Sadece LitRes`te okuyun

Kitap dosya olarak indirilemez ancak uygulamamız üzerinden veya online olarak web sitemizden okunabilir.

Kitabı oku: «Osservazioni sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire», sayfa 3

Yazı tipi:

Possano realizzarsi così le nostre speranze, come fu di gran lunga superata sin qui la nostra aspettativa. Poche parole aggiungeremo ancora sulla situazione d'Italia in quanto concerne la sua politica esterna, ossia le sue relazioni colle potenze estere.

Nata o, per meglio dire, rinata, per opera della Francia, col concorso di questa grande e generosa nazione, le altre potenze potevano considerarla come di lei satellite, e trattarla conseguentemente. con poco rispetto e poca benevolenza. Così non accade; e di ciò dobbiamo rendere infinite grazie al nostro governo, e specialmente agli uomini di stato che diressero la nostra rappresentanza diplomatica, e che seppero fare all'Italia un posto nuovo negli annali della storia di Europa, un posto onorevole e degno. Le amicizie politiche sono per lo più di fragile tessitura, mentre le nimicizie, che ad esse corrispondono, hanno profonde e saldissime radici. – Era dunque assai da temere che dopo il 59, o nel corso degli anni che gli succedettero, si allentassero, anzi si rompessero i legami della nostra alleanza colla Francia, e che la vendetta austriaca, trovandoci spogliati della protezione francese, ne perseguitasse sin che ne avesse ridotto nel pristino stato di suoi schiavi. – Se così fosse accaduto, potevamo lottare, e lottare con gloria, ma presto o tardi avremmo dovuto soccombere.

Accadde appunto tutto all'opposto. – Sebbene noi non tenessimo conto alcuno degli impegni assunti in nome nostro dall'Imperatore Napoleone nella pace di Villafranca, la protezione di lui non ne venne mai meno, e per conseguenza la nostra alleanza colla Francia non subì alterazione di sorta. – E tale persistenza non ebbe per effetto di indisporre contro di noi le altre potenze poco benevole verso la Francia o di essa gelose. – L'Inghilterra si manteneva nostra amica nei limiti da essa tracciati sino dal 48, vale a dire in tutto ciò che non implicava il di lei concorso a mano armata. – La Russia, che si astenne dal partecipare ad impresa alcuna che avesse per oggetto il danno nostro, non indugiò lungamente a riconoscere la nostra esistenza come nazione indipendente di diritto e di fatto; la Prussia, versando in gravi emergenze, cercava la nostra alleanza; e quell'Austria stessa che, un anno fa, sosteneva colle armi i pretesi o sognati suoi diritti sopra di noi, oggi costretta a rinunziarvi, li confessa non fondati in ragione, ma protesta di volere in avvenire farsi un'amica di quella Italia che pretendeva testè ridurre in ischiavitù. – Forse non si esprimono così apertamente nè l'Imperator d'Austria, nè i suoi ministri; ma se si leggono i vari periodici austriaci, si vedranno tali sentimenti e tali concetti espressi nei modi per noi più lusinghieri. – Insomma l'Europa intera ne porge oggi la mano. – Quell'Italia soggetta sempre ora dell'uno ora dell'altro, sempre discorde fra le varie sue parti, da tutti derisa e schernita per la sua frivolezza, per le sue vane iattanze, e per la sua impotenza a fare ciò che fecero da moltissimi secoli tutte le altre nazioni, quell'Italia dall'Europa perseguitata e tenuta come un semenzaio di rivoluzionarii assassini ciecamente avversi ad ogni idea di ordine e di autorità, superstiziosi ed empii allo stesso tempo, oggi non solo ha acquistato la libertà e l'indipendenza, cioè la vita, ma ha ottenuto la benevolenza di tutte le civili nazioni, che la accolgono nel loro consesso, e con lei si congratulano delle tante sue venture. Non è guari che l'Europa si credeva vicina ad una guerra che sarebbe stata generale, ed alla quale l'Italia avrebbe avuto verosimilmente a prender parte. – In tale occasione non traspirava in alcuna delle nazioni europee un sentimento di odio o di disprezzo verso l'Italia, e da qualsiasi parte si fosse rivolta coll'offerta della propria alleanza, essa non avrebbe certamente incontrata fredda accoglienza.

Dobbiamo rendere di ciò infinite grazie alla prudenza, alla lealtà e all'abilità del nostro governo, ed in particolar modo ai nostri ministri degli affari esteri; ma esaminando la cosa accuratamente in tutte le sue particolarità, essa ne sembra così portentosa, da doverla attribuire allo speciale intervento di una benefica Provvidenza che volle, in compenso dei tanti mali sofferti, dotarne di tutti quei beni che non abbiamo mostrato di disconoscere, e che non ci siamo resi incapaci di apprezzare e di serbare. Quanto alla parte che a noi stessi possiamo attribuire nell'acquisto di codeste generali simpatie, essa si riduce ad una sola virtù, colla quale abbiamo sorpreso l'Europa che ce ne supponeva intieramente privi. – Intendo parlare della moderazione. – L'Europa era stanca delle enfatiche esagerazioni di molti fra i nostri rifugiati politici; e credeva che gli Italiani tutti parlassero in quello stile, e dividessero quelle opinioni che non avevano per essa neppure il pregio della novità, mentre per molti anni le aveva lette ed udite dalla bocca o negli scritti dei rivoluzionarii francesi del 89, e poscia da quella di tutti i loro imitatori.

Quando le vittorie del 59 resero alle popolazioni italiane la facoltà di esprimere i loro pensieri, e di eseguire le loro volontà, l'Europa vide non senza stupore una nazione sorgere dalle sue stesse ceneri, confessare ed abiurare, aborrendoli, i proprii errori, ripudiare gli odi e le gelosie intestine, le esagerate od impraticabili utopie, e stringersi unanime e concorde sotto una monarchia costituzionale; e sotto tale monarchia rimanersene costante e soddisfatta per tutto quel tempo che è già caduto nel dominio della storia, cioè per tutto il tempo decorso dal 59 sino ad oggi. – L'Europa conobbe allora che gli emigrati italiani non erano tutta la nazione italiana; che l'Italia poteva godere di una saggia libertà, ed assumere l'importanza a cui il numero delle sue popolazioni, l'antica sua storia, ed il carattere de' suoi abitanti le danno diritto, senza che perciò un'orda di rossi sovvertitori si scatenasse sulle vicine contrade e togliesse loro la pace e la civiltà; conobbe che l'Italia riscattata ad un tempo dalla schiavitù, e dalle viete e funeste assurdità rivoluzionarie, doveva sorgere rapidamente al livello delle più colte ed incivilite nazioni; e ciascuna delle nazioni europee pensò di farsela amica, per poi trovarla tale quando il bisogno se ne facesse sentire.

Oggi l'Italia è senza nemici, e possiamo sperare che così rimanga per lungo tempo, imperocchè non v'ha occasione per essa di lottare o di competere colle altre potenze europee. – La nazione italiana non avendo esistito, come nazione, nel passato, non ha assunto impegni nè con sè stessa, nè con altre, che oggi le sieno d'inciampo al consolidamento della pace con l'Europa tutta. – La sola Inghilterra potrebbe vedere in un lontano avvenire l'Italia sua emula e sua rivale sul Mediterraneo; ma la potenza marittima dell'Inghilterra è talmente superiore a quella che noi potremmo acquistare, diciam pure, in un secolo, quand'anche nostra unica cura fosse appunto l'emularla nel mediterraneo, ch'essa può senza imprudenza aspettare almeno un mezzo secolo ad ingelosirsi di noi. – Quanto alle altre potenze europee, l'Italia non scenderà nell'arena per competere con esse. – Non contesterà alla Russia la signoria sopra l'Asia, nè alla Francia la signoria sopra l'Africa settentrionale, nè quella sul Belgio o sulle provincie situate sulla sponda sinistra del Reno, nè alla Prussia il progressivo assorbimento degli Stati germanici; nè all'Austria finalmente contesterà il compenso ch'essa tenterà di ottenere alle molte sue perdite, all'epoca dello smembramento dell'Impero d'Oriente, in alcuna delle provincie più occidentali di questo. E neppure al gran Signore si presenta minacciosa ed ansiosa di affrettare quello smembramento, dal quale nulla spera e nulla ambisce. Solo la Corte di Roma ne considera con timore, sospetto ed avversione; e n'ha ben d'onde, poichè essa e il Regno d'Italia non possono convivere pacificamente sul suolo italiano. Quindi la Spagna ciecamente divota, non dirò solo alla Chiesa di Roma, al suo pontefice ed alla religione cattolica, ma al potere temporale altresì, ne guarda anch'essa di mal occhio, e vorrebbe ricacciarne nel nulla. – Noi non affrettiamo con atti la caduta del potere temporale, ma lo prevediamo non molto distante, e non cospireremo certamente per prolungarne l'agonia.

Da ogni lato vediamo segni di futura pace per la patria nostra; nessun pericolo sembra minacciarla per parte dell'Europa. – Se non fabbrichiamo a noi stessi pericoli, nemici e catastrofi, abbiamo davanti a noi molti anni di tranquillità, nel corso dei quali possiamo procedere al nostro sviluppo e a quello delle nostre libertà.

CAPITOLO SECONDO
INFLUENZA DEL PASSATO

Pressochè tutti gli Stati, e tutte le nazioni europee camminarono sopra linee parallele, e durante un numero quasi identico di secoli, dalla barbarie cioè dei bassi tempi alla odierna civiltà. – Alcune camminarono con più celere passo di altre, aiutate o dalla propria loro indole, o da circostanze favorevoli, alcune rimasero e tuttora rimangono qualche poco addietro: ma tutte hanno la faccia volta verso la stessa meta; tutte incontrarono ostacoli pressochè identici e della medesima natura, li combatterono con armi simili, e ne trionfarono in modo più o meno completo, a prezzo di maggiori o minori sacrifizi. Quelle nazioni o quelli Stati, che ancora non raggiunsero il punto in cui trovasi il più gran numero delle nazioni e degli stati di Europa, sono però assicurate di raggiungerlo esse pure in breve, seguendo i passi delle prime, cioè delle più celeri. Le tappe sono per così dire segnate dalla storia, che ne addita come i popoli si aggrupparono componendo gli Stati, e tendendo per prima cosa ad ingrandirsi a dispendio dei vicini; i piccoli gruppi, essendo come stati assorbiti e trangugiati dai maggiori, scomparvero dalla scena, e come i capi delle nazioni deposero di quando in quando la spada per assestare i loro possessi ed afforzare la loro autorità. Tutti ebbero a combattere il medesimo avversario, il feudalismo. – Quei potenti baroni dell'età media, che avevano aiutato uno dei loro ad accumulare armati e ricchezze sufficienti per mantenersi al di sopra delle altre picciole nazioni, o per incorporarsele, diventarono ben presto rivali del capo da essi scelto e creato. – Allora cominciò la interna lotta delle monarchie contro i feudatarii, lotta lunghissima e tremenda, nella quale le monarchie trionfarono mediante l'abuso della forza unita alla perfidia e alla crudeltà, e di cui, se non tutte, buon numero almeno delle Case regnanti di Europa, porta la pena, nella diffidenza e nella secreta avversione che la loro autorità, e qualche volta il solo nome di Re desta nei popoli che loro obbediscono.

L'Italia sola ha tenuto altre vie; l'Italia sola ha una storia tutta propria. – Mentre le altre nazioni europee, formate di elementi barbarici e di pochi avanzi degli antichi popoli soggetti dell'Impero Romano, muovevano i primi passi verso la civiltà, l'Italia, già signora del mondo allora conosciuto, decadeva e deperiva. – Culla di quel popolo straordinario, che si era fatto una civiltà anzi tempo e prematura, ma grande e bella, l'Italia fu sempre una eccezione nella storia. – Essa non ha mai nè dimenticata nè intieramente abbandonata la romana civiltà; anzi ne serba tuttora quei brani che non contrastano al cristianesimo e alle moderne nozioni del diritto e della morale.

Le arti e le scienze, che le nazioni barbare versate dal Nord e dall'Oriente sulla intera Europa ignoravano assolutamente, furono sempre onorate e coltivate dagli Italiani. – I popoli della nostra penisola non caddero mai in quel profondo abisso d'ignoranza e di servitù necessario alla formazione di un potere assoluto ed iniquo nell'esercizio suo, ma che solo poteva farsi rispettare ed obbedire dalle orde germaniche, elemento predominante delle moderne nazioni. – Agli Italiani mancò la barbarie e le sue sfrenatezze, ma loro fecero difetto altresì la cieca obbedienza a capi avveduti ed ambiziosi, la brutale energia degli odi e della rapacità, la ignoranza dei propri diritti, tutte quelle passioni e quei vizi insomma che la Provvidenza volgeva ad uno scopo benefico, e di cui oggi vediamo e conosciamo i definitivi risultati.

Mentre le nazioni europee si sdegnavano e spogliavano di tutto ciò che non era virtù guerriera, e guerriere come erano divenute, tremavano sotto il giogo dei loro capi, più esperti, più accorti, più crudeli e snaturati delle nazioni stesse; gli Italiani, superbi della loro civiltà e della loro supremazia intellettuale e civile, guardavano ai barbari con disprezzo, e credevano annichilarli con beffe e motteggi.

Più tardi, quando impararono a temerli, impararono altresì a volgerli ai loro fini; e il sentimento nazionale, ai nostri dì sì possente, non essendo ancora svegliato, accadde che gli abitanti di una città italiana invocarono le armi dei nuovi popoli europei, per castigare un'altra delle città italiane, o per trarne vendetta, o per ridurla a non potersi sostenere da sè. – Quella civiltà così generalmente sparsa ed egualmente ripartita in tutta la nostra penisola, e in tutte le classi de' suoi abitanti, si oppose sino da quei primi tempi all'ingrandimento di una parte di esse a prezzo della indipendenza delle altre parti; ed appena un cittadino predominava nella città sua e minacciava le città rivali, queste si riunivano per debellare l'ambizioso; e se a ciò non bastavano da sole, chiamavano le nazioni guerriere dal di là delle Alpi, adescandole con promesse di ricca paga o speranze di bottino e di accresciuto potere. – Il feudalismo stesso, che ebbe sulle prime una così gran parte nella formazione della nuova società politica dell'Europa, non potè svilupparsi in Italia fra quelle numerosissime città, che assorbivano ogni prosperità ed ogni operosità popolare, e riducevano ad inferiori condizioni i comuni rurali, vera e natural sede del potere feudale.

Le campagne italiane ebbero sempre poca parte nella vita politica, e quei signori stessi che dominarono in alcune città, e che corrispondono fra noi ai feudatari del Nord, erano cittadini, vivevano nelle città, dovevano assicurarsi il favore de' loro concittadini; e se fallivano in ciò, erano quasi sempre rovesciati e distrutti, i loro beni confiscati, e le loro famiglie e i loro aderenti mandati in esilio.

Dalla dissoluzione dell'Impero d'Occidente sino ai giorni nostri l'Italia tenne sempre le stesse vie, e non ebbe mai pace. – I suoi popoli vissero costantemente stimolati ed accecati da passioni cupide o ambiziose, rivaleggiando fra di essi, e vendendo la propria indipendenza a chi distruggeva quella dei loro vicini. – L'Italia possedeva ricchezze, energia, operosità, intelligenza, genio per le arti e le scienze, monumenti, biblioteche, cognizioni, tesori insomma, quanto e forse più che il rimanente dell'Europa presa in massa a quei tempi. – Ciò di che difettava l'Italia, non era solo l'elemento di barbara vigorìa, ma lo spazio. – Gli Stati, che in essa si formavano, non potevano svilupparsi ed estendersi a seconda dei loro bisogni; perchè a poche miglia del centro loro incontravano altri Stati, altre popolazioni egualmente ambiziose, egualmente operose ed intelligenti, spinte dalle stesse passioni e dagli stessi interessi, che disponevano dei mezzi medesimi, contro le quali si accendevano d'ira. – Tali infausti e ripetuti o, per dir meglio, perenni scontri e contatti, erano la cosa più opposta alla formazione e allo sviluppo di quel naturale istinto di nazionalità, che sì di buon'ora animò e fra di esse strinse le popolazioni provenienti da un tronco comune, ricoverate sotto il medesimo capo; e sebbene non distruggessero quell'altro sentimento ch'è l'amor di patria, e che si compone di tanti diversi elementi, lo falsavano, e lo diminuivano, riducendolo a ciò che ora chiamasi patriotismo di campanile, o municipalismo.

Queste disgraziate tendenze furono da noi seguite sino al principio del presente secolo. – Il popolo italiano, dotato d'intelligenza così pronta e così estesa, attraversò l'età di mezzo e l'êra moderna, senza comprendere ciò che accadeva in ogni dove, e senza scoprire il motivo delle proprie sventure. – Maestro della intiera Europa in tutto ciò che si riferisce alle arti ed alle scienze, esso era rimasto ingolfato nella più profonda ignoranza di tutto ciò che compone la scienza politica. – Il carattere italiano aveva subíto poche modificazioni. – In esso si ritrovava tuttora, nei primi anni del secolo decimottavo, quella pigrizia effeminata ch'è propria delle classi privilegiate, e di quelle nazioni che si sono innalzate al dominio delle altre, non colla sola violenza, ma con l'aiuto di una superiore civiltà.

I mirabili fatti dei Romani e del Romano Impero non erano da noi dimenticati, e li opponevamo con alterigia ai fatti moderni delle altre nazioni. – L'orgoglio umano è sempre destro nell'accomodarsi agli istinti ed alle circostanze di chi lo nutre e ad esso si appoggia. – Avvezzi da tanti secoli ad affidare alle altre nazioni tutta quella parte dei nostri interessi che richiedeva energia guerriera e materiale operosità, avevamo serbato il vecchio abito di considerare i fasti militari e la forza materiale come cose troppo basse e grossolane per noi, ed andavamo illudendoci col supporre che gli armati, da noi chiamati a vincere i nostri nemici, fossero tuttora le squadre mercenarie dei condottieri che ne servivano mediante rimunerazione pecuniaria, e di cui disponevamo a nostro capriccio, e secondo ne dettava la nostra avvedutezza e il nostro superiore ingegno. Gli effetti di una troppo prolungata civiltà pesavano sopra di noi. La giovine vigoría delle nazioni germaniche non ci aveva rinnovata la tempra qualche poco sdruscita. – Verso il finire dello scorso secolo, la coltura italiana abbondava nelle classi superiori della società, ma la qualità di essa non ne eguagliava la quantità. Le arti e le lettere non brillavano nè per originalità, nè per profondità o gravità. Si credeva supplire a questi esausti pregi coll'imitazione degli stranieri, e con puerilità. – La fede religiosa aveva subíto molti assalti, e non li aveva sostenuti degnamente, almeno fra la gente colta. – Ma la superstizione popolare nulla aveva deposto della sua intrinseca fierezza, nè della proverbiale sua cecità. – Insomma gli effetti di tanti secoli, vissuti senza che gli Italiani si proponessero un oggetto degno dell'operosità e dei sacrifizi di una nazione, cominciavano ad essere sentiti dagli Italiani stessi, che si erano insensibilmente ridotti ad occupare una situazione inferiore fra le nazioni dell'Europa, e questa situazione andava sempre più declinando. – Il legame che stringeva assieme gli abitanti di uno Stato e li costituiva in nazioni non era mai stato stretto da noi. – I Veneziani vedevano nei Genovesi i loro più fieri nemici e i loro più intollerabili rivali. – I Lombardi temevano la rapacità dei Savoiardi e Piemontesi; ed il famoso detto dell'articiocco li spingeva a cercare ora nel Tedesco ed ora nel Francese un difensore contro il temuto conquistatore. – La piccola Toscana, lungamente spezzata in tanti Stati quante erano le sue città, non aveva cominciato a fondersi in uno Stato solo se non dopo l'installazione di un arciduca austriaco come suo sovrano. – Il papa aveva in ogni tempo dato agli Italiani il letale esempio di chiamare lo straniero a sostenere le sue pretensioni e a difenderlo dai signori romagnuoli. – Il regno di Napoli, invaso dai Normanni e dagli Angiovini, non aveva mai conosciuto indipendenze, e non sapeva ancora di far parte d'Italia. – La Sicilia, greca sulle prime poi saracena, aveva avuto una monarchia normanna separata dalla napoletana, ed adottava le memorie di quell'epoca come monumenti della propria indipendenza, ribellandosi costantemente contro la nuova Corte borbonica che imperava a Napoli. – Le abitudini e le virtù guerriere non erano mai state nè onorate nè seguite in Italia; e a poco a poco la molle influenza del nostro clima aggiungendosi alla effeminatezza che naturalmente risulta dal viver sempre negli agi, negli ozii, nel lusso, e lunge da ogni pericolo, la società italiana era diventata oggetto di sarcasmi e di motteggi per gli stranieri, e per quei pochi virili ingegni che di quando in quando sorgevano ancora fra noi. – Le gare letterarie e gli intrighi domestici, che sono i frutti della scostumatezza e della immoralità, simulavano tuttora in noi come un fantasma di energia, e davano alcune scintille di passione. Ma l'osservatore avveduto, che avesse percorso l'Italia nella seconda metà del secolo decimottavo, per conoscere il carattere de' suoi abitanti e prevederne le future sorti, ne avrebbe fatto i più sinistri pronostici. – La società italiana sembrava giunta all'ultimo stadio della decrepitezza; e si poteva crederla destinata a presto scomparire dalla scena delle moderne società, abbandonando il ferace suolo e i tesori dei monumenti e delle memorie storiche, accumulati da tanti secoli, alle nazioni conquistatrici e vigorose che la circondavano. – Il nome d'Italiano sarebbe diventato pei posteri ciò che sono per noi i nomi dei Celti, degli Etruschi, degli Armeni, e di tanti popoli un dì forti e civili, ma che non seppero rinnovarsi e rattemprarsi, accettando le nuove circostanze che richiedevano nuove doti e nuove facoltà.

A tal punto trovavasi l'Italia quando le prime idee di libertà civile e politica spuntarono in Europa. Gli abusi del potere assoluto, e gli eccessi delle aristocrazie, che persistevano a trattare i cittadini ed i villici come i feudatarii dell'età media avevano trattato i servi della gleba, vantando impudentemente gli stessi diritti e la stessa superiorità di natura, avevano, col lungo andare del tempo e il costante ripetere delle offese, acceso nel cuore delle classi oppresse un profondo ed indomabile sdegno. – I cittadini ed i popoli delle campagne non possedevano diritti confessati e riconosciuti nè dalla legge nè dall'aristocrazia. – La coltura di alcune arti ed industrie avevano sparso nei cittadini un certo grado di civiltà, che più non tollerava un trattamento adattato soltanto alle nature brutali ed incolte degli antichi servi. La riforma religiosa, già da qualche tempo vittoriosa in Germania, in Inghilterra e nella Svizzera, aveva combattuto e trionfato della ignoranza dei popolani, e sosteneva la santità dei loro diritti, promettendo ad essi una completa vittoria sui loro tiranni. – In Francia, la terra delle novità, la riforma religiosa non aveva goduto che di un momentaneo favore, e la mano pesante, spietata e mal destra di Luigi XIV aveva schiacciato i novatori, e condannate le loro dottrine. – Questo re, che fu chiamato grande perchè il suo regno durò lungamente, credeva di acquistare la divina indulgenza alla sua scostumatezza, vendicando il Signore delle pretese offese che gli facevano i riformisti, e costringendoli, coi supplizi e le torture, a fingere delle credenze che ad essi ripugnavano. – Ma quando la luce ha penetrato nelle menti umane, non v'ha nè forza nè violenza che valga a spegnerla. – La Francia sembrava tranquilla e sommessa; ma quella non fu che una breve tregua, e la resistenza, che si credeva soffocata per sempre, ricomparve a suo tempo e fu invincibile.

I governi della Germania non erano molto avversi alle nuove dottrine, per le quali speravano trovare nelle moltitudini un elemento di difesa contro i discendenti e gli eredi dei feudatarii e della loro autorità. – Giuseppe secondo e Leopoldo, furono certamente i più liberali fra gli uomini che sedettero sopra di un trono. – L'Italia ricevette regolarmente da essi le prime nozioni della civile libertà, e dei comuni diritti; e li ricevette come vanno ricevute le idee perchè producano i loro salutari e legittimi effetti, cioè senza il miscuglio di violenti e brutali passioni, senza lo sprone della vendetta, dell'ira e della crudeltà, che spingevano quasi in pari tempo i popoli della Francia ad adottare, o realizzare ed esagerare quelle nuove dottrine. – E credo sia stata nostra somma ventura che le idee, dette poi rivoluzionarie, ne giungessero per quella regolare e pacifica via; poichè non so se la sempre crescente dissolutezza dei costumi, lo scetticismo dei culti e la superstizione degli ignoranti, se la smunta e paralizzata energia, che andava vieppiù spegnendosi negli animi nostri, ne avrebbero concesso di conquistarle, come fecero i Francesi, e se, supposta pure tale nostra conquista, non saremmo divenuti preda di una breve frenesia di libertà, che ne avrebbe lasciato, dopo il febbrile suo eccitamento, più prostrati ed impotenti di prima.

Che che ne sia, la Provvidenza volle risparmiarci questo pericolo. Quando l'eco della rivoluzione francese, e delle dottrine che ne decisero lo scoppio, ebbe varcato le Alpi, esse non portarono a noi, sudditi di Giuseppe primo, di Leopoldo e di Carlo Borbone, gran che di nuovo nè d'ignoto. – La parità delle nature e dei diritti, i doveri dei sovrani verso i popoli, la santità e la inviolabilità della legge, quando accettata e non imposta, la libertà religiosa e l'assurda tirannide di chi pretende comandare alle coscienze, i nuovi e svariati sistemi di pubblica economia e di finanze, tutte queste dottrine e gli innumerevoli loro corollarii, che piombarono come irresistibili proiettili sulla società europea, schiacciando e scompigliando e riducendo al nulla le antiche massime, le viete leggi e le guaste credenze, eransi gradatamente introdotte in Italia, ed avevano passo passo educato le classi colte. Il popolo poco vi badava, e rimaneva all'incirca quale era stato per l'addietro; ma la maggior parte di esso abitando le città, e le popolazioni della campagna essendo sempre rimaste al di fuori dei moti politici, nessuno si opponeva, e nessuno abbracciava impetuosamente le dottrine del secolo decimottavo.

Le passioni rivoluzionarie, che mettevano tutto a soqquadro in Francia, trassero su quel paese l'ira dei sovrani d'Europa, che consentivano bensì ad illuminare lentamente le classi più elevate dei sudditi loro, dalle quali non temevano eccessi rovinosi pel loro potere, ma che temevano il contagio della ribellione per le classi inferiori sempre inclinate alla violenza. – Le potenze del nord, del mezzodì e dell'oriente di Europa si allearono contro il popolo regicida, che dava agli altri popoli così terribili e così seducenti esempi; ed allora incominciò la importazione delle dottrine rivoluzionarie in tutta l'Europa, mediante le armi francesi. – Stretti e minacciati da ogni banda i Francesi, che tutto stavano distruggendo della loro secolare società, furono repentemente chiamati alla difesa del loro suolo, minacciato di pronta invasione da forze infinitamente superiori alle loro, da nemici collegati con tutte le vittime della rivoluzione dell'89. A quella notizia, a quell'appello alle armi, raddoppiarono le crudeltà contro i cittadini sospetti di non applaudire alla rivoluzione, e giunse al colmo il regno del così detto terrorismo. – Ma al tempo stesso, ed in pochi giorni, corsero sotto le armi moltitudini di ogni età e di ogni classe, risolute d'impedire ad ogni costo che la patria loro diventasse ciò che era divenuta l'Italia, preda dello straniero ed appannaggio di principi stranieri. – Il popolo francese era a quell'epoca in tale eccitamento di spirito e di passione, da tentare ed eseguire prodigi. – Legioni di cittadini mal vestiti ed in parte scalzi, quasi senza paga, perchè le finanze della rivoluzione francese erano per così dire rovinate, marciavano piene di entusiasmo e di ardore verso il confine, ne cacciavano i nemici, sbaragliavano e distruggevano interi eserciti di Austriaci, di Prussiani, di Inglesi, di Spagnuoli, ecc. e li inseguivano furibondi nei loro Stati. I soldati della repubblica francese erano consci di due missioni: vincere le armate della coalizione, assicurando con ciò la indipendenza, che è quanto dire la esistenza della patria loro; e chiamare alla riscossa colla sola loro presenza, colle loro parole e coll'esempio loro i popoli tuttora servi ed acciecati, che riempivano e componevano le schiere nemiche. – Tale duplice missione i Francesi la compirono, se non intieramente, in gran parte almeno. – I combattimenti si succedettero per molti anni, e le armi francesi trionfarono da per tutto e costantemente. – E sembrò propriamente che la Provvidenza considerasse allora la Francia come suo strumento pe' suoi fini futuri, poichè in quel momento appunto vi suscitò un giovane dell'isola di Corsica, che fu posto al comando di un esercito e che diventò in breve un colosso di gloria e di potenza. – Napoleone Bonaparte tornava dall'Egitto, dove avea conquistato i primi allori, e ne tornava al rimbombo delle prime vittorie delle truppe rivoluzionarie sull'Europa coalizzata; si tratteneva pochi giorni a Parigi, e quei pochi giorni gli bastavano per distruggere gli ultimi avanzi di un governo odiato e sprezzato dagli onesti cittadini, e a stabilire in sua vece un'autorità regolare che servisse ai bisogni della guerra e lasciasse respirare il paese; indi si partiva acclamato freneticamente dai popoli, ed andava ad incominciare contro l'Europa la sua meravigliosa epopea.

Durante il primo Impero francese, l'Italia fu conquistata e tolta alle potenze che ne avevano fatto una provincia loro; ma nessuno pensò, nè l'Imperatore dei Francesi, nè l'Italia stessa, ch'essa potesse o volesse far altro che cangiar padrone un'altra volta, come già tante volte aveva fatto. – La parte più illuminata della nostra penisola oscillava da qualche tempo fra il dominio francese e l'austriaco, mentre il mezzodì seguiva tuttora le sorti della Spagna, cioè formava come l'appannaggio del principe ereditario della Casa borbonica seduto sul trono spagnuolo. – La rivoluzione francese non ebbe in Italia grandi effetti; e non vi produsse quella commozione che si vide in altre contrade. – Gli ingegni più svegliati, arditi, ed amanti di cose nuove ripetevano enfaticamente gli assiomi e le massime rivoluzionarie, ch'erano state messe in così terribile pratica dai Francesi; ma le accettavano come dottrine filosofiche o legali, e non con quella entusiastica e robusta fede con cui le avevano concepite, confessate ed insegnate i Francesi. – Gli ingegni elevati, colti e profondi avevano scoperte e formulate quelle stesse verità prima ancora che la Francia le proclamasse; ma le consideravano come superiori alla intelligenza dei popoli, e pericolose alla salute sociale. – Le idee rivoluzionarie insomma, che formavano in Francia la regola imprescrittibile del vivere di ognuno, degli atti quotidiani, e di ogni umano sentimento, erano pei liberali italiani idee giuste, vere, ma astratte. – Il Francese voleva praticarle tutte, sempre e ad ogni costo; gli Italiani le credevano impraticabili. Per gli Italiani (mi si perdoni il ripeterlo) la principale conseguenza della rivoluzione e dell'Impero francese era il cangiamento di dominio, la ritirata dell'Austria, e la occupazione francese; e questi fatti già si erano prodotti altre volte.