Kitabı oku: «Il ritratto del diavolo», sayfa 15

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XIV

La mattina seguente, Spinello Spinelli andò per tempo alla chiesa di Sant'Agnolo. Gli premeva di metter mano a dipingere il suo Lucifero, che aveva già tratteggiato sull'intonaco.

–Non venite voi, messere?—diss'egli all'Acciaiuoli.

–No, verrò più tardi;—rispose messer Dardano.—Verrò con Tuccio di Credi. Frattanto ci guadagnerò di vedere il vostro Lucifero abbozzato.

–Ed anche dipinto, solo che v'indugiate due o tre ore;—disse Spinello.—Sarà un Lucifero abbastanza nuovo. L'ho ancora sognato stanotte, bello come l'angelo che ha dato agli uomini l'esempio della superbia. Perchè, io dico, d'onde gli può esser nata la superbia a Lucifero? Non già da una speciale predilezione di Domineddio, poichè questi non può non avere amato in ugual modo tutte le sue creature. Io penso adunque che debba essere montato in superbia, a cagione della sua grande bellezza.—

Messer Dardano intendeva poco questa distinzione. Infatti, ammettendo che Domineddio non potesse aver preferenze, si doveva anche credere che non avesse fatto Lucifero (Helel, come lo chiamarono gli ebrei) più bello degli altri spiriti, creati insieme con lui. Ma infine, in quella vecchia storia religiosa, molte generazioni avevano lavorato di fantasia e si poteva ammettere senza sforzo che gli uomini, dopo avere foggiato a loro immagine il Creatore, si pigliassero uguale libertà con le sue creature più nobili.

Per queste ragioni, o per altre consimili che gli balenassero alla fantasia, messer Dardano Acciaiuoli lodò grandemente il concetto del suo amico Spinello. In fin dei conti la pittura ha una filosofia tutta sua, che ne vale molte altre, vo' dire la filosofia dei contrasti; e i contrasti, appunto per quella impressione che fanno immediamente sull'animo del riguardante, offrono argomento a profonde meditazioni. Un Lucifero bello! Che vi pare una cosa da nulla? Una simile stonatura, certamente voluta dall'autore, non è forse tale da far pensare che quel diavolo non meritava poi la sua trista sorte? E perchè subito viene in mente che Iddio non può aver fatto una cosa ingiusta, o almeno egli non può averla lasciata fare a spiriti perfetti, come sono senza dubbio i suoi angeli, non dee venire di conseguenza il pensiero che la malvagità dello spirito ribelle s'intenda aggravata dalla sua medesima bellezza? E non deve risaltare agli occhi di tutti una certa rispondenza tra i figli di Dio e i figli degli uomini, per cui negli uni e negli altri sia necessario fare una distinzione tra la bellezza esterna e la bellezza interiore? Ahimè! dice il filosofo. Vedete il triste uso che noi facciamo dei doni celesti! Anche Lucifero, spirito eletto e prediletto del Padre, doveva esser guasto nella propria ambizione. Bello tra tutti gli immortali, doveva precedere nella sua caduta la istessa caduta dell'uomo, e ad onta della sua grande bellezza esteriore, averci il baco nell'anima, come tanti e tante che conosciamo noi!

–Bene!—esclamò dunque messer Dardano Acciaiuoli, poichè ebbe udito il ragionamento di Spinello Spinelli.—Seguite il vostro pensiero, maestro; noi verremo ad ammirare gli effetti.—

Caldo del suo concetto, il pittore si era messo all'opera. Mi pare di avervi già detto (e se non ve l'avessi detto prima, ve lo dico adesso) che il nostro gentile artefice precedeva di oltre dugent'anni quel famoso Luca Giordano, pittore immaginoso e delicato se altri fu mai, chiamato dai suoi contemporanei "Luca Fa presto" poichè, a colorire in breve spazio di tempo le sue leggiadre invenzioni, usava dipingere a furia, con ambedue le mani, quasi temesse di non aver tempo a fare tutto quello che gli passava per la mente. Spinello Spinelli non dipingeva con due pennelli ad un tempo; la storia non lo dice, ed io non posso usurpare i diritti della storia. Ma posso dirvi che egli era pronto di mano, oltre il costume di tutti gli artisti del suo tempo; donde si spiega come egli abbia potuto compiere tante opere mirabili, in una vita di cui i biografi si contendono a gara i confini, e che lascerebbe ai tardi nipoti il diritto di accorciarla assai più che io non mi sia attentato di fare.

Lucifero era già abbozzato sull'intonaco, e non si trattava più che di colorirlo. Spinello ci lavorava a furia. Il corpo era già fatto, e il pittore stava per attaccare la figura poco prima dell'ora di vespero, quando giunse sul ponte messer Dardano Acciaiuoli insieme con Tuccio di Credi, pecorella smarrita che tornava all'ovile.

Spinello non li vide neanche, invasato come era. La febbre dell'arte gli ardeva nel sangue e sarei quasi per dire che gli faceva bruciare il pennello tra le dita. Maraviglioso artista! E più maraviglioso a gran pezza per chi conosceva la storia delle sue grandi mestizie!

Tuccio di Credi guardò il dipinto e si sentì correre un brivido per tutte le vene. Quella rovina d'angioli era veramente un miracolo di fantasia e di esecuzione. L'arcangelo Michele si vedeva in alto, atteggiato a battaglia come un paladino antico, e così fiero all'aspetto, così forte all'assalto, da rovesciare ad ogni colpo un nemico. La battaglia poteva dirsi già vinta. Come non avrebbe avuto vittoria d'un serpente, anche con sette teste e dieci corna, chi aveva battuto e piombato negli abissi il più forte de' suoi avversari, che tale era certamente Lucifero? Anche in ciò l'ingegno di Spinello aveva dato nel segno. La sua composizione sarebbe stata manchevole, non avrebbe espresso pienamente il concetto di quella storia grandiosa, se Michele fosse stato ancora alle prese col maggiore dei ribelli. La sorte della giornata, almeno per ciò che si rappresentava all'occhio, poteva rimaner dubbia, ed esserne scemato per conseguenza l'effetto. Ma Lucifero, in quella vece, era vinto; Lucifero piombava giù nell'abisso. E come era giustamente collocato nel mezzo del quadro! Michele trionfava; ma il protagonista era Lucifero, poichè la catastrofe era appunto la sua.

I due nuovi venuti restarono immobili in un angolo, guardando quella scena terribile; messer Dardano estatico, beato di assistere ad un miracolo dell'arte; Tuccio di Credi avvilito, rodendosi dentro di sè, alla vista di quell'ingegno singolare che resisteva ai colpi più gravi.

Ma che cosa avveniva in quel punto? A mano a mano che i contorni del viso di Lucifero prendevano forma sotto le pennellate dell'artefice, cresceva la bellezza del tipo, e, insieme con la bellezza, balzava fuori una rassomiglianza, che faceva sudar freddo lo sciagurato Taccio di Credi.

Strano a vedersi, e più strano a raccontarsi! Quel pittore che, ad onta del suo ingegno smisurato e dell'amore che suol raddoppiare, anzi centuplicare l'ingegno, non era mai venuto a capo di cogliere le sembianze di una donna adorata, quel pittore, postosi in mente di dare a Lucifero l'impronta di una straordinaria bellezza, andava effigiando nel volto dell'angiolo ribelle la divina immagine di madonna Fiordalisa.

A qual sentimento obbediva in quel punto la mano di Spinello Spinelli? Operava egli con piena coscienza di sè, o non faceva che seguire un impulso arcano e fatale? Certo, se egli vedeva nelle sembianze di madonna Fiordalisa il colmo della bellezza umana, si poteva credere che, dovendo egli esprimere alcun che di perfetto, fosse tratto naturalmente ad effigiare l'immagine della sua povera estinta. Ma, allora, perchè il tipo di Fiordalisa non era mai stato espresso in tanti volti di Madonne e di Sante che egli aveva pur dovuto dipingere, e col naturale desiderio di accostarsi alla perfezione? Non era invece da credere che una virtù misteriosa guidasse il suo pennello, se a lui per la prima volta occorreva così facilmente di ritrarre una cara sembianza, non mai potuta cogliere appieno, per quanto egli si arrovellasse nel suo proposito? E questa opinione non era forse avvalorata dalla medesima bizzarria che riconduceva al suo pennello i lineamenti di Fiordalisa, mentre egli doveva esprimere la bellezza di uno spirito malvagio?

Vi ho detto che Tuccio di Credi sudava freddo, vedendo l'opera strana che prendeva forma sotto le pennellate del pittore. Era bene madonna Fiordaliso, che si presentava in tal guisa davanti a lui; era madonna Fiordalisa, con gli occhi lampeggianti di sdegno; era madonna Fiordalisa, che piombava nei regni della morte, maledicendo ai suoi uccisori. Pensando a quei riscontri così naturali tra il soggetto celeste e la rimembranza umana che prendeva vita da esso, Tuccio di Credi si sentì correre un brivido di paura per le ossa. Se avesse potuto tirarsi indietro, come lo avrebbe fatto volentieri!

E istintivamente voltando la testa, egli dava un'occhiata alla buca donde era salito lassù. Ma proprio in quel punto messer Dardano Acciaiuoli lo prendeva amorevolmente per un braccio.

–Vedete, Tuccio, com'è bello quest'angiolo!—diceva il vecchio gentiluomo.—Se si potesse muovere un rimprovero all'artista, ignorando quello che egli ha voluto fare, si direbbe che è troppo bello, per rappresentare lo spirito del male.

–Sì, troppo bello;—balbettò Tuccio di Credi, facendosi livido dalla paura.

–Che è?—disse allora messer Dardano, a cui non era sfuggito il tremito della voce di Tuccio.—Che cosa avete voi?—soggiunse tosto, vedendo il suo compagno con la cera stravolta.

–Io nulla, messere;—rispose Tuccio, confuso.—Notavo una rassomiglianza…. Non è quello il volto di madonna Fiordalisa?

–Fiordalisa!—esclamò messer Dardano.—Chi è costei?—

Spinello, dalla eminenza su cui stava seduto, udì le parole di messer Dardano e si volse di schianto.

–Che avete detto, messere? Perchè quel nome, pronunziato da voi?

–Perdonate, maestro;—rispose messer Dardano, turbato da quella escita improvvisa, ma più assai dalla strana animazione del viso di Spinello.—Si ragionava con Tuccio di Credi, il quale trova una certa rassomiglianza, nel volto di Lucifero….

–Ah!—disse Spinello.—Tuccio di Credi ha trovato questo? La cosa merita di esser chiarita.—

E scese dal trèspolo, su cui depose tavolozza e pennelli, per andarsi a piantare in uno dei punti estremi del tavolato.

Messer Dardano lo seguiva degli occhi, non pronosticando niente di buono da quella scena inaspettata.

–È vero!—ripigliò Spinello, dopo essere stato alquanto a guardare l'affresco.—Ecco una somiglianza che io non aveva cercata. Una somiglianza fatale!—proseguì, con accento cupo, che fece fremere il vecchio Acciaiuoli.—Tuccio di Credi ha ragione, e a lui va fatto omaggio di un cambiamento necessario. Infine, che diamine m'è saltato in mente, di far così bello lo spirito delle tenebre? E perchè sarebbe profanata così la più bella immagine che apparisse mai sulla terra?—

Così dicendo, Spinello correva al trèspolo, ripigliava i pennelli, e, rimescolando i colori sulla tavolozza, andava mutando, insieme con le tinte, i lineamenti del suo Lucifero.

–Tuccio di Credi ha ragione!—esclamava, parlando ad intervalli, tra una pennellata e l'altra.—Bisogna correggere. Perchè questo incarnato nel viso? Olivastro vuol essere; anzi terreo come il colore della morte. E questi occhi, perchè così belli? Ispide sopracciglia, rughe precoci, in cui vorrebbe appiattarsi la malvagità del pensiero, trasformate voi questa fronte di dannato. Tuccio di Credi ha ragione. E sarà contento, Tuccio di Credi! Va bene così, Tuccio? non vi par egli che così, e non altrimenti, s'abbia ad esprimere lo spirito del male?—

Tuccio di Credi non rispondeva; era allibito; era rimasto di sasso.

Ma non era rimasto di sasso il vecchio gentiluomo che lo aveva condotto lassù, e che non poteva intendere le ragioni di quella gran collera di Spinello Spinelli. E non si fosse trattato che di collera! Ma c'era di peggio; c'era il segno di una gravissima ingiuria, o d'una terribile vendetta. Il volto di Lucifero, sotto le rapide e convulse pennellata di Spinello, si era tramutato dal bello all'orrido, dalle sembianze di madonna Fiordalisa a quelle di Tuccio di Credi. Non c'era da dubitarne. Tuccio era lì, e gli occhi di messer Dardano potevano spiccarsi da lui per volgersi al Lucifero, o dal Lucifero per volgersi a lui, e vedere tra l'uno e l'altro una rispondenza perfetta.

–Che vuol dir ciò?—chiese il vecchio gentiluomo, con accento severo.—Spinello mio, non recate voi forse offesa a Tuccio di Credi, che ha avuto il torto di fare una semplice osservazione al vostro dipinto? E perchè una ingiuria così grave, senza cagione, ad un compagno d'arte, all'amico della vostra giovinezza?—

Spinello era ridisceso in quel punto dal trèspolo.

–Senza cagione!—gridò egli.—Amico mio, quest'uomo!

–Amico, sì;—replicò messer Dardano.—Voi stesso non lo avete richiamato ieri al vostro fianco?

–Io? Io richiamare quel tristo?

–Maisì, maestro, e dando a me l'incarico di parlargliene. Egli era così felice di ritornare con voi!—

Spinello levò la fronte, come in atto d'interrogare la sua memoria; ma essa non gli disse nulla di ciò che l'Acciaiuoli asseriva.

–Perdonate, messere,—ripigliò egli,—è impossibile. Vi sarete ingannato; dovete esservi ingannato. Io richiamare quel Giuda? Ma se ciò fosse, ci sarebbe stato un perchè, ed io sarei venuto con qualche cosa al fianco,—soggiunse Spinello, tastandosi con moto convulso alla cintola,—nè egli sarebbe più qui, ritto e sano davanti a me. Guardatelo, messer Dardano; quello è il più malvagio degli uomini. Ah, voi non sapete ciò che m'ha fatto? Amavo una donna, messere…. E l'amava anche lui! Il rettile aveva osato levar gli occhi alla colomba. La vigilia delle mie nozze, la bella creatura moriva, avvelenata da lui. Almeno, così parve. Egli non aveva fatto che addormentarla con uno de' suoi filtri, scaturiti d'inferno, e madonna Fiordalisa fu seppellita per morta. L'avesse egli dissotterrata per sè! L'avrei ucciso, ma non lo avrei disprezzato. In quella vece, egli ha venduto il segreto ad un altro. L'amante s'è tramutato in….

–Cessate, messere!—interruppe l'Acciaiuoli, preso da un sentimento di profondo disgusto.—Ma siete voi ben sicuro che una simile infamia….

–Oh, giudicatene voi! Madonna Fiordalisa fu venduta al Buontalenti, banditosi dalla sua città per godersi il frutto del tradimento. Ma l'opera non è compiuta. A persuadere la povera donna, occorreva che Spinello apparisse dimentico di lei, sposo felice ad un'altra. E Tuccio di Credi si pose al fianco di Spinello, fu con lui a Firenze…. Ciò che avvenisse a Firenze vi è noto. Ah, pazzo che io fui! Mi credono pazzo, ora, a mi guardano sott'occhi e si tirano da un lato quando m'incontrano per via. Lo sono stato, un pazzo, lo sono stato, quando t'ho creduto un onest'uomo, o Tuccio di Credi, rettile velenoso ed immondo, spirito malvagio, venuto daccanto a me per la mia dannazione. Dillo, che non è vero; dillo a quest'uomo onorando, che questo non era il tuo fine, quando portavi a me i lagni del mio povero padre…. ed egli sentirà ora come sappiano fischiare i serpenti, e qual suono abbia la voce d'un demone!—

Tuccio di Credi guardò bieco il suo avversario, ben vedendo di non poter più ingannare nessuno, e crollò sdegnosamente le spalle.

–Quante parole inutili!—esclamò egli.—Bastava dire che mi sono vendicato. Messere, statevi con Dio, e non vi provate a tenermi dietro;—soggiunse, vedendo l'atto di Spinello che voleva scagliarsi contro di lui.—Voi andate qualche volta senz'armi; io non ho mai dimenticato questo spuntone, che so maneggiare, al bisogno, e che punge assai meglio della vostra lingua.—

Così dicendo, si avviava verso la scala a piuoli, il cui capo usciva due o tre palmi fuori del tavolato.

Ma l'amore della frase perdette Tuccio di Credi. Spinello conosceva l'impalcatura del ponte su cui stava a dipingere, e il traballar che fece un pancone su cui Tuccio di Credi aveva posto il piede per ritirarsi verso la scala, gli rammentò in buon punto che le assi non erano inchiodate, ma semplicemente posate sulle traverse, l'una di costa all'altra. E subito chinatosi ad abbrancare un capo del pancone, lo spinse verso l'apertura della scala.

–Riponi il tuo spiedo!—gridò, con accento di trionfo, mentre Tuccio scivolava sull'asse inclinata.—Meglio ti sarebbe aver penne alle mani.—

Colto alla sprovveduta, Tuccio di Credi annaspò con le braccia, lasciando cadere lo spuntone, e tentò di aggrapparsi alla traversa, nel punto in cui essa era assicurata all'abetella con parecchi giri di fune. Ma non gli venne fatto, ed egli ebbe per gran ventura di trovare un capo della fune, che penzolava dalla traversa, e ad esso s'avvinghiò disperatamente, in quella che il suo corpo dava un tracollo nel vuoto.

–Aiuto! aiuto!—gridò messer Dardano, sbigottito dall'atto improvviso.

–Salvatemi, per amor del cielo!—urlava il caduto.—Salvatemi! Ve ne supplico, messere Spinello!… Per la memoria di Fiordaliso!

–Infame!—tuonò Spinello, affacciato all'apertura del ponte.—E ardisci profferire quel nome? Trovò ella misericordia presso di te? Tuccio di Credi, bestemmia la tua ultima preghiera; l'abisso è spalancato per accoglierti.

–Spinello!—gridò messer Dardano.—È un uomo che sta per morire!

–Orbene, che c'è di strano!—disse Spinello. La pena segue il —delitto. A Colle Gigliato ho ucciso il suo complice; qui uccido lui. —Se Iddio non avesse voluta la sua morte, non me l'avrebbe cacciato —tra' piedi.—

Intanto quell'altro perdeva le forze. La fune, scorrendogli tra le dita aggranchite, gli aveva lacerate le carni. I tendini denudati non ressero allo strazio, e le mani sanguinolenti si apersero. Tuccio di Credi mise un grido di alto spavento, che parve ruggito di fiera, e precipitò nello spazio.

Il vecchio Acciaiuoli udì il tonfo del corpo sui gradini dell'altar maggiore e si ritrasse indietro atterrito.

Poco stante si raccoglievano le membra sfracellate. In chiesa e fuori si credette ad una disgrazia. Nè messer Dardano volle dire il contrario; nè Spinello sapeva più che cosa fosse avvenuto. Sceso dal ponte, il povero pazzo non ricordava più nulla.

Per altro quella notte fu un grande trambusto in casa sua. Spinello aveva una visione e fu agevole intenderla dalle rotte parole che gli uscivano di bocca. Lo spirito delle tenebre era apparso al pittore, dolendosi con lui d'essere stato fatto così spaventosamente brutto,

–Brutto! Brutto!—gridava il povero pazzo.—Non eri forse Tuccio di Credi? ed io non ti ho forse dato il tuo aspetto vero?—

Il vecchio Acciaiuoli prodigò al suo sventurato amico le più amorevoli cure. Ma nè le cura dell'amicizia, nè quelle dell'arte, nè i pianti della famiglia, nè le preghiere di tutta Arezzo, che amava il suo grande artefice, valsero a rattenerlo in vita. L'amore di Spinello Spinelli era morto; le sue vendette erano compiute; non gli restava che di finire anche lui. Ed era misericordia pregare a quell'anima travagliata il riposo della tomba.

E null'altro, forse? Non ci sarà dato di sperare che lo spirito dell'infelice amatore si sia ricongiunto a quello della sua Fiordalisa? Ciò che sentiamo di questi grandi esempi d'amore, così rari purtroppo nel mondo, ci conforta a credere che tanto ardore non possa e non debba morire con questa povera compagine d'ossa e di polpe. Infine, ogni spettacolo di martirio non richiama l'idea del trionfo?

FINE
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Litres'teki yayın tarihi:
01 aralık 2018
Hacim:
250 s. 1 illüstrasyon
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