghi, ed apra pur quant'è grande. Qui sono io corpo, animo e volontà da abbracciarlo tutto intero.» E così dicendo, con uno di que' moti involontarii che chiamano il cavallo a parte, e come alla confidenza de' pensieri del cavaliero, od anzi fanno dei due quasi una sola creatura, ei se lo spingeva insensibilmente fra le gambe; e il cavallo partiva di trotto e galoppo, a portar veloce il suo signore a quel mondo agognato.

Io poi non verrò descrivendo l'arrivo di Manfredi, la sua presentazione al Duca, ed in corte, o quella delle lettere commendatizie lasciategli dal padre per li molti amici che credeva avervi. Sì è necessario avvertire che di questi amici trovò, che alcuni erano morti, senza che il vecchio barone nella sua solitudine ne avesse pur saputo nulla; altri erano caduti in disgrazia del Duca, o s'erano ritratti per istanchezza, e quando il giovane presentava loro le lettere, rispondevano: «Dio volesse che potessi giovarvi ad alcuna cosa; ma vedete come elle vanno; io non m'impiccio in nulla;» e poi davansi a far tali orazioni in bigoncia contro la corte e il principe ed ogni cosa, che il giovane, se avesse loro creduto, sarebbene partito di volo. Degli altri, gli uni, abbracciato il giovane, e invitatolo a pranzo, credevano aver pagato il debito dell'amicizia; altri gli davan commiato dicendo: «Se posso giovarvi mai, fate conto di me:» ed alcuni, fingendo durar fatica, o durandola in effetto a ricordarsi suo vecchio padre, finalmente con un «Povero uomo! adunque è morto? mi duole assai;» facevano intendere chiaramente che erano seccati di quell'appello ad una troppo antica amicizia. Nè tuttavia questi furon tutti. E ne furono pure che aprirono a Manfredi come a proprio figliuolo non solamente le braccia e la casa, ma ciò che è più, e più assimila un amico ad un padre, i consigli, i conforti, e gli aiuti, di che ad ogni ora abbisogna un giovane quando viene dimesticandosi col mondo. Benchè difficilissime a darsi e riceversi sono siffatte cure. Difficile a un padre stesso l'adoprarvi efficacemente or l'amore or l'autorità, e sempre l'esempio necessario con amendue. Quanto più a chiunque supplendo il padre, per far ch'ei faccia, non può arrecare nè tanto amore nè tanta autorità, e mette poi anche meno impegno in aggiugnervi gli esempi. Nè è dunque da stupire che de' pochissimi amici vecchi trovati da Manfredi arrivando a Milano, o colpa loro che presto si stancarono di quell'ufficio di dar ammonimenti non o mal seguiti, o colpa sua che si stancò di andar a udir ciò che non voleva fare; non è a stupir, dico, che nè anco uno a capo di pochi mesi gli rimanesse. Sì invece sottentrarono appresso a lui una mano di amici giovani più grati assai, più facili, più allegri, e come ei non dubitava, più adattati. E tanto bene s'adoprarono nelle lor cure questi nuovi educatori, e tanto naturali disposizioni poi, tanto buon volere vi arrecò per parte sua l'educato, che in capo a que' pochi mesi egli era addottrinato, e fatto a tutti gli andamenti della vita cittadinesca, a tutte le sguaiatezze delle corti, e a tutte le sfrenatezze delle brigate giovanili, quasi come s'ei fosse lor nato in mezzo. Tuttavia la differenza si scorgeva sempre, e qualunque lode i compagni gli dessero apertamente, ei continovavano di nascosto e dietro a lui a farne le beffe, e trattarlo di ragazzaccio nuovo, e gentiluom campagnuolo.

In realtà Manfredi era dappiù di essi, non solamente per quelle qualità native che ben coltivate sarebbero state virtù, ma anche per molte di quelle che fanno primeggiar uno stesso vizioso in mezzo a' viziosi, come bellezza, ingegno, facondia naturale, destrezza, coraggio. Ma gli mancavano poi cento di que' minori, anzi minimi pregi, che pur sono tanto lodati nel mondo, forse perchè il solo mondo li può dare; come il vestirsi, il porgersi, l'andare, il cavalcare, il salutare, ed anche parlare alla maniera che in quel dato luogo e tempo si chiama eleganza; e non era tale ieri, e non lo sarà domani, e non è altrove; onde chi non v'è nol può indovinare; ancora certi modi di dire ed esprimersi che non sono di niuna lingua, ma quasi un gergo di quella corte o di quella brigata; e chi non ne è non li può sapere, e chi non li sa vi fa tuttavia la più trista figura, e udendo non intende, o volendo parlare non è ascoltato, e vede un sorriso che il fa ammutolire. Finalmente mancavagli la cognizione delle persone e delle storie d'ognuno e d'ognuna; onde ad ogni tratto era costretto a dimandar chi è costui, o costei, e che è ciò? I quali tutti, benchè non paiano, pur sono arresti e difficoltà da sgomentare qualunque più ardito principiante. Nè i compagni li sogliono risparmiare; e tanto meno, quante più qualità invidiabili scorgono in uno, e quanto più temono esserne un giorno soverchiati. Ma se Manfredi avesse allora avuta la coscienza delle proprie virtù, e fattosi innanzi con buono orgoglio avesse detto a sè stesso: «Or ben ti sta; che vai gareggiando con cotestoro? o che indegno arringo è egli questo? ma vengano ad uno di prodezza, di fortezza, di sapienza, di virtù; e ben m'affido vincere tali omicciattoli;» se a tali pensieri poi avesse aggiunto i fatti, non sarebbe andato gran tempo che tutti que' suoi indegni, pur fortunati emuli, rivali, e soverchiatori sarebbero stati sforzati a riconoscere la sua superiorità. Sforzati, dico, da quell'istesso mondo che non è poi così gramo e scemo come si va dicendo, e che se non riconosce le virtù solamente asserite, più o meno presto poi riconosce quelle rivendicate coi fatti. Ma è necessario per ciò pazienza ad aspettare il tempo e le occasioni, ardire ad afferrarle, e principalmente animo e cuor virile a fecondarle. Nè erano siffatte qualità in Manfredi, avvezzo a trovar lisciati e fioriti i sentieri della vita; a disperdere, quando non a mal usare, gli spiriti giovanili; principalmente poi a non aspettare mai ciò che voleva, nè voler mai ciò che gli era d'uopo aspettare; onde non poteva bene eseguire niuna impresa aspra, nè spiritosa, nè lunga, che son pur le gloriose. Così è che essendo entrato in certe compagnie armate dal Duca, ei vi si portò sì con valore, e due o tre volte fu lodato da' compagni, ed anche dal condottiero; ma perdeva il frutto d'ogni cosa, mal reggendo ai disagi, alle fatiche, alle seccaggini della guerra; mal obbedendo ai superiori; mal comandando agli inferiori; mal tollerando i compagni; ond'era mal tollerato, e tanto peggio che era straniero e nuovo, due peccati dificili a farsi perdonare nella milizia. Finalmente, perchè l'invidia genera invidia, e troppo sovente a forza di patirne s'impara a sentirla, Manfredi, cui non pareva esser tenuto quanto valeva, cominciò ad esser emulo, e poi geloso, e finalmente invidioso degli immeritati successi altrui; e allora non reggendo più all'odio eccitato e sentito, tormentato di fuori e di dentro, tolse la prima occasione di tregua o pace, e tornò in fretta a Milano.

Ivi trovò nuovi tormenti, nuove seccaggini, nuovo malcontento di sè, d'altrui, d'ogni cosa. Partinne, e fu a Savoia, a corte di que' Reali, e guerreggiò per essi. Ma mutando corte e guerre, non mutò modi nè fortuna. Intanto tornò due o tre volte al castello Verde a riveder la madre; e ad ogni volta ritrovando là le tenerezze, le arrendevolezze materne, e poi le ammirazioni de' vassalli, e de' signorotti, e la alterezza baronesca; veniva riprendendo amore a quella vita, e pensiero di ritornarvi. La madre tanto più folleggiante che il figlio, il quale campagnuolo alla corte, pareva cortigiano alla villa, e narrava imprese e fatti o non suoi o non tutti suoi, ma creduti là con riverenza; la madre mal accorta, gli faceva premura di rimaner a posare delle fatiche, fermarsi seco, e prender moglie. Nè egli contrastava a questo pensiero; che pochi anni innanzi, per esempio quel dì che iva galoppando sulla via di Milano, sarebbegli paruto un vero peccato, o un danno fatto all'intera società in seppellire un così gran tesoro, come credeva sè stesso. Ora poi veniva affettando sperienza, disinganno, sapienza matura; i principi mali apprezzatori del merito, le corti guaste, le guerre empie, le imprese malmenate; nulla oramai valer gli sforzi di un semplice gentiluomo, quanto meno di uno, che grazie al cielo poteva dirsi signor di qualche terra, di qualche fortuna e qualche importanza per sè, senza aver a dipender da que' principi, quelle corti… e qui rinnovellava la infilzatura d'ingiurie; e conchiudeva una volta con promettere alla madre di tornar in breve; un'altra volta di risolutamente abbandonar le corti e le guerre; e all'ultima con pregarla che il provvedesse oramai d'una moglie, primo e più importante arredo d'un castello e d'una vita castellana baronesca. La madre che in tutti quegli anni non aveva avuto altro pensiero, che di cercar all'intorno, ed anche nelle altre provincie d'Italia, tutte le fanciulle, che prima per nobiltà, poi per ricchezza, in terzo luogo per beltà, quarto per ingegno, e in ultimo anche per virtù paressero degne spose del figliuolo; la madre contentissima, non se lo fece ridire: ma aperto un certo scrigno di tartarughe e lapislazzuli, dove teneva ogni sua cosa più cara, ne tolse la lista o rosa di quelle fanciulle, ed anche due o tre ritrattini che si era procacciati. «E vedi, figliuolo,» diceva, «benchè semplice barone, l'amore e le cure materne pur ti trattano da principe. Ora, non meno che se lo fossi, io t'ho disposta ogni cosa in modo che puoi a tuo talento scerre tra tutte queste; chè qualunque tu scelga, ben ti posso dire appunto, non disdirebbe a niun principe.» E qui fecesi a recitare le genealogie, a far i computi delle eredità, e poi a comunicar tutti i contrassegni di corpo e d'animo avuti per danari, dalle balie o dalle cameriere; ed a bilanciare i quartieri dell'una co' tanti mille scudi di più dell'altra, e col buon naturale della terza: mentre il giovane toglieva d'ognuna il ritratto, e metteva anch'egli nella bilancia il più o meno di beltà. E qui saranno ingannati coloro che credono essere il mondo sempre e quasi unicamente retto dalla sacra fame dell'oro. Perchè nè madre nè figliuolo non anteposero, come crederebber costoro, la più ricca; e fu dato il pomo concordemente dai due ad una donzella in cui erano sì nobiltà e ricchezze sufficienti, ma non preponderanti; e la qualità preponderante agli occhi della madre fu l'esser quella per quanto sapevasi, la più dolce, la più gentile, la più arrendevol fanciulla di tutte, onde era a sperare crescerebbe ad ottima nuora; e pel giovane fu la bellezza che vedevasi al ritratto, e dicevasi dagli amici, e finalmente conobbe egli andandovi co' proprii occhi; bellezza od avvenenza così pura e semplice, e direi quasi così virtuosa, che mirandola un uomo e desiderandola, diceva inevitabilmente a sè stesso: costei per quanto desiderata non sarà isperata mai se non da uno; grande e doppia ragione poi di voler essere quell'uno. Che più dirovvi? Io mi sono allungato tanto in queste deliberazioni di Manfredi e sua madre, che m'è forza abbreviare, anzi passar del tutto la conclusione del matrimonio, lo splendido viaggio dei due al paese ed alla casa della sposa, le feste grandi che vi si fecero, il ritorno al castello Verde, le feste ivi rinnovate, gli addobbi nuovi, ed ogni altra cosa che si suol fare più o meno sempre, ma tanto più quando, ognuna delle parti essendo contentissima, pare che la gioia non possa capire in pochi, e chiami amici e parenti, a sollevarne come d'un peso.

E tuttavia, appunto da questi giorni di gioia incomincia la dolorosa istoria, che ho preso a narrare. Manfredi era allora di poco più che ventidue o ventitrè anni; e, come udiste, affettava senno e sperienza da più di trenta. Ma il vero è che non n'aveva per venti, nè per quindici. E il vero è che s'io avessi una fanciulla da maritare, meglio vorrei uno di questi giovinotti quasi bambini, che non sogliono esser guasti tuttavia: ovvero uno di quegli uomini, che se sono stati guasti, hanno avuto tempo da disguastarsi; anzi che uno di quell'età e virtù intermedia pericolosissima, che già accostato sovente il labbro alla incoronata coppa de' piaceri, non n'hanno tracannato tanto da provar gli amari effetti del veleno; e a cui la nuova proibizione di que' piaceri venuta col matrimonio, non è se non, come ogni altra proibizione, nuovo stimolo a' desiderii, nuovo gusto a riaccender le voglie spente e fastidite. Manfredi aveva avute sovente in casa, men sovente, ma pur talvolta anche in corte, di quelle che altri dicon buone, ed io dico male fortune d'un giovinotto. E 'l dico non solamente come prete, e maestro di scuola, o precettore che fui un tempo d'un giovane gentiluomo; ma in quel po' di mondo ch'io vidi allora mi accertai che, anche umanamente parlando, il guadagno portato seco da siffatte qualunque sieno fortune… Benchè questo è assunto che menerebbe in lungo, e per avere speranza di correggerne il mondo, ei vi si vorrebbe trattare ex professo, ed io ho da gran tempo in pensiero un opuscolo, che sarebbe intitolato: De' Cavalier serventi e patiti; loro storia, vicende e rivoluzioni; de' danni recati da essi all'Italia ec. ec. Finora poi non l'ho fatto perchè fui sbigottito dalla mole dell'argomento; ed anche poi perchè mi fu detto che sarebbe un'anticaglia, e che ora non s'ode più dire nemmeno il nome de' serventi. Ma io ho certe ragioni di credere, che se non il nome, dura almeno non molto diverso il vizio; e durando, l'opera sarebbe pur utile, solo che non fosse tanta fatica averla a fare. Ma di ciò altrove; e farò allora una nosografia morale, o descrizione delle malattie che rimangono negli animi corrotti da quella sguaiata vita giovanile. Qui il mio assunto è dir d'una sola, la quale chiamerò poi misoginomania; ed è uno vero o talor affettato disprezzo delle donne, che suol rimanere in molti di coloro che ebbero, e in tutti quelli poi che vogliono far credere aver avute molte delle dette buone fortune. I quali van dicendo prima agli amici, e cresciuti i sintomi, anche per le vie e per le piazze, e fino innanzi alle stesse donne, che tutte le donne sono questo e sono quello, e si assomigliano quante vivono, e non ce n'è una buona, ed altri siffatti discorsi evidentemente maniaci. Segue poi, a forza di dir queste cose, il crederle, anche quando non si vorrebbe nè dovrebbe; l'esser geloso senza la menoma ragione, e il non voler parerlo; il fuggir come la maggior vergogna qualunque apparenza, qualunque segno di amore o di troppo rispetto alla propria donna; e così il render questa infelice e disgustarla. E se per gran bontà ella non si disgusta, il marito ad ogni modo ne teme; onde crescono di nuovo le gelosie, i sospetti, e poi i mali discorsi e i mali atti, e di nuovo i malcontenti; e così via via, che è un circolo vizioso ed un accrescersi ed infilzarsi di difficoltà, disgrazie e malanni, che tutti vengono dalle sopra lodate buone fortune. E questa fu la colpevole, pur quasi io dicea compassionevole storia di Manfredi. Perchè io compatirei a sue colpe, conseguenza della mala educazione; se non che queste colpe erano scontate dalla pura paziente vittima datagli indifesa nelle mani. Ahi povera Margherita! Sola, lontana dai parenti, senza sostegno, nè consiglio, nè conforto; aggiogata ad uno impuro, violento, e non per natura ma per ozio diventato grosso e maligno uomo; queste e tutte altre disgrazie sarebbero state nulla; se non che, incauta infelice Margherita! ella era innamorata. Fu egli Manfredi falso dissimulatore de' suoi brutti vizii, fingitor di virtù simili alle purissime della vergine ne' dolci mesi che precedono e seguono le nozze? Ovvero fu ella colpa di lei, cuore troppo aperto all'amor comandatole, ingegno troppo facile a fidarsi e a creder bene; od anche forse quando incominciò ad accorgersi delle male qualità del marito, femminil superbia e stolta speranza di averlo a convertire? Nol so; certo è che si vedono sovente accoppiate contro natura dall'amore persone troppo dissimili; e quelle che si potrebbero pur paragonare a tenere e bianche agnelle, ricercare d'immeritato affetto certi uomini, che son veri lupi neri ed immondi. Così è che Margherita la prima volta che era respinta; respinta essa! dalle braccia dello indegno marito, altro refugio non trovava che le medesime braccia, e sè stessa accusava, chi sa? di non bastante tenerezza, non bastante avvenenza, non bastante gentilezza, o spirito o grazie per quell'uomo che a lei era più che uomo, e come uno Iddio che non poteva aver colpa, nè far male nulla mai, nemmeno lo affliggerla. Ella raddoppiava così la tenerezza e le dimostrazioni d'amore e da soli e in compagnia; egli fuggendole in pubblico, avvezzavasi a non apprezzarle in privato. Ella aveva dimenticato ogni cosa, ogni affetto al mondo, per lui, e ne faceva gloria; egli avrebbe creduto vergogna confessare un amore appassionato, e ridurre i suoi pensieri a lei sola. Ella già ricercata e risplendente nel mondo, non altro desiderava nè amava come trovarsi nella solitudine con lui; egli già noiato e lasso del mondo, ora non voleva parer lasciarlo per amore o per gelosia. Condussela più volte seco alle due corti di Savoia e di Milano, e talora udendo lodare la bellezza e l'aggraziata modestia di lei ne tolse vanità; ma la celava al mondo per non parere innamorato, e alla donna per non accrescere in lei la vanità, e le occasioni di ciò a cui egli credeva e diceva già troppo inclinate le donne. E in somma in corte come alla villa, fra gli uomini e solo a sola, benché fin allora non paresse farle torto di nulla, pur fraudava lei di ciò che è diritto, e forse più che lo stesso amore, bisogno femminile, le dimostrazioni pubbliche e private della stima del marito. E di tal froda una donna quanto più è gentile, tanto più si risente; a spese del marito, se non la regge virtù contro il desiderio di vendetta; a spese proprie, se oltre all'essere gentile la natura sua è insieme virtuosa.

Vedeste voi mai una giovane poc'anzi fiorente di età, di bellezza, d'allegria, senza niuna ragione che si sappia, senza grave malattia, senza dire a persona che o come sia, senza lamentarsi, né pianger che si veda, ma tacita, e con gli occhi rossi, e la voce infievolita, ad un tratto dimagrare, impallidire, e sparire ed accasciarsi tutta? Costei, dite, langue d'un virtuoso amore. E languiva Margherita; e il languore togliendole il brio, e le forze, e parte della bellezza, ella stessa s'affliggeva di dover parere men gentile al marito; e questo affliggersi le accresceva il languore; e così ella ancora entrava in una progressione crescente di pene, mentre egli innoltrava in quella sua delle colpe. Nè andò guari ch'egli arrivò alla peggiore, e incominciò ad esser marito infedele. Non se n'avvide dapprima la troppo semplice. Nè poteva avvedersi di cosa ch'ella era incapace, non dico di fare, ma di fermarvi poca ora il pensiero; nè poteva pensar turpitudine di niuna donna; nè forse meno, colpe gravi del divinizzato marito; meno di niuna poi quella che la propria purità le faceva parer gravissima di tutte. E poi, come vi dissi, Margherita era innamorata; epperò cieca. Un anno o due era durato Manfredi ad affligger sua donna, pur senza tradirla. Tre o quattro durò poi a tradirla, che il sapevano tutti, fuorchè essa. Finalmente la semplicità e quasi incapacità di lei ad accorgersene accrescendo la fiducia al traditore e alle traditrici; e fors'anco taluna di queste non essendo, come succede, contenta di rapire la persona e il cuore altrui, se la legittima posseditrice non lo sapeva; finalmente la meschina udì e vide cose che ad altre sarebbero state certezza, a lei non poterono non dare sospetti. Ma che serville! se i sospetti le furono così crudeli, quanto sarebbe stata ad ogni altra la certezza. Nè era più oramai un lento languire e penare, ma un dolor pugnente, angoscioso, che le metteva come un ferro rovente al cuore, un cerchio di piombo al capo, un fascio di spine in letto; il letto, dove ora nemmeno un po' di riposo non potea trovar più! I giorni lunghi, le più lunghe notti, cuore, animo, pensieri, affetti di lei tutta, si consumavano in inutili deliberazioni. Come, che fare? aprirebbesene ella al traditore, o tacerebbe? E se parlava, come parlerebbe? Dolcemente? ma s'ei negava? Con rimprocci? ma s'ei s'offendeva? E se non fosse vero? Vorrebbesi prima verificar più; ma, come verificarlo? Osservando? ma oltreché sentivasi inesperta, che affanno, che crepacuore, incominciare, seguire una vita di sospetti, di spiagioni? Ma che dolore anche rimanere in quel dubbio! E fattesi queste e molte altre interrogazioni senza risposte, senza ragionamento finito, senza conclusione; non avendo pur mai una volta il pensiero, che sovente viene alle più virtuose, di fidarsene altrui: ma fidando al solo Iddio, finiva il più sovente con una preghiera di abbandono in lui e di rassegnazione; e cadeva poscia spossata in un sopore agitato, onde in breve si svegliava calda ed affannata a rinnovare i dolori. Povera, infelice creatura! il solo rimedio ch'ella avesse era quello di chi non ne sa trovare, e troppo debole per resistere fugge, e chiude gli occhi per non vedere. Sforzavasi tôrre il marito dalle corti, e tornar alla solitudine; e le riusciva facilmente, perchè quelli vi vedeva un modo di liberarsi da lei. Appena tornati al castello Verde, egli, o apposta per esser lasciato ripartire, o naturalmente perchè tolto di mezzo dalle male compagnie, dalle gozzoviglie, da' vizii usati, era come sviato, e sempre di mal umore, e più contro lei che gliel'impediva; certo è che egli la maltrattava in modo da farle quasi desiderare d'essere lasciata. Lo desiderasse poi ella o no, egli ve la lasciava sovente, ed ella talora, non resistendo a' gelosi timori, gli tornava appresso alla corte. Poi, non resistendo alla certezza sempre crescente, fuggiva di nuovo, e sola al castello. Così andò più volte, e s'accrebbero i suoi dolori per la morte dell'amorosa suocera. La quale benchè non fosse fatta mai confidente de' suoi dolori, e morisse come era vivuta cieca ammiratrice del figliuolo, pur era di qualche conforto talora all'abbandonata.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
25 haziran 2017
Hacim:
360 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain