Kitabı oku: «La Bugia di un Vicino», sayfa 3

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Dev’essere il cellulare del figlio, pensò. E forse i genitori l'hanno truccato per impedirgli di inserire un blocco, così da avere libero accesso.

Le ci volle un momento per capire cosa stava guardando. Vide la faccia di un giovane ragazzo con delle strane fattezze simili a zombie, disegnate sopra la foto. Si accorse che era la schermata di Snapchat. Quello che aveva davanti era un video (o meglio, uno “Snap") che non era ancora stato inviato.

“Santo cielo” sussurrò.

Poi si rese conto di quanto fosse caldo il telefono. Guardò l'indicatore della batteria nell'angolo in alto a destra e vide che era rosso.

Corse verso il corridoio, con il cellulare in mano. “Rhodes, hai visto un caricabatterie per cellulare in giro?” urlò.

Ci fu una pausa, poi Nikki rispose. “Sì. Sul comodino.”

Chloe si precipitò nella stanza. Vide il caricabatterie e lo raggiunse di corsa.

“Cosa c'è?” chiese Nikki.

Chloe non poté fare a meno di pensare: ti piacerebbe saperlo, eh, stronza? Ma tenne il commento per sé, mentre collegava il caricabatterie al telefono.

“Penso che il figlio fosse su Snapchat quando è arrivato l'assassino. E penso che stesse per mandare uno snap a un amico. Solo che non c’è mai riuscito.”

Riprodusse il video: un ragazzo, che doveva avere dodici o tredici anni, faceva la linguaccia; il viso era deformato da un filtro con effetto zombie. Due secondi dopo, risuonò il primo colpo di pistola. L’immagine si mosse, poi arrivò il secondo sparo. Il ragazzino cadde sul pavimento, l’immagine si mosse di nuovo, poi lo schermo diventò nero.

Lo snap finiva lì. Il tutto era durato più o meno cinque secondi.

“Fallo ripartire” disse Nikki.

Chloe riprodusse da capo il video, questa volta prestando attenzione ai momenti in cui l’inquadratura si spostava. Per circa un quarto di secondo, si vedeva la sagoma di una persona in piedi nel corridoio, che entrava nel soggiorno. Era breve, ma visibile. E poiché il telefono era di ultima generazione, l’immagine era abbastanza nitida nonostante il movimento. Chloe non riusciva a distinguere un volto con il suo occhio inesperto, ma sapeva che il Bureau non avrebbe avuto problemi ad eseguire un’analisi fotogramma per fotogramma.

“Questa è praticamente una prova schiacciante” commentò Nikki. “Dove hai trovato il telefonino?”

“Sotto la scrivania contro il muro del soggiorno.”

Chloe capì che la collega era eccitata dalla scoperta, ma non voleva darlo a vedere.

Infatti si limitò ad annuire e tornò a cercare le impronte sotto la finestra.

Entrambe avevano capito che, grazie al video di Snapchat, il loro lavoro lì era praticamente concluso. Avevano la prova perfetta ormai, e continuare a cercarne altre non aveva molto senso.

Chloe decise di stare al gioco, per non aumentare la tensione tra loro. Prese il cellulare e lo portò con sé in soggiorno. Attraversò la cucina e iniziò ad estrarre i bossoli di proiettile dal muro. Ma sapeva che la chiave del caso era nel telefonino, in attesa di consegnare l'assassino alla giustizia. E nella sua mente non poteva evitare di avere l’impressione che fosse stato tutto troppo facile. Era sicura che anche Nikki stesse pensando la stessa cosa – oltre a cercare un modo per far sì che la situazione si ritorcesse contro Chloe.

CAPITOLO QUATTRO

Tornarono al quartier generale dell'FBI due ore dopo, con abbastanza prove per individuare un sospettato entro la fine della giornata. Il video di Snapchat era quella più eclatante, ma erano anche riuscite a trovare due nitide impronte digitali, l'orma sulla moquette e due capelli impigliati nella cornice della finestra della camera da letto.

Presentarono le prove al vicedirettore Garcia, seduto a un tavolino in fondo al suo ufficio. Quando Chloe gli mostrò quello che aveva trovato sul cellulare, lo vide cercare di trattenere un sorriso soddisfatto. Sembrava anche contento di come Nikki Rhodes avesse imbustato e catalogato in modo estremamente professionalmente tutte le prove trovate.

Forse anche lei dovrebbe cambiare dipartimento, pensò Chloe con astio.

“Avete fatto un lavoro incredibile” disse Garcia alzandosi dal tavolo e guardandole come se fossero le sue migliori studentesse. “Siete state rapide e scrupolose, non dubito che riusciremo ad arrestare il colpevole grazie a questo.”

Entrambe ringraziarono e Chloe notò con piacere che anche Nikki era a disagio nell'accettare i complimenti, proprio come lei.

“Agente Fine, ho ricevuto una chiamata dal direttore Johnson poco prima che arrivaste. Vuole incontrarla tra una quindicina di minuti. Agente Rhodes, perché non va in laboratorio per vedere come vengono elaborate le prove?”

Nikki annuì, recitando ancora la parte della studentessa modello. Quanto a Chloe, si sentì di nuovo prendere dal panico. Quando aveva parlato con Johnson il giorno prima, lui l’aveva colta di sorpresa con la sua proposta inaspettata. Che cosa aveva in mente, ora?

Tenendo quegli interrogativi per sé, attraversò il corridoio verso il suo ufficio. Quando entrò nella piccola reception, vide che la porta era chiusa. La segretaria indicò una delle sedie addossate alla parete, mentre era intenta a parlare con qualcuno al telefono. Chloe si accomodò e finalmente si concesse un momento per riflettere su ciò che quel giorno significava per lei e per la sua carriera.

Da un lato, aveva scoperto una prova determinante che avrebbe probabilmente portato all'arresto di un membro della banda che aveva sterminato un'intera famiglia. Ma, allo stesso tempo, aveva commesso un errore da principiante, potenzialmente danneggiando un’orma praticamente perfetta. Immaginava che il suo errore sarebbe passato in secondo piano, grazie al video di Snapchat. Tuttavia, si sentiva in imbarazzo per essere stata rimproverata da Nikki Rhodes a quel modo. Sperò che il suo successo servisse in qualche modo per annullare il suo errore.

La porta dell'ufficio di Johnson si aprì, interrompendo i suoi pensieri. Chloe vide Johnson affacciarsi dalla porta. Quando la vide non disse nulla, facendole solo cenno di entrare nel suo ufficio. Era impossibile dire se avesse semplicemente fretta o fosse arrabbiato.

Entrò nel suo ufficio e, quando ebbe chiuso la porta dietro di lei, Johnson le indicò la sedia dall'altra parte della scrivania, un posto che le stava diventando sempre più familiare. Una volta seduta, Chloe credette di riuscire finalmente a leggere la sua espressione. Era abbastanza sicura che fosse irritato per qualcosa.

“La informo che ho appena parlato al telefono con l'agente Rhodes. Mi ha raccontato di come ha praticamente calpestato un'impronta sulla scena del crimine.”

“È andata esattamente così.”

Annuì, deluso. “Sono combattuto perché, da un lato, anche lei è nuova e il fatto che mi abbia chiamato per fare la spia mi fa arrabbiare; ma allo stesso tempo, sono felice che me lo abbia detto. Perché anche se questo è il suo primo giorno, è importante fare attenzione a cose del genere. Intendiamoci, non è che io chiami nel mio ufficio tutti gli agenti che commettono un errore. Nel suo caso, però, ho pensato che fosse meglio parlarne di persona, dato che l’ho presa in contropiede con la mia proposta dell’ultimo istante. Ritiene che sia questo il motivo del suo errore?”

“No, è stata semplicemente una svista da parte mia. Ero talmente concentrata sulla finestra che non ho nemmeno notato quell’orma.”

“È comprensibile, seppure da sbadati. Ma il vicedirettore Garcia mi ha detto che ha trovato una prova che dovrebbe condurci direttamente a un arresto: un cellulare con la schermata di Snapchat aperta. È così?”

“Sì, signore.” E per ragioni che non comprendeva, avrebbe voluto aggiungere: Ma chiunque avrebbe potuto trovarlo, davvero. È stato un puro colpo di fortuna.

“Mi considero un uomo abbastanza indulgente” disse Johnson. “Ma sappia che altri errori come quello potrebbero portare a conseguenze abbastanza serie. Per ora, però, voglio che lei e l’agente Rhodes vi occupiate di un altro caso. Crede che sia un problema lavorare con lei?”

Avrebbe risposto tranquillamente di sì, ma non voleva sembrare meschina. “No, direi di farcela.”

“Ho dato un'occhiata al suo fascicolo. I suoi istruttori dicono che è incredibilmente perspicace, ma ha la tendenza a provare a fare le cose da sola. Quindi il mio consiglio è di non lasciarle prendere il pieno controllo di un caso.”

Sì, me n’ero già accorta, pensò Chloe.

“A onor del vero, l'ho già avvertita al riguardo” proseguì. “Le ho anche detto che non apprezzo quando i nuovi agenti tentano di buttare i compagni nella fossa dei leoni. Quindi mi aspetto che si dia una regolata, durante le prossime indagini. Il vice Garcia e io lo supervisioneremo da qui in poi, solo per assicurarci che tutto venga fatto secondo le regole.”

“D’accordo, grazie.”

“A parte il fatto che ha rischiato di rovinare un’impronta, credo che oggi abbia fatto un ottimo lavoro. Vorrei che passasse il resto della giornata a scrivere un rapporto sulla scena del crimine e le sue interazioni con l'agente Rhodes.”

“Sì, signore. C’è altro?”

“È tutto, per ora. Ma... come le dicevo... se crede che questo cambiamento dell'ultimo minuto nei suoi piani stia influenzando negativamente il suo lavoro, me lo faccia sapere.”

Lei annuì, alzandosi. Quando uscì dall'ufficio, si sentì come se avesse appena schivato un proiettile, oppure come un bambino che era stato mandato nell'ufficio del preside, per ricevere solo un rimprovero formale. Tuttavia, adesso che Johnson aveva elogiato il suo lavoro, la sua mente era più tranquilla.

Tornò al suo cubicolo con la testa in subbuglio. Si chiese se fosse mai accaduto prima che un nuovo agente fosse stato convocato due volte nell'ufficio del direttore in meno di quarantotto ore. La faceva sentire al tempo stesso euforica e sotto esame.

Mentre aspettava l'ascensore, vide un altro agente che girava l'angolo. Chloe lo riconobbe: era parte del gruppetto di nuovi agenti del ViCAP, che aveva conosciuto il giorno prima.

“Sei l'agente Fine, vero?” disse con un sorriso.

“In persona” rispose lei, non sapendo cosa potesse volere da lei.

“Mi chiamo Michael Riggins. Ho appena saputo del caso a cui tu e la Rhodes siete stati assegnate. L’omicidio di una famiglia legata alle gang. Si dice che ci sia già un arresto in corso. Dev’essere una specie di record, eh?”

“Non ne ho idea” disse, anche se sapeva che era successo tutto molto velocemente.

“Ehi, sai, non tutti gli agenti al loro primo giorno sono scesi in campo, oggi” disse Riggins. “Alcuni sono rimasti in ufficio, a sbrigare pratiche o fare ricerche. Io e altri ci siamo già messi d’accordo per andare fuori a bere qualcosa, dopo il lavoro. Dovresti venire anche tu. È un locale a due isolati da qui, il Reed's Bar. Il racconto del tuo successo potrebbe servirci per risollevare gli animi. Magari però non invitare la Rhodes. Ad alcuni... anzi, a nessuno piace.”

Chloe sapeva che era meschino, ma non riuscì a trattenere un sorriso a quel commento. “Potrei anche venire” disse. Era la migliore risposta che poteva dare... molto meglio che spiegare che era molto introversa e non era il tipo da frequentare locali in compagnia di persone che non conosceva.

L'ascensore arrivò e le porte si spalancarono. Chloe entrò salutando Riggins con la mano. Era bizzarro avere qualcuno invidioso della sua situazione, specialmente dopo la conversazione che aveva avuto con Johnson. Era una sensazione che quasi quasi le faceva proprio venire voglia di andare in quel locale, anche solo per un drink e una mezz'ora del suo tempo. L'alternativa era tornare al suo appartamento e continuare a disfare i bagagli. E quella prospettiva non era certo allettante.

L'ascensore la portò al terzo piano, dove si trovava il suo cubicolo, accanto ad altri. Mentre camminava in corridoio, incrociò Nikki Rhodes. Pensò di salutarla, o di ringraziarla sarcasticamente per il colloquio fuori programma con Johnson. Ma alla fine, decise di fare la superiore. Non avrebbe preso parte ai suoi giochetti.

Tuttavia, bastò quell’incontro fatto di mute occhiatacce per spingere Chloe a prendere una decisione: sì, sarebbe andata in quel locale. E se le cose non fossero migliorate prima di sera, avrebbe bevuto ben più di un bicchiere.

Sembra che stia succedendo spesso, ultimamente, si disse.

Era un pensiero che la tormentò per tutto il resto della giornata, ma, proprio come i pensieri ricorrenti su suo padre, riuscì a spingere anche quello negli angoli più reconditi della sua mente.

CAPITOLO CINQUE

Quando arrivò al locale alle 18:45, era più o meno ciò che si era aspettata. Vide diversi volti che le erano familiari, ma nessuno che conoscesse bene. E questo perché non c’era nessuno che conoscesse bene. Un altro svantaggio del fatto che Johnson le avesse fatto cambiare dipartimento all’ultimo minuto era il fatto che ben poche delle persone nel ViCAP avevano seguito i suoi stessi corsi di formazione.

I due volti che le erano più noti erano di due ragazzi. Il primo era Riggins, che era seduto con un altro agente, intento a parlare animatamente di qualcosa. Poi c’era Kyle Moulton, il bell’agente che si era offerto di portarla a pranzo dopo la prima fase dell’orientamento – lo stesso agente che l’aveva in un certo senso colpita quando le aveva chiesto se avesse mai avuto tendenze violente. Si sentì un po’ scoraggiata nel vederlo intento a chiacchierare con altre due donne. D’altronde, non c’era da stupirsi: Moulton era bello da morire. Somigliava un po’ a Brad Pitt da giovane.

Decise di non interromperlo, andando invece a sedersi con Riggins. Per quanto potesse sembrare presuntuoso, le piaceva l’idea di uscire con qualcuno che aveva espresso ammirazione per il suo successo di quella mattina.

“Questo sgabello è occupato?” chiese, accomodandosi accanto a lui.

“Niente affatto” disse Riggins. Sembrava sinceramente felice di vederla, e le guance paffute si allargarono in un sorriso. “Sono contento che tu abbia deciso di venire. Posso offrirti da bere?”

“Ma certo. Solo una birra per ora.”

Riggins chiamò il barista e gli fece segnare il primo drink di Chloe sul suo conto. Lui aveva appena finito un rum e Cola, e ne approfittò per ordinarne un secondo.

“Com’è andato il tuo primo giorno?” chiese Chloe.

“Bene. Ho passato la maggior parte del tempo impegnato a fare ricerche per un caso su un trafficante di droga. Sembra noioso, ma in realtà mi è piaciuto parecchio. Allora, com’è stato lavorare al fianco della Rhodes per un’intera giornata?” volle sapere Riggins. “Certo, risolvere il caso dev’essere stato fantastico, ma si sa che quella è un tipo difficile con cui avere a che fare.”

“Tra noi c’era parecchia tensione. È un’agente fantastica, ma...”

“Avanti, dillo” la esortò Riggins. “Io non posso chiamarla stronza perché non mi piace dare della stronza a una donna davanti a un’altra donna.”

“Non è una stronza” ribatté Chloe. “È solo molto diretta e scrupolosa.”

La conversazione proseguì ancora un po’, restando molto informale. Chloe diede qualche sbirciata in direzione dell’agente Moulton. Una delle donne se n’era andata, quindi ne rimaneva una soltanto, con cui stava ancora parlando, chino verso di lei e sorridente. Chloe tendeva ad essere un po’ ingenua quando si trattava di relazioni, ma era abbastanza certa che Moulton fosse innamorato di quella donna.

Provò una fitta di delusione inaspettata. Erano passati solo due mesi da quando lei e Steven si erano lasciati. Chloe immaginò di sentirsi interessata a Moulton solo perché era stato il primo a comportarsi in modo amichevole con lei dopo che Johnson le aveva fatto mancare la terra sotto i piedi. Inoltre, non era per niente allettante l’idea di tornare al suo nuovo appartamento da sola. Anche il fatto che Moulton fosse incredibilmente bello giocava un ruolo importante.

Sì, è stato un errore uscire. Posso bere spendendo molto meno a casa.

“Va tutto bene?” Chiese Riggins.

“Sì, credo di sì. È stata solo una lunga giornata. E domani se ne preannuncia una altrettanto lunga.”

“Torni a casa in macchina o a piedi?”

“In macchina.”

“Ah... allora è meglio che non ti offra un altro drink, eh?”

Chloe sorrise, suo malgrado. “Come sei responsabile.”

Lanciò un'occhiata a Moulton e alla donna con cui stava parlando. Al momento si stavano entrambi alzando. Mentre si dirigevano all’uscita, Moulton posò delicatamente la mano sulla parte bassa della schiena della donna.

“Posso chiederti che cosa ti ha spinto a intraprendere la strada che ti ha portata a una carriera come questa?” chiese Riggins.

Lei sorrise nervosamente e finì la sua birra. “Problemi familiari”, rispose. “Grazie per avermi invitato, Riggins, ma devo tornare a casa.”

Lui annuì, come se avesse capito. Chloe si accorse anche che si guardò lentamente intorno nel locale e vide che era l'unico a rimanere. Questo le fece pensare che forse Riggins aveva alcuni fantasmi personali con cui stava lottando.

“Abbi cura di te, agente Fine. Ti auguro che domani tu possa avere lo stesso successo di oggi.”

Chloe uscì dal locale, già facendo programmi per il resto della serata. Aveva ancora degli scatoloni da disfare, un letto da montare e una assortimento di biancheria da lavare e di utensili di cucina da mettere via.

Non è esattamente la vita eccitante che mi aspettavo, pensò con un po’ di sarcasmo.

Mentre si dirigeva verso la sua auto, ancora nel parcheggio sotto il quartier generale dell'FBI, il suo telefono squillò. Quando vide il nome sul display, si sentì invadere dalla rabbia e fu tentata di non rispondere.

Steven. Non aveva idea del perché la stesse chiamando, e fu proprio per questo che decise di rispondere. Sapeva che, se non l'avesse fatto, quella domanda l'avrebbe fatta impazzire.

Rispose alla chiamata, detestando sentirsi immediatamente nervosa. “Ciao, Steven.”

“Chloe. Ehi.”

Chloe aspettò, sperando che si sbrigasse a dirle cosa volesse. Ma non era da Steven arrivare dritto al punto.

“Va tutto bene?” chiese lei.

“Sì, è tutto a posto. Scusa... non ho nemmeno pensato a cosa avresti potuto pensare vedendo la mia chiamata...”

Smise di parlare, ricordando a Chloe uno dei suoi tanti piccoli e fastidiosi difetti, che non si era mai reso conto di avere.

“Cosa vuoi, Steven?”

“Voglio che ci troviamo per parlare” disse. “Così, giusto per riallacciare i contatti e aggiornarci.”

“Non credo proprio che sia una buona idea.”

“Non ho secondi fini” le assicurò. “Te lo giuro. È solo che... sento che ci sono alcune cose di cui devo scusarmi. E poi ho bisogno... anzi, tutti e due abbiamo bisogno di una chiusura. Non credi?”

“Parla per te. Le cose sono già sistemate per me. Non è necessaria alcuna chiusura.”

“D’accordo, allora consideralo un favore. Voglio solo una mezz'oretta. Mi piacerebbe togliermi alcuni pesi dal petto. E a dirla tutta... mi piacerebbe vederti ancora una volta.”

“Steven... sono occupata. La mia vita è incasinata adesso, e...”

Si fermò, non era nemmeno sicura di come proseguire. In realtà, non è che avesse un’agenda fitta di impegni che le avrebbe impedito di incontrarsi con lui. Sapeva che a Steven anche solo fare quella telefonata doveva essere costato uno sforzo enorme. Aveva dovuto umiliarsi, il che non era qualcosa che gli fosse mai riuscito bene.

“Chloe...”

“Va bene. Mezz'ora. Ma non verrò lì da te. Se vuoi vedermi, devi venire tu a Washington. Le cose sono incasinate qui, adesso, e non posso...”

“Ok, vengo io. Quando sarebbe un buon momento per te?”

“Sabato. All’ora di pranzo. Ti scriverò dove per messaggio.”

“Per me va bene. Grazie mille, Chloe.”

“Prego.” Sentì che avrebbe dovuto dire qualcos’altro, una cosa qualunque per alleviare la tensione. Ma alla fine, tutto quello che disse fu “Ciao, Steven”.

Terminò la chiamata e rimise in tasca il telefonino. Non poté fare a meno di chiedersi se avesse ceduto solo perché si sentiva piuttosto sola. Pensò all'agente Moulton e si chiese dove fosse andato insieme alla sua amica. Ma soprattutto, si domandò perché le importasse così tanto.

Raggiunse l’auto e tornò a casa, mentre le strade di Washington cominciavano a scurirsi nel crepuscolo. Era una città straordinaria; nonostante il traffico e la strana fusione di storia e commercio, era in qualche modo bellissima lo stesso. Quel pensiero rese Chloe malinconica, mentre si dirigeva verso il suo appartamento – un appartamento nuovo, che si era ritenuta fortunata a trovare, ma che ora le sembrava un’isola lontana da tutto e da tutti.

***

Quando il cellulare trillò, il mattino dopo, Chloe si sentì emergere dalla foschia di un sogno. Cercò di afferrarne gli ultimi brandelli mentre fuggiva da lei, ma poi si fermò, chiedendosi se ne valesse la pena. Gli unici sogni che faceva ultimamente erano su suo padre, tutto solo in prigione.

Le sembrò di poter persino sentire la sua voce canticchiare un vecchio pezzo di Johnny Cash, che aveva cantato spesso nel loro appartamento quando era bambina. “A Boy Named Sue” ricordò. O forse no. Tutte quelle canzoni iniziavano a sembrarle uguali.

Ad ogni modo, era “A Boy Named Sue” la canzone che aveva in mente quando era stata svegliata. Quando staccò il telefono dal caricatore sul comodino, vide che segnava le 6:05 – appena venticinque minuti prima della sveglia che aveva impostato.

“Pronto, parla l’agente Fine” rispose.

“Agente Fine, sono il vicedirettore Garcia. Vorrei che venisse nel mio ufficio subito. Diciamo entro un'ora. Ho un caso che voglio affidare a lei e all’agente Rhodes il prima possibile, stamattina.”

“Sì, signore” disse, alzandosi. “Sarò lì subito.”

In quel momento, non le importava di dover passare un altro giorno con Nikki Rhodes. Tutto quello che le importava era che, fino a quel momento, il suo punteggio con i casi era 1-0, ed era impaziente di migliorare quel risultato.

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