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Kitabı oku: «La legge Oppia : commedia togata in tre atti», sayfa 5

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ATTO TERZO

La scena rappresenta un ampio colonnato d'ordine etrusco, sul Campidoglio, colla veduta di Roma nel fondo. Fuori del portico si vedono magistrati, apparitori e cittadini, che vanno e vengono. È giorno comiziale, e molto popolo si accalca lassù. – Di dentro è Erennio littore, che passeggia lentamente col suo fascio sulla spalla. Poco stante entra Catone dall'intercolonnio, colla toga a sghembo, di cui tenta ravviare i lembi sugli òmeri. – Erennio lo saluta, abbassando il fascio infino a terra.

SCENA PRIMA
Catone e Erennio
Catone

Ma si può dar di peggio? Vedete come mi hanno stazzonato quelle Megère. E mancò poco non mi facessero a brandelli la toga!

Erennio

(avvicinandosi)

Che hai, prestantissimo Console? La repubblica avrebbe ricevuto in te alcun detrimento?

Catone

Smetti le frasi e dammi una mano. Così! Queste maledette donne che corrono le vie di Roma a guisa di cavalli sfrenati! Ma che siamo ai baccanali di Grecia? A vederle, come si dànno moto di qua e di là, e questo affrontano, e quell'altro tirano pel lembo della toga, dimandandogli il suo voto contro la legge! Vergogna! Io, io, ho dovuto arrossire per esse. E a mala pena m'hanno veduto a sboccare sul Foro… È lui; sì, no; ci ha i capei rossi; è lui, sì, è lui, il Console! E in quattro salti mi son capitate ai fianchi, come una muta di cani, sguinzagliati addosso al cignale. Che te ne pare, Erennio? Non arrossisci anche tu?

Erennio

Perchè non hai voluto che ti accompagnassimo? Le verghe dei littori son di betulla; ma…

Catone

Ma tu se' un bietolone; sia detto con tua buona pace. Che cosa potevano fare le verghe, anco di dodici littori, contro quella turba di furie, scaturite d'inferno?

Erennio

Oh, questo, poi!.. Tu non potevi, per la dignità del laticlavio, aprirti la via colle mani… Ma era dell'ufficio mio il menar legnate da orbi. Se c'ero io, se c'ero, le accomodavo secondo la legge.

Catone

Vedi dunque di far buona guardia costì, mentre io salgo al Tabularlo. Vorrei esser lasciato una mezz'ora tranquillo.

Erennio

Lascia fare; ho la consegna.

(fa il gesto di menare a tondo il suo fascio)

Catone

(avviandosi)

Ah! giornataccia! giornataccia! Se le donne son matte, saranno savi gli uomini?

(esce a sinistra)

SCENA II
Erennio solo, indi Mirrina, Birria, Materina e uno stuolo di Donne
Erennio

Ah! per Roma quadrata! Vengono proprio a questa volta. Vigiliamo l'ingresso.

(si pianta dinanzi alla porta per cui è entrato Catone)

Mirrina

(affacciandosi all'intercolonnio, seguita dallo compagne)

È entrato per di qua. Donne, seguiamolo!

Birria

(a Mirrina)

Purchè non sia per fargli il bocchìno!

Mirrina

Tira via, sciocco!

Erennio

Olà! che cos'è questo chiasso? Fatevi indietro!

Mirrina

(avvicinandosi sempre più, insieme colla folla)

Con che diritto? È luogo pubblico. Il Campidoglio appartiene a tutti i romani.

Erennio

Ecco, dirò. Non c'è nessun testo di legge che lo stabilisca. Il Campidoglio è fatto per gli Dei protettori di Roma e pel popolo radunato in giusti comizii, non già per la moltitudine tumultante. Capite? tu…mul…tuan…te! Chi tenta tumulto e sedizione in città, sia punito di morte.

Birria

Va là, burlone! Queste donne hanno a parlare di cose più gravi col Console.

Erennio

(squadrando la sua tunica di schiavo)

E se il tumultuante è di condizione servile, sia battuto con verghe e precipitato dal sasso Tarpeo.

Birria

Alla larga!

Mirrina

Che sasso? Che Tarpeo! Vogliamo andare dal Console.

Erennio

Ah! ricalcitrate? Vi parlerò da pubblico uffiziale. «Se vi pare, allontanatevi, o Quiriti!»

(con gravità)

Mirrina

E se non ci paresse?

Erennio

Ecco; il «se vi pare» è una locuzione, una formola, introdotta pel rispetto dovuto alla maestà del popolo romano. Così fu stabilito ab antiquo. Ma non ve fidate, perchè se non vi allontanaste colle buone…

Mirrina

(andandogli incontro con gesto petulante)

Che cosa faresti?

Erennio

Ehi, dico, giù quelle mani! Farei rispettare la legge. La legge è dura, ma è legge.

Materina

A me! a me!

(facendosi strada in mezzo alla calca)

Che leggi vai tu sfringuellando? Vuoi, o non vuoi tirarti da banda?

Erennio

(con atto di stupore)

Oh!.. Materina!..

Materina

Sicuro… sua moglie, o Quiriti, e vedremo se non lascierà passare sua moglie.

Erennio

Che fai tu qui? Va a casa e medita le Dodici Tavole. Autorità di vita e di morte sulla moglie, è data al marito. Il testo parla chiaro.

Materina

Tirati in là colle tue dodici… Favole! Io l'ho tutte in un calcetto. Figuratevi, Quiriti! Ei non fa che rompermi il capo colle sue leggi. Ma le faremo e le disfaremo noi, le tue leggi! Si comanda noi, oggi, e, se piace a Dio, si comanderà per un pezzo.

Erennio

Materina, dico! Non mi fate pasticci! Avreste bevuto vino, stamane? Sarà bastone e divorzio.

Materina

Bastone a me? Tu hai già sentito qualche volta di quante foglie sieno i miei garofani.

Birria

(sottovoce a Mirrina)

Com'io i tuoi, Mirrina!

Materina

Ripudiarmi, poi! Ah, lo volesse Giunone liberatrice, ch'io le porterei un voto largo tanto!

Erennio

Oh, insomma! La pazienza è stata già troppa e forza dee rimanere alla legge.

Materina

Sì, eh? Qua una mano, voi altre!

Tutte

(facendo impeto sul littore)

Dal Console! dal Console!

Erennio

Indietro, olà! Ehi, dico, Quiriti, se vi pare!..

(atterrato Erennio, la turba si scaglia verso la porta e sparisce)

Altro che parere! questo è sentire…

(tastandosi le membra indolenzite)

E il Console che dirà? Suvvia, coraggio, inseguiamole!

(raccatta il fascio da terra ed esce per la porta anzidetta)

SCENA III
Fundanio e Marzia Atinia fuori del colonnato

(Marzia Atinia sarà sfoggiatameate vestita, ma diligentemente coperta dalla rica, lungo ed ampio velo nero che dal sommo del capo le scende fino ai piedi).

Fundanio

(entrando da sinistra)

Ah bella! gustosa davvero! Il povero littore è andato ruzzoloni, egli e i suoi fasci. Marzia Atinia, tu qui? Sola?

Atinia

(entrando con lui dalla parte opposta)

Non sola; con mia madre, mia sorella Volusia ed Annia Luscina. Ci sono anche le donne di Catone, che siamo andate a prendere, per condurle qua, sotto pretesto di sciogliere un voto all'ara di Giunone. Noi salivamo appunto la gradinata del tempio, quando io t'ho veduto venire a questa volta…

Fundanio

Dolce inseguimento, che piacerebbe anco al Console! Io tenevo dietro ad una baraonda di donnicciuole, che gli han dato la caccia fin qua. Anche la tua liberta Mirrina era del numero.

Atinia

Sollevazione universale! Patrizie e plebee hanno fatto causa comune. Ma veniamo al sodo. Lo stendardo sul Gianicolo?..

Fundanio

Venivo appunto di là. Il terrazzo è pieno di popolane, che vi fanno la guardia. Vedi? stanno inalberando il vessillo comiziale. Anche gli auspicî son tornati favorevoli…

Atinia

Lo credo. Volusia è stata inesorabile con Claudio Pulcro, come Fulvia con Lucio Valerio.

Fundanio

A proposito di Valerio, sai? Egli sta grosso con me, per quelle parole che Fulvia gli avrà riferite. È naturale. Erano la chiave di tutto l'intrigo. Tu m'hai messo in un bell'impiccio, o divina.

Atinia

Te ne duole?

Fundanio

Dei buoni! Si tratta d'un ottimo collega… d'un amico! A questo mondo si ha così poche persone che ci voglian bene!

Atinia

T'aiuti di tutto, mi sembra!

(ridendo)

Via, non pensarci; a cosa fatta, vi metterò io in pace.

Fundanio

Eccolo! Scende dal Tabulario, con Porcio Catone.

SCENA IV
Catone, col bastone d'avorio, Valerio, Erennio e Detti
Catone

Animo, dà il catenaccio anche a questa!

(Erennio chiude la porta a chiave)

Così! Ah, mègere d'inferno! Si sbizzariscano a lor posta, adesso; le mura sono a prova d'unghie e di strida. Ma che! donne ancora?..

(vedendo Atinia nel portico)

Valerio

È la moglie del pretor peregrino, la figlia del Console tuo collega.

Catone

(inoltrandosi, con piglio sarcastico)

Marzia Atinia, in compagnia d'un tribuno!

Atinia

Tu pure ci sei, con un tribuno, mi sembra…

Catone

Ah, ma questi è il mio caro Valerio.

Fundanio

(piano ad Atinia)

Chè non gli rispondi tu pure: il mio caro Fundanio?

Atinia

(a Catone)

Ah sì, il tuo caro Valerio, il nemico delle donne!

Valerio

(confuso e sottovoce)

Io?.. Anche tu?

Atinia

Fundanio invece è l'amico nostro, il difensore della nostra causa.

Catone

Benissimo! sentiremo la sua eloquenza!

Fundanio

Mi duole di averti a trarre d'inganno, prestantissimo Console. Non sentirai nulla. Parlerà invece un altro, che in materia d'eloquenza non la cede a chi si sia.

Catone

Ah! Ah!.. e sarebbe?..

Fundanio

Non lo sai?

Catone

No, per Apolline.

Fundanio

(a Marzia Atinia)

Infatti!.. lo chiama ancora il suo caro Valerio!

(piano a Valerio)

E tu, non gli hai detto?..

Valerio

(con piglio iracondo)

Lasciami stare!

Catone

(dopo essere rimasto alquanto sopra pensieri)

Chiunque egli sia, vedremo il campione; udremo le salde ragioni!

Atinia

E credi tu che non si trovi nella nostra causa niente di buono da dire? Saresti, in fede mia, poco grazioso con noi!

Catone

No, non lo sono. Amo mia moglie e mia sorella, ma tante smancerìe le lascio… ai tribuni delle donne.

Fundanio

(inchinandosi)

Accetto il titolo, come tutto ciò che mi viene da te.

Catone

(dopo avergli dato un'occhiata, tra burbera e ironica, si volge ad Erennio)

Dimmi, littore; gli è tempo?

Erennio

(che sarà stato prima fuori del colonnato)

No; ci vorrà un bel pezzo prima che le centurie sian tutte ai posti assegnati. I censiti durano molta fatica a traversare il Foro. Tutte le donne di Roma son fuori…

Catone

Salvo quelle che son dentro… e ci staranno un bel tratto, a smaltire le bizze!

Atinia

(a Fundanio)

Vedi Valerio, com'è rannuvolato!

Fundanio

Eh, lo vedo pur troppo.

Atinia

Se tentennasse!.. Bisognerà provvedere. Accompagnami!

(a Catone)

Saluto il Console, e vo' nel tempio a pregare gl'Iddii che confondano la sua eloquenza.

Catone

Sèrviti!

(Marzia Atinia e Fundanio si allontanano)

SCENA V
Catone, Valerio, Erennio in disparte
Catone

Gli Iddii faranno quel che vorranno, per utile e gloria di Roma. Tu prega a tua posta e va attorno per voti, con quel Fundanio di costa. Buon per te, che tuo padre è fuori, e tuo marito ha dato il cervello a pigione. Ma chi sarà questo oratore? Cornelio Cetego?.. Un uomo consolare! Non credo. E poi, me ne avrebbe fatto un cenno ieri, quando ci siamo incontrati. Sempronio Gracco?.. È amicissimo mio… Impossibile!.. Sulpizio Gallo? Quel ragazzaccio che sa tanto di greco e comincia a volerla dire co' vecchi? Lui, forse! Che ne dici, Valerio?

Valerio

Perchè darti pensiero di ciò?

(con aria impacciata)

Chiunque egli sia, la palma dell'eloquenza sarà data a Catone! Ed egli… il tuo avversario, di un'ora… sarà ben dolente di aversi a misurare con te.

Catone

Perchè dunque s'è messo alla prova? Ma, gliene dirò io, delle ragioni! E che cosa mi potrà egli argomentare in contrario? Tu se' buon giudice, Valerio; senti un po' qua…

Valerio

(perplesso, cercando schermirsi)

Ma… io…

Catone

Senti, via! Comincierò da noi. La colpa di questa sommossa femminile s'appartiene a noi magistrati; a voi tribuni, che avete condotto anco le donne a muovere le sedizioni tribunizie; a noi consoli, che dovremo ricever leggi da un tumulto di donne. Ed anche alle donne dirò il fatto loro! Che nuova usanza è cotesta di correr fuori e affrontare, come fate, gli altrui mariti per via? Perchè ognuna di voi non s'è volta al proprio? Sapreste per avventura esser più lusinghiere cogli estranei, che co' mariti vostri, più fuori di casa, che in casa? Senonchè, anco in casa, e coi vostri, sarebbe pessima cosa; avendo le leggi nostre saviamente disposto che le donne fossero in potestà dei padri, fratelli e mariti loro. E noi comporteremo ch'esse scendano in piazza, nei parlamenti e negli squittinii? Ponete freno, vi dico, io, come altre volte v'ho detto, ponete freno, vi ripeto ancora una volta, a questo sesso arrogante, a questi indomiti animali…

Valerio

Ah!

Catone

Che è ciò?

Valerio

Nulla, nulla; notavo l'energia della frase…

(da sè)

Erano le parole sue! E Fundanio l'ha poste a mio carico! Oh, aspetti, aspetti!

Catone

(proseguendo)

Esse, già baldanzose, diventeranno audaci. Darete cinque; vorranno cinquanta. Che chiedono esse, in tanta angoscia, e con veste di supplicanti? Di sfoggiarla in porpora e oro; d'esser portate attorno in cocchio, a guisa di trionfanti; di togliere ogni misura allo spendere, ogni ritegno allo spreco! Oh! tempi mutati! Grecia ed Asia s'impadroniscono di noi, non noi di esse. Non si ha in pregio che l'arte greca e le greche delicature; i nostri Iddii romani di terra cotta fan ridere! ah, io vorrei averli sempre favorevoli a noi, questi umili Iddii, come furono in passato, contro Annibale e Pirro! Costui, per mano di Cinea, suo ambasciatore, fe' tentar con lauti presenti uomini e donne di Roma. Uomini e donne ributtaron le offerte. Ma adesso? Se Cinea tornasse, troverebbe le matrone romane in volta per le vie, colle palme tese per raccogliere… che dico, per raccogliere? per fare a ruffa raffa coi doni stranieri. Respingete la proposta di Fundanio, o Quiriti! Troppo è già il lusso tra noi. Non fate che nascano disuguaglianze e invidie perniciose. La povera, sopraffatta dallo sfarzo della ricca matrona, chiederà nuovi ornamenti all'esausto marito. Negherà egli; ma, non dubitate, ella troverà un altro che dica: son qua. E avremo corruzione maggiore. Conservate il freno sapiente della legge Oppia, o Quiriti; che non v'accada come colle fiere selvatiche, istizzite da lunga prigionia, che, appena lasciate, più feroci diventano. E gli Dei faccian prospero ciò che sarà da voi decretato.

Erennio

(da sè in disparte)

Che oratore! Se avessi potuto parlar io così a mia moglie, come l'avrei fulminata, annichilita! In quella vece!..

Catone

Questo è il concetto; che te ne pare, Valerio?

Valerio

Robusto… incalzante…

Catone

E che cosa si potrebbe rispondere? dico io; che cosa? Parole, sì, ed ornate; ma ragioni, no certo.

Valerio

Eh… potrei dirtelo io, che cosa si risponderà… debolmente…

Catone

Di' pure, alla libera. E' sarà un esercizio per me.

Valerio

Si comincierà da un elogio alla gravità dell'uomo ed alla sua grande autorità, che mette in pensiero chiunque abbia a trovarseli contro. E ciò sarà giusto.

Catone

(con impazienza)

Concedo; va innanzi!

Valerio

Poi, si potrà continuare a un dipresso così:… «Ma egli, il Console, ha consumato molto più parole nel biasimar le matrone, che nello sconfortar la proposta. Ha chiamato questo fatto una sedizione di donne; una sedizione, perchè elleno han chiesto di rivocare, or che la Repubblica è prospera e forte, una legge fatta per tempi infelici e difficili? Sedizione! La parola è grave; ma io non vedo il fatto che la richieda. Son venute fuori, a impacciarsi della cosa pubblica, tu dici. Orbene, quante volte non hanno esse adoperato del pari? Volgerò contro te le storie mirabili che tu hai scritto, o Catone. Impara da esse quante volte siano le donne uscite fuori, e sempre per benefizio pubblico». E qui ti si citano le spose sabine, che fecero posare la guerra tra padri e mariti; le matrone, condotte da Veturia al campo di Coriolano; le donne d'ogni condizione, che diedero tutti i loro ornamenti per riscattar la città dal furore dei Galli; le vedove che sovvennero del loro danaro l'erario, nella guerra coi Cartaginesi; la processione femminile, da Roma al mare, per ricevere il simulacro di Cibele, venuto di Frigia in aiuto e difesa di Roma. «E se non ti maravigliasti tu ch'elle uscissero tante volte per benefizio pubblico, perchè troverai a ridire se una volta escono per utile proprio. Che fanno di così reo? Vengono e pregano. Ah, in fede mia, orecchie superbe ci abbiamo, che, mentre i padroni ascoltano i lagni de' lor schiavi, noi sdegniamo esser pregati da libere e nobili donne».

(segni di stupore in Catone. Nel fondo, dietro il colonnato, saranno apparse Fulvia ed Annia Luscina, e Plauto, che stanno intenti ad udire)

«Vana è la difesa del Console, quando egli tocca del merito della legge. Son forse le leggi così provvidamente ordinate, che più non s'abbia a mutarle? E non ve n'ha di tali, che il tempo ha reso inutili, o contrarie allo scopo? Questa legge non è delle prime e sacrosante di Romolo; nemmanco delle Dodici Tavole. È nuova, e fu fatta quando Roma, per la rotta di Canne, era minacciata dell'ultimo eccidio. I socii ribellati; non uomini per l'esercito; non ciurme alle navi; non denaro all'erario. La repubblica, per far soldati e marinai, comperava gli schiavi dai loro padroni, con promessa di pagarli a guerra finita. Tutti davano il proprio, dall'opulento senatore alla vedovella meschina. E già allora questa tua legge Oppia si mostrò vana cosa; imperocchè, dov'erano più le donne ornate d'oro e di porpora, quando tutti, uomini e donne senza eccezione, e per spontaneo moto e per legge, s'erano d'ogni cosa spogliati? E più vana apparisce ora; nè solamente vana, ma iniqua; imperocchè la repubblica è forte e noi non le diamo già più straordinario tributo di danaro, o di schiavi. E se tu, fiorendo la repubblica, custodisci gelosamente il tuo, perchè solo le donne vorresti tu escluse dal benefizio dei tempi?»

Catone

(con stupore sempre crescente)

Valerio!

Valerio

«Finisco. Noi uomini useremo porpora e toga intessuta a colori; toghe ricamate porteranno i nostri figliuoli; porpora ed oro i magistrati delle colonie e dei municipii; nella porpora si concederà alle famiglie di bruciare i lor morti; solo alle donne romane niente sarà consentito? Vedranno coperte d'oro e di porpora, trascorrere in cocchio, le mogli dei sudditi ed alleati latini; noi stessi risplendere di mille ornamenti nelle magistrature, nei trionfi, ne' sacerdozii; e con ciò, pensi tu, non vi sarà emulazione, nè invidia? No, tu non stabilisci che una nuova classe di schiavi; laddove noi vogliamo che la donna rifulga liberamente di tutte quelle grazie, che la fanno per noi il più caro dono de' cieli. E se tu nieghi loro gli attributi del loro sesso; che non concedi loro per contro gli uffici del nostro? che non le armi, non le spartisci in legioni e non le conduci in Ispagna con te?..»

Catone

(fuori di sè per lo stupore e lo sdegno)

Valerio! Pensi tu quel che dici?

Erennio

(da sè)

Bene! Ora il console me lo fulmina, me lo annichilisce!

Valerio

(perplesso)

Io?.. Penso che in tal guisa ti si potrebbe rispondere. Ah!

(vedendo Fulvia che gli accenna di farsi animo)

Infine, sì; penso tutto quello che ho detto.

Erennio

(vedendo anch'egli le donne)

Ahi! Non son tutte chiuse nel Tabulario, le streghe!

Valerio

Sì, sappilo; io t'amo, ti venero, o Marco; nè tu potresti avere fratello minore, o figliuolo, che ti rispettasse di più. Ma io, vedi, non son più padrone di me.

Catone

(con accento d'ira profonda)

Anche te hanno ammaliato le donne?

Valerio

Ah no; di' piuttosto che una di esse m'ha richiamato al mio debito di giustizia, una sola che adoro… e adorando lei, non vengo meno alla mia divozione per te.

Catone

Mia sorella!

Valerio

Lo sapevi?

Catone

Sì, e godevo dell'amor tuo; ma ora…

Valerio

Ora?

Erennio

(da sè)

Non è più come allora.

Catone

(con piglio risoluto)

Dimmi su; parlerai contro la legge?

Valerio

Tu metti a prezzo…

Catone

Rispondi! parlerai?

Valerio

Ah, la è dura!.. Io…

(attignendo coraggio dalle mute eccitazioni di Fulvia)

Or bene, sì, parlerò, dovesse costarmi la vita!

Catone

Ah, per gli Dei infernali, non riconosco più Roma. Littore, precedimi.

(le donne, al muoversi di Catone, si appiattano dietro il colonnato)

Erennio

(precedendo il Console)

Sconfitto anche il Console! In fondo, ci ho gusto. Non sarò il solo.

(ad alta voce, sulla gradinata)

Quiriti, il Console!

(si odono squilli di tromba da varii punti del Foro)

Catone

(tornando indietro)

E bada, che non t'uscisse di mente! Mia sorella non sarà tua, fino a tanto la tua eloquenza, insieme colla legge Oppia, non avrà anche distrutta l'autorità del capo di casa.