Kitabı oku: «La plebe, parte II», sayfa 4
CAPITOLO IV
Per prima cosa, Paolina, secondo quel che aveva detto, corse alla chiesa del Carmine, ed entrò diviata in sacristia. L'oscurità di quel luogo non era rotta che da un lucernino pendente da un braccio di ferro: un sacrestano sonnacchioso preparava sulla tavola della credenza i paramenti pel celebrante della messa, mentre un bambino, inginocchiato presso un largo braciere di ferro messo entro un recipiente di legno, ne smuoveva la semispenta carboncina e vi scaldava sopra le sue mani gonfie dai geloni.
Un alto silenzio regnava colà dentro, e si udiva soltanto il suono della campana che giusto allora dava i tocchi della prima messa.
Paolina si accostò un po' timorosa e titubante al sacrestano.
– Scusi, padre Celso: cominciò ella a dire, interrotta tosto da uno scoppio di quella sua tosse dolorosissima.
Il padre, a quel signor sacrestano che era un frate laico, poteva dirsi una piacenteria: ma Paolina voleva rendersi benevolo il fiero uomo, e sapeva che egli ci teneva maledettamente a quell'appellativo.
Padre Celso si volse con mossa solenne, e guardò con piglio altezzoso la povera donna che stavagli in aspetto supplichevole innanzi.
– Ah siete voi, Paolina. Ebbene, che cosa volete?
Quasi tutti gli uomini hanno un superbo concetto delle funzioni che sono incaricati d'esercitare, e nell'esercizio di esse quanto più sono basse, tanto più d'ordinario si mostrano orgogliosi. Andate a parlare ad un misero impiegatuzzo alla sua scrivania nel ministero; domandate ai coscritti che cosa sono i caporali che fan da capo di posto ad una guardia; entrate senza una particella nobiliare al vostro nome e senza l'aspetto d'un milionario nella anticamera d'un riccone ed affrontate l'impertinente sicumera dei lacchè in livrea; abbiate a che fare con uscieri, portinai, custodi e va dicendo, ed avrete i più notevoli esempi della sciocca superbia dell'uomo da nulla che si attribuisce appetto a voi una importanza che non ha; ma la impertinenza orgogliosa di tutti costoro che ho nominato è niente in paragone di quella d'un sacrestano. Hannovi le sue brave eccezioni, ci s'intende: ma il tipo dell'orgoglio impertinente e senza ragione bisogna andarlo a cercare sotto la cotta di solito bisunta d'uno spazzino di sacristia.
Il tono con cui un idalgo spagnuolo del seicento accoglieva un marrano era più cortese di quello che fosse il modo onde padre Celso parlava e sogguardava la povera Paolina.
– Vorrei parlare a padre Bonaventura: disse quest'essa tutto umile.
– Egli non è ancora disceso: rispose col medesimo accento di prima il villano vestito da frate. Discenderà a momenti, ma avrà altro da fare che dar retta a voi. Ha da dir la messa, e poi dopo andrà in confessionale.
Volse le spalle alla poveretta, e continuò la sua bisogna con quell'aria che potrebbe avere chi fosse in via di salvare il mondo.
Paolina si ricantucciò da una parte, e stette là, tutta abbrividendo, ad aspettare.
Poco stante, ecco entrare una vecchia che a primo vederla ciascuno avrebbe riconosciuta per una di quelle pitocche beghine che stanno tutto il giorno sulle porte delle chiese, negli anditi delle sacristie ad elemosinare biascicando pater ed ave e mormorazioni, spiando e divulgando gli affari della gente e facendo anche di peggio mestieri alla vista meravigliosa d'una moneta d'argento.
Costei diffatti, oltre la grinta bassamente ipocrita e furbescamente improntata di affettata divozione, che è propria di quella razza di donne, portava tra mano la vera insegna del suo mestiere, un mazzettino di piccoli candelotti di cera, avvolti dalla metà in giù in un pezzo di carta straccia di color bleu; al braccio aveva passato pel manico un veggio di terra cotta, e coll'altra mano si traeva dietro, mezzo riluttante, mezzo ancora addormentato, un ragazzo di circa dieci anni.
– Buon giorno, padre Celso: diss'ella, con accento della più profonda reverenza, al sacrestano. Lei sta bene? Ha dormito bene questa notte?
Il sacrestano si volse alla nuova venuta con un'aria d'affettuosa protezione che dinotava come costei fosse nelle grazie di quell'importante personaggio.
– Ah ah! siete voi, Gattona?
Ella era infatti quella donna, di cui Maurilio la sera innanzi aveva trovato per la via il nipotino piangente, e in casa della quale il principale dei protagonisti del nostro dramma si era fatto condurre dal piccino2.
– Me la non mi va male, peuh peuh!.. E voi?
– Eh! da povera vecchia… si sa bene; alla mia età, colle miserie che ci toccano a noi… Se non fosse di questi buoni Padri che mi soccorrono, sopratutto di quel sant'uomo di padre Bonaventura, per me la sarebbe bella e finita.
– Via, via: diceva col suo tono di protezione padre Celso. State di buon animo. Siete una brava donna, timorata di Dio, religiosa e dabbene. La Provvidenza e noi vi assisteremo come abbiam fatto fin adesso.
– Che Dio li benedica… Lei e tutti i buoni Padri di questo convento.
– Voi siete sempre fedele a questa prima messa, Gattona.
– Oh sì, e il giorno in cui non mi vedrà più venire potrà ben affermare che io sono moribonda o morta addirittura. Oggi intanto le ho menato qui Gognino in caso ne avesse bisogno per qualche cosa, e sopratutto per servir la messa, ch'egli da solo non è capace, ma per la parte di chi tramuta il libro, tanto e tanto incomincia a raccapezzarcisi.
– Sì, davvero? Oh bene, bene; è un principio. Se occorrerà, potrà servir da secondo qui a questo altro bardotto; ma credo che non ve ne sarà affatto bisogno, perchè oggi è il giorno in cui il signor Nariccia suole confessarsi; e in que' giorni ha per abitudine di servir egli la messa a padre Bonaventura.
– Come Dio vuole. Intanto ho appunto piacere di dire due parole a padre Bonaventura.
– Egli sarà qui a momenti… To', eccolo appunto.
Un uscio si aprì nell'impiallacciatura di legno scolpito e comparvero la persona grossa, la faccia rubiconda e la cotta nera di un frate gesuita.
In questa famosa, e per tanti titoli giustamente famosa compagnia, come tutti sanno, s'incontrano due tipi netti e distinti: l'uno è di frati ascetici, severi, entusiasti, fanatici; l'altro è di buontemponi, in apparenza tolleranti, allegri e sorridenti, che transigono su tante cose accessorie colle passioni dell'uomo e colle debolezze del mondo, purchè ottengano il principale – ed il principale per essi è la sottomissione alla Corte di Roma e la reverenza all'ordine loro. I primi si dirigono alle anime ardenti, agli spiriti eccessivi, a coloro che portano nella religione l'amor della lotta, quel po' di guerra civile che, come disse Massimo d'Azeglio, gl'Italiani hanno nel sangue; i secondi invece parlano alle anime tenere, ammorzano i rimorsi di peccatori convertiti che amano moltissimo il ricordo e qualche arrière-goût dei loro peccati, che nulla chiedono di meglio che far camminare di fronte con un sapiente equilibrio di pratiche religiose i loro piaceri, le soddisfazioni dei loro desiderii terreni, e la loro salute eterna.
Padre Bonaventura apparteneva alla schiera di questi ultimi. Una bella faccia di cuor contento, con labbra rosse sorridenti, guancie paffute e doppio mento. Aveva occhi chiari, limpidi e a fior di pelle che giravano vivacemente e sfuggivano molto bene lo sguardo altrui; la fronte piccola cogli ossi frontali molto sporgenti dinotava una tenace volontà, e sotto l'apparenza benignamente dolcereccia della fisionomia si vedeva un'acuta malizia che si faceva scambiare per buonumore.
Egli s'avanzò nella sacristia fregando le sue mani grassotte e bianche come quelle d'una signora.
– Hai già tutto preparato, Celso? Diss'egli al sacristano con accento di amichevole famigliarità.
– Sì, Padre; rispose Celso cambiando il tono superbo che aveva cogli altri in accento di umile soggezione verso il frate.
– Oh che bravo Celso! Soggiunse padre Bonaventura battendogli leggermente sulla spalla. Fa un freddo indemoniato stamattina, avrò le mani intirizzite a dir messa; fa di accendere intanto un po' meglio questo braciere perchè mi possa poi riscalducciare.
– Subito: disse il sacristano precipitandosi verso il braciere a smuoverlo, togliendo la paletta di mano al ragazzo.
– E mi metterai un po' di bragia nello scaldino e me lo porterai nel confessionale, che altrimenti i piedi mi geleranno o poco meno.
– Sì signore.
– A proposito. Messer Nariccia non è ancora venuto?
– Non l'ho visto… Ah! c'è qui la Gattona che vorrebbe parlare a Lei.
– Ah ah! la Gattona: esclamò il frate volgendosi verso la vecchia con uno di que' suoi piacevoli sorrisi.
La Gattona, tenendo sempre il piccino per mano si avanzò verso il frate e fece una profonda riverenza.
– Sì, Padre, diss'ella: se volesse usarmi la carità d'ascoltarmi…
Padre Bonaventura si assettò comodamente sopra una seggiola a bracciuoli che c'era presso al braciere, pose i piedi sull'orlo di legno di quest'esso, e guardandosi compiacentemente le unghie rosee e le mani bianche, disse alla vecchia:
– Parlate pure.
La vecchia fece guizzare uno sguardo di sfuggita verso il sacrestano e verso il ragazzo che stava ancora inginocchiato presso al braciere.
– Celso, disse il frate, comincia intanto per accendere le candele all'altare, poi verrai a vestirmi le paramenta.
Il sacrestano prese un cerino, lo accese alla lampada che pendeva e si avviò verso la chiesa.
– Vai anche tu ad aiutar Celso: soggiunse il gesuita, facendo una carezza alla guancia del ragazzo che gli era vicino, va, e ti darò poi una bella immagine di Gesù bambino coi fregi dorati.
Il ragazzo si levò sollecito e seguì il sacrestano.
– Or dunque: disse allora padre Bonaventura alla Gattona. Che cosa avete da dirmi?
– Sono venuta a demandarle un consiglio: cominciò la vecchia abbassando la voce e curvandosi verso il frate che, abbandonato sul seggiolone, coi gomiti appoggiati ai bracciuoli, si era disposto ad ascoltare.
– Che consiglio?
– Ieri sera un signore… oh no, non mi ha di troppo l'aria d'essere un signore… un uomo ch'io non conosco, ma che mi diede qui il suo nome scritto sopra una cartolina… Eccola; guardi un po' Lei se ha mai sentito a menzionare questo individuo.
E trasse fuor della tasca del grembiale, spiegazzata e sporca, la polizzina che Maurilio le avea data la sera innanzi.
Padre Bonaventura la prese, se la pose innanzi agli occhi il più distante che potè col braccio teso, perchè la sua vista era da presbite, e lesse quello che già sappiamo esservi scritto su: Maurilio Nulla, scrivano pubblico, via… porta num. 7, piano quarto.
– Ecco un nome originale: disse il gesuita: un nome che finora non mi avvenne mai di vedere nè di udire, quindi, eccetto che ne abbia anco un altro, l'individuo che lo porta mi è perfettamente sconosciuto. Ebbene, che cosa avete voi da spartire con questo tale?
– E' mi venne in casa inaspettato, e mi fece una proposta che io ho accettata, e che ora ho paura di aver fatto male ad accettare.
Il frate levò i suoi occhi grigi sul volto aggrinzito e ributtante della vecchia.
– Oh oh! esclamò egli. Che razza di proposta?
– Niente contro l'onestà e contro il timor di Dio: si affrettò a rispondere la lurida vecchia. Si tratta qui di questo biricchino – (ed accennava al ragazzo che teneva sempre per mano) – che anzi gli è stato lui che me l'ha menato in casa, chè lo ha trovato per le strade ch'era già tardi, perchè questo poco di buono s'indugia sempre a baloccarsi e peggio e non c'è verso di farlo rientrare al cader del giorno com'io vorrei…
– Bene, bene: interruppe padre Bonaventura con qualche impazienza, tamburellando colle dita grassotte sui bracciuoli del seggiolone. Udiamo questa proposta ch'e' vi fece.
– Io, già, sono una povera donna. Ella lo sa; vivo d'elemosina, e questo bardotto qui mi è di un peso… di un peso!..
– Si, sì, me lo avete già detto parecchie volte; ma egli pure vi guadagna qualche solduccio.
– Oh sante piaghe! Gli è così poco… E giusto, gli è a questo riguardo che quel cotale mi fece quella certa proposta.
– Sentiamola dunque, via, questa benedetta proposta.
– E' mi ha domandato s'io non gli avea fatto imparare a Gognino il leggere e scrivere, s'io non lo mandavo a scuola; ed udito che no, mi profferse di darmi egli dieci soldi al giorno, a patto che lo lasciassi andare in casa sua dov'egli avrebbe insegnatogli lettura, scrittura ed abbaco.
– Cospetto! Esclamò il gesuita meravigliato, spalancando tanto d'occhi. E questo per la bella cera di quel martuffino lì?
– Disse che voleva fare quest'opera buona.
– Uhm! E che figura ha egli codestui?
– Non ho potuto nemmanco vederlo bene. E' si teneva in testa un certo cappellaccio colla tesa sugli occhi. Una faccia strana, nè da giovane, nè da vecchio; una voce che ha una certa imponenza; i panni piuttosto da povero che da ricco.
Padre Bonaventura prese fra l'indice e il pollice della mano destra il suo mento grasso a doppia piega, nell'atto della riflessione.
– E voi dunque avete accettato il partito?
– Ho pensato che dieci soldi al giorno non si trovavano mica lì, sotto il primo sasso della strada. Me il bisogno mi perseguita. Mi parve una vera grazia mandatami dalla Madonna del Carmine. E poi ho pensato che Gognino avrebbe così imparato di meglio a servire la messa. Ora son io che debbo fargli entrare nella memoria le parole a forza di recitargliele, e le assicuro che la è una fatica… una fatica. Ho detto di sì… Ho forse fatto male?
– Che intenzioni può egli avere quell'individuo? Diceva il gesuita, come continuando a parole pronunziate le sue riflessioni. A questo mondo non si fa niente per niente. Voi Gattona, vecchia come siete, dovreste saperlo.
– Ho immaginato si volesse con siffatta carità far dei meriti per la vita eterna.
– Eh! che i meriti si acquistano con altri modi, più acconci, chi abbia fede veramente nella nostra santa religione. Scommetto che gli è uno dei moderni disseminatori di falsità e di eresie, uno dei campioni del progresso, come si usano chiamare, il quale vuole guadagnare all'errore un'anima di più.
– Ho dunque fatto male? Esclamò la Gattona con accento spaventato: oh creda, padre Bonaventura, che io subito dopo ho pensato di venirle a raccontar tutto e di pregarla a volermi guidare in proposito. E s'Ella adunque mi dice che ciò non si deve fare, io non manderò a quel cotale, Gognino, nemmanco se mi volesse caricar d'oro… Ci perderò dieci soldi al giorno belli e sicuri; ma che cosa m'importa? Io non guardo a codesto quando si tratta di schivare il male e di obbedire a Lei, padre Bonaventura… benchè io sia miserissima, e debba contare non che i soldi, ma i centesimi. Oh! ci è una Provvidenza lassù; ed io sono tanto divota della Madonna e del Sacro Cuore di Gesù e di Santa Filomena, che non sarò abbandonata, e son persuasa che vostra reverenza medesima, se potrà, troverà modo di compensarmene, facendomi partecipare un po' più alle elemosine di questa parrocchia…
Padre Bonaventura, il mento sempre appoggiato alla mano, guardava la vecchia con i suoi occhi fissi, nella cui espressione non avreste saputo se fossevi ironia o bonarietà.
– Ben sapete: disse a quel punto il frate colla sua voce più melliflua ed insinuante; ben sapete, Modestina, che siete fra le prime nella lista dei poverelli a cui amiamo distribuire i soccorsi delle carità che raccoltiamo.
La Gattona prese la mano sinistra del gesuita che era posata sul bracciuolo e la baciò con divozione; ma padre Bonaventura, a cui non parve molto piacevole quel contrassegno di reverenza, fu lesto ad allontanare la sua mano paffutella, dalle labbra vizze, triate e violacee della vecchia.
– Or dunque, riprese quest'ultima, io mi guarderò bene dal mandar Gognino colà…
– Aspettate: disse vivacemente il gesuita a cui pareva nata una nuova idea. Sarebbe forse meglio far così. Lasciateci pure andare il vostro ragazzo da quest'uomo, ma inculcategli bene di osservar tutto, di tenere a mente tutto ciò che vedrà, che sentirà, che avverrà in ogni modo, e di farvene una relazione esatta giorno per giorno.
– Che io poi mi affretterò di ripetere a Lei: soggiunse la vecchia.
Padre Bonaventura fece un cenno affermativo cogli occhi, che voleva dire: – Ci si intende; e continuò:
– Luca è ben capace di osservare ciò che gli incontra e di saperlo esporre di poi?
– Oh sì, sì, che per la sua età è il più sveglio e il più furbo che ci sia sotto le stelle.
– Benone. Così voi non perderete quel po' di vantaggio che vi fu promesso, e noi, sapendo giorno per giorno come si passan le cose, potremo giudicare delle vere intenzioni di quel cotale; ed appena ci accorgiamo che tenti avviare quest'anima alla strada del male, possiamo porci rimedio. Anzi sarà bene che di quando in quando mi conduciate qui il ragazzo perchè io possa interrogarlo in proposito.
– Sì, Padre.
– Lasciatemi qui questa cartolina coll'indirizzo di quell'uomo. Potrò giovarmene per raccogliere informazioni. Vedrei volontieri un simile originale, e credo sia individuo da tenersi d'occhio.
In quella il sacristano si accostava a padre Bonaventura.
– Le candele sono accese, la messa è suonata, e se la si vuol vestire…
– Gli è tempo eh? Bene, bene, eccomi qua.
Si alzò da sedere, e s'avviò verso il luogo in cui erano spiegate le paramenta pronte ad indossarsi.
– Vieni, Gognino: disse la vecchia incamminandosi, andiamo a sentir la messa del buon padre Bonaventura, e diremo la coronella secondo le sue sante intenzioni.
Paolina era sempre rimasta là nel suo cantuccio, tutto freddolosa, aspettando con ansia insieme e con timidità che il momento venisse di presentarsi ancor essa al gesuita. Ora che la Gattona erasi partita da lui avrebb'ella voluto avanzarsi; ma vedendo il frate accingersi a vestire i sacri arredi aiutato dal sacristano, e borbottando quelle preghiere che si suole in tal caso, non ardiva altrimenti accostarsi.
Uno scoppio violento di quella tosse malvagia che la tormentava rivelò la sua presenza al gesuita, che fino allora non l'aveva vista, od aveva fatto mostra di non vederla. Guardò egli da quella parte, e la povera Paolina fu lesta a fargli una profonda riverenza per saluto.
– Se non m'inganno, disse padre Bonaventura al sacristano, quella donna lì è Paolina la moglie del fabbro Andrea.
– Sì, Padre, la è dessa. Anzi è venuta cercando di Lei.
– Ah ah!
Paolina credette opportuno il momento di farsi innanzi.
– Se mi volesse far la grazia di ascoltare due parole.
Il sacristano la interruppe con burbero accento.
– Eh! vedete bene che ora si veste, e non ha tempo da badare a voi.
– Deo gratias! Disse in quel punto alle spalle dei nostri personaggi una voce nasale da frate zoccolante.
Era messer Nariccia che arrivava sollecito e con un occhio guardava indignato Paolina, mentre coll'altro fissava la faccia fresca del gesuita.
– Siete qui, messere: disse Bonaventura sorridendo al nuovo venuto. Temevo già che foste per mancare a servirmi la messa.
– Oh mai, mai! Figuratevi se voglio perdere tal favore. Sapete che questo è anche il mio giorno di confessione.
La presenza del suo padron di casa aveva prima fatto tremar Paolina, poi datole risoluzione. S'ella lasciava sfuggire quell'occasione in cui Nariccia avendo da accostarsi al sacramento della confessione avrebbe più facilmente ceduto alle esortazioni del gesuita, quando questi si decidesse di fargliene in favore della povera famiglia, mai più non si sarebbe presentato un caso tanto favorevole.
La misera donna ardì adunque fare ancora un passo verso il gesuita, e disse con infinita supplicazione nell'accento, stringendo insieme le mani:
– Oh per carità, padre Bonaventura, mi ascolti un momento.
– Subito?
– Sì, Padre; sono due sole parole.
– Ma due sole in verità?
– In fede mia.
– Bene. Se gli è così, dite pure, e sollecita.
Il sacristano e messer Nariccia si scostarono di pochi passi; ma se Paolina avesse visto lo sguardo che quest'ultimo saettò su di lei nell'allontanarsi, avrebbe conservato pochissima speranza di poter ottenere qualche cosa da lui.
Paolina colle meno parole che potè espose al gesuita le tristissime condizioni in cui si trovava la famiglia, la minaccia fatta di Nariccia di cacciarli nella strada, lo supplicò per tutti i Santi del Paradiso volesse interporre la sua autorevole parola affine di ottenere dal padrone di casa più benigni propositi.
Padre Bonaventura ascoltò sino alla fine col capo chino, gli occhi bassi, la faccia oscurata, ed in un silenzio che prometteva poco di bene. Quando la donna si tacque, e sorreggendosi all'orlo della vicina credenza, chè le forze le mancavano, stava aspettando la risposta con ansia ed affanno, il gesuita levò lentamente la testa e senza guardarla in volto, anzi facendo scorrere i suoi occhi per tutto altrove che verso la persona di lei, disse a sua volta con accento di affettato dolciume:
– Benedetto Iddio! Povera donna che siete, io vi compiango dal profondo dell'anima, proprio come una mia sventurata sorella che siete in Gesù Cristo, il cui santo nome sia lodato! Sì le vostre condizioni sono dolorose, anzi dolorosissime, e non so chi non ne resterebbe commosso… Io non vorrei accrescervi il peso di esse col menomo cenno di rampogna; ma pure, mia cara, il mio stesso ministerio mi obbliga a dirvi che queste percosse della sorte c'è forse stato qualche cosa in voi che ve le ha attirate dalla mano giusta e punitrice di Dio. Il vostro uomo primamente, tiene egli la condotta di un vero cristiano? Chi l'ha più visto accostarsi ai santi sacramenti? Chi l'ha più visto soltanto in chiesa da mesi e mesi a questa parte? E voi stessa, voi Paolina, che pure un dì avevate il santo timor di Dio e il rispetto alla religione…
– Oh! li ho tuttavia: interruppe con vivacità la povera donna che ascoltava quelle rimostranze a capo chino nell'atteggio d'una colpevole pentita.
– Li avete, li avete: riprese il frate; ma non lo date a divedere, affè, ed agite come se non sapeste affatto che cosa sono. Alle funzioni religiose non vi si vede…
– Non manco mai tutte le feste di precetto alla messa…
– Non basta. Bel merito udir la messa, – una messa alla sfuggiasca – una volta per settimana! Ma alla predica ed alla benedizione ed ai vespri non vi si vede; ma alla Via crucis non vi si vede; ma alle quarant'ore non vi si vede; ma – che è peggio – al confessionale non vi si vede.
– Ho tanto da fare! Balbettò sommessamente Paolina. Quattro bambini a cui accudire. Mio marito non è mai a casa. Come lasciarli soli?..
– Eh! chi ha la volontà d'una cosa trova tempo, mezzo ed occasione par farla: e Dio aiuta chi lo adora come vuole la nostra Santa Madre Chiesa. Voi vi astenete dalle pratiche della divozione per accudire, voi dite, alla famiglia. Oh guardate come le vi van bene le cose di questa! Credete voi che se foste proprio que' divoti cattolici che si deve sareste ancora in siffatti imbrogli? Oh che il buon Gesù e la Madonna troverebbero modo ben essi di aiutarvi.
Nariccia si accostò al frate col suo collo torto e colle mani giunte.
– Perdonate, padre Bonaventura, ma vi faccio osservare che l'ora passa.
– È vero: disse il gesuita disponendosi a prendere tra mani il calice, mentre l'usuraio s'impadroniva del messale.
– Dunque, supplicò Paolina con ansia, mi vuol Ella fare la carità che imploro? Non per me, nè per mio marito, ma pei miei figli!.. Sono innocenti loro.
– Bene: rispose a voce sommessa il frate. Rimanete. Dopo messa udrò in confessione messer Nariccia, ed allora glie ne dirò.
Alla povera donna parve con ciò di aver già ottenuto un sommo favore, ed aprendo il suo cuore angosciato ad un po' di speranza recossi nella chiesa ad ascoltar la messa detta da padre Bonaventura. Dopo la messa il frate, spogliatosi dei paramenti, fatte le solite preghiere, confabulato con parecchie donnaccole venute a parlargli, entrò nel confessionale, alla cui graticola stava già in ginocchio Nariccia ad aspettarlo. La confessione fu lunga come un colloquio d'affari. Paolina, prosternata sul freddo pavimento, in quella fredda atmosfera che le agghiacciava le ossa, guardava con occhio intento quel confessionale dove si trattava della sorte dei suoi e pregava con infinito ardore.
Finalmente la confessione di Nariccia fu finita; ed egli levandosi di là andò ad inginocchiarsi alla balaustra d'una cappella vicina, vi stette cinque minuti colla faccia nascosta nelle mani, poi si alzò e facendosi dei gran crocioni sul petto, senza guardare nè a destra nè a sinistra, coi suoi occhi birci fissi alla terra si partì di chiesa.
Paolina lo aveva seguitato col medesimo sguardo ansioso e scrutatore. Avrebbe voluto discernere dall'espressione della fisionomia di lui, dagli atti il tenore della sua risposta alla preghiera fattagli per mezzo del confessore; ma chi era capace di leggere alcuna cosa sulla faccia da impostore di quel tristo? Si voleva confortare dicendosi essere impossibile che una preghiera fatta in confessione dal confessore non fosse esaudita; ma poi tosto ricordava la durezza di cuore del padrone di casa, ricordava le ingiurie che a costui aveva dette la sera innanzi Andrea ubbriaco, e cadeva d'ogni speranza. Ad ogni modo il tempo dell'attesa era lungo e doloroso troppo all'impazienza di quella povera anima. Pensava che i figli suoi erano là ad aspettare un tozzo di pane, ad aspettare la salvezza da una parola che quei due uomini raccolti in quel confessionale pronunziassero. Il disagio fisico accresceva l'angoscia morale della infelice. A quel freddo il dolore del petto le si era accresciuto, fattasi più tormentosa la tosse. Ella sentiva delle strette, delle oppressioni alla gola, ai polmoni, al cuore, per cui le pareva tratto tratto averle da mancare compiutamente il fiato ed essa dover cascar lì come morta. E il tempo passava; e dopo Nariccia alle grate del confessionale di padre Bonaventura succedevano l'uno all'altro i penitenti, la maggior parte vecchie donne che non la finivano più.
Ma anche codesto ebbe fine. Padre Bonaventura uscì soffiando dal confessionale coll'aria la più annoiata del mondo. Paolina gli corse dietro e lo raggiunse in sacristia.
– Ebbene? Interrogò ella ansiosamente.
– Ebbene ho parlato del vostro affare con messer Nariccia.
Fece una pausa. La donna pendeva dai labbri di lui, tutta l'anima concentrata nello sguardo con cui pareva volergli leggere nel cervello la risposta che stava per dare.
– E che cosa disse? Susurrò Paolina per sollecitare questa risposta.
– Che non gli è possibile far nulla in vostro favore.
Paolina lasciò cadere il capo sul petto e mandò un sospiro che pareva un singhiozzo.
– Voi avete molti torti verso di lui. Continuava a dire il frate con accento affettato di paterna rimostranza. Egli fu molto lunganime a vostro riguardo…
Ma la donna, che non aveva più nulla da aspettarsi, giudicò inutile perdere ancora altro tempo ad ascoltare nuovi ammonimenti del gesuita.
– La ringrazio di cuore la stessa cosa: diss'ella con voce che sapeva di pianto. Se la pietà non ha toccato il cuore di messer Nariccia, ho pregato tanto tanto Iddio che spero mi vorrà accordare la grazia di trovare altri più generosi; e se no, Dio è lassù che ci vede, e quando il padrone di casa ci avrà cacciati a morir sulla strada, giudicherà Egli.
E senza più aggiungere altra parola si partì di là barcollante sulle sue deboli gambe con un affanno in cuore, come Dio vel dica.
Si recò diviata al palazzo Baldissero. La disperazione le diede coraggio di affrontare l'impertinenza dei domestici levatisi allor allora, che si stiravano nell'anticamera. Quando questi la udirono dire che voleva parlare a madamigella Virginia, la credettero matta. Ella insistette, e i lacchè la cacciarono via con brutte parole, e poco meno che a spintoni come una pezzente fastidiosa, giurando per tutti i diavoli che nemmanco a cagione d'una duchessa avrebbero fatto svegliare madamigella, la quale, stata al ballo la notte scorsa, avrebbe dormito almeno almeno fino alle dieci.
Paolina ottenne ciò soltanto, che, quando madamigella fosse alzata, le si dicesse della sua venuta, le si dicesse ch'ella – la misera donna – aveva bisogno di parlarle o sarebbe stata precipitata.
La infelice si trovò sotto il portone del palazzo, affranta, senza omai più un filo di speranza.
– E come portar pane intanto ai miei figli? Si domandava essa stringendosi colle mani tremanti il capo che le ardeva.
Si ricordò in quel punto della famiglia Benda.
– Ah! Esclamò con un lampo di gioia negli occhi. Quelli là li troverò alzati… E la signora Teresa non mi respingerà.
Questo pensiero ridonò alcune forze a quel corpo affralito, e Paolina riprese la sua corsa verso la lontana officina del sig. Benda, dove l'abbiamo vista arrivare.