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Kitabı oku: «Falco della rupe; O, La guerra di Musso», sayfa 20

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CAPITOLO DECIMOQUARTO

 
In cento parti
Gli aspri monton colla ferrata fronte
Urtan, doppiando i colpi, il saldo muro,
E ne tremano i boschi, e n'ha spavento
L'onda del Lario e il monte alto ne geme.
E di tant'armi il fulminar non lascia
Le conquassate torri e i merli e i tetti,
I cari tetti che già volti in fiamme
Piomban qua e là con subita ruina.
 
GASTONE DELLA TORRE DI REZZONICO, L'eccidio di Como.

Era notte: il Castellano e il suo più fido amico il Pellicione stavano in una stanza appartata del Forte entrambi muti e pensosi seduti ai lati opposti d'una massiccia tavola su cui ardeva una lampada infissa in un lucerniere di bronzo. Medici teneva incrocicchiate le braccia, socchiuse le ciglia e fiso lo sguardo nella parete di contro: portava il corsale di ferro e il rimanente dell'abito stretto al corpo; il suo capo era scoperto, per cui il lume rischiarava liberamente di profilo il suo volto, a cui i neri ricciuti capelli, il pelo del mento e dei mustacchi davano un carattere più deciso e severo. Pellicione vestiva un giustacuore di panno bruno, con maniche larghe listate, serrate al pugno; aveva in testa un cappello alto acuminato, con larghe falde che gli ombreggiavano il volto sostenuto dalla sinistra mano, mentre teneva la destra arrampinata negli intrecciamenti della complicata impugnatura di sua spada che sopravanzava alla tavola.

Sulla faccia del Castellano, di quell'ardito avventuriero la cui sovrana fortuna era prossima al tramonto, si vedevano dipingersi alternativamente ora una dignitosa calma con cui sembrava assopisse tutta la tempesta della mente, ora un lieve sogghigno minaccioso, disfidatore, che tramutavasi in una maestosa guerresca alterezza con cui pareva dire: "Io mi son io ancora: nessuno m'ha interamente vinto o domato". Pellicione alzò gli occhi su di lui nel momento che il suo viso aveva tale impronta, e come se gli avesse letti appunto in cuore quelle parole, gli disse:

"Non è poi la prima volta che noi ci vediamo chiusi dai nostri nemici in questo Castello. Sono trascorsi pochi anni da che i Grigioni venuti a Bongo credevano averci ridotti, come l'orso, all'orlo del precipizio, che è costretto a lasciarsi prendere od a balzarvi da se; pure non solo se ne siamo liberati, ma li ricacciammo lontani, e divorammo assai del loro: e in quel tempo questo Castello non contava la metà dei baluardi da cui è riparato attualmente; nè v'era traccia di questo Forte e del taglio: ora, oltre le difese murali ne possiamo sperare una più efficace nei soccorsi del Conte d'Altemps che non può tardare gran fatto a qui giungere co' suoi Tedeschi".

"Se fosse altri che il conte Volfango, rispose Gian Giacomo i cui pensieri erano già divenuti più tristi, direi che mi ha tradito: ma egli non è di ciò capace; e m'è forza pensare che sia stato incagliato nel viaggio da secreti comandi dell'Imperatore che protegge il Duca. Se ciò non fosse, una parte almeno delle bande Alemanne, in vista delle pressanti istanze da me fatte, e delle sue promesse, doveva essere da più giorni qui pervenuta, e avremmo impedito che ci stringessero d'assedio. Ora che vuoi, mio caro? Abbiamo Grigioni a sinistra, Ducali a destra. Dongo e Musso rigurgitano di soldati della Lega e del Vestarino, che si sono stesi anche in tutto il paese all'intorno:, gli edificii che m'appartengono vennero cangiati per loro in quartieri fortificati, i monti circostanti muniti d'artiglierie, e il lago innanzi a questo Castello coperto dalla loro flotta. Corenno, Gravedona, Rezzonico sono cadute in loro potere, ed oggi si seppe che il Forte di Lecco fu preso esso pure dall'Acursio, il quale vi fece crudelmente appiccare ai merli il nostro Alvarez Carazon, siccome disertore di Spagna".

"Povero Catalano! (esclamò Pellicione lasciando cadere il braccio sul tavolo, e guardando in alto sì che la metà inferiore del volto uscì dall'ombra del suo largo capello.) Un buon compagnone di quella fatta! che non aveva eguale sia colla spada, sia colla tazza in pugno! Dopo essere stato al di là dì tanti mari quasi sin dove termina il mondo, dopo avere incontrato tutti i pericoli del ferro, del fuoco, dell'acqua, finire di corda per man d'un Ducale! Ah per la spada di san Michele! è un insulto che non si può inghiottire!.. Tu, sventurato Alvarez, avrai resistito a lungo sperando sempre che noi giungessimo colà ad assalire l'Acursio: sappi che tale appunto era la nostra brama, ma che le maladette bombarde di Mandello ce lo impedirono ostinatamente… quelle… sì quelle cagionarono la tua e la nostra ruina". Stette un momento silenzioso, poi proseguì a mezza voce, come se parlasse tra se e se, contando sulle dita, e facendo pausa ad ogni nome che proferiva: Pirro Rumo prigioniero… il Catalano appiccato: morti di ferite… Mandello… Matto… Negri… Falco… e il signor Ga…!" Non osò pronunciare intero questo nome, perchè il Castellano si scosse:, ed ei, guardandolo, gli vide in faccia l'espressione del più cupo e profondo dolore: i suoi occhi non s'inumidivano, perchè natura l'aveva privato del dono delle lagrime, ma vi si scorgeva per entro una commozione che indicava tutta la costernazione del pianto senza poterne avere il sollievo. "Anch'esso pur troppo! disse, così giovine e dotato di tanto valore! Il minore d'età di noi fratelli, e fu il primo! qual ferita sarebbe al cuore di nostro padre s'ei vivesse ancora! Il buon vecchio lo prediliggeva fra tutti i suoi figli, perchè l'ultimo, e perchè sperava che non inclinasse alla guerra come io, Battista ed Agosto, nè alla Chiesa come Giovan Angelo. Mi fu riferito che quando, io lasciai Milano, e venni a prendere le armi sul lago, egli diceva a Gabriele allor fanciullino: tu solo fra i miei figliuoli sarai sostegno del nome di tua famiglia; tutte le mie speranze sono appoggiate sopra di te, ed ho fiducia di vederti agiato e tranquillo, quando i tuoi fratelli saranno tolti al mondo. Misero padre! egli morì ed io ho già fatto dar sepoltura anche al suo Gabriele… e fu col sacrificio della vita di Falco, di quell'intrepido e generoso montanaro che si giunse a togliere il cadavere di mano ai nemici, che se non era quel mio Capitano, il suo corpo sarebbe stato vituperato, o rimaneva pasto ai corvi sul lido di Mandello!"

"V'ha chi dice, rispose il Pellicione, che Falco non sia perito nella pugna, ma che fatto prigioniero, sia stato poscia ucciso dai Ducali". "Assassini! Io accordai dopo pochi giorni la libertà ai loro soldati che feci prigionieri nella battaglia di Bellaggio; essi scannano i miei da vili e crudeli quali sono. Visitando ieri mia sorella e le cugine, che feci ritirare qui abbasso in Castello, vidi seco loro la moglie e la figlia di Falco: quanto sono desolate quelle donne! Veramente le meschine perdettero tutto perdendo il padre e il marito; ma io non le lascierò mai abbandonate sin che possederò anche il più debole mezzo per sostenerle".

Dopo varii altri ragionamenti intorno l'esito sventurato dell'ultima battaglia, Gian Giacomo considerando le sciagure che a lui sovrastavano non seppe trattenersi dal nuovamente rimprocciare con acri parole al Pellicione il mal consiglio datogli di rifiutare le trattative". A che v'avrebbe giovato, rispose con ira a quei rimproveri il Pellicione, l'essere in pace con quei di Milano, mentre gli Svizzeri, come vedete, stavano già in procinto di piombarci addosso?"

"S'io fossi stato in accordo col Duca, le schiere dell'Altemps non avrebbero trovati ostacoli a scendere in Italia, e con alcune centinaia d'uomini di più mi bastava l'animo di rompere la Lega in modo da levarle ogni forza da potersi riannodare".

"E con che volevate voi pagare le truppe del Conte, quando aveste sborsati i quarantamila scudi, condizione principale del trattato, e si foste rimasto colle casse vuote? Credete voi che senza prontissime paghe quelle bande d'avventurieri v'avrebbero obbedito un sol giorno? Non vi rammentate gli eccessi a cui si abbandonarono in Italia quelli venutivi sette anni sono coll'esercito del Contestabile Borbone, e il saccheggio dato a Roma ad onta dei comandi di Carlo, causato dalla loro insaziabile cupidigia?" Il Castellano fremette, e nulla rispose ingolfandosi in altri pensamenti: Pellicione rimase nella primiera attitudine silenzioso e meditabondo esso pure.

Al suonare che fecero i tamburi indicando l'ora del mutarsi delle sentinelle Pellicione si levò in piedi per partire; Medici, il cui sembiante era ritornato tranquillo, alzatosi d'un tratto, s'accostò a lui, gli prese la destra, e disse: "Ho l'intima persuasione che la sorte non ci sarà tanto nemica da condurci al passo estremo; ma comunque sia, non è agli uomini, la cui mano ha giammai abbandonata la spada, che il morire pugnando reca spavento; e noi siamo in grado di far sentire a molti e molti nemici quanto sia periglioso cimento l'accingersi a penetrare sin dove siam noi. Or va, invigila le scolte, provvedi onde i bombardieri non s'allontanino dalle batterie, desta la vigilanza delle guardie alle vedette, e riconosci tu stesso dai baluardi se il nemico ha prese nuove posizioni: io m'affido interamente a te; tu conosci quanto ti tengo caro, ed io so quanto mi sei fedele".

Pellicione uscì di là compiutamente riconciliato in cuore col Castellano, e si recò alle mura onde osservare se i posti venivano diligentemente guardati e se tutto era disposto alla difesa. Sebbene la notte fosse a mezzo il suo corso, trovò tutti i drappelli d'uomini d'armi vegliare alla custodia del Castello di distanza in distanza come erano stati distribuiti: s'affacciò ai merli del vallo e guardando dalle feritoie, vide splendere abbasso e su pel monte vicino gran numero di fuochi ch'erano accesi dai soldati del Duca commisti agli Svizzeri, di cui s'udiva un lontano e confuso schiamazzare che si confondeva col mormorío delle acque del lago che un notturno venticello rompeva alla sponda: osservato il tutto attentamente, persuaso che il nemico nè pensava nè poteva tentare una sorpresa, ripetè il moto di vigilanza, e si ritrasse a riposo.

I guerrieri, e quasi tutte le poche persone d'altra qualità che si trovavano rinchiuse in quella assediata Fortezza, benchè stordite dal rapido ravvolgimento avvenuto nella fortuna del Castellano, pure siccome legati a lui per tante cause, confidavano ancora ciecamente nella sua indomabile intrepidezza, nella sua avvedutezza ed esperienza somma, di cui avevano avute tante rimarchevoli prove, e si tenevano certi ch'egli sarebbesi sciolto da quella stringente briga, ed avrebbe allontanato il periglio, e restituita a tutti la libertà e la sicurezza ricuperando il pristino potere.

Pei soli cuori d'Orsola e Rina non eravi più sollievo, non eranvi più speranze, e la vita di queste donne infelici dir si poteva una successione di lamenti e di pianti. Quel mattino della partenza delle navi per la battaglia, appena Falco fu uscito con Gabriele dalla propria casa onde recarsi al Porto del Castello, Rina crudelmente desolata dalle dolorose parole dell'amante, pallida, travolta, s'abbandonò nelle braccia della madre a lei con soffocati e rotti accenti palesando i presentimenti funesti di che le si era mostrato ingombro il giovine guerriero unico oggetto di tutte le sue cure: la madre volle riconsolarla tentando di farle sparire dalla mente ogni sinistra aspettativa; ma siccome ella stessa prestava somma fede agli interni presagi, partecipò a poco a poco, riguardo al marito, ai timori della figlia, che nell'animo suo più debole e pregiudicato presero quasi il carattere d'una spaventevole certezza. Passarono le due donne tutto quel giorno in un'angoscia inesprimibile, la quale non si sminuì che vicino a sera quando Rina, non mai staccatasi dalla finestra verso il lago, chiamò precipitosamente la madre facendole vedere in lontananza due legni della flotta del Castellano che ritornavano a Musso. Si fece più oscuro, e la figlia e la moglie di Falco scorsero palpitando que' due legni passare nelle acque innanzi a loro rapide come due nere nubi spinte, dalla tempesta, ed entrare nel Porto della Fortezza. Rina sentì un moto fatale a quella vista, come se una voce misteriosa le avesse mormorato all'orecchio: là sta il cadavere di Gabriele. Nulla poterono penetrare quella notte intorno all'esito del combattimento; ma quanto non s'accrebbe la loro ambascia il mattino quando seppero la notizia, che si sparse prontamente per tutto, della terribile sconfitta ricevuta dai Mussiani a Mandello? Orsola corse alla Fortezza e per Musso richiedendo, implorando da cento persone che le venissero date novelle del marito; ma tra lo spavento e la confusione generale, non raccolse che voci vaghe e contraddittorie, le quali però le lasciarono sussistere in cuore un raggio di speranza, poichè tra le narrative dei più che asserivano essere Falco rimasto ucciso con Gabriele sul campo, v'erano alcuni che narravano essersi invece questi due recati sulle navi col capitano Mandello al soccorso di Lecco, e tale novella era fatta spargere ad arte dal Castellano per tenere sospesi gli animi degli abitanti di quelle borgate e temperare il pernicioso effetto della narrativa della tristissima realtà del fatto.

Due giorni dopo la battaglia essendo giunto l'avviso che i Grigioni avevano preso Sorico, e s'avanzavano dalle Pievi verso Dongo per cingere d'assedio il Castello, e vedendosi ad un tempo apparire alle alture di Varenna la flotta Ducale che veleggiava essa pure verso Musso, Gian Giacomo Medici, conoscendo di non aver forza bastante per opporsi all'aperto ad entrambe quelle armate nemiche, fece incendiare l'arsenale con tutte le barche, e con sommo dolore anche il proprio famoso Brigantino; radunò nel Castello tutti gli uomini d'armi che gli rimanevano, v'invitò i terrazzani de' paesi vicini atti alla difesa, e fattevi entrare le donne che a lui od a' suoi Capitani appartenevano, inchiodati e appuntellati i portoni, calate le saracinesche e muniti di spesse artiglierie i baluardi, attese il nemico.

Orsola e Rina, venute esse pure a chiudersi là dentro, seppero tosto la verità dei fatti, e svanì per tal modo dai loro cuori anche quel lieve dubbio consolatore che le contraddittorie novelle v'avevano lasciato sino a quel momento sussistere. Maestro Lucio Tanaglia la prima volta che discese dal Forte a visitare quelle donne nella Rocca di Sant'Eufemia, ove era stato alle medesime assegnato l'albergo presso quello di Margarita sorella del Medici e delle di lui cugine, narrò ad esse con grave cordoglio d'avere veduto egli stesso, la notte che susseguì la terribile battaglia, a seppellire secretamente Gabriele, il suo giovine alunno, nella Chiesa del Castello.

"Il signor Castellano tre ore dopo circa da che fu ritornato colle poche navi a lui rimaste, salito alla Fortezza, mandò il Pellicione a chiamarmi premurosamente (così diceva il Cancelliere per isfogare il proprio rammarico, senza avvedersi di quali punte mortali le sue parole trafiggevano un cuore già lacerato). Io mi recai tosto nella sua stanza, ove lo trovai che passeggiava a gran passi, e lo vidi sì stravolto in viso e contraffatto, che n'ebbi gran paura, e stava quasi per partirmene, quand'esso rivolto a me, disse con voce rabbiosa, come se io ne avessi colpa: Maestro, i Ducali hanno vinto, e ciò ch'è più essi m'hanno ucciso Gabriele; fra pochi istanti porteranno su il suo corpo nella Chiesa della Rocca: voi assisterete alla sua tumulazione onde tutto proceda con ordine e silenzio. Mi gelò il sangue nelle vene e rimasi come una statua all'udire una sì orrenda sventura: voleva rimproverare a Gian Giacomo la sua caparbietà, voleva… ma egli mi fece cenno che partissi, ed io uscii dalla stanza. Venuto fuori, accesi il mio lanternino e discesi qui giù che era oscuro come in bocca al lupo; mi posi presso la porta della Chiesa, che era aperta e rischiarata da due lampade, attesi quivi un istante sulla soglia, e vidi venire il Vicario, due altri preti, due Capitani e quattro soldati che portavano il corpo sovra una bara avvolta in un drappo nero. Entrarono essi tutti meco in chiesa, posarono la bara su due panche, e mentre noi pronunziavamo le preghiere dei morti, gli uomini d'armi alzarono il coperchio dell'avello su cui v'è disteso quell'uomo di sasso, e che sta sotto il finestrone che guarda la torre, trassero da un lato alcune poche ossa che v'erano dentro, poscia due rimasero là colle fiaccole, e due vennero a prendere Gabriele per collocarvelo. Tolsero il drappo che il ricopriva, il sollevarono dalla bara e là portatolo ve lo calarono dentro. Io che ho sempre avuto gran paura dei morti, era tanto l'amore per quel povero figliuolo che volli accostarmi all'avello per vederlo un'ultima volta prima che vi fosse rinchiuso. Esso era là colle sue mani in croce sulla corazza, aveva l'elmo allacciato sotto il mento e la sua faccia bella ancora…". "Ah Dio!" gridò Rina vinta dalla pena, e cade svenuta: Orsola, che piangeva, la rialzò da terra, chiamando con alte grida soccorso: il Cancelliere, che non s'aspettava quella scena, tutto smarrito corse ad avvertire le altre donne dell'accaduto, e si ritrasse poscia nella propria camera compassionando in suo cuore quella povera fanciulla. Rina tornò in se stessa, ma da quel momento la sua anima non fu occupata che da un solo pensiero, il quale non riguardava l'esistenza, e se pure alcuna volta in lei si mitigava l'ambascia, era quando sul far della sera sola sotto la silenziosa vôlta della chiesa inginocchiata presso l'avello ove giaceva quell'unico oggetto che aveva a lei deliziata la vita, bagnava di sue lagrime quel sasso, e pregava con tutta l'effusione dell'anima appassionata la pace del cielo a lui ed al padre che credeva estinto, e invocava per se stessa d'essere tolta con loro. Margarita Medici e l'altre che seco erano, benchè tristissime esse pure per la perigliosa ed insueta loro situazione, tocche però in cuore dall'affanno profondo di quella giovinetta d'angeliche forme, prodigavanle ogni parola ed ogni cura per riconsolare lei e la madre che era da un forse più cupo dolore martoriata.

Alla metà del ventesimo giorno da che durava l'assedio, il soldato che stava alla vedetta sull'alto della torre del Forte avvertì che giungeva a Musso una barca che veniva dalla parte di Como condotta da sei rematori, e nella quale stava seduto un personaggio che all'abito dovevasi giudicare assai ragguardevole. Un'ora dopo la stessa sentinella diede avviso che un soldato Ducale, il quale portava nella destra una bandiera parlamentaria, uscito dalle trincee degli assedianti s'avanzava verso le mura della Fortezza. Il Castellano a tale annunzio comandò tosto si lasciasse accostare senza offese quel messaggiero, e ordinò al Pellicione andasse ad udire per qual causa fosse stato inviato. Pellicione montato sull'alto del muro a cui erasi approssimato il messaggiero Ducale, gli intimò ad alta voce esponesse l'oggetto di sua venuta. A tale richiesta, quel guerriero si tolse una carta ripiegata e suggellata che teneva riposta nella fascia che il cingeva, e levandola alto disse: "Vengo per ordine del mio Generale a recare questo foglio al signor Gian Giacomo Medici: " Il Pellicione fece subito calare una cordicella, a cui il Messaggiero attaccò la lettera che venne tirata su, ed esso se ne ritornò al proprio accampamento.

Portato il piego a Gian Giacomo, che con grande ansietà attendeva gli fosse riferito lo scopo di quell'ambasciata, l'aprì con premura e lesse in un foglio, che ne conteneva un altro, le seguenti parole:

"Signor Castellano,

"Per comando del Duca mio Signore le spedisco l'inclusa lettera giunta al mio campo da pochi momenti. Quegli che l'ha consegnata a me, ha l'incarico di riportarne a Milano la risposta, onde se le piace trasmettermela faccia innalzare una bandiera bianca sul muro alla seconda Rocca, e spedirò un soldato a prenderla a piedi del baluardo. Dal campo di Musso questo giorno 25 marzo 1532.

Lodovico Vestarino".

Gian Giacomo portò tosto lo sguardo sul foglio che stava in quello rinchiuso, e vedendo nella soprascritta il carattere del proprio fratello Giovan Angelo, l'aprì frettolosamente e vi lesse:

"Amato fratello! Battista, che qui fu condotto ferito e prigioniero nel mese di gennaio, e fu tenuto per volontà del Duca in questo Castello di Porta Giovia, narrommi il triste evento della presa di Monguzzo, e presentommi il quadro esatto di tutte le forze che ti rimanevano sia di uomini, sia di navi e munizioni per far fronte alla guerra inaspettatamente scoppiata. All'udire l'esiguo numero al quale erano ridotte le tue truppe, io esclamai con dolore che vano sarebbe stato per te un più lungo resistere ai nemici per la smisurata loro preponderanza, da cui ogni altro meno eccellente oppositore sarebbe stato da gran tempo vinto e distrutto. Ma Battista mi disse che tu attendevi grosse bande Alemanne che dovevano essere a te condotte da nostro cognato il Conte d'Altemps, col sussidio delle quali tu avevi certezza di respingere il nemico e costringerlo a rispettarti per l'avvenire. Io faceva voti per la tua prosperità e invocai per te giorni di potenza e di pace, allorchè appunto il Cielo mostrò chiaramente di non esaudirmi, poichè giunsero le novelle delle grandi vittorie riportate su di te dal Vestarino e dall'Acursio a Mandello ed a Lecco, che colmarono di gioia questa Corte di Milano, e noi riempirono d'afflizione ed amarezza. A fare più irreparabile il caso noi seppimo cinque giorni sono da certi Tirolesi qui arrivati, che le bande assoldate per te dal conte Volfango, giunte che furono a Trento, quel Vescovo, per comando dell'Imperatore, si oppose al loro passaggio20; onde furono costrette a retrocedere, per la qual cosa ci è fatto evidente esserti omai tolta ogni possibilità di riparare agli assalti delle armi Ducali e della Lega.

"Tu sai che io, quantunque caldo amico e fautore della pace fra gli uomini, per l'indole mia propria che abborre dal sangue, e per la venerazione alle sacre e pietose leggi evangeliche di cui sono per mio stato propagatore, non ho mai insinuato a te di desistere dalla guerra sinchè mi parve che essere ti potesse una sicura guida a quella nobile indipendenza ed ingrandimento di stato che le belligere tue virtù sembravano accertarti. Ma ora che chiaramente veggo la Fortuna, dea nemica agli esimii ingegni, avere da te rivolta la volubile sua ruota, il fraterno amore mi move a consigliarti di deporre le armi, mentre fare lo puoi con onorate condizioni, evitando la più funesta sorte che altrimenti operando incontreresti tu non solo, ma i dipendenti tuoi ed i tuoi famigliari. Ho detto che ora fare lo puoi con onorate condizioni, perchè conosco l'animo umano e generoso del magnifico signor Duca, scrivendoti la presente con sua saputa, anzi aggiungerò con suo espresso consentimento e promessa di farla pervenire al tuo assediato Castello, rimettendomi la risposta che non dubito sarai per ispedirmi. E per tutto narrarti, dei sapere che il signor Duca mandò per me, e recatomi io innanzi a lui, mi spiegò lo stato delle cose a tuo riguardo, e soggiunse con molta bontà, che in questa guerra non ha avuto altro di mira che reintegrare il suo dominio, e riprendere quanto ha sempre appartenuto alla Ducale corona, ch'egli è lungi dal bramare di spingere le cose sino al totale tuo sterminio, come vorrebbero gli Svizzeri e gli Spagnuoli, ma che se sapesse da me che tu acconsenti a cedere tostamente il Castello di Musso ed abbandonare il lago, egli solverebbe te e tutti i tuoi da ogni colpa verso di lui, comprerebbe le tue artiglierie, a ti assegnerebbe una rendita vitalizia investendoti del Marchesato di qualche feudo ducale. Resi vive grazie al duca Francesco per tanta sua benignità e indulgenza verso di te, e l'accertai che avrei fatto tutto quanto fosse da me per ottenere l'immediata tua adesione a simiglianti patti, e l'incominciamento delle trattative. Implorai poscia mi concedesse di vedere Battista, il che ottenuto, ripetei ad esso lui le parole del Duca, ed egli medesimo s'unisce a me consigliandoti a volere piegarti di buon grado all'avverso destino, metterti in accordo col Duca, approfittando della sua liberale disposizione, e cedendo volonteroso ciò che cedere dovresti tra poco di forza. Ti muovano, oltre le mie preghiere, il considerare eziandio che prolungheresti e faresti più dura la cattività d'un fratello, che porresti a repentaglio la libertà dell'altro, che trarresti nella tua ruina la sorella, le cugine ed Agosto che sono teco rinchiusi nel tuo Castello, oltre i tanti valorosi che ti furono fedeli per sì lungo spazio di tempo: ti commova lo sventurato fine del nostro Gabriele, caduto vittima del guerreggiare nell'età più verde, e che lasciò in lagrime anche i più lontani congiunti.

"Attendendo ansiosamente una risposta per parteciparla al signor Duca, invoco dall'Altissimo che t'ispiri pel tuo e pel nostro maggior bene, e ti do un amoroso fraterno abbraccio.

"Milano 23 marzo 1532.

Giovan Angelo".

Umiliazione, orgoglio, ira e pietà assalirono a vicenda l'animo di Gian Giacomo alla lettura di questa lettera, ciò però che in essa ferì più vivamente il suo cuore fu la novella relativa alle truppe del Conte d'Altemps. Sebbene avesse da più giorni mostrato di disperare dei soccorsi del Cognato, pure quando lesse la positiva notizia della loro dispersione, tanto più indubitabile, in quanto che coincideva perfettamente co' suoi antecedenti sospetti, gli parve che in quel momento si decidesse contro di lui l'esito della guerra, e sentì allora soltanto che gli sfuggiva di mano il sovrano potere. S'assise, meditò: fece chiamare il Pellicione, gli diede a leggere il foglio, e conchiusero insieme che conveniva piegarsi al potere della contraria fortuna, ed accettare le condizioni che sarebbe per proporre il Duca. Il Castellano rescrisse una tale determinazione al fratello, mostrando di rassegnarsi al destino, ma con tale dignità e fermezza che confinava coll'alterigia d'un vincitore: la lettera fu mandata al Campo del Vestarino, mediante il segnale della bandiera, e dal Vestarino spedita immediatamente a Milano. Pellicione per ordine del Castellano medesimo fece noto la causa di quella corrispondenza a tutti gli altri Capitani ed agli uomini d'armi, dimostrando loro gli svantaggi e l'impossibilità d'una resistenza, e quanto fosse conveniente il trattare della resa, quando si potevano ottenere per tutti larghe ed onorevoli condizioni.

Quattro giorni dopo la spedizione della risposta a Milano giunsero al Campo di Musso Agostino Ferrerio vescovo di Vercelli e messere Galeazzo Messaglia, quali ambasciatori del Duca. Prima di conferire col Medici essi chiamarono ad adunanza i Condottieri principali della Lega Grisa ed esposero loro che era intenzione del duca Francesco Sforza di porre un termine a quella guerra per mezzo d'amichevoli trattative, a cui il nemico comune erasi mostrato disposto ad aderire. Fecero vivo contrasto a simile determinazione i Capi Grigioni, accaniti avversarii del Medici, che vedere lo volevano sterminato, e non vi si piegarono che quando fu fermo il patto che il Castello di Musso, uscitone appena il Castellano, verrebbe demolito da capo a fondo, nè più sarebbe ricostruito onde mai vi stanziasse persona che riuscire potesse molesto vicino a quegli abitatori delle Retiche montagne. Ciò convenuto, venne mandato avviso a Gian Giacomo della venuta degli ambasciatori Ducali. Medici fece tostamente aprire una delle porte della Fortezza, e mandò un suo Capitano con due sergenti d'armi al Campo del Vestarino per concertare il modo ed il luogo in cui dovesse avvenire la conferenza, offrendo di accogliere i due Ambasciatori nel Castello, dando inviolabile parola di rispettarli ed onorarli come al loro sacro carattere si conveniva.

Il Vescovo di Vercelli, già intimo amico della casa Medici, e il Messaglia, altra volta dal Castellano cortesemente ricevuto, non dubitarono d'accettare l'offerta, ed il giorno seguente entrarono col loro seguito nel Castello, e furono condotti nella sala d'armi della Rocca Visconti addobbata con gran pompa, ove stava il Castellano in ricco e completo guerresco abbigliamento circondato da tutti i suoi Capitani. Sedutisi tutti quivi, ed i due Ambasciatori in posto eminente, il Vescovo di Vercelli fece una fina allocuzione a Gian Giacomo sulla convenienza e la giustizia della pace, sulla bontà del Duca, sopra i suoi diritti, e presentò in un foglio in pergamena improntato del ducale suggello i seguenti Capitoli che dovevano tra le parti fermarla:

"Che il Castellano lasciasse Musso e Lecco e tutte le altre Terre che possedeva nello Stato di Milano, con tutte le munizioni da guerra e tutte le vettovaglie;

"Che le artiglierie già tolte a' Veneziani si restituissero loro;

"Che il Duca si obbligava far pagare diecimila scudi del sole in Vercelli in mano di chi piacesse al Medici, e nella detta città dar cauzione per altri venticinquemila scudi da essere pagati in termine di otto mesi in due volte;

"Che l'investiva di Marignano eretto in Marchesato in ampia forma con entrata perpetua di scudi mila, e che se mancava l'entrata di Marignano si obbligava a supplire con altre entrate sopra i dazii di Milano;

"Che il Duca liberava Gian Giacomo Medici, fratelli, soldati e suoi dipendenti da qualsivoglia sorte di eccesso o delitto commesso anche contro la Maestà del Principe;

"Che concedeva a' detti fratelli Medici di potere riscuotere i crediti che avevano nello Stato di Milano, così entrate di beni stabili come entrate pubbliche, e avrebbe fatto che gli ufficiali Ducali non mancassero di render loro buona e sommaria giustizia;

"Che il Duca lascierebbe godere tutti i beni che legittimamente appartenevano a detti Fratelli nei suoi Stati, ovvero in termine di due mesi gliene pagherebbe il valore all'arbitrio del Vescovo di Vercelli, e d'altra persona da nominarsi da essi medesimi;

"Che il modo e il tempo di consegnare il Castello verrebbero amichevolmente stabiliti fra gli ambasciadori Ducali e Gian Giacomo subito dopo la ratifica del trattato".

Letti questi Capitoli da Galeazzo Messaglia ad alta e posata voce, parvero a tutti sì onorevoli e generosi, avuto riguardo allo stato a cui erano ridotte le cose, che nessun d'essi dubitò fosse il Castellano per aderirvi con lieto e volonteroso animo, ed a lui stesso infatti quella larghezza di retribuzione riuscì maggiore assai dell'aspettativa, ma allorquando il Ferrerio ed il Messaglia alzatisi s'accostarono alla tavola ov'era la scrivania e spiegati su quella due esemplari del trattato di pace, invitarono il Medici a sottoscriverli, egli levossi, fece un passo innanzi e con generale sorpresa s'arrestò. I due Ambasciatori e tutti i circostanti rimasero stupiti portando attoniti gli sguardi su di lui: una contrazione di fibre, un pallore improvviso apparvero sul suo volto indicando lo strazio d'un tormentoso pensiero: era l'ultimo saluto ch'egli dava alla bella speranza di regnare. Si scosse, s'avanzò, impugnò la penna e scrisse il nome; un susurro di letizia universale applaudì a quell'atto che molti sospiravano.

20.Vita di Gian Giac.º Medici.
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Litres'teki yayın tarihi:
25 haziran 2017
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