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Kitabı oku: «La plebe, parte IV», sayfa 5

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Eugenia non amava nessuno, ma l'ideale dell'uomo a cui avrebbe voluto dare il suo bel cuore ed il suo animo eletto era ben diverso da quello che suo padre le presentava in isposo. La grossolanità fisica, morale ed intellettiva di quell'omaccione facevano il più spiccato contrapposto colla delicatezza di lei: tutto in essa si ribellava a codesta che in fatti era una mostruosa unione, e più che un presentimento la certezza d'un'infelicissima sorte le si affacciava alla mente. Volle contrastare, ma essa era debole, mite, timida; ed ai primi peritosissimi detti che ardì pronunziare di opposizione e diniego, il padre la rimbeccò con tale violenza ch'ella non ebbe altro scampo che curvare il capo e tacersi.

Sposò adunque Michele, ma senza farsi la menoma illusione sul conto di lui, sulla possibilità di trarlo a miglior condotta, sul destino che l'aspettava: andò realmente come vittima rassegnata all'altare, e le sue previsioni e le sue paure avevano pur troppo ad essere tutte effettuate!

La condotta di Michele non si mutò pel matrimonio e non accennò neppure volersi mutare; ma tuttavia da principio l'amore che aveva per Eugenia, se con questo nobil nome può pure chiamarsi il sentimento affatto materiale di desiderio che gli ispirava la bellezza di quella giovane, la mite dolcezza di lei e quell'influsso inesplicabile che in certa misura esercita anche sull'animo più rozzo la grazia d'una donna gentile, poterono ottenere che almanco verso la moglie quello sciagurato usasse alcun riguardo e mostrasse qualche rispetto: così che quando tornava a casa concitato dai bevuti liquori, coll'anima sconvolta e l'umore inasprito dalla perdita nel giuoco, dalle liti che sempre finivano male pei suoi avversari grazie alla sua forza erculea, e cui sempre era il suo spirito tracotante a provocare, Michele cercava di nascondere il suo stato alla giovane moglie e si faceva uno studio di non dirigerle pure la parola. Ma questa specie di suggezione non volle durar lungo tempo. Non tardò guari ad accorgersi il marito, che la sua presenza, i suoi modi, le grossolane manifestazioni de' suoi ardori non cagionavano in Eugenia che una ripugnanza invano voluta dissimulare; sotto l'azione del dispetto ch'e' ne sentì, scomparve anche quella suggezione che prima si prendeva di lei; cominciò dalle rampogne e da quelle ond'era capace la sua anima bassa e volgare, ne venne alle minaccie, senza più riguardo nessuno si mostrò in tutta la bruttezza della sua indole; la qual cosa se fosse atta a scemare quel sentimento di ripulsione che era in lei giudicatelo voi.

Frattanto, come sempre accade, anche le condizioni materiali di quella famigliuola andavano peggiorando. Il padre d'Eugenia aveva fatto capo ad un fallimento in conseguenza del quale aveva dovuto smettere il fondaco e vivere oramai di varii, incerti e non sempre onorevoli spedienti, a cercare e mettere in atto i quali concorreva massimamente Michele. Questi da parte sua, per la mala condotta, aveva perduto il posto da maestro all'Accademia militare, e vedeva ogni dì più dimagrarsi di accorrenti e di allievi la sua sala di scherma. Se malesuada, secondo il poeta latino, è la fame, più mal consigliero ancora è il vizio che non ha più mezzi di soddisfare le sue accanite ed empie voglie: un dì Michele e lo suocero furono implicati in un certo processo di truffa, ed andarono tuttidue a far conoscenza la prima volta col pane di prigione. Furono condannati a più anni di carcere: il padre d'Eugenia dopo non molto tempo ci morì; lo sciagurato di lei marito fu onninamente perduto, perchè colà strinse conoscenza e lega coi più scellerati fra i delinquenti, primo dei quali quel Graffigna che, conosciuto ben tosto il giunto della corazza in quel robusto colosso, seppe colla sua felina accortezza insinuarvisi nell'animo e governarlo a suo talento.

La povera moglie di Michele rimase adunque sola, senza mezzi di fortuna, con una salute resa cagionevole dai sofferti affanni, coll'onta d'avere padre e marito colpevoli, e per maggior sventura portando nel seno un frutto del materiale amore di Michele. Gli era in queste condizioni che l'aveva lasciata la Modestina, quando insieme colla padroncina erasi fuggita per alla volta di Milano. Siccome Eugenia erasi venuta raccomandando più volte alla cognata, e questa non poteva a meno che sentire alcuna pietà per lo stato veramente compassionevole in cui quell'infelice era ridotta, trattandosi poscia di avere qualcheduna a compagna nelle cure da prestarsi alla marchesina Aurora, la sorella di Michele propose e riuscì a fare aggradire da Padre Bonaventura e da Nariccia che a questo ufficio fosse chiamata Eugenia, della segretezza della quale essa si rendeva compiutamente garante. Aveva inoltre la Modestina in codesto un'altra idea ed un'altra speranza: ed era che Eugenia essendo per diventar madre ancor essa, quantunque la liberazione di lei dovesse venire qualche mese dopo quella di Aurora, potesse tuttavia combinarsi che la medesima diventasse poi nutrice, custode ed allevatrice del figliuolo della marchesina, la qual cosa all'immaginativa non infeconda della Modestina si presentava come sorgente e cagione di prosperità e di vantaggi, non che per sua cognata, ma eziandio per sè.

Padre Bonaventura, incaricato di arruolare a quella piccola schiera l'Eugenia, di darle le sue istruzioni e di condurla seco, riuscì compiutamente nella sua missione; e come già dissi, Aurora ebbe quindi delle cure veramente amorevoli, poichè l'anima pietosa della nuova attendente a' suoi bisogni non tardò a porre in lei e nelle sue condizioni il maggior interesse possibile ed un verace, sincero affetto.

Venne finalmente il giorno fatale. Aurora diede alla luce un bambino, di cui, fino da quel primo stadio di vita, non potevano essere più dilicate le forme, nè più avvenente l'aspetto. Nel trasporto ineffabile di quella divina gioia della maternità, la misera dimenticò tutti i suoi passati dolori, tutto il buio dell'avvenire che le si minacciava. Coprì quella piccola, bellissima creaturina di baci e di lacrime, in cui si stemperò la infinita tenerezza dell'anima sua; le parve fosse ricomparsa in quelle deboli forme di neonato per accompagnarla ancora nella vita, l'anima amorosa di quell'uomo che essa aveva supremamente amato: tutto il suo mondo, l'esistenza, ogni affetto sentì concentrati per sempre in quel debole bambinello, che già pareva sorriderle. Si ricordò di botto del voto tante volte manifestato dal suo sposo, che il nascituro, se maschio, portasse il medesimo nome di lui; volle che presso al suo letto senza ritardo Padre Bonaventura battezzasse il neonato e gl'imponesse tosto quel nome adorato: Maurilio; dopo tanti e tanti giorni di spasimi, di affanni, di atrocissimi tormenti, la misera sentì finalmente un istante di celestiale beatitudine quando, stringendosi al suo seno suo figlio, cadde in un lieve sopore, di cui sentiva il riposo, e nel quale pure si sentiva vivere, e sentiva fra le sue braccia il dolce carco del figlio, sopore di cui non è descrivibile, appena immaginabile, se non da una madre, la profonda dolcezza.

E intanto l'intendente di suo padre ed il gesuita pensavano a darle un nuovo e massimo dolore, congiuravano per decidere il come toglierle quel bambino condannato all'obblio, alla miseria morale e materiale del trovatello, dall'odio implacabile di colui che era pure suo avolo.

Ben sapevano che farla acconsentire a separarsi dal suo figliuolo era cosa impossibile; erano più che certi, quand'ella avesse avuto sentore dello scellerato loro disegno, che Aurora avrebbe difeso il bambino colla forza indomabile di quell'amore materno che non ha pari sulla terra; decisero pertanto ricorrere all'astuzia, e levarle di letto il piccino quando la fosse addormentata.

Vedete meraviglia di quel sovrumano affetto di madre! Mentre i due tristi nella camera vicina complottavano a bassa voce, proprio come si fa per combinare un delitto, Aurora dormiva chetamente nel più soave de' riposi che si possa gustar mai: pareva dunque affatto propizio quel momento medesimo ad eseguire l'empio rapimento, e i due malvagi non vollero perder tempo; entrarono dunque con infinita precauzione in quella stanza dove presso il letto della dormiente stavano sedute le due cognate Modestina ed Eugenia. Ma non avevano appena varcata quella soglia con passo guardingo, che la puerpera si svegliava in sussulto e fissava su di loro uno sguardo inquieto, scrutatore, sospettoso, sgomento. Un inesplicabile istinto l'aveva di subito riscossa ed ammonita del pericolo; strinse fra le braccia il neonato e chiese a que' due con accento in cui c'era alquanto dell'orgogliosa supremazia della famiglia Baldissero:

– Che cosa vogliono? Perchè entrano nella mia camera senza farsi annunziare mentr'io riposo?

L'imbarazzo ch'ella scorse sul volto dell'uno e dell'altro, accrebbe i suoi sospetti. Nariccia si confuse in umili proteste e domande di perdono; il frate parlò dell'interesse che aveva per la salute temporale e spirituale di lei e dei debiti del suo ministero che lo chiamavano intorno a chi soffrisse sì dell'anima che del corpo. Aurora giurò a se stessa che non avrebbe smesso nè dì nè notte della più attenta vigilanza sul suo bambino.

Rimasti un poco, Nariccia tolse licenza pel primo e passando innanzi alla Modestina le fece un piccol cenno che le comandava lo seguisse nelle altre stanze; la cameriera comprese e si affrettò ad obbedire; dopo alcuni minuti anche fra Bonaventura s'alzò e partì. Aurora, per una affatto nuova finezza d'intuizione e d'indovinamento, comprese press'a poco ciò che si voleva: si rivolse con accalorato accento all'Eugenia che era rimasta sola:

– Tu, le disse, mostri all'aspetto di avere un'anima bella e pietosa; stai per diventar madre tu pure e proverai, e già senti per certo che stretto, indissolubil legame ci avvince alla creatura delle nostre viscere; per la pietà che l'ispirano i casi miei, per l'amor di Dio, per quell'essere che avrà vita da te, Eugenia, ti scongiuro, tu non tradirmi, tu non unirti a chi vuole i miei danni, tu aiutami a difender me e mio figlio dalle insidie altrui.

La povera donna aveva gli occhi e la voce pieni di pianto. Eugenia commossa promise tutto ciò che volle l'inferma.

– Vogliono disgiungermi da mio figlio, continuava quest'essa, lo sento, lo so. Mio figlio che è l'unico bene che mi rimane!

Prese il bambino, lo sollevò all'altezza della sua faccia e lo baciò con passione.

– Povero piccino! Nato appena, hai già nemici così accaniti che ti vogliono togliere tutta la ventura che ti ha concesso Iddio, l'amor di tua madre. Eugenia, se tu vuoi che la Provvidenza conceda fortuna a tuo figlio, sta dalla mia parte e concorri meco a salvarmelo… Dio! Puniscimi de' miei falli nella più crudel guisa che tu vuoi, ma non in questa, non togliendomi questo povero innocente. Lo raccomando alla tua pietà, Vergine Santa, che conoscesti l'amore di madre; mi raccomando anche a te, anima di mia madre, che non devi volere tanto strazio della tua figliuola.

Un'idea le venne, quasi un'ispirazione, staccò dal capoletto il rosario d'agata di sua madre, cui aveva portato seco e lo passò al collo del neonato, come volendo porlo con ciò sotto l'immediata protezione di quell'anima benedetta.

– Questo rosario, soggiunse, ti sia, o Maurilio, come un sacrosanto talismano. Tu non avrai a lasciarlo più nella tua vita… Ricordatene anche tu, Eugenia, e s'io morissi, lo dirai tu a mio figlio: «quella è la memoria di tua madre, serbala cara come un pegno dell'amor suo.»

In questo frattempo, nella camera vicina Nariccia e Padre Bonaventura riuscivano senza troppi sforzi, colla promessa d'una somma in di più di quelle già stipulate, a trarre complice al loro proposito la Modestina. Bene pareva dapprima a costei troppo crudel cosa quella che le veniva proposta a danno della sua padrona; ella aveva sì immaginato che quel figliuolo d'un matrimonio odiato e disprezzato dal marchese sarebbe tenuto lontano dalla nobile famiglia ed aveva anzi contato che ella stessa potrebbe fare dei buoni guadagni in proposito, dando come nutrice al bambino l'Eugenia che fra pochi mesi sarebbe stata madre ancor essa e facendosi accettare lei medesima come allevatrice e custode di esso: mai più non avrebbe creduto che quell'innocente bambino fosse gettato fra i trovatelli e che essa a codesto avesse da por mano; ma quella certa somma che ho detto vinse ogni scrupolo.

La sorte volle favorire essa medesima gli empi disegni orditi a danno del figliuolo di Valpetrosa: una violentissima febbre sopravvenuta ad Aurora, pose e tenne in grave pericolo parecchi giorni la vita di lei e la trasse per una settimana affatto fuor di senno. Nariccia pensò opportunissima l'occasione di fare sparire il bambino. Modestina essa medesima lo prese dal letto della madre assalita dal delirio; ma Eugenia, che aveva data pochi giorni prima alla infelice madre la promessa che noi sappiamo, tentò con ogni suo mezzo opporsi all'iniquo ratto. Ebbe essa tutti contro di sè, anche la cognata, e finì per cedere più che all'autorità di Padre Bonaventura, che impiegò tutti i mezzi della sua eloquenza gesuitica a persuaderla, alla promessa d'una somma che le assicurava un boccone di pane per quel tempo in cui la nascita e le prime cure da darsi a quella creatura ch'ella portava nel suo seno le avrebbero impedito di poter lavorare tanto da guadagnarsene.

Nariccia avrebbe egli medesimo recato seco l'infante e dispostone a suo grado, senza che nessun degli altri complici sapesse il come. Eugenia pregò che almanco al collo del bambino si lasciasse il rosario che la madre gli aveva messo, come vedemmo, e che alcun altro segno gli si ponesse per cui poterlo riconoscere poi in quell'ospizio od in quell'altro luogo qualunque in cui l'infelice venisse abbandonato. Modestina entrò facilmente nelle ragioni della cognata; una specie di sentimento superstizioso la persuase che s'ella a quel misero, cui concorreva a rigettar dal seno della famiglia, dèsse alcun mezzo per cui gli fosse possibile poi il rinvenire ancora questa famiglia medesima, diminuirebbe la gravità del suo fallo; pose in un sacchetto fatto appositamente il rosario d'agata, un bottone di livrea che aveva appartenuto a suo marito, domestico un tempo della casa de Meyrand, ed un biglietto, che scrisse ella medesima, per dire a coloro, chiunque si fossero, nelle cui mani capitasse il neonato, qual nome fosse il suo e per raccomandarlo alla loro pietà, e quel sacchetto unì alle fascie onde il bambino era avvolto. Nariccia lo prese con sè tal quale una notte e partissi solo con esso in un legnetto che guidava egli stesso, senza che alcuno mai sapesse a qual parte si dirigesse. Stette assente parecchi giorni e poi tornò presso di Aurora; ma il giorno prima erasi egli presentato al marchese padre ed avevagli detto:

– Tutto è aggiustato.

– Aurora? Aveva domandato il marchese fissando lo sguardo interrogativo sul suo intendente.

– Le nacque un figliuolo.

– E?..

– E questi è sparito.

– Morto?

– No: ma finchè Ella vorrà sarà come se sia tale.

– Lo vorrò sempre: disse con voce secca il marchese.

Nariccia s'inchinò.

– E sarà secondo il suo volere.

– Voi sapete dove egli si trova?

L'intendente fece un cenno affermativo.

– E se voleste rinvenirlo ancora, lo potreste?

– Signor sì.

– Gli avete lasciati mezzi di riconoscerlo?

– Glie li ho lasciati.

– Ed alcun altro li conosce?

– Signor no. Fuori di me nessuno potrebbe riaverlo.

– Sarà il meglio che questo modo lo dimentichiate anche voi.

Nariccia tornò ad inchinarsi senza rispondere.

Il marchese si alzò, prese da uno stipo un forte sacchetto di denari e lo pose in mano all'intendente.

– Eccovi trenta mila lire: disse: ne darete venti mila a quell'ospizio che voi sapete perchè sieno conservate a quell'esposto consegnato nel giorno e nell'ora e coi connotati che voi indicherete: il resto vi risarcirà delle spese che avete dovuto incontrare in quest'occasione.

Nariccia prese i denari, s'inchinò profondamente ed uscì senza aggiungere parola. Nessuno degli ospizi di trovatelli che esistevano allora in Italia ebbe pure un soldo di quella somma. Che cosa il trist'uomo avesse poi fatto del figliuolo di quel Valpetrosa che tanto si era in lui affidato, non è ancora giunto il momento di saperlo, ma lo apprenderemo poi.

Dopo quel colloquio col marchese padre, l'intendente ripartiva per la Lombardia e giungeva nella riposta casa dove era ricoverata Aurora, trovandola ancora nel medesimo stato di delirante e nel medesimo pencolo di vita. Ma pure quell'infelice donna (e fu questa per lei una ventura?), contro ogni previsione, potè resistere a quel male e vincerlo. Un bel dì la si svegliò come da un lungo sonno, colla mente intorpidita, rotta tutta la persona, confuse tutte le sensazioni, ma presente la volontà, riviva la coscienza, tornata la memoria. Non si poteva movere, ma fece uno sforzo per cui riuscì a staccare da sè la mano e tenderla nel letto a sè vicino al luogo dove stava suo figlio; non trovò nulla; radunò ogni suo vigore per volger la testa e con grande stento lo potè fare; non vide nulla. Volle mandare un grido e fece un sobbalzo nel letto per levarsi a sedere: ricadde sui guanciali e la voce le spirò come un gemito di dolore sulle labbra. Modestina che era in quel tempo sola nella camera le fu accosto sollecitamente.

– Che ha, signora marchesa? disse ella; e vedendo lo sguardo intelligente con cui la padrona la fissava, soggiunse: Dio sia lodato! Ella è pur finalmente tornata in sè.

Aurora diceva mille cose col suo sguardo acceso; ma le labbra non poterono che sommessamente balbettare:

– Mio figlio?

Era stato deciso che alla infelice madre, se e quando risensasse, si sarebbe detto che il bambino, durante il terribile periodo trascorso della infermità di lei, era morto; ma ora, vedendone tanto spasimo, giudicando che tal novella sarebbe stato un precipitarla di nuovo in quello stato da cui appena era venuta fuori, sarebbe anzi molto più facilmente un ucciderla addirittura, Modestina non ebbe il coraggio di darle un colpo così crudele. Rispose adunque esitando che il piccino si era dovuto per forza allontanarlo per dargliene una nutrice, ma che Aurora intanto non istesso in pena per lui, al quale in ogni modo era accuratamente provvisto.

L'inferma trovò per prima cosa che si sarebbe dovuto far venire questa nutrice presso di lei, piuttosto che allontanare da lei il figliuolo; volle sapere se il luogo dove egli era a balia fosse lontano, se lo si sarebbe potuto aver di frequente colà dove essa giaceva inferma, che già star lungo tempo senza vederlo, non la voleva a niun patto; se la famiglia presso cui s'era allogato il bambino fosse tale da ispirare tranquillità e fiducia per le cure che si avessero di lui: alle quali cose tutte, Modestina, non preparata, rispose impacciatamente e con affatto nessuna soddisfazione di Aurora.

Ed era già costei piena di dubbi parecchi e di ansie indefinite, quando sopravvenne Padre Bonaventura, al quale con più ardore, con più sollecita insistenza ella rivolse le interrogazioni medesime.

Il gesuita sedette presso al letto dell'inferma, cogli occhi bassi, le mani incrociate sul ventre, la mossa d'uomo in sè raccolto, scambiò due o tre occhiate colla Modestina che gli ammiccava di soppiatto per significargli come la pietà le avesse consigliato di parlare alla padrona un po' diversamente da quel che era stato inteso fra di loro, e quando Aurora ebbe finito le sue domande e stava attendendo ansiosamente risposta, il frate diede alle sue sembianze l'espressione d'un intimo, profondo cordoglio, d'un rassegnato dolore, mandò un sospiro, levò gli occhi al cielo, e tutto compunto incominciò un sermoncino di melliflua rettorica per esporre che questa terra è una valle di lagrime, che Dio non vuole si metta nella creatura tutto il nostro affetto, che dobbiamo prepararci alle grandi prove e sostenerle con fermo animo, quando le ci arrivano, eccetera, eccetera.

La povera madre che aveva notalo l'impaccio della cameriera, gli sguardi scambiati fra costei ed il gesuita, interruppe ad un punto quella predica con un grido straziante che partiva dal profondo dell'anima.

– Gran Dio! Mio figlio non è più!

Le rispose troppo eloquentemente il silenzio della cameriera e di Padre Bonaventura. L'infelice arrovesciò il capo sui guanciali, divenne più pallida che un cadavere, chiuse gli occhi e mandò un fievol gemito: era svenuta.

– Misericordia! esclamò la Modestina: ella è morta.

Il gesuita si curvò sulla giacente ad esaminarne l'aspetto, e le pose una mano sul cuore.

– No, diss'egli; la Provvidenza non le vuole far questa grazia.

Si dovette ricominciare la lotta colla morte, ed anco questa volta vinsero la gioventù e la natura.

Ma una persona era intorno all'inferma che aveva di lei la massima pietà e sentiva nel cuore un cocente rimorso dei fatti suoi: la povera Eugenia. Ella si diceva di aver empiamente mancato alla solenne promessa da lei data ad Aurora di fare ogni possibil cosa affine di salvarle il figliuolo; degli spasimi che soffriva la madre orbata ella accusava sè stessa che se avesse mantenuto fede, avrebbe potuto conservarle allato il bambino. Qual modo avrebbe potuto avere per ciò non sapeva bene; ed anzi talvolta per iscusarsi innanzi a sè stessa dicevasi che nessuno affatto era in poter suo e lo avesse anche tentato, ella ad altro non sarebbe riuscita che a farsi cacciare di colà; ma pur tuttavia non poteva tranquillare la sua coscienza. Non aveva ella accettato un compenso pel suo silenzio? Lo aveva fatto per suo figlio: ma doveva ella per un vantaggio al suo sacrificare il figliuolo della donna che in lei s'era affidata? Un pauroso presentimento, allora invadeva il suo animo. Codesto le avrebbe recato disgrazia; Dio ne l'avrebbe punita, dicevasi; ma purchè non la volesse punir poi nel figliuol suo! Raccapricciava a questo pensiero. Se la sorte l'avesse voluta colpir poi colla pena del taglione? Se anco a lei una mano crudele venisse a rapir poi quel frutto delle sue viscere che già amava cotanto? Sentiva allora che togliere un figlio a sua madre era il più iniquo delitto che si potesse compire: ed ella di questo infame delitto s'era fatta complice! Infelice! I suoi paurosi presentimenti dovevano aver ragione; ed ella stessa un anno dopo doveva provare, prima di morire, lo spasimo atroce di vedersi rapito il figliuolo.

Codesto faceva che amorosissime, incessanti, piene d'uno zelo impareggiabile fossero le cure che Eugenia prodigava all'inferma. Avrebbe dato tutto di sè per restituirle la salute e il figliuolo; la sua vita non fosse stata necessaria per un altro essere, avrebbe offerta anche quella in benefizio d'Aurora.

A questa intanto ritornando a poco a poco la salute e la possibilità, non certo la voglia di vivere, era più forte rinato il desiderio di conoscere ogni particolarità della morte del suo bambino. Voleva le si dicesse ogni menoma cosa che riguardasse quel luttuoso avvenimento; domandava dove fosse stato il corpicciuolo sepolto, voleva che colà sorgesse un modesto tumulo a segnarne il luogo che sarebbe stato in avvenire meta a frequenti e pietosi di lei pellegrinaggi, moveva un'infinità di interrogazioni che mettevano in imbarazzo le due donne e sopratutto l'Eugenia, alla quale sentendo per lei più simpatia, Aurora volgeva con più amorevole insistenza, con più pressante supplicazione le sue domande.

Eugenia non sapeva mentire. Oltre ciò, col pensare e ripensare a quel crudele atto a cui ella aveva partecipato in danno della povera Aurora, aveva finito per giungere alla conclusione che il male cagionato non era irrimediabile; ella sapeva quali contrassegni fossero stati posti al bambino, mercè cui poterlo riconoscere; svelando tutta la verità alla giovane madre, questa poteva ottenere da Nariccia le dicesse il luogo dove il fanciullo era stato abbandonato e, per via di que' certi indizi, riaverlo: stava adunque discutendo seco stessa intorno all'opportunità di tutto rivelare ad Aurora. Questa, da parte sua, guidata da una specie di segreto istinto, aveva maturamente riflettuto seco stessa sull'imbarazzo, sulle incertezze, sulle contraddizioni che aveva dovuto notare nelle risposte fatte alle sue domande intorno la morte del bambino, ed una vaga, inesplicabile speranza le era nata in cuore che la si fosse voluta ingannare, che il suo figliuolo non fosse morto. Le pareva impossibile che ella potesse rimanere ancora sulla terra quando ne fossero partiti lo sposo ed anco il bambino; Dio avrebbe avuto tanta pietà almeno da farla morire, lei pure; se la aveva conservata malgrado tutto a questa vita, gli era dunque ch'ella ci aveva da fare ancora qualche cosa, e qual altro dovere poteva incomberle oramai fuor quello di madre?

Da queste mutue disposizioni dei loro animi avvenne che una volta finalmente che Aurora ed Eugenia eran rimaste sole, si fu molto presso a venir fuori la verità. La figliuola del marchese aveva riprese le sue dimande e le ripeteva con maggiori l'insistenza e la pressa; la cognata di Modestina rispondeva più impacciata che mai. Aurora la guardava con occhi penetranti che parea le volessero leggere nell'anima, e nella sua voce si mise a palpitare, per così dire, un'emozione che era l'effetto di un'incantevole speranza.

Ad un punto ella afferrò vivamente la mano della giovane, che teneva gli occhi bassi ed era presa ancor essa da un notevolissimo turbamento.

– Eugenia, le disse con ineffabile passione, oh! ditemi il vero voi, oh non vogliate ingannarmi voi pure!.. È un sogno illusore che nacque nella mia fantasia? è la voce del cielo che mi parla segretamente all'anima? Una folle speranza mi è entrata in cuore… Io non sono tanto infelice come mi si vorrebbe far credere… Mio figlio non è compiutamente perduto per me, come sarebbe se lo possedesse la tomba…

La cognata di Modestina non ci resse; sollevò i suoi occhi in cui in mezzo alle lagrime di commozione brillava la gioia di poter dare a quell'afflita madre un conforto: con una famigliarità che non s'era mai permesso e che ora pareva concederle la solennità del momento, ella afferrò le mani della marchesina e le strinse forte.

Aurora indovinò la buona risposta che stava per uscire dalle labbra tremolanti di quella donna; gittò un grido di giubilo e disse affannosamente:

– Ah! Mio figlio vive?

Eugenia non aveva che un monosillabo da pronunciare per dar la risposta; ma non lo potè profferire. Suonarono ad impedirglielo un passo e poi tosto una voce d'uomo.

– Ritiratevi Eugenia: disse questa voce: debbo parlare alla signora marchesa.

Le due donne si volsero in sussulto, Aurora contrariata, Eugenia esterrefatta; era loro dinanzi la faccia scialba, falsa ed antipatica di messer Nariccia.

– Che mi volete? domandò asciuttamente Aurora, appena Eugenia fu uscita della stanza.

– Esporle gli ordini che ho ricevuti or ora da S. E. il marchese suo padre.

– Quali sono?

– S. E., stomacata delle gazzarre rivoluzionarie che succedono in Piemonte, se n'è partito e trovasi a Modena: mi ordina di andarvelo a raggiungere.

– Ed io?

– Ella sarà condotta in pari tempo da Padre Bonaventura a quel monastero che egli medesimo ha scelto.

Aurora si drizzò in piedi con vivacità.

– Io! Ad un monastero!

– Il marchese lo ha ordinato.

– Mostratemi la sua lettera.

– Eccola.

La giovane la lesse, e poi rimase un poco immobile, assorta in profonda riflessione. Che cosa doveva ella fare? e che cosa avrebbe potuto se non obbedire? Curvò la testa e disse con voce appena intelligibile:

– Sta bene: farò quel che vuole mio padre. Nariccia si dispose ad uscire senz'altro: ma quando fu alla soglia, colla mano già sulla gruccia della serratura, Aurora si riscosse e fece vivamente alcuni passi verso di lui.

– Udite: diss'ella con accento quasi di supplicazione.

L'intendente si fermò e stette in attitudine di chi aspetta gli ordini d'un suo superiore. La marchesina gli parlò con tutta la più soave dolcezza della sua voce.

– Voi non avete alcuna ragione di volere il mio male. Che cosa vi ho io fatto perchè abbiate da essermi nemico?

– Io sono il più fedele de' suoi servitori: rispose Nariccia colla sua più ipocrita sembianza.

– Ho una voce in cuore che mi dice mio figlio non essere morto… Ah! io avrei per voi la maggiore riconoscenza del mondo, se voi foste così pietoso da restituirmelo.

Nariccia alzò dalla punta de' suoi scarponi lo sguardo de' suoi occhi birci, e lo fece guizzare un momento sulla faccia d'Aurora.

– Suo figlio? diss'egli poi colla voce flebile di chi con pena si decide a parlare di cosa altrui dolorosa. Perchè la vuole tornar sempre su questo per lei crudelissimo argomento? Oh! se io potessi restituirglielo! Che cosa non farei per ciò? Ma la terra non rende più la sua preda.

Aurora, dimentica un momento di quel suo riserbo di maniere con cui aveva sempre trattato Nariccia, lo prese ad un braccio e glie lo strinse forte.

– Mi giurate voi che il mio bambino è morto davvero? Me lo giurate sull'anima vostra?

Nariccia, che conosceva perfettamente la teoria gesuitica delle restrizioni mentali, rispose senza punto esitare:

– Glie lo giuro.

La giovane lasciò andare il braccio di lui, e le mani le caddero abbandonatamente lungo il corpo con desolata rassegnazione.

– Partirò quando si voglia: diss'ella dopo un poco, facendo un atto che indicava preferire a quel momento rimaner sola, e Nariccia s'affrettò a levarsi dalla presenza di lei.

– Che cosa avete detto? Domandò l'intendente con feroce cipiglio ad Eugenia, avutala sola tosto dopo quel colloquio con Aurora. Che cosa avete lasciato capire alla marchesina?

Eugenia, allibita, non seppe che cosa rispondere.

– Traditrice: riprese più niquitoso che mai il tristo. Voi ora, tosto, senza un minuto d'indugio, prendete le vostre robe ed uscite di questa casa.

La misera, senza il menomo cenno di resistenza, si dispose ad obbedire. Avrebbe voluto vedere ancora la padrona cui stava per abbandonare per sempre, ma non le fu concesso. Nariccia per punirnela avrebbe anche voluto privarla affatto di quella somma che le era stata promessa per comprarne il complice silenzio, ma in ciò Modestina si intromise efficacemente, ed aiutata da Padre Bonaventura ottenne che ciò nulla meno Eugenia non fusse priva del pattuito compenso. Usci essa di quella casa nè le si diminuì il rimorso del suo passivo concorso a quell'empio delitto che ogni giorno le sembrava maggiore, di avere derubato ad una madre il figliuolo; e molte volte anco di poi fu sul punto di rinviare a chi l'aveva pagata i mal guadagnati denari, per riprendere il diritto di dar compiutamente ascolto alla sua coscienza e rivelar tutta la verità in una lettera alla marchesina Aurora.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 haziran 2017
Hacim:
870 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain

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