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Kitabı oku: «Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 3», sayfa 12

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R

Rabano (Mauro), monaco da prima nel monastero di Fulda e morto quindi arcivescovo di Magonza sua patria l'anno 856, aveva studiato la musica, e cercò d'inspirarne il gusto a' suoi allievi. Nella sua opera de Institutione clericorum egli dice che fa d'uopo a' chierici l'apprendere la musica, e parlando nel secondo libro della Salmodia, dice che i cantanti per avere la voce alta, chiara e dolce mangiar dovrebbero non altro che legumi: come facevano gli antichi (cap. 48). In tal caso costerebbe assai caro il talento di ben cantare. Nel terzo libro, trattando delle cognizioni necessarie agli ecclesiastici, raccomanda loro grandemente lo studio del canto. Parla ancora spesso della musica nel suo trattato de Universo. Brossard annovera Rabano tra gli autori di musica nel secondo ordine.

Raff (Antonio), il primo tenore della Germania e dell'Italia verso la metà dello scorso secolo, era nato a Bonn. Soggiornò lungo tempo in Italia, e fu allievo della cel. scuola di Bernacchi. La dolcezza singolare della sua voce, l'espressione del suo canto rapiva mirabilmente il cuore di chi l'udiva; verso il 1759 egli cantò nel teatro di Palermo, dove fecesi anche stimare moltissimo per una regolarità di condotta non ordinaria fra le persone del suo mestiere. Raccontavano i nostri antichi che nello spazio di quel tempo, in cui non doveva comparir sulle scene, stavasene egli ritirato nel suo gabinetto a leggere qualche libro di pietà. M. Ginguené cita il seguente aneddoto di Raff come uno de' più grandi effetti della musica. La principessa di Belmonte in Napoli era inconsolabile della morte di suo marito: un mese era già scorso senza che essa potesse mandar fuori un sol lamento e versare una sola lagrima. Sul tramontar del sole veniva essa a passeggiare ne' suoi giardini, ma nè l'aspetto del più bel cielo, nè la riunione di tutto ciò che l'arte aggiungeva sotto a' suoi occhi alle grazie della natura, nè l'oscurità stessa toccante della notte potè mai produrre in essa quelle tenere commozioni, che dando uno sfogo al dolore, gli tolgono ciò che ha di pungente e d'intollerabile. Raff trovandosi allora per la prima volta in Napoli, volle veder quei giardini, celebri per la loro amenità. Gli venne permesso; ma raccomandogli di non avvicinarsi a quel tale boschetto, ove sedevasi la principessa. Una delle sue cameriere sapendo che Raff era nel giardino, propose alla signora di permettergli che venisse a salutarla. Raff si accostò, ed era già instruito di quel che doveva fare. Dopo alcuni istanti di silenzio, la stessa donna pregò la principessa di dare il permesso che un cantante così famoso, che non aveva mai avuto l'onore di cantare alla di lei presenza, potesse almeno farle sentire il suono di sua voce. Non essendo stata la risposta un positivo rifiuto, Raff interpretò quel silenzio ed essendosi messo un poco in disparte, cantò quella canzonetta di Rolli Solitario bosco ombroso. La sua voce, che era allora in tutta la sua freschezza, e una delle più belle e delle più toccanti che si siano intese, la melodia semplice, ma espressiva di quell'aria, le parole perfettamente adattate al luogo, alle persone, alle circostanze, tutto questo insieme ebbe tale possanza sopra organi che da gran tempo sembravano chiusi, e induriti dalla disperazione, che cominciarono a scorrer le lacrime in abbondanza. Nè frenar queste si poterono per il corso di più giorni, e così salvarono l'ammalata, che senza quella salutevole effusione avrebbe immancabilmente perduta la vita. Raff verso il 1783 viveva a Monaco nella Baviera come musico della corte, e benchè in un'età assai avanzata cantava ancora con molta grazia.

Raffaele (Benvenuto conte di san), torinese, regio direttore degli studj a Torino, è autore di due belle Lettere sull'arte del suono inserite nella raccolta degli opuscoli di Milano, vol. 28 e 29. La prima tratta maestrevolmente de' Principj dell'arte del suono del violino: “La più parte de' maestri di suono, egli dice, male istituiti eglino, istituir non possono i loro scolari. Avvezzi a non ragionar sopra l'arte, anzicchè stender l'occhio a misurarne l'ampiezza, vanno striscion come bachi per le calcate vie di una mera e disordinata pratica. Questa sola li guida; e quanto è cieca la scorta, altrettanto forza è, che ciechi sien essi, e ciechi divengan altresì i discepoli.” Nel cap. 1 addita egli quale, e come esser dee lo stromento: dice, che i migliori violini sono i fatti dallo Stainer, dagli Amati, dagli Stradivari, da' Guarneri, dal Bergonzi, dal poco noto, eppur di fama degnissima Cappa di Saluzzo: che il violino vuole essere vecchio anzichenò. Tre cose, dicea il Geminiani, pretendono le mie orecchie, Musica di tre giorni, Suonator di quarant'anni, e violino di ottanta. Al qual detto il Tartini mettea una saggia restrizione, dicendo: datemi un violino vecchio, ma non decrepito come sono io. Un solo violino si debba avere alla mano; il cangiare soventi fa sì, che l'intuonazione non mai si rinfranca. Nel capitolo secondo dà egli i principj generali dell'arte del suono sopra il violino. Nella scambievole corrispondenza di una mano che guida l'arco, e dell'altra che scorre sul manico, sta tutta l'arte. Nel cap. 3 tratta dell'esattezza del suono; nel cap. 4 della verità del suono; nel cap. 5 degli abbellimenti del suono. Aggiugnere abbellimenti a ciò che sta scritto nè sempre è lecito, nè sempre vietato; nè sempre conviene, nè sempre disdice. Quattro opportuni riguardi sono da prescriversi nell'abbellire: sobrietà, opportunità, leggiadria, pulizia. Ecco un piccol saggio della precisa, e brieve maniera d'insegnare l'arte del suono, usata da questo dotto scrittore. La seconda lettera scritta con la stessa eleganza e concisione di stile, è piuttosto storica anzichè didattica, ed ha per soggetto Le rivoluzioni dell'arte del suono appo i moderni. L'A. riduce a quattro le scuole principali di violino degli ultimi tempi: quella del Corelli, quella del Tartini, la tedesca di Stamitz, e l'ultima attuale, la quale fa a suo avviso nella musica lo stesso effetto, che tra le sette dell'antica filosofia l'Eccletticismo, mentre al par d'esso con certo libero orgoglio a niun maestro s'attiene con servil sommissione; ma dovunque ritrova il bello, sel prende, e il riveste, e il fa suo, non ricopiando da vil plagiario, ma racconciandolo da prode imitatore con ingegnosa e certamente lodevole maestria. Queste due lettere piene di utilissimi precetti, e di osservazioni assai giudiziose e filosofiche sull'arte in generale dovrebbero andar per le mani non che de' soli violinisti, ma de' maestri di cappella eziandio, e di tutti generalmente gli artisti. Il conte di S. Raffaele si è fatto ancor distinguere come eccellente compositore per sei duetti di violino pubblicati dapprima in Londra nel 1770, ed in appresso a Parigi 1786.

Raguenet (Francesco), dottore sorbonico, sin dalla più tenera età, applicossi allo studio delle belle lettere, che egli proseguì eziandio dopo avere abbracciato lo stato ecclesiastico. Nel 1722 fu egli trovato morto in sua casa in età di 60 anni. La città di Roma onorollo col diritto di cittadinanza per la di lui opera intitolata Monumens de Rome: per mostrare agl'Italiani la sua gratitudine l'abb. Raguenet pubblicò nel 1704 il suo libro Parallèle des Italiens et des Français, en ce qui regarde la musique et l'Opéra, Paris in 8vo, che fu occasione di una guerra letteraria. La musica degl'italiani è secondo lui molto superiore per ogni riguardo alla francese; primo per riguardo alla lingua, di cui tutte le parole, tutte le sillabe distintamente si profferiscono; 2. per rapporto al genio de' compositori, alla magia dello strumentale, all'uso degli eunuchi, all'invenzione delle macchine. Egli fu il primo che con questo suo libro cercò di aprire gli occhi de' francesi sul cattivo stato della musica in Francia. Mr. de Fontenelle, benchè imbevuto della musica la più francese, secondo l'espressione del d'Alembert, ma filosofo pieno di moderazione, reconne, come Censore, questo giudizio: Io credo che l'impressione di quest'opera sarà graditissima al pubblico, purchè sia capace d'equità. Ma ella sollevò contro al suo autore molti antagonisti, ai quali oppose egli un altro scritto col titolo: Réponse à la Critique du Parallèle in 8vo.

Rameau (Giov. Filippo) nacque a Dijon nel 1683, apprese da fanciullo i principj della musica da suo padre organista della cattedrale, e dopo aver fatti de' profondi studj sul contrappunto, viaggiò alcun poco per l'Italia, e venne finalmente a stabilirsi in Parigi. Quivi impiegò il suo tempo a dar lezioni di cembalo, e a far delle ricerche sulla teoria della musica. In quell'epoca il gusto della fisica e delle mattematiche era già cominciato a divenir generale in Francia: Rameau volle applicarvisi; ma non ebbe la pazienza o le disposizioni necessarie per riuscirvi. Avendo letto, che un corpo sonoro posto in vibrazione faceva sentire, oltre il suono principale, la sua duodecima e la sua decima settima, provossi a stabilire su tal fenomeno la sua teoria musicale. Egli sostenne che tutte le regole sino allora prescritte non erano che delle tradizioni oscure e sparse a tastoni, senza nesso e senza alcun fondamento: si propose a ridurle tutte ad un piccol numero di principj, ch'egli pretese dedurre dalle leggi, o bene o male intese, della fisica. Siccome le opinioni di quest'uomo celebre hanno avuto gran corso in Francia, e nell'assoluta mancanza, che vi era colà di libri elementari scritti a norma de' buoni principj, quelli di Rameau furono commentati, semplificati e moltissimo lodati da autori celebri, per cui acquistarono gran nome, così non sarà discaro ai lettori di quì darne un'idea. Se pongonsi ad esame i diversi accordi, di cui si fa uso nell'accompagnamento, si riconoscerà facilmente che questi possono tutti ridursi alle diverse combinazioni di certe riunioni di suoni. Per esempio, gli accordi Ut-mi-sol, Mi-sol-ut, Sol-ut-mi, chiaramente non sono che tre combinazioni de' suoni ut, mi, e sol, gli accordi Sol-si-re-fa, Si-re-fa-sol, Re-fa-sol-si, Fa-sol-si-re, sono quattro combinazioni de' suoni sol-si-re-fa; nelle quali ognuno de' suoni è preso successivamente per base, essendo assolutamente indifferente la disposizione de' suoni superiori. Or, se si considera uno di questi accordi, che sono composti de' medesimi suoni, come l'accordo principale, gli altri potranno esser riguardati come loro dipendenze. Ciò era stato detto dagli antichi, i quali riguardavano come accordo principale quello, in cui tutti i suoni si trovan nell'ordine di terze, e riguardavano gli altri accordi composti de' medesimi suoni come rivolti del primo. Alcuni ignoranti scrittori han fatto autore Rameau di siffatta considerazione: per convincersi della falsità della loro asserzione, basta volgere uno sguardo su i libri del Zarlino, del Berardi, e d'altri, e vedrassi che una tale considerazione, per altro verissima, era familiare agli antichi. Quel che appartiene a Rameau, è lo avere preteso ridurre tutte le leggi dell'armonia a quelle, che regolano gli accordi principali. A tal effetto egli chiama questi accordi accordi fondamentali, fondamentale la nota, che serve loro di basso, e finalmente, basso fondamentale un basso ipotetico formato delle sole regole fondamentali. Ciò posto, egli prescrive le regole, secondo le quali può formarsi quel basso, cioè secondo le quali gli accordi fondamentali possono succedersi: e secondo lui, l'armonia sarà regolare tutte le volte, che gli accordi de' quali è formata, essendo ridotti ai loro accordi fondamentali, le successioni di questi si troveranno conformi alle regole da lui stabilite. Ma per disavventura nulla è più falso di questa sua pretensione: l'esperienza e l'enumerazione de' casi fanno vedere: 1. che una successione fondamentale, conforme alle regole di Rameau, può avere delle successioni derivate cattivissime; 2. che al contrario alcune successioni derivate, ottime e generalmente ammesse, spesso derivano da successioni fondamentali, ch'egli rigetta come viziose. A queste riflessioni aggiungasi ancora, che molti accordi, universalmente ricevuti, non trovan luogo nei quadri di Rameau, ed egli non può spiegarne le successioni. Per tutte queste ragioni il di lui sistema non ottenne l'approvazione di niun valente pratico, e di veruna delle buone scuole dell'Italia e della Germania. Rameau aveva gran premura di averne l'approvazione dalla società de' filarmonici di Bologna, che ne rimise l'esame al cel. P. Martini: ciò si ricava da una sua lettera al medesimo de' 6 Luglio 1759. “I trattati ed i sistemi sull'armonia, egli vi dice, non si sono moltiplicati senza frutto e senza successo, se non perchè non vi si era ancor ravvisato il fenomeno del corpo sonoro. Egli è da questo stesso fenomeno che io ho visto nascere le riflessioni, che ho l'onore di sommettere al savio giudizio dell'Istituto: io lo attendo colla più grande impazienza: qualunque sia per essere, sarà egli per me infinitamente pregevole. Se non merito l'approvazion vostra, mi renderete almeno l'inestimabil servigio di farmi conoscere i miei errori.” (V. Mem. del P. Martini, p. 105). Ma dal silenzio dello stesso Rameau, e de' di lui partigiani ben può dedursi, che l'affare non ebbe il successo ch'egli bramava: imperocchè quanto non avrebbe fatto egli valere l'approvazione di sì illustre accademia, e di un sì accreditato teorico come il Martini? Tuttavia, sebben molte idee, sulle quali è fondato il sistema del basso fondamentale, come le pruove, su di cui egli l'appoggia, si fossero cominciate a scorgere prima di lui; sebbene nella determinazione ch'egli ha fatta de' suoi elementi, regni una confusione d'idee, che rende difettosa la maggior parte delle sue regole d'armonia; sebbene egli medesimo abbia esposto il suo sistema con molta oscurità ed una faticante profusione di dimostrazioni di fisica e di geometria, che non hanno verun rapporto al suo primario oggetto, non è men vero ch'egli fu il primo a tirar l'attenzione dei didattici sulla teoria dei rivolti, e a dare a quegli che sono venuti dopo di lui il mezzo di far meglio, presentando loro un corpo di dottrina imponente pel suo totale. Così il dotto Eximeno nel tempo stesso di attaccare la sua teoria, degno nondimeno lo stima di somma lode per aver dato a conoscere il vero ed unico regolatore dell'armonia, e per aver date delle regole utilissime di pratica. Quì cade in acconcio l'osservare che il basso fondamentale proposto dall'Eximeno come il vero ed unico regolatore dell'armonia è tutt'altro di quello del Rameau, come chiaramente si vede dalla sua opera medesima, e da ciò che ne dice egli stesso in una sua lettera, che va in fine del suo libro in difesa alle oggezioni di un maestro romano. “Or vedete, egli scrive, quanto storditamente parla il vostro maestro Pandolfo: i francesi non conoscono altro basso fondamentale, se non quello che ha stabilito il Sig. Rameau; ed egli suppone, che io metta quel basso per fondamento della mia teorica, mentre prometto di rifiutare la teorica del Rameau. Io non ho preso se non che il nome di basso fondamentale.” (p. 461). Il ridicolo autore delle Riflessioni critiche sul presente dizionario o per mala fede, o per non capire gli autori che legge, volle dare ad intendere aver io falsamente asserito che l'illustre Eximeno rovesciato aveva il sistema di Rameau del basso fondamentale. Possiamo a costui rispondere con le stesse parole di questo autore. “Se prometto di rifiutare il basso fondamentale regolato colla legge della generazione de' suoni stabilita dal Rameau, non è un parlar da matto opporre contro di me ciò che prometto di rifiutare?” Ma questo stordito censore è uno di quelli, che a ragione vengono chiamati dallo stesso Eximeno i Cabbalisti della musica (ibid. p. 464): basta leggere l'opera stessa di questo dotto autore per ismentirlo. Fra gl'italiani, che attaccarono la teoria del Rameau, debbonsi annoverare il Conte Riccati, il P. Sacchi, e il Manfredini nell'ultimo capitolo delle sue regole armoniche: fra i Tedeschi Forkel, Scheibe e Chladni. In Francia se il suo sistema ebbe per alcun tempo qualche successo, è oggi giorno in un totale abbandono, dice Mr. Choron, ed è stato anche dottamente confutato da MM. Framery e Suard in più articoli dell'Enciclopedia metodica, da M. Suremain nella sua opera analitica e filosofica Théorie acoustico-musicale, a Paris 1793, e dal testè citato M. Choron (V. Discor. prelim. p. XXII). Non può negarsi tuttavia, che molte cose non si trovino utilissime alla pratica nelle di lui opere, perchè egli possedeva a dir vero, meglio l'arte che la scienza della musica. A lui dee altresì la Francia la prima rivoluzione musicale nel genere drammatico, avvicinandosi un poco più al gusto italiano del suo tempo e discostandosi dal cammino battuto da' fautori di Lulli, non quanto avrebbe voluto, ma quanto gli fu almeno possibile, dice M. d'Alembert. Rameau seppe dare alla sua cantilena più d'abbellimenti e di varietà, a' suoi cori più di moto e di effetto. Che se negar non gli si può dell'estro, e della fantasia, deesi convenire altresì, che ha troppo amato il fracasso, che ha mancato di sensibilità, che il suo canto è bizzarro e il più delle volte di cattivissimo gusto, e tanto in ciò egli è meno scusabile, in quanto conosceva i migliori modelli in questo genere, avendo inteso nel suo viaggio in Italia, le opere di Scarlatti, di Leo, di Durante; e che il solo motivo che gli impedì a seguire le loro tracce, fu la ridicola gelosia, che in ogni tempo, dice M. Choron, ha animati i musici francesi contro i compositori italiani. La sua armonia piena zeppa di dissonanze è poco adatta allo stile drammatico, e lo stesso di lui encomiatore M. Chabanon si dichiara contro l'idea, che egli aveva di dipingere, principalmente nello strumentale. “Voler sottomettere agli occhi l'arte de' suoni, egli dice, si è un torle la natura: quest'intenzione ad altro non serve che ad incomodare l'immaginazione del musico, ed a fissarla sopra di alcune piccole rassomiglianze dubbiose cui sagrifica tutto, e a distrarlo dalle ricerche della bella melodia, che la sola costituisce la vera musica, e che forma la vera dipintura. Il musico, che vuol dipignere co' suoni ciò che cade solamente sotto il senso della vista, lavora in fatti più per gli occhi, che per le orecchie. Se Rameau dipinge le onde agitate, l'allineamento delle note descrive la linea curva delle onde, s'egli dipinge un fuoco artificiale come in Achante et Cephise, si veggono le note innalzarsi come altrettanti razzi.” (Elog. de M. Rameau a Paris 1765). Non può nemmeno negarsi, che questo cel. artista non abbia avuto una coltura di spirito poco ordinaria alle persone del suo mestiere, e la penetrazione di un uomo che sa riflettere su la sua arte. “Chi dice un dotto musico, (così egli scriveva a M. de la Motte chiedendogli le parole di un dramma per metterlo in musica), intende dir ordinariamente un uomo, a cui nulla sfugge nella combinazion differente delle note; ma si crede costui assorbito talmente in queste combinazioni, che vi sagrifica tutto, il buon senso, il sentimento, lo spirito e la ragione. Ma questi allora non è che un musico della scuola, e d'una scuola in cui non si tratta che di note, e niente più; di maniera che si ha ragione di preferirgli un musico che si picca meno di scienza che di gusto. Quegli frattanto il di cui gusto non è formato che per via di comparazioni alla portata di sue sensazioni, non può tutto al più riuscir eccellente che in certi generi, cioè in quei relativi al suo temperamento. È egli naturalmente tenero? esprimerà bene la tenerezza. Il di lui carattere è vivace, ameno, scherzevole, ec.? la sua musica vi corrisponderà per allora, ma fate che egli esca da' caratteri che gli sono naturali, voi più non lo riconoscerete. Per altro come egli cava tutto dalla sua immaginazione senza verun soccorso dell'arte, per mezzo dei rapporti colle sue espressioni, egli si logora alla fine. Nel suo primo fuoco, era tutto brillante, ma questo fuoco si consuma a misura che egli vuol riaccenderlo, e più non si trova in lui che ripetizioni e freddure. Per il teatro vi vuole un musico, che studii la natura prima di dipignerla, e che per la sua scienza sappia fare la scelta de' colori e delle loro gradazioni, di cui il suo spirito e 'l suo gusto gli avrebbero fatto sentire il rapporto colle espressioni necessarie ec.” È d'uopo in somma riconoscere in Rameau col filosofo di Ginevra, che non era per altro suo grande amico, un grandissimo talento, molto fuoco, più di abilità che di fecondità; più di sapere che di genio, o almeno un genio soffocato dal troppo sapere. Le sue opere di teoria musicale sarebbero ancora state più utili, se egli non avesse avuta la debolezza e la vanità di applicare la geometria e la fisica alla musica, e pretendere di cavar dalle medesime le regole di un'arte unicamente fondata sull'organizzazione e la natura dell'uomo. Eccone i loro titoli: 1. Traité de l'harmonie, réduite à ses principes naturels, 1722 in 4º. – 2. Nouveau Système de musique théorique, 1726 in 4º. – 3. Génération harmonique, ou Traité de la musique théorique et pratique, 1737 in 8vo – 4. Dissertation sur l'accompagnement, 1731 in 8vo – 5. Dissertation sur le principe de l'harmonie, 1750 in 8º. – 6. Nouvelles réflexions sur la démonstration du principe de l'harmonie, 1752 in 8º. – 7. Réponse à une lettre de M. Euler, 1752 in 8º. – 8. Observations sur notre instinct pour la musique, 1754 in 8º. – 9. Erreurs sur la musique dans l'Encyclopédie, 1755, in 8º. – 10. Code de musique pratique, 1760, 2 vol. in 4º. “Le opere teoriche di Rameau, dice il filosofo di Ginevra, hanno di singolare che fecero gran fortuna senza quasi esser lette, e molto meno il saranno dacchè d'Alembert si prese la pena di fare in un picciol volume in 8vo il compendio di tutta la sua dottrina”: al che si può aggiungere che niuno oggidì farassi più a leggerle dopo che da più celebri autori se n'è dimostrata l'inutilità, ed il poco profitto che se ne può trarre. Dopo il 1760 Rameau aveva rinunziato a qualunque specie di fatica, e godette nel riposo della fortuna e della riputazione che si era fatta colle sue produzioni: Luigi XV avevagli accordata una pensione, e delle lettere con cui lo dichiarava nobile, e cavaliere dell'ordine di S. Michele, ma prima di mettersene in possesso venne egli a morire li 17 settembre del 1764.

Ramos (Bartolomeo) Pereira, o Pereja, fu celebre professore di musica nell'università di Salamanca, d'onde venne l'anno 1482 chiamato ad occupar la cattedra di musica eretta dianzi in Bologna da Niccolò V. Quivi nello stesso anno pubblicò il suo Trattato di Musica, in latino, divenuto rarissimo. “Ramos, dice Arteaga, sarà sempre dalla memore posterità annoverato fra i più grandi inventori. Egli ebbe il coraggio di svelar all'Italia gli errori di Guido Aretino e di scoprire le debolezze e le inconseguenze insieme del suo sistema.” Guardando con occhio filosofico la musica ritrovò un utile temperamento, volendo alterate le ragioni della quarta e della quinta, e sebbene dovè soffrire le opposizioni del Burzio, e del Gaffurio, pur fu poi dopo un secolo sostenuto e promosso dal Zarlino, e trionfò alla fine sì nella pratica, che nella teorica de' musici. Egli è citato come il primo a far valere lo sperimento della risonanza moltiplice di certi corpi sonori, secondo la legge degli aliquoti, sperimento, che è divenuto sì celebre per l'abuso che se n'è fatto nella teoria della musica, e per tutti i sistemi ai quali si è fatto servire di base.

Ramler (Guglielmo), professore di belle lettere, e dopo il 1787 direttore del teatro nazionale a Berlino, pubblicò in Lipsia Introduction aux belles-lettres, in 8º, 1758. In quest'opera tratta egli a lungo della musica. Nelle memorie per servire ai progressi della musica di Marpurg, vol. 2, vi ha di Ramler: Défense de l'Opéra en musique, e Recueil des idées de Remond de St-Mard sullo stesso argomento. Egli è anche autore della sublime cantata, la morte di Gesù, suo capo d'opera per la poesia, come per la musica di Graun.

Rangoni (Giov. Battista), letterato fiorentino, e grand'amatore di musica, pubblicò in Livorno nel 1790, Saggio sul gusto della musica, in 12º, dove trovansi delle interessanti notizie intorno a' più moderni virtuosi italiani.

Raspe (Rodolfo) di Hannover, professore nel collegio di Cassel, nel 1776, era in Londra. Egli pubblicò Essai sur l'architecture, la peinture et l'opéra musical, traduit de l'Italien par le comte Algarotti. Nella nouvelle Bibliothèque des belles lettres vi ha di lui una Dissertation sur l'harmonie.

Ravezzoli, romano, così profondo nello studio della composizione che all'età di venticinque anni venne eletto maestro di cappella di San Pietro in Roma, dopo avere trionfato de' suoi concorrenti quasi tutti avanzati in età. Per vendicarsene, fecero essi malignamente entrare contro il divieto una donna nel Vaticano, ove abitava Ravezzoli. Venne perciò dinunziato e posto in prigione nel Castel Sant'Angelo, dove languì di miseria e di afflizione sino alla morte. Nella sua malinconia egli compose nella prigione parole e musica di un duetto che scrisse sul muro col carbone, di cui possedevane una copia il Sig. Camillo Barni da Como abile compositore ed eccellente suonator di violoncello. Dopo la morte di Ravezzoli, che avvenne verso il 1754, la donna introdotta nel suo alloggio del Vaticano confessò che il giovane compositore era stato vittima della gelosia de' suoi rivali.

Raymond (G. Marie), professore di matematica e di fisica nel collegio di Chambery, membro dell'Accad. imperiale delle Scienze e di più società letterarie, nel 1811 pubblicò in Parigi Lettre à M. Villoteau, touchant ses vues sur la possibilité et l'utilité d'une théorie exacte des principes naturels de la musique, un vol. in 8º. “A niuno è venuto mai in pensiero, dice sensatamente questo scrittore, di avanzare, senza rischio di esser messo in ridicolo, che non abbisognan regole nella pittura e nella scultura, nell'eloquenza e nella poesia; per quale singolarità la sola musica potrà far di meno di regole e di principj? Non è egli forse in conseguenza di sì strana eccezione che le sue opere sono soggette ad appassire? Le opere di musica impresse si fan camminare senza data: di tutte le arti la musica è l'unica, le di cui produzioni non osano palesar l'epoca della loro nascita, sul timore senza dubbio di esser condannate ad un presto oblio. Non è dessa la più forte prova che le sue produzioni non hanno avuto che il capriccio per ispirazione e la sola moda per guida? Se la tale musica pretende esser vera, come cessa di esserla? Se dipinge il sentimento, come dunque le sue pitture, giuste in un tempo, finiscono con divenir ridicole in un altro? Non è questo un contrassegno certo che l'artista non ha seguito niun sodo principio, e che la musica non ha trovato sinora il vero linguaggio della ragione e del gusto? A questa medesima incertezza delle basi dell'arte è d'uopo attribuire i giudizj tanto diversi e sovente tanto opposti, che recansi tuttogiorno sulla musica, sul suo oggetto, sulle sue bellezze, sul carattere ch'ella dee sviluppare in ciascuna situazione, e che vi sono, per così dire, altrettante poetiche musicali quanti vi ha scrittori in questo genere. Non è questo un vero scorno per l'arte l'ignorar tuttora quali sono i suoi elementi fondamentali?” (pag. 94). Egli diè inoltre al pubblico: Determination des bases physico-mathématiques de la musique, ou Essai sur l'application des nouvelles découvertes de l'acoustique à l'art musical, suivi d'un appendice sur quelques systèmes d'écriture musicale, Paris 1812. L'argomento di quest'opera è una compiuta spiegazione delle considerazioni e delle viste indicate dall'autore nella prima lunga annotazione che è alla fine della sullodata lettera a M. Villoteau. A questa ha egli unito nello stesso volume tre altri suoi opuscoli: 1. De la musique dans les Églises, ove valorosamente combatte il parer di coloro, i quali hanno ardito avanzare che l'uso della musica nelle chiese è generalmente una specie di profanazione; 2. Lettre à M. Millin sur l'utilité du rétablissement des maîtrises de chapelle dans les Cathédrales de France. “Tutti gli artisti, egli vi dice, non sono de' Pergolesi, degli Haydn, de' Mozart, de' Cherubini. Non è se non per mezzo di una tradizione sostenuta che può mantenersi e perpetuarsi lo stile grandioso e puro, che richieggono le solennità della Religion cristiana. Su questa porzione esistono de' gran modelli; il loro studio, la loro imitazione occupar dee continuamente l'artista che si consacra alla chiesa: è d'uopo adunque che vi siano delle scuole addette a questo genere di composizione e di esecuzione, nelle quali possa formarsi il gusto mercè un lungo esercizio, dopo aver succhiato di buon ora i principj che debbono dirigerlo.” 3. Réfutation d'un Système sur le caractère attribué a chacun des sons de la gamme, et sur les sources de l'expression musicale. Nulla concorre maggiormente ad estinguere le arti ed eziandio le scienze quanto l'abuso de' sistemi. “Allorchè io parlo dell'abuso de' sistemi, dice il dotto autore, io sono ben lontano dal biasimare le teorie filosofiche che tanti lumi han recato nelle arti e nelle scienze. Si sa benissimo che non debbonsi confonder le teorie propriamente dette co' sistemi, anzichè non vi ha al contrario cosa più adatta a far rovinare le vane ipotesi, quanto un rigoroso ragionamento che nasce da inconcussi principj.” Lo strano sistema, ch'egli confuta, consiste nel voler segnare il carattere de' tre suoni fondamentali ut, mi, sol per via di analogie prese a vicenda da' colori e dalle forme geometriche de' corpi, che è in parte una rinovazione di quello del P. Castel. In tutti questi opuscoli l'autore stabilisce eccellenti principj e propone delle ottime vedute. M. Raymond, dice il secretario dell'Instituto, ha il sentimento delle belle arti, e sa esprimerlo da uomo di spirito.

Redi (Francesco), fiorentino, celebre cantante sulla fine del secolo 17. Egli fondò una scuola di canto in Firenze nel 1706, che per le sue cognizioni e la sua abilità divenne ben presto una delle più rinomate e delle migliori di tutta l'Italia. Per farne l'elogio, basti il dire che la cel. Tesi fu quivi allevata.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
25 haziran 2017
Hacim:
270 s. 1 illüstrasyon
ISBN:
http://www.gutenberg.org/ebooks/40819
Telif hakkı:
Public Domain