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Kitabı oku: «Il ponte del paradiso: racconto», sayfa 8

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IX.
“All's well that ends well.„

Raimondo Zuliani arrivò quella mattina a casa, per la colazione, con una mezz'ora di ritardo; cosa che agli uomini d'affari accade sovente, ed anche a coloro che non hanno affari. Ma egli, quella mattina, non aveva perduto il suo tempo, e da quel lato poteva stimarsi felice. In fondo all'anima, piuttosto era stizzito parecchio per l'alzata d'ingegno di sua moglie. Ma perchè quel discorso matto di Livia alla vecchia Cantelli? Sua moglie non poteva soffrire la signora Eleonora; ed ecco, senza che ce ne fosse l'urgente bisogno, era andata a farle una visita. Capricci! Quella cara donnina aveva i capricci inesplicabili, come aveva le antipatie irragionevoli.

Di queste, poi, ne aveva egli avuto le prove in molte altre occasioni; a proposito di Filippo Aldini, per esempio, che nei primi tempi ella vedeva volentieri come il fumo negli occhi.

– Questi farfalloni! – diceva lei. – Come mi seccano!

– Ma no, cara, no; – rispondeva egli. – Io lo conosco bene, ed è tutt'altro da quello che tu t'imagini.

– Sì, bravo! come se non si sapessero tutte le sue scorribande! come se non si conoscessero tutte le belle che ha compromesse! —

Ma qui Raimondo Zuliani aveva una sua teorica bella e fatta, che gli pareva inespugnabile.

– Ordinariamente, mia cara, un farfallone non compromette se non le farfalline che si vogliono lasciar compromettere. Le Galier, verbigrazia. Eh, non andare in collera! Parlo della Galier, come parlerei delle… aiutami a dire. E ancora, intendo parlare delle Galier che non abbiano raggiunta l'età del giudizio: perchè infine l'età del giudizio viene per tutte, e tanto peggio per quelle tra loro che non ne sanno approfittare. Del resto, niente di male; – concedeva bonariamente Raimondo; – sono gran signore, e non si mettono al bando per così poco; diventando più serie, riguadagnano in gravità ciò che hanno perduto in leggerezze, tanto che un bel giorno te le fanno perfino venerabili; un passo ancora, e sono canonizzate sante. Ma ritornando al mio amico Aldini, egli non ha mai ammesso nessuna delle imprese che tu gli regali. Visite, galanterie, perditempi, non nego; perditempi soprattutto, dei quali si è pentito amaramente, dopo essersi molto seccato. Del resto, vedi, io gli porto fortuna, tirandolo sempre più alla fede. E come no? Egli assiste in casa nostra ad un sano spettacolo, contemplando una coppia di sposi che si amano oggi come il primo giorno della loro unione. Qualche volta a vederlo lì, con la sua cera malinconica, si direbbe perfino geloso della nostra felicità.

– Che idee!

– Ma sì; e pare in quei momenti che lo assalga un vivo desiderio d'imitarmi. Son cose che si capiscono, che si afferrano a volo. Ed io, tant'è, voglio andare incontro al suo desiderio.

– In che modo?

– Cercandogli moglie, perbacco. —

Si rideva, allora; e tanto più rideva la signora Livia, poichè non credeva che suo marito fosse l'uomo più adatto a simili uffici. Ma egli si era ostinato in quall'idea; la grande amicizia che lo legava a Filippo Aldini aiutava a fortificarlo nell'onesto proposito di trovargli moglie. Ed una volta era stato lì lì per azzeccarla; ma che è, che non è, proprio da Filippo Aldini gli venivano le difficoltà; quel caro sragionatore non aveva voluto a nessun patto saperne. Sragionatore, sicuramente; erano forse ragioni, quelle che opponeva all'amico?

– Non sono ricco abbastanza per prender moglie; – diceva Filippo Aldini. – Povera, non posso; ricca, non voglio. Non me ne parlare, se mi vuoi bene. Il blasone degli Aldini, che tu metti avanti come un gran titolo, è veramente un po' danneggiato; ma non vuol dorature. Il nome della mia casa finirà con me; non è forse meglio?

– Una casa storica! – aveva ribattuto Raimondo. – Perchè lasciarla perire?

– Appunto per ciò, perisca pure. Ho sempre pensato, sfogliando i grossi volumi del Litta, che le famiglie storiche guadagnino un tanto a rimaner sepolte nella storia, fasciate nelle loro bende imbevute di aromi. Già, i nomi che si perpetuano, corrono il rischio di seccare i posteri. E i posteri, caro mio, non hanno poi tutti i torti. Che cosa c'è più da fare, ai tempi nostri, se non piccole cose? Bisogna farsi piccini come esse, adattandosi a tutte le piccole leggi, a tutte le piccole consuetudini, che d'ogni parte stringono la nostra volontà, come i fili di seta degli abitanti di Lilliput stringevano il povero Gulliver sulla spiaggia dov'era naufragato. E non c'è pericolo che diventando piccoli uomini, i tardi rampolli delle grandi famiglie levino un po' di credito ai famosi antenati?

– Dio, quanti pericoli! – aveva esclamato Raimondo. – E quanti guai vedi tu in una proposta di matrimonio! Basta, lasciamola lì. Ci penserai meglio, e ci sarà da discorrerne ancora.

Ma intanto non aveva creduto opportuno d'insistere, e per un pezzo doveva essergli passata la voglia di ritoccare quel tasto. La signora Livia, dal canto suo, aveva riso di gusto; e dal canto suo si era man mano adattata all'amico di Raimondo. Almeno, pareva che fosse così, perchè non le era più accaduto di dirne male, o di trattarlo con troppa freddezza, nelle rare visite ch'egli faceva in casa Zuliani. Bisognava proprio che le antipatie ripigliassero allora, mentre Raimondo era sul punto di vincere le ripugnanze matrimoniali dell'amico! E quell'altra antipatia per le Cantelli! Quella, poi, era la più irragionevole di tutte. Dall'appoggio del banco Cantelli non ripeteva le sue fortune il banco Zuliani?

Giunto a casa, Raimondo trovò la sua signora, non pure alzata, ma risanata del tutto, come ella diceva, e di buonissimo umore. Per contro, era imbronciato Raimondo, avendo in corpo quel po' di stizza che sappiamo. Certo, l'avrebbe smaltita, se Livia fossa stata ancora ammalata. Ma era sana, ilare nell'aspetto; ed egli, non potendo più digerirsi il suo malumore, non sapeva neanche dissimularlo.

– Che cos'hai? – gli disse ella ad un certo punto, vedendolo mandar giù bocconi su bocconi, senza mai proferire una parola. – È calata la rendita?

– No, anzi c'è un mezzo punto di rialzo.

– O allora?

– Allora, che?

– Tu hai qualche cosa; ti si legge negli occhi.

– Ebbene, sì; – rispose Raimondo; – sono in pensiero per quella povera fanciulla.

– Povera fanciulla! – ripetè la signora. – Quale?

– La signorina Margherita. È indisposta; e non dev'essere una cosa tanto leggera, perchè sua madre non me l'ha lasciata neanche vedere.

– Ahi sei stato al Danieli.

– Sì. —

Qui, al monosillabo asciutto successe un breve silenzio.

La signora Livia esplorava il volto di suo marito. Ma poco poteva vederne, perchè egli teneva il mento abbassato sul piatto.

– E lo hai sentito, – riprese ella, – il gran caldo di quelle stufe?

– L'ho sentito, e mi è parso tollerabile; – rispose Raimondo. – Del resto, facciamo a parlarci chiaro, bella mia; non è stato il gran caldo, quello che ha colpito la signorina Margherita, ma piuttosto certi discorsi fatti a sua madre, e che sua madre avrà dovuto riferirle.

– Discorsi! di chi?

– Tuoi, cara, a proposito del conte Aldini. —

La signora Livia levò gli occhi al soffitto, come se volesse invocare quel di lassù a testimonio della sua innocenza.

– Ma non può essere; – esclamò; – non può essere. Sua madre non può averle riferito nulla da alterarla, se Margherita si sentì male nella camera attigua, mentre io stavo ancora in salotto a discorrere colla signora Eleonora.

– Allora diciamo che ti abbia sentita, ascoltando dietro l'uscio. E il tuo discorso era tale, certamente, da farle un senso spiacevole. Ne convieni? – disse Raimondo, studiandosi di dare alle sue parole la intonazione più delicata.

La signora Livia ebbe l'aria di cascar dalle nuvole.

– No, meno che mai; – rispose. – In che cosa, di grazia, qualche mia parola a proposito del tuo amico, sua conoscenza casuale, e neanche di antica data, poteva dispiacere tanto alla signorina Cantelli?

– Ma tu non sai… Tu non hai dunque capito, mia cara, che c'era di mezzo un disegno… un disegno mio, di nozze fra lei e Filippo Aldini?

– Ah, sì? questo? – esclamò la signora, con accento di gran meraviglia. – E perchè non dirmelo prima? Avrei saputo come governarmi. Tu non hai dunque confidenza in me? Sei brutto, molto brutto. —

A quelle moinerie non resisteva Raimondo; non aveva mai resistito.

– Ma che! – diss'egli, confuso. – Ti avrei avvisata di questi giorni appunto. Era un negozio appena appena incominciato, e poteva risolversi in nulla. Volevo esser sicuro di non fare strada falsa; volevo sentir l'opinione del signor Anselmo. Capirai, sono lavori fini, che vanno maneggiati coi guanti, come gli affari di banco. Ti parlo io degli affari che faccio, quando sono appena imbastiti? Li sai, quando sono cuciti di sodo; e ne hai la tua parte, bella mia. Non ti dico questo per farmene un merito, ma solamente per ricordarti che io ti associo nel mio pensiero a tutto quello che faccio, essendo sicuro che tu mi porti fortuna. Ma tu, piuttosto, perchè fare quel discorso alla signora Eleonora?

– Discorso! – rispose Livia. – Bisognerebbe sapere in che termini ti è stato riferito, poichè ella ha stimato di farne un gran caso. Del resto, ecco qua, se lo ricordo bene; si parlava di tante cose, e di tante persone, come è l'uso, senza dare importanza a nulla. È venuto in ballo il signor Aldini, e la signora Cantelli mi ha chiesto che uomo era. Le ho detto quello che ne sapevo io, quello che ne avevo sentito dire, quello che se ne è sempre raccontato nei salotti di Venezia, e meno, s'intende, assai meno di quello che avrei potuto.

– Ma la signora Cantelli se ne è conturbata; – osservò Raimondo.

– Si conturba di poco; – rispose Livia, alzando le spalle. – Ma già, dovevo ricordarmelo, che è un'oca. Sì, le ho detto che è un giovine alla moda; che ha fatto molto parlare di sè, pei suoi trionfi in società; che ora si è dato al tenebroso, al misterioso, come un eroe da romanzo, e che ci doveva esser sotto una grossa passione; quello che infine si dice da tutti. Ho aggiunto che tu lo ami molto, lo proteggi, lo difendi a spada tratta. E avrò anche detto, in risposta ad una domanda dell'oca, che non è ricco, vivendo egli d'una piccola rendita.

– Male! – esclamò Raimondo.

– Perchè, male, se è il vero? Dovevo io farlo passare per un milionario travestito? Che cosa voleva lei che gliene dicessi io? che glielo gabellassi per il più ricco, il più santo, il più meraviglioso degli uomini?

– Ma tu sei crudele con quel poveretto! – notò malinconicamente Raimondo. – Speravo che conoscendolo meglio tu ti fossi oramai riavuta di certa antipatia primitiva, e lo vedessi un po' più di buon occhio.

– Non l'ho da vedere nè di buono nè di cattivo; – replicò la signora. – Mi annoia sempre un pochino che tu t'innamori tanto d'altre persone.

– Bambina! Ma non si tratta già di una bella signora!

– Eh, non ci mancherebbe più altro! – conchiuse Livia, con accento di comico dispetto, che piacque maledettamente a Raimondo.

– Basta, – diss'egli rimettendosi al grave, – ho aggiustato io ogni cosa.

– Ah! e come?

– Dicendo alla signora Eleonora che son tutte ciarle di scioperati. L'Aldini è un gentiluomo serio, che frequenta poco il bel mondo, e perciò gli hanno fatta riputazione di uomo misterioso, come, quando lo frequentava, gli avevano fatta quella di uomo leggero.

– Scaricando lui, naturalmente, avrai caricata un tantino tua moglie; – notò la signora, con accento di sottile ironia.

– No, me ne guardi il cielo; ho detto che potevi essere indotta in errore da ciarle di scioperati ed invidiosi, che nei salotti disgraziatamente son troppi, e confondono gli spiriti più elevati, come i cuori più nobili. Voi, donne care, non ci badate, a certe malignità, che possono anche parervi innocenti burlette, e perfino verità sacrosante. Quando una cosa vi preme poco, ascoltate, non andando a vedere il fondo, e bevete grosso, come le spugne. L'Aldini, io ho dovuto studiarlo a lungo, direi quasi sminuzzarlo. Come gentiluomo, non c'è nulla da dire; come amico, è leale, sincero, senza segreti per me, ed io ho potuto in coscienza farmi garante per lui; come proprietario, non è ricco, ma neanche può dirsi povero. È questione d'intendersi sul valore del vocabolo; ad ogni modo, trecentomila lire di terre al sole, non sono miserie da povera gente.

– Ma non saranno neanche grandezze, da poter aspirare alla mano di una Cantelli.

– Perchè? So, a buon conto, che Anselmo non fa questione di denaro. È tanto ricco lui! Ha sette milioni di sostanza, già consolidata, come si dice, in beni stabili, rendita nominativa, buoni del tesoro, azioni di ferrovie, di banche, e va dicendo. Conosco il suo asse, come egli conosce il mio, tanto più modesto del suo.

– Fortunato, l'Aldini! – esclamò la signora Livia. – Ma quanto ne toccherà a lui, di quei sette milioni?

– Il conto è presto fatto; – rispose Raimondo, che si sentiva invitato al suo gioco; – basta attenersi alla legge. Non è infatti da credere che nel suo testamento il signor Anselmo voglia trattare con diversa misura i suoi figli, e la femmina men bene del maschio. Quanto assegnerà egli in dote a Margherita? Tre, quattro, cinquecento mila lire? Lo saprò, quando avremo discorso a quattr'occhi; ma la batte sicuramente tra questi numeri. Siano anche cinquecentomila, come propendo a credere; non intaccheranno i sette milioni, che da qui al giorno fatale “della partenza che non ha ritorno„ vorranno esser cresciuti d'un bel poco. Ragioniamo dunque sui sette: della metà, cioè dei tre milioni e mezzo, il testatore può disporre come crede, per beneficenze, o per impegni diversi che possa avere, o per favorire la sua vedova a cui per legge un po' cruda spetterebbe soltanto l'usufrutto d'un quarto sull'altra metà dell'asse, divisibile in eque parti tra i figli. Io penso che Anselmo vorrà lasciare la signora Eleonora assai ben provveduta; e penso ancora che della quota a lei assegnata, la brava signora vorrà poi disporre in parti eguali tra i figli. Quanto ai tre milioni e mezzo, divisibili tosto tra i figli, Margherita ne avrà la metà, compresa la dote già ricevuta; dunque un milione e settecentocinquanta mila lire. E questo è il sicuro; resta sempre l'incerto, ma probabile, come avrai già capito.

– Si adatterà, il tuo amico? Sai bene quello che pensa, in materia di denaro.

– Sì, so bene quello che ne pensava un giorno; – rispose Raimondo, sorridendo.

– Ha dunque cangiato opinione?

– No, ma vedi, mia cara; in tutti i ragionamenti umani c'è sempre un piccolo elemento perturbatore, che te li cambia lì per lì nel cervello, quando meno ci pensi. Qui non si tratta più, come un giorno, di accettare o no una proposta di alleanza con una persona sconosciuta, o indifferente; qui s'è intromesso l'elemento perturbatore, quell'elemento che i poeti chiamavano una volta “il bendato arciero„.

– Ma non vorrà essere ugualmente bendato il banchiere; – osservò con molto giudizio la signora Livia. – I banchieri hanno l'uso di tener gli occhi bene aperti; e non ci vogliono bende, se mai, preferendo un buon paio di occhiali. Vorrà almeno che ci sia tanto da garantirgli la dote. Ora tu propendi a credere che la dote sia di cinquecentomila lire…

– C'è rimedio anche a questo; – rispose Raimondo, con aria di trionfo. – E le dugentomila che soverchiassero il patrimonio di Filippo, s'investirebbero con tutto il resto della dote in altrettanta terra, magari accanto a quella che già possiede Filippo, arrotondando così la tenuta, e facendone un vero latifondo. Ti capacita? Quanto alla parte dell'eredità paterna, è cosa di là da venire, e Margherita potrà costituirsela in sopraddote. Il signor Anselmo, del resto, come ti ho detto, non cerca ricchezze, ma la felicità di sua figlia. Che vuoi tu che si faccia dei denari di un genero? Ce ne siano per la decenza, e basteranno. L'essenziale è che ci sia serietà nel giovane, e che il giovane piaccia a Margherita. Ora il giovane è serio, e le piace.

– Come lo sai? – domandò la signora.

– Te lo dimostra abbastanza il suo svenimento.

– Ma proprio non mi vuoi credere che sia stato il gran caldo?

– Non voglio? non posso. Metti pure che la signora Eleonora mi abbia tutto confessato.

– Allora, non parlo più; – disse Livia, dando in uno scoppio di risa.

E seguitava a ridere come una pazza, arrovesciando il capo sulla spalliera della scranna, a ridere sfrenatamente, fino a farsi venire il singhiozzo.

– Perchè ridi così? – le chiese egli finalmente.

– Rido della confessione, mio caro; – rispose la signora, ripigliando lo sfogo della sua profonda ilarità. – Ma che si confessano i segreti delle ragazze, agli amici di casa? È un'oca ti dico, anzi una pàpera. E se poi, Dio guardi, per una ragione o per l'altra, si scombinasse il combinato, i dolci segreti della bella Margherita sarebbero stati messi in circolazione.

– Si fermeranno a me; – disse Raimondo.

– E a me; – soggiunse Livia. – Siamo già in due a conservarli.

– Non sei tu una parte di me stesso? e la migliore? – riprese Raimondo.

– Sia, come vuole la galanteria del mio signore e padrone; – conchiuse Livia amabilmente; – ma la signora Eleonora resta sempre una gran sciocca. Il migliore amico dell'oggi può essere domani tutt'altro. Dopo di che, corro il rischio di diventarci oca ancor io. Che importa a me di tutto ciò? Ognuno si contenti a suo modo. Così, dunque, secondo te, questo matrimonio è sicuro?

– Spero bene; si potrà crederlo tale, dopo l'arrivo del signor Anselmo.

– Che sarà stato informato di tutto, m'immagino.

– Certo, e verrà presto, appena abbia sbrigato alcuni affari urgenti. Che te ne pare? Ho io fatte le cose per bene?

– Ottimamente. Ma se permetti un'osservazione…

– Permettere! – esclamò Raimondo. – Ma tu sei la mia padrona; lo sai bene, questo!

– Sì, sì, ma qualche volta… – mormorò ella, con quell'accento bambinesco, che le andava così bene, – Ci sono delle osservazioni che annoiano, che potrebbero perfino offendere un uomo.

– Ed ora, mia bella, tu mi rendi curioso, curioso come…

– Come una donna, di' pure; ti assolvo.

– Ed io te, per la tua osservazione, che aspetto.

– Eccola qua; non sei un po' sciocco, anzi molto sciocco anche tu? —

Raimondo balenò un istante sulla vita. Sentirsi dir sciocco non è piacevole mai ad un uomo.

– In che modo? – diss'egli turbato.

– Col tuo voler lasciare la professione di banchiere, per cangiarti in sensale di matrimonii.

– È tutto qui? – riprese egli, riavendosi un poco.

– Tutto qui.

– Ebbene, aggiungi sensale a titolo gratuito.

– Ma è sempre ridicolo, sai. —

Raimondo era lì lì per sentirsi tale davvero. Ma si fece forza, e cercò ragioni da nobilitare il suo atto.

– Per l'amicizia, mia cara. Che cosa non si farebbe per l'amicizia? Aggiungi il punto d'onore. Sì, certo, anche questo è stato il movente. Quel cervello balzano di Filippo non mi aveva battuto una volta, con le sue ragioni che non erano ragioni? Gliel ho detto allora; ci penserai meglio e ne riparleremo. Ho aspettato il mio giorno e la mia ora. In cambio di proporgli un partito, gliel ho fatto capitare davanti agli occhi, senza dargli avviso del pericolo. N'è rimasto abbagliato; s'è innamorato a buono, e il dardo dell'arciero bendato non gli esce più dalla ferita. Ho vinto io, dunque; ho riconquistato il mio onore, essendo stato più forte di lui. Che ne dici?

– Che hai molto buon cuore; – sentenziò Livia solennemente; – molto buon cuore.

– Sei dunque contenta della mia vittoria?

– Sì, caro, contentissima; quantunque, con tutta la tua vittoria, tu non mi abbia l'aria di muovere in cocchio verso il Campidoglio, ma di volerti adattare piuttosto a seguire il cocchio degli altri. Ti par bello? Hai fatto, e finirai di fare l'intermediario tra gli amori altrui. Mettici pure di mezzo il parroco e il sindaco; il fatto è sempre quello. Ma il fatto non si può disfare, e contentiamoci così. Torno a dirti che sono contentissima. Se tu mi avessi avvertita prima, del tuo lavorìo, non avrei certamente messo parole a guastarlo. Per fortuna, hai potuto rimediare, e dare anche una spinta più forte al cocchio di cui parlavamo. Così ha ragione il proverbio, che tutto il male non vien per nuocere.

– Ma se lo dico io, che sei un angelo! – gridò Raimondo che vedeva finire in un'aperta di cielo quella mezza burrasca. – Hai le tue piccole antipatie, veramente.

– No, caro. L'oca mi dà un po' di noia, ecco tutto. La figlia è carina, e le rendo giustizia. Carina per ora, intendiamoci; bisognerà vedere come metterà.

– Oh Dio, degli altri dubbi?

– Già; se diventasse un'oca come sua madre, che brutti giorni al signor conte! —

E ripigliava a ridere, la signora Livia, a ridere più che mai, fino alle lagrime, e facendosi ritornare il singhiozzo.

Raimondo pensò che quello fosse un ridere troppo forte per troppo lieve cagione. Ma conosceva il carattere di sua moglie, con quella facilità di andare agli estremi. Ora tra un estremo e l'altro, era da preferirsi quello del ridere. Il ridere fa buon sangue, finalmente. Ed egli poteva consolarsi pensando al titolo di una commedia dello Shakespeare: All's well that ends well; è tutto ben quel che finisce bene. Per tali ragioni Raimondo Zuliani se ne andò quel giorno assai felice al suo banco; felice ancora di essersi sollevato d'un gran peso, confidando alla sua Livia il segreto che gli doleva di aver mantenuto troppo a lungo con lei.

Quel giorno, ancora, a pranzo, la bella signora trovò nella sua salvietta un astuccio di velluto azzurro che prometteva gran cose.

– Un gingillo, – disse Raimondo, con aria modesta; – ed era un gioiello di grandissimo prezzo, una vera meraviglia, un regalo da principe.

Yaş sınırı:
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Litres'teki yayın tarihi:
25 haziran 2017
Hacim:
310 s. 1 illüstrasyon
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