Kitabı oku: «Il Killer della Rosa», sayfa 6

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Capitolo 12

“April!” Riley gridò. “April!”

Riley corse in bagno e ci guardò dentro. Sua figlia non era nemmeno lì.

Corse disperatamente per la casa, aprendo le porte, guardando in ogni stanza e in ogni armadio. Non trovò nulla.

“April!” gridò di nuovo.

Riley riconobbe il gusto amare di bile nella sua bocca. Era il gusto del terrore.

Almeno, nella cucina sentì uno strano odore passare attraverso una finestra aperta. Riconobbe quell'odore sin dai passati giorni del college. Il terrore svanì, cedendo il posto ad un triste fastidio.

“Oh, Gesù!” Riley mormorò ad alta voce, provando un intenso sollievo.

Strattonò la porta posteriore, aprendola. Alla luce del mattino presto, poté vedere sua figlia, ancora in pigiama, seduta alla vecchia tavola da picnic. April appariva colpevole e imbarazzata.

“Che cosa vuoi, mamma?”April chiese.

Riley attraversò rapidamente il giardino, afferrandole la mano.

“Dammelo” Riley disse.

April provò maldestramente a mostrare un'espressione innocente.

“Darti cosa?” lei chiese.

La voce di Riley esprimeva più tristezza che rabbia. “Lo spinello che stai fumando” le disse la madre. “E ti prego, non mentirmi a riguardo.”

“Tu sei pazza” April disse, facendo del suo meglio per sembrare giustamente indignata. “Non stavo fumando niente. Pensi sempre le cose peggiori su di me. Lo sai, mamma?”

Riley notò quanto sua figlia si fosse fatta avanti, mentre era seduta sulla panca.

“Sposta il piede” Riley esclamò.

“Cosa?” April disse, simulando incomprensione.

Riley indicò il piede sospetto.

“Sposta il piede.”

April grugnì ad alta voce ed obbedì. La sua ciabatta da camera stava coprendo una canna appena schiacciata. Una nuvola di fumo salì da essa, e l'odore era più forte che mai.

Riley si abbassò e la prese in mano.

“Ora dammi il resto.”

April sollevò le spalle. “Il resto di cosa?”

Riley non riusciva quasi a mantenere ferma la sua voce: “April, dico davvero. Non mentirmi. Ti prego.”

April roteò gli occhi e infilò la mano nella tasca della camicia. Vi estrasse una canna che non era stata accesa.

“Oh, per l'amor del Cielo, ecco qua” lei disse, passandola a sua madre. “Non provare a dirmi che non ne fumerai una non appena ne avrai la possibilità.”

Riley s'infilò entrambe le canne nella tasca della vestaglia.

“Che cos'altro hai?” chiese alla figlia.

“E' tutto, non c'è altro” April scattò. “Non mi credi? Allora controlla tu stessa, avanti. Controlla nella mia stanza. Cerca ovunque. E' tutto quello che ho.”

Riley stava tremando brutalmente. Lottò per mantenere le sue emozioni sotto controllo.

“Dove le hai prese queste?” lei chiese.

April alzò le spalle. “E' stata Cindy a darmele.”

“Chi è Cindy?

April esplose in una risata cinica. “Ecco, non lo sai, vero mamma? Non che tu sappia tanto della mia vita. Perché ti importa, comunque? Voglio dire, che differenza fa per te se mi sballo?”

Riley ora era stata colpita. April era andata dritta alla giugulare, e faceva male. Riley non riuscì più a trattenere le lacrime.

“April, perché mi odi?” gridò.

April sembrò sorpresa, ma a malapena pentita. “Io non ti odio, mamma.”

“Allora perché mi stai punendo? Che cos'ho fatto per meritare questo?”

April guardò nel vuoto. “Forse dovresti passare del tempo a pensarci su, mamma.”

April si alzò dalla panca ed entrò in casa.

Riley vagò attraverso la cucina, tirando meccanicamente fuori tutto l'occorrente per preparare la colazione. Mentre estraeva uova e pancetta dal frigorifero, si chiese come avrebbe dovuto gestire la situazione. Doveva immediatamente riportare April con i piedi per terra. Ma come doveva farlo esattamente?

Quando Riley era a casa, poteva occuparsi di April. Ma ora era tutto diverso. Ora che Riley era tornata a lavorare, il suo programma quotidiano sarebbe stato del tutto imprevedibile. E apparentemente, sarebbe stata così anche la figlia.

Riley rimuginò sulle sue scelte, mentre metteva le strisce di pancetta a friggere in padella. Era certa di una cosa. Dal momento che April avrebbe trascorso così tanto tempo con suo padre, Riley avrebbe dovuto dire a Ryan che cosa era accaduto. Ma questo avrebbe spianato la strada ad un mondo di problemi. Ryan era già convinto che Riley fosse domesticamente incompetente, sia come moglie sia come madre. Se Riley gli avesse detto che aveva colto April a fumare erba in giardino, lui ne sarebbe stato assolutamente sicuro.

E forse avrebbe ragione, pensò tristemente, mentre mise due fette di pane a tostare nel tostapane.

Finora, Ryan e Riley erano riusciti ad evitare la battaglia per la custodia di April. Il suo ex non lo avrebbe mai ammesso, ma amava troppo la sua libertà da scapolo per volersi imprigionare nel seguire la crescita di un'adolescente. Non era parso particolarmente felice, infatti, quando Riley gli aveva comunicato che April avrebbe trascorso più tempo con lui.

Ma la donna sapeva anche che l'atteggiamento del suo ex-marito poteva cambiare molto in fretta, specialmente se avesse trovato una scusa per criticarla qualcosa. Se avesse scoperto che April aveva fumato erba, avrebbe provato all'istante a togliere la custodia alla madre. Quel pensiero era insopportabile.

Alcuni minuti dopo, Riley e sua figlia erano sedute a tavola a consumare la colazione. Il silenzio tra loro era persino più imbarazzante del solito.

Infine, April chiese: “Lo dirai a papà?”

“Credi che forse dovrei?” Riley rispose.

Parve una risposta abbastanza onesta in tali circostanze.

April abbassò la testa, mostrando preoccupazione.

Poi la ragazza implorò: “Ti prego, non dirlo a Gabriela.”

Quelle parole colpirono Riley dritto al cuore. April era visibilmente più preoccupata di quel che avrebbe pensato di lei la governante, se fosse venuta a saperlo, che dell'opinione di suo padre  o di sua madre, per quello che lei contava.

Quindi, le cose sono peggiorate fino a questo punto, Riley pensò tristemente.

Era rimasto davvero così poco di prezioso della sua vita familiare, che si stava disintegrando davanti ai suoi occhi. Le sembrò persino di non essere più una madre. Si chiese se Ryan provasse le stesse sensazioni come padre.

Probabilmente no. Sentirsi colpevole non era nello stile di Ryan. Talvolta lei gli invidiava la sua indifferenza emotiva.

Dopo la colazione, mentre April si preparava per la scuola, cadde il silenzio, e Riley cominciò ad essere ossessionata dall'altra cosa che era accaduta quella mattina, sempre che fosse realmente accaduta. Che cosa o chi aveva causato quel rumore davanti alla porta? Da dove erano sbucati fuori quei ciottoli?

Rammentò il panico di Marie per le strane telefonate, e avvertì una paura ossessiva crescere dentro di lei, facendole perdere il controllo. Prese il cellulare e scelse un numero familiare.

“Betty Richter, Tecnica della scientifica dell'FBI” giunse la risposta secca.

“Betty, sono Riley Paige.” Riley inghiottì forte. “Penso che tu sappia il motivo della mia telefonata".

Dopotutto, Riley aveva fatto questa stessa telefonata ogni due o tre giorni, nelle ultime sei settimane ormai. L'Agente Richter era stato incaricato di chiudere i dettagli sul caso Peterson, e Riley voleva disperatamente una soluzione.

“Vuoi che ti dica che Peterson è davvero morto” Betty disse in un tono empatico. Betty era davvero paziente, comprensiva e di buon umore, e Riley le era sempre stata riconoscente per aver parlato dell'argomento con lei.

“Lo so che è ridicolo.”

“Dopo tutto quello che hai passato?” Betty disse. “No, proprio no. Ma non ho delle novità da comunicarti. Semplicemente la solita vecchia informazione. Abbiamo trovato il corpo di Peterson. Certo, era ridotto in cenere, ma aveva esattamente la sua altezza e la sua stazza. Non può trattarsi di un altro.”

“Quanto sei sicura? Dammi una percentuale.”

“Direi il novantanove per cento” le disse.

Riley fece un lungo e lento respiro.

“Non puoi dirmi che si tratta del cento per cento?” chiese alla tecnica.

Betty sospirò. “Riley, non posso darti il cento per cento di certezza su nulla nella vita. Nessuno è in grado di farlo. Nessuno è sicuro al cento per cento che il sole sorgerà domani mattina. La terra potrebbe venire distrutta da un asteroide gigante, nel frattempo, e saremmo tutti morti.”

Riley esplose in una risatina triste.

“Grazie di avermi dato un altro motivo di preoccupazione” replicò.

Anche Betty rise un po'. “Quando vuoi” lei disse. “Sono contenta di aiutare.”

“Mamma?” April chiamò, pronta ad andare a scuola.

Riley pose fine alla telefonata. Ora si sentiva leggermente meglio e si preparò ad andare.

Più tardi, quel giorno, doveva passare a prendere Bill. Erano rimasti d'accordo così. Dovevano interrogare un sospettato, che corrispondeva al loro profilo.

E Riley ebbe la sensazione che si trattasse dello spietato assassino che stavano cercando.

Capitolo 13

Riley spense il motore e si sedette davanti alla casa di Bill, ammirando il suo bel bungalow  a due piani. Si era sempre chiesta come riuscisse a mantenere quel prato così verde e curato, e quei cespugli ornamentali potati in un modo tanto ordinato. La vita domestica di Bill doveva essere turbolenta, ma lui era capace di mantenere un giardino ben curato, un elemento che si incastrava perfettamente in quel pittoresco quartiere residenziale. La donna non riuscì a fare a meno di chiedersi quale fosse l'aspetto di tutti i giardini in quella piccola comunità così vicina a Quantico.

Bill uscì fuori, sua moglie Maggie apparve dietro di lui, rivolgendo a Riley uno sguardo feroce. Riley distolse lo sguardo.

Bill lo notò  e sbatté la porta dietro di lui.

“Andiamo subito via da qui” sbraitò.

Riley mise in moto l'auto e tolse il piede dal freno.

“Presumo che non vada bene a casa” osservò.

Bill scosse la testa.

“Abbiamo litigato, quando sono rientrato così tardi ieri sera. Il litigio è ripreso anche stamattina.”

Restò in silenzio per un momento, poi aggiunse tristemente: “Sta di nuovo parlando di divorzio. E vuole la piena custodia dei ragazzi.”

Riley esitò, ma poi proseguì e fece la domanda che aveva in mente: “E io sono parte del problema?”

Bill restò in silenzio.

“Sì” le rispose infine. “A lei non ha fatto piacere sapere che lavoreremo di nuovo insieme. Dice che hai un'influenza negativa.”

Riley non seppe che cosa dire.

Bill aggiunse: “Lei dice che faccio del mio peggio quando lavoro con te. Sono più distratto, ossessionato dal mio lavoro.”

Abbastanza vero, pensò Riley. Lei e Bill erano entrambi ossessionati dal loro lavoro.

Cadde il silenzio, mentre proseguivano il viaggio. Dopo alcuni minuti, Bill aprì il suo portatile.

“Ho dei dettagli sull'uomo con cui stiamo andando a parlare. Ross Blackwell”.

Scorse lo schermo.

“E' nel registro dei criminali sessuali” aggiunse.

Il labbro di Riley si curvò in segno di disgusto.

“Per quali crimini?”

“Possesso di materiale pedopornografico. Era sospettato anche per altro, ma non sono state trovate delle prove. E' nel database, ma non é sottoposto ad alcun controllo. E' stato dieci anni fa, e questa foto è piuttosto vecchia.”

Elusivo, lei pensò. Forse difficile da mettere in trappola.

Bill continuò a leggere.

“Licenziato da diversi impieghi, per ragioni poco chiare. L'ultima volta stava lavorando in una catena di negozi in un grande centro commerciale sulla tangenziale, articoli davvero molto commerciali, la cui clientela è composta principalmente da famiglie con bambini. Quando hanno beccato Blackwell mettere le bambole in posizioni scabrose, l'hanno licenziato e denunciato".

“Un uomo con una mania per le bambole e un precedente per pedopornografia” Riley” borbottò.

Finora, Ross Blackwell combaciava con il profilo che stava cominciando a mettere insieme.

“E adesso?” chiese.

“Lui lavora in un negozio di modellismo” Bill rispose. “Un'altra catena di negozi in un altro centro commerciale.”

Riley ne rimase un po' sorpresa.

“I gestori non erano a conoscenza dei precedenti di Blackwell quando l'hanno assunto?”

Bill sollevò le spalle.

“Forse a loro non importa. I suoi interessi sembrano essere esclusivamente di tipo eterosessuale. Forse non immaginano che colpirà in un luogo dove sono presenti solo modellini di auto, aerei e treni".

La donna sentì un brivido percorrerle tutto il corpo. Come poteva un uomo del genere essere  in grado di ottenere un altro lavoro? Sembrava essere un feroce assassino. Perché era in grado di girare indisturbato ogni giorno in mezzo ai vulnerabili?

Superato infine l'intenso traffico, giunsero a Sanfield. La periferia di Washington D.C. colpì Riley, in quanto tipico esempio di una “città ai margini”, composta principalmente da centri commerciali e sedi aziendali. Lei la trovò senz'anima, finta e deprimente.

Parcheggiò all'esterno dell'enorme centro commerciale. Per un istante, restò semplicemente seduta al posto del guidatore e stette a guardare la vecchia fotografia di Blackwell sul portatile di Bill. Non c'era niente di peculiare sul suo volto, solo un uomo bianco con capelli scuri e un'espressione insolente. Ora aveva sui cinquant'anni.

Lei e Bill uscirono dall'auto e si diressero a piedi verso l'isola felice dei consumatori, cercando il modello in scala del negozio.

“Non voglio che ci sfugga” Riley disse. “E se ci vedesse e scappasse via?”

“Dovremmo essere in grado di bloccarlo dentro” Bill rispose. “Lo immobilizzeremo e faremo uscire i clienti”.

Riley mise una mano sulla sua pistola.

Non ancora, disse tra sé e sé. Non creiamo panico, se non è necessario.

Lei restò lì per un momento, osservando i clienti che andavano e venivano. Blackwell era uno di loro? Stava già scappando?

Riley e Bill si diressero all'entrata del negozio di modellismo. La maggior parte dello spazio era occupato da una riproduzione dettagliata di una piccola città, completa di un treno in movimento e semafori luminosi. Modellini di aerei pendevano dal soffitto. Non c'era una sola bambola in vista.

Diversi uomini sembravano lavorare nel negozio, ma nessuno di loro corrispondeva all'immagine che lei aveva in mente.

“Non riesco a scorgerlo” Riley disse.

Alla reception, Bill chiese: “Un certo Ross Blackwell lavora qui?”

L'uomo alla cassa annuì e indicò verso uno scaffale con kit di modelli in scala. Un uomo basso e  tarchiato con i capelli grigi stava smistando la merce. Dava loro la schiena.

Riley toccò di nuovo la pistola, ma la lasciò nella fondina. Lei e Bill si separarono così da poter bloccare qualsiasi tentativo di fuga da parte di Blackwell.

Il cuore di Riley batteva sempre più forte, man mano che si avvicinava.

“Ross Blackwell?” Riley chiese.

L'uomo si voltò. Indossava occhiali spessi e la pancia strabordava al di sopra della cintura. Riley fu colpita specialmente dal lieve pallore anemico della sua pelle. Pensava che non gli piacesse correre, ma il suo giudicarlo “viscido” gli calzava alla perfezione.

“Dipende” Blackwell rispose con un grosso sorriso. “Qual è il vostro lavoro?”

Riley e Bill gli mostrarono entrambi i loro distintivi.

“Accidenti, i federali, eh?” Blackwell disse, sembrando quasi contento. “Questa mi giunge nuova. Sono abituato alle autorità del posto. Non siete qui per arrestarmi, spero. Perché pensavo davvero che tutti quegli assurdi equivoci appartenessero al passato".

“Vorremmo soltanto farle qualche domanda” Bill disse.

Blackwell fece un sorrisetto e inclinò la testa in modo interrogativo.

“Alcune domande? Ecco, conosco la Carta dei Diritti a memoria. Non devo parlare con voi se non voglio. Ma, in fondo, perché no? Potrebbe essere persino divertente, Se mi offrite una tazza di caffè, vi accontenterò".

Blackwell si diresse verso la reception, e Riley e Bill lo seguirono da vicino. Riley restò in guardia per prevenire ogni possibile tentativo di fuga.

“Mi prendo una pausa caffè, Bernie” disse Blackwell al cassiere.

Riley intuì dalla sua espressione che Bill si stava chiedendo se quello era l'uomo giusto. Lei comprese il suo dubbio. Blackwell non sembrava neanche un po' nervoso al vederli. Anzi, ne sembrava piuttosto compiaciuto.

Ma, ad avviso di Riley, questo lo faceva apparire ancora più amorale e sociopatico. Alcuni dei peggiori serial killer nella storia avevano mostrato di avere fascino e autostima. L'ultima cosa che si aspettava era che l'assassino sembrasse ancora meno colpevole.

L'area ristorazione era molto vicina. Blackwell accompagnò Bill e Riley fino ad un bancone che serviva caffè. Se l'uomo era nervoso in compagnia di due agenti dell'FBI, di certo non lo dimostrava.

Una ragazzina, che stava saltellando dietro sua madre, inciampò e cadde proprio di fronte a loro.

“Ops!” Blackwell gridò giocosamente. Si avvicinò e rimise la bambina in piedi.

La madre ringraziò automaticamente, poi strappò la figlia a quella mano. Riley osservò Blackwell guardare le gambe nude della bambina, sotto il gonnellino, e le si rivoltò lo stomaco. Il suo sospetto si acuì.

Riley afferrò forte il braccio di Blackwell, ma lui le rivolse uno sguardo misto di perplessità e innocenza. Lei gli scosse il braccio e lo lasciò andare.

“Prendi un caffè” lei disse, indicando il bancone con il capo.

“Vorrei un cappuccino” Blackwell disse alla giovane donna dietro il bancone. “Pagano loro".

Poi, rivolgendosi a Bill e Riley, chiese: “Voi che cosa prendete?”

“Siamo a posto” Riley rispose.

Bill pagò il cappuccino e i tre si diressero verso un tavolo, distante da altri clienti.

“Allora, che cosa volete sapere da me?” il sospettato chiese. Sembrava rilassato e amichevole. “Spero che non sarete troppo moralisti, proprio come le autorità a cui sono abituato. Le persone sono di idee ristrette di questi tempi.”

“Di idee ristrette riguardo a posizioni oscene in cui vengono poste le bambole?” Bill domandò.

Blackwell apparve sinceramente ferito. “Lo fa sembrare così sporco” disse. “Non c'era nulla di osceno a riguardo. Guardate voi stessi".

Blackwell estrasse il suo cellulare, e cominciò a mostrare le foto delle sue opere. Includevano scene leggermente pornografiche, che aveva creato all'interno di case delle bambole. Le piccole statuette umane erano svestite in vari modi. Erano state disposte in una serie fantasiosa di gruppi e posizioni in diverse parti delle case. La mente di Riley restò sbalordita dinnanzi alla varietà di atti sessuali rappresentati nelle fotografie, alcuni dei quali molto probabilmente erano illegali in molti stati.

Mi sembra davvero piuttosto osceno, pensò Riley.

“Sono stato ironico” Blackwell spiegò. “Ho fatto un'importante dichiarazione sociale. Vivo in una cultura talmente volgare e materialistica. Qualcuno doveva realizzare questo tipo di protesta. Stavo esercitando il mio diritto di libera espressione in un modo del tutto responsabile. Non ne stavo abusando. Non è come urlare “c'è un incendio” in un teatro affollato".

Riley notò che Bill stava cominciando a sembrare indignato.

“E che mi dice dei ragazzini che si sono ritrovati per caso davanti a quelle sue scenette?” Bill domandò. “Non pensava che stava loro facendo del male?”

“No, davvero, proprio no” Blackwell disse piuttosto compiaciuto. “I media fanno di peggio ogni singolo giorno. Non esiste più l'innocenza infantile. E' esattamente quello che stavo provando a comunicare al mondo. Mi spezza il cuore, davvero.”

Sembra davvero sincero, Riley pensò.

Ma le parve ovvio che non era affatto così. Ross Blackwell non aveva un solo frammento di morale o di empatia nel suo corpo. Riley sospettava della sua colpevolezza sempre di più, ad ogni istante che passava.

Dunque tentò di leggere il suo volto. Non fu facile. Come tutti i veri sociopatici, mascherava le sue emozioni con un'eccezionale capacità.

“Mi dica, Ross” lei gli disse. “Le piace stare all'aperto? Voglio dire andare in campeggio e pescare ad esempio".

Il volto di Blackwell s'illuminò con un ampio sorriso. “Oh sì. Sin da quando ero piccolo. Ero un Eagle Scout all'epoca. Talvolta vado da solo nella foresta per settimane. A volte penso di essere stato Daniel Boone in una vita precedente.”

Riley chiese: “Le piace anche andare a caccia?”

“Certo, sempre” lui rispose, entusiasta. “Ho molti trofei a casa. Sa, ho teste di alci e cervi alle pareti. Le appendo tutte da solo. Ho una vera collezione di veri animali impagliati".

Riley strizzò l'occhio a Blackwell.

“Ha un posto preferito? Voglio dire, foreste e posti del genere. Parchi statali e nazionali".

Blackwell si massaggiò il mento in modo pensieroso.

“Vado spesso a Yellowstone” lui disse. “Suppongo che sia il mio parco preferito. Naturalmente, è difficile battere le Grandi Smoky Mountains. Anche Yosemite. Non è facile scegliere".

Bill non poté fare a meno di chiedere: “E il Mosby State Park? O forse quel parco nazionale vicino a Daggett?”

Blackwell sembrò improvvisamente leggermente sospettoso.

“Per quale motivo vuole saperlo?” ribatté a disagio.

Riley seppe che il momento della verità era finalmente arrivato. Infilò una mano nella borsa, ed estrasse le fotografie delle vittime d'omicidio, scattate quando erano ancora vive.

“Può identificare qualcuna di queste donne?” gli chiese.

Gli occhi di Blackwell si spalancarono in segno di allarme.

“No” lui rispose, con voce tremante. “Non le ho mai viste in vita mia".

“Ne è sicuro?” Riley insisté. “Forse i loro nomi le rinfrescheranno la memoria. Reba Frye. Eileen Rogers. Margaret Geraty".

Blackwell apparve sull'orlo di una crisi di panico.

“No” fu la sua risposta. “Non le ho mai viste. Non le ho mai sentite nominare".

Riley studiò il suo volto attentamente per un istante. Infine, comprese pienamente la situazione. Sapeva di aver bisogno di sapere altro su Ross Blackwell.

“Grazie per il suo tempo, Ross” lei disse. “La contatteremo, se avremo bisogno di sapere altro".

Bill apparve sbalordito, mentre lui la seguì fuori dall'area ristorazione.

“Che cosa stava succedendo lì?” scattò. “Che cosa pensi? Lui è colpevole e sa che è nel nostro mirino. Non possiamo perderlo di vista, finché non potremo inchiodarlo.”

Riley sospirò spazientita.

“Pensaci, Bill” replicò. “Hai dato un'occhiato a quanto sia pallida la sua pelle? Nemmeno una sola lentiggine. Quell'uomo ha trascorso forse un solo giorno intero all'aria aperta in vita sua".

“Allora non è davvero un Eagle Scout?”

Riley emise una silenziosa risatina. “No” lei disse. “E scommetto che non è mai stato a  Yellowstone o Yosemite o alle Great Smoky Mountains. E non sa proprio niente sugli animali impagliati".

Ora Bill apparve decisamente imbarazzato.

“Me l'ha fatto davvero credere” Bill disse.

Riley annuì in segno di accordo.

“Naturalmente l'ha fatto” lei disse. “E' un gran bugiardo. Può far credere alle persone che sta dicendo la verità su qualunque cosa. E ama mentire. Lo fa ogni volta che ne ha la possibilità, e più grandi sono le bugie, meglio è".

Lei stette un istante in silenzio.

“Il problema è “ Riley aggiunse, “che è riluttante a dire la verità. Non ci è abituato. Perde la calma quando prova a farlo".

Bill camminò in silenzio al suo fianco per un attimo, provando a ragionarci su.

“Perciò, stai dicendo che —?” lui esordì.

“Lui stava dicendo la verità sulle donne, Bill. Ecco perché sembrava così colpevole. La verità suona sempre come una menzogna quando prova a dirla. Lui non ha sul serio mai visto nessuna di quelle donne in vita sua. Non sto dicendo che non sia capace di commettere un omicidio. Probabilmente lo è. Ma non ha commesso lui questi omicidi.”

Bill brontolò sottovoce: “Dannazione”.

Riley non disse altro per il resto del tragitto fino all'auto. Questo era un ostacolo serio. Più lei ci pensava, più si sentiva agitata. Il vero assassino era ancora là fuori, e loro non avevano ancora un indizio su chi o dove fosse. E sapeva, ne era sicura, che presto avrebbe ucciso di nuovo.

Riley cominciò a sentirsi frustrata per la sua incapacità di risolvere questo caso, ma massacrandosi le meningi, improvvisamente le venne in mente con chi avrebbe avuto bisogno di parlare. Subito.