Kitabı oku: «Il ponte del paradiso: racconto», sayfa 10
XI.
La testa di Medusa
Filippo Aldini ebbe modo, nella pace notturna del suo quartierino, di almanaccar lungamente su quello che per calmarne le apprensioni gli aveva detto Raimondo. Margherita era dunque ammalata per il caldo soverchio di una stufa? Strano ripensandoci allora, strano che quel gran caldo, magari con tutte le esalazioni capaci di ingombrare il cervello, egli non lo avesse neanche avvertito! E proprio, nello spazio di tempo assegnato, ad una visita di cerimonia, ne era rimasta offesa la signora Zuliani che aveva dovuto in giornata mettersi a letto anche lei! Bizzarra coincidenza di indisposizioni! E quella ottima signora Eleonora così impacciata con lui, quando era andato a far visita!
Un vago sospetto passò per la mente di Filippo. Che la Zuliani avesse fatto qualche colpo di testa con le signore Cantelli? Ma in che modo? e perchè? La signora Zuliani, egli l'aveva ben veduta la sera antecedente, guarita affatto della sua emicrania, tutta gaia, felice, raggiante e scintillante, tutta fiori e baccelli col suo Raimondo più caro che mai. Ah, restasse ella sempre così! Anzi, fosse restata sempre così! Perchè infine, considerando i suoi falli, Filippo Aldini poteva confessare a sè stesso che erano gravi, ma non suoi. Si era trovato involto senza pensarci, travolto nell'abisso, prima di vedere il pericolo. Ne scampava ora, dopo tanti vani ma onesti tentativi? Lode al cielo, e dal profondo dell'anima. Solo dalla sera antecedente, tra diademi sfavillanti e duetti maritali, il povero Aldini incominciava a ricogliere il fiato.
E intanto, gli premeva di aver notizie più chiare intorno alla salute di Margherita. Ne sentiva il bisogno, insieme con l'obbligo; cortesia voleva ch'egli andasse, per chieder di lei, foss'anche ogni giorno, al Danieli. Andando di mattina, e perciò senza mostrar desiderio di fermarsi, non correva pericolo di dar noia, oltre quella che è comandata dalle buone creanze, e che perciò gli uni debbono dare, come gli altri accettare. A che ora, la visita? Non troppo presto, certamente; ma neanche troppo tardi. Alle dieci? Sì, e forse alcuni minuti dopo. Dunque, alle dieci sarebbe partito da casa, aspettando per l'appunto nel suo studio che le dieci scoccassero. Era già vestito di tutto punto per uscire, col cappello e la mazza tra mani, ad ogni tanto guardando le lancette dell'orologio sospeso alla parete, davanti alla sua scrivania.
Ma ecco, che è, che non è, un improvviso rumore, come di chiave che giri in una serratura, di là da un uscio a vetri opachi, nel fondo della parete a sinistra. Il quartierino di Filippo aveva due ingressi; il nobile e da tutti conosciuto come quello di casa sua, e un altro di minor conto, quasi uscio per la gente di servizio, che metteva ad una scaletta, la quale riusciva al cortile di un vicino edifizio. Da quel cortile, per una scala a collo, cioè fiancheggiata per una parte sola da un muro, per l'altra da una balaustrata interrotta qua e là da colonne, e tutta sormontata da una tettoia risalente, si ascendeva all'abitazione della contessa Galier di San Polo. Si è già detto che la contessa e l'Aldini erano vicini di casa, abitando in due palazzi contigui da tergo.
Lo scricchiolio dell'uscio segreto fece sobbalzare Filippo Aldini sulla scranna. Tutto poteva egli aspettarsi quel giorno, fuorchè la visita che quel rumore annunziava. Avrebbe voluto essere in tempo a sbiettare di là, riuscire in anticamera e trafugarsi per lo scalone, come uno che non s'aspettasse di aver gente dalla scaletta. Ma non era più in tempo. L'uscio di servizio, per chiamarlo una volta così, appena aperto si era richiuso; si apriva in quella vece la vetrata che metteva allo studio dell'Aldini, e nel vano appariva la testa di Medusa, anzi tutta la persona di lei. Che se quella non era proprio la Gòrgone antica, dai bei capelli d'oro tramutati per l'ira di Minerva in orribili serpenti, pareva essere ancora investita del triste privilegio di tramutare in pietra chiunque si fosse trovato sotto il sinistro baleno de' suoi occhi scorrucciati.
Ed era rimasto come impietrato, l'Aldini, in quella che Medusa s'inoltrava nella stanza, lenta nel passo e quasi noncurante in vista, ma torbido lo sguardo e pieno di oscure minaccie, bianca nel viso come una persona morta, resa tanto più bianca all'aspetto, per il nero della gonna e della mantellina, come per il nero del cappellino di velluto e dei larghi nastri, che scendevano lungo le guance, per unirsi a cappio sotto il mento, nascondendole il collo.
– Livia! – mormorò l'Aldini, allibito.
– Sì, Livia. Miracolo! Sapete ancora il mio nome? – diss'ella, nell'atto che si slacciava il cappellino, per gittarlo sopra uno scaffale.
– Che follia! – riprese egli. – Se vi hanno veduta…
– Non sarà stata la prima volta; – riprese ella, accostandosi. – Tu eri per uscire, non è vero? Deponi il tuo cappello, e ragioniamo. A proposito di follie, che cosa diremo della tua, che da due settimane mi annoia? Spero bene che sarà stato uno scherzo. Brutto scherzo, per altro; e sono venuta a dirti che è tempo di finirlo. —
Filippo era stato lì a capo chino, come, in un' ora di temporale, il viandante che aspetta il passar d'una raffica.
– Raimondo, – si provò allora a rispondere, – vi avrà pur detto…
Ma la signora non gli lasciò terminare la frase.
– Raimondo, – sentenziò ella, – è uno sciocco.
– Dite un uomo di cuore. Sì, vi ripeto, un uomo di cuore; e non lo riconosco tale da oggi. Quante volte, e da anni, non ve l'ho io ripetuto?
– Sì, – rispose ella, con un risolino sardonico, – molte volte, moltissime volte, seguitando a tradire la sua cieca fede nella tua amicizia. —
A questo ragionamento si potevano rispondere assai cose. Ma erano di quelle che un uomo, se è cavaliere, non rinfaccia mai ad una donna.
– E n'ebbi sempre rimorso; – replicò in quella vece, umiliato. – L'ho sempre sentito acutissimo, e voi lo sapete. Noi ci perdiamo, vi dicevo ancora, vi ricordate?
– E siamo sempre qui sani e salvi; – conchiuse la signora, sviando quel molesto discorso, più che con la parola, col gesto. – Ma tu non farai questo matrimonio; tu gli dirai che è impossibile.
– Impossibile! Ora? Ma se egli ha tutto ideato, tutto predisposto e concertato a suo modo! Chi mi ha presentato, senza chiedermi se la cosa mi fosse gradita? Chi mi ha cacciato avanti, accompagnatore in servizio, come un altro signor Brizzi, a disposizione delle dame? E potevo io credere, rassegnandomi all'ufficio, che ciò mi dovesse condurre a questo punto? C'è stato, vedete, c'è stato un momento che io ho avuto un sospetto; il sospetto che egli dubitasse di me, e mi volesse imporre un vincolo, per la sua quiete. Sì, l'ho creduto accorto a tal segno, nella notte del capo d'anno, quando egli mi stringeva a quel modo col suo brindisi, e voi, anche voi, vi siete messa dalla sua parte. Forse, dissi allora tra me, anch'ella ha capito; ha capito ciò che assai prima era ben naturale di capire, di prevedere; ed ella mi dà il buon consiglio. Ora egli incalza più che mai; non ho più difesa possibile. Non so, Dio mio… non so che fare; la mia testa si perde. Domandatemi ogni cosa, fuorchè d'oppormi alla volontà di Raimondo; io non ho questo coraggio. —
La signora Livia era stata ad ascoltare quella lunga difesa, tentennando il capo, battendo le labbra, e sorridendo sarcasticamente al povero argomento che Filippo attingeva da lei, da una sua vana parola.
– E sei tu, tu, che ho creduto un uomo? – ribattè, com'egli ebbe finito. – A voi dovrebbe esser proibito di amare, e di pretendere che si credesse alle vostre parole. Voi siete mediocri. Bastate a formare la felicità di una fanciulla, o ad appagare la sua curiosità, per quel breve spazio di tempo, che può essere un anno, come un giorno. Poi sopravviene da una parte e dall'altra la noia. Voi agli affari, essa alle galanterie. Questo avverrà anche per te, Filippo Aldini, te lo pronostico io, io che non ho amato così. —
Anche qui le si poteva rispondere di trionfo: e voi, bella, che vi vantate di amare altrimenti, che cosa avete fatto poi di diverso? Ma non era Filippo Aldini, l'uomo che potesse rispondere a quel modo.
– Tutto è possibile! – diss'egli, pacato; – ed io, uomo mediocre, non meriterò altro, davvero. Ma la nostra questione non è in ciò che io possa meritare; è in ciò ch'io non posso fare per compiacervi. Pensateci, Livia, siate buona, ed ascoltate le mie ragioni, vi supplico… —
Ma ella non era disposta ad ascoltar nulla di nulla. Aveva presa dal piano della scrivania una lunga stecca d'avorio, e batteva con quell'arnese a gran colpi sull'orlo del mobile, davanti al quale Filippo era rimasto seduto.
– Oh, a proposito, – gridò ella, mozzandogli in bocca le parole supplichevoli, – perchè non mi dai del tu? —
Non era la risposta ch'egli s'aspettava da lei, pregandola con tanta effusione di cuore. Ma bisognava adattarsi al suo modo di ragionare, seguirla ne' suoi voli capricciosi.
– Perchè è male; – riprese. – Debbo io ricordarvi sempre il passato? Una volta, davanti a lui, vi accadde di dirmi: sai!
– È vero; e ne fui tanto felice!
– Egli poteva sentirvi.
– Mi avesse pure sentita! E mi sentisse ancora!
– Egli vi ama; lo avete veduto iersera. Ed io che già speravo, nel vedervi così buona con lui!
– Ah sì? – gridò ella con accento impresso di profonda ironia. – E ti piaceva molto? E tornando a casa col cuore sollevato da un peso enorme, ti sei addormentato in una gran sicurezza? —
Colpiva giusto, fors'anche senza saperlo. Filippo evitò di rispondere.
– Infine, – ripigliò, – è bene ch'egli vi ami sempre così.
– E mi pesa, capisci? – ribattè ella, sdegnosa, esaltandosi a grado a grado delle sue stesse parole. – Mi pesa, col suo amore così cieco; mi pesa, colla sua serenità così sciocca. Alle volte io dico tra me: se indovinasse il vero, mio Dio! se mi uccidesse, in un impeto di rabbia feroce, quanto meglio farebbe per sè, come per tutti! Ma tu non sposerai quella puppattola. Le parlerò io, se è ciò che ti turba.
– Oh, voi non farete ciò! Che colpa ci ha lei? – gridò Filippo, atterrito.
– Che colpa? Quella di crederti, essa, che non ha neanche le tue ragioni, i tuoi pretesti di uomo mediocre. Del resto, ho già incominciato. Sì, a sua madre, senza tanti riguardi, a faccia a faccia, e a lei che ascoltava dietro un uscio, quella cara puppattola, ho detto chiaro e tondo che cosa siano e che cosa valgano certi vagheggini dei nostri giorni. —
Era ciò che Filippo aveva sospettato. Ma poichè il male era fatto, egli trovò ancora la forza di padroneggiarsi, nascondendo il suo turbamento.
– Non vorrò dolermene io, per me stesso; – notò, dopo un istante di pausa. – Ma se egli viene a saperlo?
– Tu hai paura di lui?
– Rimorso, ve l'ho già detto.
– E dovevi dirlo prima, assai prima, cacciandomi da te, bel conte avvezzo ai trionfi, quando quest'altra vittima ti cadeva nelle braccia. Vorresti dirmi, – soggiunse ella, cogliendo e interpetrando a suo modo un gesto di Filippo, – vorresti dirmi che lo avevi tentato più volte; e non l'osi. Sei anche vile con me. Ma te lo confesserò io, bel conte delle vittorie, io che avrò tutto il coraggio che ti manca. Eppure, anche allora l'hai difesa male, la tua virtù cavalleresca. Ed ora, forte guerriero, ed ora, impavido cavaliere, temi allo stormir di ogni foglia; hai paura; hai paura di lui. —
Filippo Aldini torse la bocca, levando la testa con atto sdegnoso, e fu l'unica risposta che diede. Ma ella ripigliò, incalzando più forte.
– Se non hai paura di lui, crederò di te quello che non avrei creduto mai; che tu ami quella donna. —
Filippo era sul punto di rispondere un sì tanto fatto; e succedesse un po' quel che voleva succedere. Ma pensò ancora, da cavaliere, e si trattenne. Se ci son cose che non si rinfacciano ad una donna, ci sono anche quelle che non si confessano a lei.
– Io! ma che?.. – disse in quella vece appoggiando i suoi monosillabi con un sorriso ed un gesto che poteva parer di diniego.
– Ma sì, l'ami; – replicò la bella implacabile. – E come no? Cinquecentomila lire di dote, sono una bellezza trionfale. Aggiungiamo un milione e duecento cinquantamila lire di eredità, facendo calcoli sull'asse del vecchio al giorno d'oggi. Eh, si son fatti i conti, mio caro; si sanno fare, anche senza bisogno di cavarne nulla. Oggi come oggi, il banchiere ha sette milioni di sostanza, messi fuori di giuoco. E tu, bel conte, dai il tuo blasone in baratto. Lo vendi bene, non c'è che dire, lo vendi bene. —
E diede in uno scoppio di risa, lasciandosi andare mezzo arrovesciata contro la spalliera del divano che correva lungo la parete, poco lontano da lui.
Filippo era rimasto fieramente colpito da quel terribile assalto. Non proferì parola; ma ben si vedeva all'aspetto che molte cose gli bollivano dentro. Si alzò dalla scranna, e misurò due volte a passi concitati la stanza, che era divenuta per lui una prigione, una camera di tortura.
– Ebbene, – riprese ella, premendo più forte, quasi volesse mandare più addentro la punta che lo aveva tanto irritato, – dimmi che non è vero, perchè io rida dell'altro. Oh, bello bello, il tuo blasone rimesso a nuovo! —
Filippo Aldini si piantò davanti a lei, severo, accigliato, com'ella non lo aveva mai visto.
– Signora, – incominciò egli, lentamente, meditando le parole, – voi toccate un tasto, che rende cattivo suono. Le male cose che mi gettate in viso come un insulto…
– Ah, bene! – interruppe la signora. – Riscaldati una volta!
– Le male cose che mi gettate in viso come un insulto sanguinoso, – riprese Filippo con accento solenne, – non hanno virtù di commuovermi. Paura, mi avevate già detto, paura di lui! Quella che voi chiamaste paura, è vergogna, vergogna di apparire a quell'uomo leale un traditore dell'amicizia; quanto alla paura, ho ancor da sapere dove ella stia di casa. E dite lo stesso di altre brutte ragioni, che la mia coscienza di gentiluomo sdegnosamente respinge, e che la mia mano ricaccerebbe in gola a chi ardisse solamente accennarle. —
Lampeggiavano in quel momento negli occhi di Filippo molte imagini di vecchi Aldini, ugualmente accigliati, ugualmente severi, duri soldati di quindici o venti generazioni, col sentimento dell'onore sulla fronte, e la mano fieramente aggravata sugli elsi della spada.
Le vide Livia; anche confusamente, non poteva non vederle. Ma anche in lei soverchiava lo sdegno, infiammandole il sangue.
– Ricacciatele, dunque! – proruppe. – Avanti, terribil guerriero!
– Parla una donna; – rispose Filippo, con accento mutato; – e dirò in quella vece alla donna: Tutte le male cose che mi avete gettate in viso, ho voluto pensarle ancor io; e come le ho pensate, esagerandole molto, le ho dette; le ho dette, nella speranza di vincere con un eccesso di scrupoli la inconcepibile ostinazione di lui. Niente è servito. Tu non sei ricco, mi ha egli risposto; ma intanto ciò che possiedi basta a fronteggiare i due terzi della dote; meglio invigilato, amministrato a dovere da te, basterebbe a fronteggiarla tutta. Quella gran dote, finalmente, sarà investita in terreni, e tu non ne toccherai un centesimo. Non ti basta ancora, di averne le mani nette? Puoi chiedere che sia diminuita, lasciando che la sposa si costituisca il rimanente in sopraddote. Mi parli di quello che verrà poi? Il poi è lontano, e speriamo, da galantuomini, che sia lontanissimo. E non risguarda te, il poi; sarà della donna, non tuo. Questo, – soggiunse Filippo, – lo sapevo bene ancor io; non sapevo, piuttosto, non ho cercato di sapere come e fin dove fosse ricco il signor Cantelli, od altri al mondo, mai!
– Così, dunque, ti sei volentieri acquietato? – replicò la signora. – Ci s'acquieta bene, quando c'è l'interesse, non è vero?
– Non vi risponderò più; – disse Filippo.
– Ah, il gentiluomo s'inalbera! Bada, conte Aldini, mercante di blasoni, ciò che io posso fare ti costerebbe assai caro. Ancora una volta, ricuserai la puppattola?
– No; – rispose egli inflessibile.
– Guai a te, conte Aldini! – ruggì, più che non dicesse, la donna inviperita. – T'inganni, se pensi ch'io possa lasciarla passare così; t'inganni, t'inganni.
– E non lo penserò; – diss'egli di rimando. – Ma infine, perchè non metterlo prima, il vostro gran veto? Aspettate ora? —
Ella rizzò il capo, saettando Filippo d'uno sguardo viperino.
– Aspetto ora! aspetto ora! – ripetè con accento di profonda amarezza. – E quando potevo farlo io, prima d'ora? Con la tua casa vietata ai profani? Non l'avevi tu dichiarata locanda, ad uso dei viaggiatori… di Verona? Cari, quei due viaggiatori, che nessuno ha mai visti, nè per via, nè a teatro, mentre tu eri visibile, bel conte, con due viaggiatrici… di Milano! Ti hanno fatto buon giuoco, i due ospiti! E così ti fossero durati di più! Ma avevano una breve licenza, ed hai dovuto lasciarli partire; che peccato! T'intendo, la trovata non era poi altro che una continuazione di tanti vecchi artifizi. Da gran tempo ti eri messo in mente di guarirmi con la tua freddezza, come prima coi tuoi continui timori, coi tuoi eterni rimorsi. Ma io, questa volta, incalzando il pericolo, volevo vedere fin dove saresti arrivato. Ah, mi hai fatto soffrire, soffrir tanto, tanto! Finchè il mio cervello ha potuto reggere, ho contenuto il mio cuore, che ad ogni momento era lì per ispezzarsi. Ora non più, mi ribello. Vedi, Filippo, mia madre… è morta pazza. E ci sono momenti che temo ancor io d'impazzire. —
E cadde riversa sul divano, dando in un pianto dirotto. Filippo Aldini, a tutta prima più irritato che scosso, si era sentito scorrere un brivido per le ossa all'accenno che Livia faceva della morte di sua madre; un accenno che a lui giungeva nuovo, e che gli schiudeva dinanzi agli occhi un abisso doloroso. Peggio, in quel punto, il cadere di lei, con quel pianto disperato, misto a singhiozzi ripetuti, che parevano annunziare alcunchè di più grave. Il pianto era infatti convulso, il singhiozzo spasmodico.
– Calma, vi prego! – gridò, curvandosi su lei. – Rialzatevi, Livia; abbiate forza, vi supplico! Io non so, non posso far nulla, se voi vi abbandonate così; non posso neanche chiamare in soccorso i vicini. Animo, via, un piccolo sforzo! —
Ella tentò di sollevarsi; ma fu mestieri aiutarla, prendendola per la vita.
– Dirai di no? – chiese ella, tra i singhiozzi, aggrappandosi a lui.
– Mio Dio! che cosa domandate? Lo sapete pure che io non posso oppormi ai suoi desiderii, senza correr pericolo di nuocere a voi.
– A me? Che importa, se già tu stesso mi uccidi, obbedendogli? Dirai di no?
– Tutto quello che sarà in poter mio, lo farò… lo tenterò, certamente; – rispose Filippo, temendo sempre ch'ella fosse per ricadergli svenuta tra le braccia. – Gli parlerò ancora, e più forte ch'io non abbia mai fatto, se pure è possibile ch'io non gli abbia detto abbastanza. Questo vi posso promettere, e questo manterrò.
– Parola di gentiluomo?
– Veramente, – mormorò egli, – non dovrei esser più creduto tale.
– Oh, perdonami; ero pazza. Ma vedi, Filippo mio, soffro tanto, che non son più capace di padroneggiarmi; e parla la lingua, ma il pensiero non c'è. Perdonami, perdonami! Non è vero che nel tuo cuore mi hai già perdonato quelle brutte, brutte parole?
– Ma sì, senza dubbio; – rispose Filippo, sempre cercando di chetarla. – Se voi mi promettete di esser più forte, io perdono, dimentico ogni più aspro giudizio. So anche bene di non meritarlo, – soggiunse. – Ma voi, Livia, mi ascolterete una volta. È un gran male ciò che è accaduto, un gran male; dobbiamo dimenticare anche quello, se pure avverrà che non possiamo averne perdono dalla nostra coscienza.
– Come vorrai… tutto ciò che vorrai… accetto ogni patto più crudele. Ne morirò? Tanto meglio; ma almeno contenta, se tu avrai detto di no. —
Riuscendo finalmente a sollevarla dal divano Filippo aveva data di sbieco una guardata all'orologio.
– Dio mio! – esclamò. – Già le undici! È ora che andiate. Se egli, ritornando, non vi trovasse in casa?..
– Ebbene, che importa? Già altre volte è accaduto. Uscita per qualche piccola compera, ho perduto un po' di tempo; ecco tutto. Ma vado, sì, vado; – ripigliò, notando l'ansietà di Filippo, a cui quelle ragioni non potevano bastare. – Tu per altro, mi giuri…
– Tutto quello che un gentiluomo può giurare, al punto in cui sono le cose; – diss'egli, facendo un gesto disperato. – Parlerò, parlerò come volete, e sia poi ciò che vuol essere.
– Sì, resisti, resisti, ed egli cederà. Se tu risolutamente non vuoi, chi ti può sforzare? Non sei già una vittima ignara, da potersi condurre così facilmente al sacrifizio! Resisti, resisti, Filippo; te ne supplico per quell'amore, che non hai sempre ricusato, e che conserva nei ricordi, almeno nei ricordi, i suoi sacri diritti. —
Filippo fremeva, ribellandosi in cuor suo ad una logica pazza, che non voleva darsi per vinta. Ma bisognava ad ogni costo calmar quella donna, ad ogni costo persuaderla, incuorarla a partire.
– Non è vero? – incalzava ella frattanto. – Cercherai di liberarti?
– Sì, sì, e non mi par più tanto difficile; – rispose Filippo, atteggiando le labbra ad un mesto sorriso, – se penso che tu hai parlato di me… a quelle signore, e in modo certamente tale da disingannarle sul conto mio. —
Ahi, non da quel lato poteva ella aver sicurezza, dopo che alla signora Eleonora aveva parlato Raimondo.
– Non ti fidar troppo di loro; – diss'ella. – Da te, Filippo, da te aspetto un nobile atto di forza. Non mi negare quest'ultima prova di amicizia. Io rinunzierò a te, se questo è il voler tuo…
– Il dovere; – fu pronto a corregger Filippo: – il dovere.
– Sia, diciamo il dovere; ma a questo dovere che tu m'imponi, corrisponda quello che ho bene il diritto di pretender da te. Resisti, resisti! —
Colla voce e coi gesti Filippo prometteva ogni cosa. E l'aiutava frattanto a rimettersi il cappellino in testa, avendolo preso egli stesso dallo scaffale, e la mantellina sulle spalle, andando a raccoglierla, sulla estremità del divano, dove era stata gittata da lei. Ciò fatto, e vedendo lei ancor troppo agitata, era andato ad aprire la finestra, perchè un soffio d'aria fresca aiutasse a calmarla.
– Mi sento meglio, non dubitare; – diss'ella. – Vado, non perdo più tempo, se ciò ti dispiace. Ma tu resisterai; ho la tua promessa, Filippo; ho la tua parola di gentiluomo. Vado, sì, vado… ma non così freddamente, come se fossimo nemici… come se tu non mi avessi perdonato. —
E gli gittò le braccia al collo e lo baciò, in un impeto di passione disperata. Solo allora si spiccò da lui, e accompagnata fino all'uscio segreto, finalmente disparve. —
Era tempo; Filippo Aldini non reggeva più a quello strazio di tutte le fibre, del cervello e del cuore. Forsennato, furente contro sè stesso, richiuse l'uscio, e ritornò nel suo studio; ma non poteva rimanere là dentro, dove gli era troppo presente l'imagine di quella donna terribile, a cui si resisteva così male, poichè ella non intendeva ragione. Ed egli aveva promesso, per liberarsi da quella oppressione, aveva promesso di riparlare a Raimondo. Che cosa gli avrebbe ancor detto, dopo essersi lasciato persuadere una volta, dopo avergli confessato perfino l'amor suo invincibile per Margherita? Ah si, quello era proprio il momento di pensare a ciò che avrebbe potuto dire di nuovo, o ripetere di vecchio!
Infine, non ci avrebbe pensato affatto! si sarebbe buttato a mare, aspettando il maroso che lo cacciasse sotto, una volta per sempre. Sospettasse pure, quell'altro, indovinasse pure: passata la vergogna, Filippo Aldini non sentiva paura.
Ridottosi frattanto nella sua camera, si era gittato bocconi sul letto, piangendo e ruggendo. Gli bruciavano le labbra; quel bacio che aveva ricevuto, e forse reso, gli pareva un sacrilegio. Rimorsi nuovi, da aggiungere ai vecchi! E il suo bel sogno svanito, e Margherita, la dolce Margherita, perduta per sempre! Perchè oramai il dado era tratto; doveva resistere, lo aveva promesso. Aspra punizione del destino! Ma egli l'aveva pur meritata.