Kitabı oku: «La Bugia Perfetta», sayfa 3

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CAPITOLO QUATTRO

Fu come se nella testa di Jessie si fosse accesa la luce.

Nel momento in cui chiuse la portiera dell’auto e guardò l’edificio che ora conteneva il cadavere di una donna, la sua mente si schiarì. Tutti i pensieri che ruotavano attorno al suo padre assassino, alla sua sorellastra orfana e alle proprie mezze probabilità sentimentali svanirono.

Lei e Ryan erano sul marciapiede vicino all’angolo tra la Sunset e la Vine e guardavano la zona. Questo era il cuore di Hollywood e Jessie era stata qui un sacco di volte. Ma era sempre successo per una cena, un concerto, o un film oppure uno spettacolo dal vivo. Non si era mai veramente concentrata su questo posto pensandolo come un luogo dove c’era gente normale che lavorava, viveva e a quanto pareva moriva.

Per la prima volta notò che tra le torri di uffici, i ristoranti e i teatri, molti degli edifici erano come quelli del suo quartiere, con attività commerciali al piano terra e appartamenti ai piani superiori.

In fondo alla strada vide un condominio di dieci piani con un Trader Joe’s al piano terra. Dalla parte opposta della strada c’era una palestra Solstice alla base di un edificio che doveva avere venti piani. Si chiese se i residenti avessero degli sconti sugli abbonamenti, ma ne dubitava. Quel posto era incredibilmente costoso.

Sembrava che il condominio in cui risiedeva la vittima fosse un po’ meno di lusso. Aveva diversi ristoranti e un centro yoga al primo piano. Ma c’erano anche una farmacia Walgreens e un Bed, Bath & Beyond. Mentre percorrevano il marciapiede verso l’ingresso principale, dovettero allargarsi per lasciare spazio a una fila di barboni accampati lungo la parete dell’edificio. Molti di loro non erano ancora svegli, ma c’era una donna anziana seduta a gambe incrociate che borbottava tra sé e sé.

Passarono oltre senza fare commenti e arrivarono all’ingresso dell’edificio. Confronto al condominio dove abitava ora Jessie, la sicurezza qui era uno scherzo. C’era un ingresso a bussola che richiedeva una carta d’accesso e un’altra chiave era necessaria per chiamare l’ascensore. Ma quando lei e Ryan si furono avvicinati all’entrata, un residente tenne la porta aperta per loro e attivò il sensore dell’ascensore senza chiedere loro niente. Jessie notò delle videocamere fisse nell’atrio e nell’ascensore, ma sembravano di fattura economica. Ryan premette il pulsante per l’ottavo piano e nel giro di pochi secondi si trovarono a destinazione, senza aver incontrato la minima difficoltà.

“È stato facile,” disse Ryan, mentre percorrevano il corridoio esterno in direzione del nastro messo dalla polizia, dove c’erano anche diversi agenti all’opera.

“Fin troppo facile, dire,” commentò Jessie. “Mi rendo conto di essere una matta quando si tratta di sicurezza personale, ma questo posto è davvero patetico, soprattutto considerato il circondario.”

“È molto più sicuro di quanto fosse vent’anni fa,” le ricordò Ryan.

“Vero. Ma solo perché non hai spacciatori di droga e prostitute in bella vista a ogni angolo non significa che adesso sia Disneyland.”

Ryan non rispose. Nel frattempo avevano raggiunto l’appartamento della vittima. Lui mostrò il suo cartellino identificativo e lei la sua carta d’identità da profiler del Dipartimento di Polizia di Los Angeles.

“I detective della divisione di Hollywood sono già venuti e ripartiti,” disse perplesso un agente.

“Stiamo solo facendo da appoggio alla Sezione Speciale Omicidi,” mentì Ryan. “È più che altro un favore da parte del nostro capitano. Ci farebbe piacere se mandasse qualcuno ad accompagnarci sulla scena del crimine, anche se dovranno ripetere le stesse cose.”

“Nessun problema,” rispose l’uomo. “L’agente Wayne è il primo responsabile sulla scena. Vi chiamo lui.”

Mentre l’uomo comunicava tramite radio con l’altro agente, Jessie si guardò attorno. La porta d’ingresso era aperta ora, come anche la finestra accanto. Si chiese se anche prima si fossero trovate in quella posizione. Era difficile immaginare che una donna single, nel cuore di Hollywood, lasciasse una finestra aperta se questa era accessibile dall’esterno. Era quasi un invito per eventuali problemi.

L'appartamento della vittima si trovava dalla parte opposta degli ascensori, all’estremità di un corridoio a forma di ‘C’. Questo significava che l’appartamento era visibile a chiunque percorresse i corridoi. Jessie sarebbe stata curiosa di sapere se qualcun altro avesse mai perlustrato quegli appartamenti.

In quel momento un agente uscì dall’appartamento per accoglierli. Era di corporatura pesante e con un’incipiente calvizie, con pochi capelli che stavano attaccati alla testa sudata. Sembrava essere sulla quarantina e aveva quella sorta di aspetto di chi ‘ha visto tutto’, che poteva essere un aiuto o un impedimento, a seconda dell’atteggiamento.

“Agente John Wayne,” disse porgendo la mano a Ryan. “Ho già sentito tutte le possibili battute immaginabili al riguardo, quindi possiamo andare avanti. Cosa posso fare per voi?”

“È veramente identico,” disse Ryan, non riuscendo a trattenersi.

Jessie gli diede un pugno al braccio e poi riportò l’attenzione sul poliziotto, che sembrava non essere per niente turbato dal commento.

“Scusi, agente Wayne,” disse Jessie. “Grazie per il suo tempo. Sappiamo che i detective di Hollywood hanno già lavorato sulla scena. Ma speravamo che potesse farci fare un giro comunque. Questo caso ha un sacco di dettagli che corrispondono a una cosa sulla quale stiamo lavorando e vorremmo vedere se c’è davvero una connessione.”

“Certamente, venite dentro,” disse lui, rientrando nell’appartamento e porgendo loro dei copri-scarpe di plastica.

Jessie e Ryan li infilarono, insieme ai guanti, ed entrarono.

“Alcuni dei effetti della vittima sono già stati messi da parte come prova,” disse Wayne. “Ma possiamo darvi un elenco dettagliato.”

“Niente che l’abbia particolarmente colpita?” chiese Ryan.

“Un paio di cose,” rispose l’agente. “Non ci sono segni di scasso. C’erano dei soldi nella sua borsetta. Il telefono era sul comodino.”

“Se non le spiace,” chiese Jessie, “prima che lei ci fornisca il resto dei dettagli, vorrei prendermi un momento per valutare il posto senza nessun preconcetto.”

L’agente Wayne annuì. Jessie fece un lungo e profondo respiro, permise al suo corpo di rilassarsi e iniziò a tracciare un profilo della vittima. Il salotto era arredato in maniera essenziale con mobili che sembravano essere stati acquistati all’Ikea. C’erano pochi quadri alle pareti e nessuna foto in mostra. L’unico tocco personale era un certificato da personal trainer appeso alla parete.

Jessie entrò nella cucina quasi intatta. Non c’erano piatti sporchi nel lavandino, né stoviglie pulite nello sgocciolatoio. Sul bancone era appoggiato un canovaccio pulito e ben piegato. Accanto ad esso si trovavano diversi contenitori di pastiglie, ciascuno contrassegnato da giorni della settimana, tutti disposti in estremo ordine. Jessie non li toccò, ma da quello che poteva dire, le pillole all’interno sembravano essere integratori e vitamine. Notò che quelle del lunedì e del martedì non erano state prese. Ora era mercoledì mattina.

Si guardò attorno osservando il resto della cucina. Il rotolo della carta assorbente era quasi intero. Aprendo le diverse ante della credenza, trovò dozzine di lattine di fagioli e tacchino macinato, un sacco di barrette proteiche e contenitori di proteine del siero del latte.

Il frigorifero era mezzo vuoto, ma il contenuto comprendeva due confezioni da litro di latte, diversi contenitori di yogurt greco e un’enorme busta di spinaci. Il congelatore era un miscuglio di mirtilli, fragole e açaí surgelati, oltre a un contenitore Tupperware con all’interno quella che sembrava una zuppa di noodle al pollo. All’esterno della confezione era attaccato un post-it che diceva “da mamma, 11/2018”. Era più di un anno fa.

I tre percorsero il corridoio verso la camera da letto, dove li attendeva il corpo. L’odore di carne putrefatta inondò le narici di Jessie. Lei si concesse un attimo per abituarvisi, poi si fermò un momento nel bagno, che non era ordinato come il resto della casa. Era evidente che la donna trascorreva buona parte del suo tempo là dentro.

“Come si chiamava la vittima?” chiese Jessie. Era sul documento che Ryan le aveva dato alla centrale, ma lei aveva volutamente evitato di annotarselo.

“Taylor Jansen,” disse l’agente Wayne. “Era…”

“Scusi, agente,” lo interruppe Jessie. “Non voglio sembrare maleducata, ma la prego di trattenere qualsiasi altro dettaglio ancora per un po’.”

Guardò poi con attenzione il comò di Taylor. Per quanto apparentemente non si curasse di tenere rifornita la cucina, a quanto sembrava lo stesso non valeva per il bagno. Lo scaffale era pieno zeppo di trucchi, inclusa una confezione aperta di ombretti e diversi rossetti. Due spazzole e un pettine erano appoggiati in un angolo, accanto a una boccettina di profumo.

L’armadietto dei medicinali era pieno di prodotti da banco come Advil, Benadryl e Pepto-Bismol, ma non c’erano flaconi di medicinali che richiedevano ricetta. Nella doccia c’erano diversi rimasugli di bottiglie di shampoo e balsamo, alcuni detergenti viso, un rasoio per le gambe, crema da epilazione e una saponetta.

Jessie uscì dalla stanza e il forte odore che era stato temporaneamente mascherato dai profumi del bagno la colpì di nuovo. Lei si guardò alle spalle osservando il corridoio e notando ancora una volta la completa assenza di oggetti personali alle pareti.

“Prima di entrare in camera,” disse rivolgendosi a Wayne, “mi faccia sapere su quanti di questi elementi ho ragione. Taylor Jansen è single, bianca, attraente e sui trent’anni. Lavora qui vicino e viaggia spesso. Ha pochi amici. È molto attenta ai dettagli. E ha tanti soldi da potersi permettere un posto molto migliore di questo.”

Wayne sgranò gli occhi per un secondo prima di rispondere.

“Aveva precisamente trent’anni,” le disse. “Li ha compiuto il mese scorso. È bianca e pare sia stata molto carina. Lavora qui vicino, alla palestra che si trova a neanche un isolato da qui. Stiamo ancora raccogliendo informazioni sullo stato delle sue relazioni. Ma il suo collega, quello che l’ha trovata, dice che al momento non frequentava nessuno. Lui è attualmente qua sotto che sta riconfermando la sua dichiarazione, se poi volete parlargli. Non so dirvi nulla di viaggi e situazione finanziaria, ma lui magari sì.”

“Vorremmo parlargli non appena avremo finito qui,” disse Ryan, poi si rivolse a Jessie. “Sei pronta ad entrare?”

Lei annuì. Non le era sfuggito il fatto che, tranne poche eccezioni, la sua descrizione di Taylor Jansen poteva essere anche quella di se stessa. Avrebbe compiuto trent’anni tra poche settimane. Il suo appartamento in centro era spartano quanto questo e non perché lei non avesse il tempo di personalizzarlo. Poteva contare sulle dita di una mano i propri buoni amici. E a parte il suo recente matrimonio con un uomo che aveva tentato di ammazzarla, non aveva alcuna relazione, messa da parte la sua recente conversazione con Ryan. Se fosse morta domani, l’analisi di un altro profiler non sarebbe forse stata tanto diversa da quella che lei aveva fatto della donna che si trovava ora dietro quella porta.

“Ne volete un po’?” chiese Wayne mentre si metteva della crema all’eucalipto subito sotto alle narici. Aiutava a contrastare i brutti odori che li circondavano.

“No, grazie,” disse Jessie. “Per quanto faccia schifo, ho bisogno che tutti i miei sensi siano in piena forza quando sono su una scena. Eliminare l’olfatto potrebbe mascherare qualche importante elemento.”

“Lo stomaco è suo,” disse Wayne scrollando le spalle e aprendo la porta.

Quasi immediatamente, Jessie si pentì della decisione presa.

CAPITOLO CINQUE

La puzza era fortissima. La donna doveva essere morta da due o forse addirittura tre giorni. Era distesa a letto con le coperte scostate, e indossava un paio di pantaloncini da palestra e un reggiseno sportivo. Non c’erano evidenti segni di lotta nel modo in cui era posizionata o nella stanza in generale. Non sembrava che niente fosse stato buttato a terra. Non c’era nulla di rotto. Le cose che indossava erano intatte. Non c’erano evidenti lividi o tagli.

Ovviamente questo non provava niente. Se si trattava di un delitto, il colpevole aveva avuto un sacco di tempo a disposizione per risistemare la stanza e posizionare al meglio Taylor prima di andarsene. Le impronte sugli oggetti nella stanza, incluso il corpo, avrebbero potuto offrire dell’aiuto su quel fronte. Ma almeno a primo colpo d’occhio, non c’era niente fuori posto.

Jessie si avvicinò per guardare meglio la vittima. Gli assistenti del medico legale, che stavano per inserire il cadavere nel sacchetto di plastica, fecero un passo indietro lasciandole spazio.

Il volto di Taylor Jansen era blu e gonfio. Gli occhi erano chiusi. L’addome che aveva chiaramente mantenuto sodo e tonico con un sacco di esercizio era ora rilassato, risultato dei gas che si erano formati all’interno del corpo dopo la morte. Anche in quella condizione, Jessie poteva confermare che era stata una donna molto bella.

“Qualcuno l’ha toccata?” chiese Ryan.

“Solo per prendere le impronte,” gli assicurò Wayne.

“Pare che sia morta nel sonno,” notò Ryan. “Non c’è da stupirsi che la prima ipotesi sia suicidio. Magari quelle pillole in cucina non sono proprio tutte vitamine. Sono molto curioso di vedere il resoconto tossicologico.”

Jessie si chinò in avanti e notò gli ematomi ora quasi sbiaditi sui polsi e sul collo di Taylor. dato lo scolorimento e il gonfiore della pelle, era difficile dire quanto fossero vecchi. Ma se lei avesse dovuto indovinare, avrebbe detto un paio di giorni.

“La finestra vicino alla porta d’ingresso è sempre stata aperta?” chiese Jessie. “O l’ha aperta qualcuno dopo aver trovato la donna?”

“Secondo quanto dice il suo collega, era leggermente aperta quando lui è arrivato. Ha detto di aver bussato alla porta e di aver tentato di aprirla. Ma era chiusa a chiave, quindi ha usato la finestra per entrare.”

Jessie annuì, allontanandosi dal corpo di Taylor e portandosi verso l’armadio. Aprì l’anta scorrevole e lanciò un’occhiata all’interno. Sembrava che tre quarti del suo guardaroba comprendessero esclusivamente abbigliamento da palestra e indumenti intimi. Jessie si voltò verso Ryan e l’agente Wayne.

“Dobbiamo decisamente parlare con il suo collega,” disse.

*

Vin Stacey aveva un aspetto davvero misero, seduto sul sedile posteriore dell’auto di pattuglia parcheggiata fuori dal condominio.

“Lo state tenendo in custodia?” chiese Jessie all’agente dall’espressione annoiata che si trovava accanto all’auto.

“No. Gli abbiamo solo chiesto di stare qui ad aspettare che voi scendeste a parlargli.

“Sa che non è tenuto ad aspettare in auto? Perché dalla sua faccia sembra che pensi che l’abbiate arrestato.”

“Non gli abbiamo chiarito la natura della nostra richiesta,” ammise timidamente l’agente. “Gli abbiamo solo detto di aspettare nel veicolo per delle altre domande.”

“Quindi pensa di essere sotto arresto?” chiese Jessie incredula.

“Non so quale impressione abbia, signora. Noi abbiamo solo espresso la nostra richiesta.”

Jessie guardò Ryan, che non sembrava essere irritato quanto lei.

“Non dici niente?” gli chiese.

“No,” disse lui. “Ma non posso negare di aver usato la stessa tattica in passato. È un modo per tenere una persona ferma dove si vuole senza doverla arrestare formalmente.”

“Ma pensavo che non fosse più un sospettato,” ribatté Jessie.

“Tutti sono sospettati. Lo sai.”

“Okay,” gli concesse Jessie. “Ma nel frattempo lui se ne sta seduto lì con l’intero mondo che gli passa accanto pensando che lo abbiano arrestato per qualcosa.”

“Immagino che allora dovremmo chiarire la cosa,” disse Ryan con tono piatto.

Jessie lo guardò accigliata prima di aprire la portiera posteriore.

“Signor Stacey?” chiese, lasciando andare la nota di nervosismo nella voce, che ora risuonò dolce e zuccherosa.

“Sì,” rispose lui tremante.

“Perché non viene fuori dall’auto? Mi spiace che lei abbia dovuto aspettare così tanto. Io e il mio collega eravamo sopra a svolgere le indagini. Speravamo di poterle fare qualche domanda, se non le spiace.”

“Ho risposto alle domande di tutti,” disse lui con tono implorante. “Non riesco a capire perché mi trovo nei guai.”

“Non si trova nei guai, signor Stacey,” gli assicurò lei. “Venga fuori. Mi chiamo Jessie Hunt. Sono una profiler criminale del Dipartimento di Polizia di Los Angeles. Questo è il detective Ryan Hernandez. Vedo una caffetteria nell’angolo laggiù. Prendiamo una tazza di qualcosa e facciamo due chiacchiere. Cosa ne pensa?”

L'uomo annuì e uscì dal veicolo. Fu solo allora che Jessie si rese conto di quale fosse la sua stazza. Completamente dritto in piedi, doveva arrivare facilmente a un metro e novanta. Jessie ipotizzò che il peso dovesse essere di un centinaio di chili. Indossava una maglietta da palestra a manica lunga che metteva in evidenza i suoi addominali. Sembrava che i bicipiti potessero strappare la stoffa delle maniche da un momento all’altro.

Nonostante la sua imponenza, l’atteggiamento trasmetteva delicatezza e gentilezza. Guardandolo più attentamente, Jessie notò che portava una collanina con il ciondolo di un arcobaleno e che aveva le unghie dipinte di viola.

“Immagino che anche lei sia un trainer nella palestra dove lavorava Taylor, giusto?” gli chiese, cercando di alleggerire l’atmosfera mentre si dirigevano verso la caffetteria.

L’uomo annuì ma non rispose. Ryan li seguiva a poca distanza, chiaramente consapevole che la sua presenza avrebbe potuto intralciare i tentativi di Jessie di creare un collegamento con l’uomo. Mentre camminavano, Jessie notò che l’uomo di strofinava energicamente i polsi.

“Va tutto bene?” gli chiese.

“Ancora non ci credo. È come se mi avessero rivoltato lo stomaco. Aspettare lì e sapere che una persona con una personalità così solare ora è un essere freddo e privo di vita. Mi fa male solo a pensarci. E i vostri colleghi hanno solo peggiorato le cose.”

“È stata una vera sfortuna,” disse Jessie.

“Sapete che gli agenti mi hanno ammanettato quando sono arrivati all’appartamento di Taylor?” insistette lui. “Io me ne stavo seduto là fuori ad aspettarli. E uno di loro mi ha messo le manette mentre l’altro ha tenuto la mano pronta sulla pistola per tutto il tempo. Io sono quello che ha chiamato il 911!”

“Mi spiace davvero, signor Stacey,” cercò di calmarlo Jessie. “Purtroppo, quando gli agenti arrivano su una scena del crimine, devono prendere delle precauzioni che possono sembrare eccessive.”

“Mi hanno tenuto ammanettato per mezz’ora, e nel frattempo mi hanno preso le generalità e hanno controllato se avessi la fedina penale sporca, cosa che non ho, e hanno controllato che lavorassi con Taylor. E tutto mentre lei stava sdraiata su quel letto, morta. Penso che sappiamo entrambi benissimo che se fosse stata lei a chiamare il 911 e li avesse aspettati lì, l’avrebbero trattata un modo diverso.”

“Giusto,” rispose Jessie annuendo comprensiva mentre entravano nella caffetteria. Si voltò a guardare l’agente che li aveva seguiti fino a lì e gli fece cenno di aspettare fuori.

“Quindi ha detto che lavorava con lei. Eravate entrambi insegnanti?” continuò Jessie, cercando di smorzare l’indignazione di Stacey e andare oltre.

“Sì… al Solstice.”

“La palestra proprio davanti al condominio?” chiese Jessie, ricordando il fitness club che aveva visto quando erano arrivati.

“Comodo, no?” commentò lui.

Ordinarono i loro caffè e si sedettero a un tavolino. Ryan li raggiunse ma non disse nulla.

“Quindi, prima di arrivare a come le l’abbia trovata, signor Stacey…”

“Chiamami Vin,” le disse lui.

“Ok, Vin,” acconsentì lei. “Prima di questo, voglio che ci racconti di Taylor. Com’era? Amichevole? Tranquilla? Alla buona? Intensa?”

“La definirei una tipa alla buona. Era educata ma professionale con gli altri allenatori e con il resto dello staff. Era più amichevole con i suoi clienti, ma aveva sempre un certo atteggiamento professionale. Era fatta così. Alcuni clienti vorrebbero che il loro trainer fosse una specie di migliore amico. E io sono più o meno così. Altri preferiscono qualcuno che non dica scemenze e che li aiuti a raggiungere i loro obiettivi. Lei era la persona per questo secondo genere di clientela.”

“Che genere di clienti aveva per lo più?” chiese Ryan, parlando per la prima volta.

Vin guardò Jessie esitando, come se avesse bisogno della sua approvazione per rispondere. Lei annuì in modo rassicurante e lui proseguì.

“Di ogni genere. Ma direi che più della metà erano donne sposate tra i trenta e i quarant’anni. Un sacco di mogli benestanti e casalinghe che cercavano di perdere il peso accumulato con una gravidanza o di mantenere la linea evitando che i loro mariti le lasciassero per le segretarie.”

“Era questo il suo pane quotidiano?” chiese Ryan.

“Già. Era davvero bravissima a motivare donne del genere e a farle sentire come se avessero il pieno controllo dei loro destini. Io sono un uomo di colore single, gay, e a volte mi faceva venire voglia di sposare un tipo bianco di mezza età solo perché potessi assumere la piena responsabilità della mia vita.”

“Quindi eravate buoni amici?” chiese Jessie.

“Non così intimi,” disse lui. “Prendevamo un caffè insieme – a dire il vero molto spesso qui – o uscivamo a bere qualcosa. L’ho accompagnata a casa un paio di volte la sera tardi, a piedi. Ma non direi che eravamo amici. Ci definirei piuttosto colleghi amichevoli. Penso che le piacessi perché ero uno dei pochi uomini alla palestra che non le faceva la corte tutto il tempo.”

“Alcuni dei suoi corteggiatori erano particolarmente aggressivi?” chiese Ryan.

“Non sono sicuro di essere il migliore a giudicare ciò che una donna consideri aggressivo al giorno d’oggi,” ammise. “Posso dire però che non mi è mai sembrata intimidita da nessuno. Non aveva problemi a mettere a tacere uno in malo modo se andava troppo oltre.”

“Sai niente di quale fosse la sua situazione sentimentale?” chiese Jessie. “Hai detto agli agenti di sopra che non frequentava nessuno.”

“Ho detto che non pensavo che fosse attualmente impegnata in una relazione. So che stava uscendo con un tizio un paio di mesi fa. Ma dopo che la storia è finita, è diventata molto riservata riguardo alla sua vita amorosa. E non stava a me insistere per saperne di più, dato che non posso reputarmi un esperto.”

“Vin,” chiese Jessie, decidendo di lanciare la domanda che sapeva avrebbe impegnato tutti per il resto della giornata, “pensi che Taylor possa essersi uccisa?”

Lui rispose immediatamente e con un’intensità che ancora non gli avevano visto esprimere.

“Impossibile. Taylor non era quel genere di persona. Era una precisa, concentrata. Era una di quelle persone che hanno degli obiettivi concreti. Voleva aprire una sua palestra. Non si sarebbe mai fatta una cosa del genere. Era una succhia midollo.”

“In che senso?” chiese Jessie.

“Nel senso che succhiava il midollo della vita. Non avrebbe mai messo fine alla propria.”

Rimasero tutti seduti in silenzio per un momento, poi Ryan tornò a un argomento meno filosofico.

“Conosci il nome del suo ex?” gli chiese.

“No. Ma penso che una delle trainer donne alla palestra potrebbe saperlo. Ricordo che aveva raccontato di averlo visto portare lì Taylor una volta e di averlo riconosciuto.”

Mentre Vin rispondeva, Jessie spostò l’attenzione sull’ingresso della caffetteria, da dove stava entrando un uomo che era chiaramente un barbone. Aveva la barba lunga e le scarpe con le suole staccate che sventolavano ogni volta che sollevava un piede.

Ma non fu quello ad attirare la sua attenzione. C’era qualcosa di rosso che gocciolava dalla mano sinistra dell’uomo, che lui teneva nascosta sotto alla giacca. L’uomo stava borbottando tra sé e sé mentre si muoveva in mezzo agli altri clienti, andando a sbattere contro di loro in modo apparentemente intenzionale.

“Come si chiama la trainer?” chiese Ryan. Aveva la schiena rivolta all’ingresso, quindi non aveva potuto notare l’uomo.

“Chianti.”

“Dici sul serio?” chiese Ryan, ridendo involontariamente e sputacchiando un po’ del suo caffè.

“Non so se sia il suo nome di battesimo,” disse Vin, sorridendo per la prima volta. “Ma alla palestra la conosciamo come Chianti Rossellini. Non sta a me giudicare.”

“Perché pensi che non sia effettivamente la tua filosofia, Vin?” chiese Jessie maliziosamente, mentre continuava a tenere d’occhio il barbone.

Vin alzò le sopracciglia in modo provocatorio.

“Scusate se interrompo questo scambio di gossip…” iniziò a dire Ryan.

“Puoi fare tutto quello che vuoi, occhi belli,” lo interruppe Vin, sbattendo le palpebre.

Ryan non rispose alla sua allusione, ma andò avanti.

“Ma dobbiamo chiederti di quando hai trovato Taylor. Hai detto agli agenti che la finestra era aperta?”

Il volto di Vin tornò immediatamente serio.

“Di poco, sì. Prima ho bussato e ho controllato la porta, che era chiusa. Ma quando non ha risposto, ho aperto di più la finestra e sono entrato da lì. Immagino che avrei dovuto chiamare prima il 911. Ma ho pensato che se era ferita e aveva bisogno di aiuto, non era il caso che me ne stessi fermo lì con le mani in mano.”

“Non ti devi giustificare, Vin,” disse Jessie. “Eri preoccupato per la tua amica. Sono sicura che le prove sosterranno questo aspetto.”

“Grazie,” disse Vin, la voce leggermente rotta.

Jessie avrebbe avuto una reazione più marcata nei suoi confronti, se non fosse stata così distratta dal barbone con la piccola scia di sangue che gli cadeva dal braccio. Ora stava dondolando sui piedi mentre muoveva la mano sotto alla giacca, che sembrava essere zuppa di un liquido denso. Era come se si stesse dando dei colpi al fianco. Le sue labbra si stavano ancora muovendo, ma qualsiasi cosa stesse mormorando era inudibile, anche se la donna di mezza età che stava in fila davanti a lui continuava a guardarsi nervosamente alle spalle.

“Ehi, Ryan,” disse Jessie con noncuranza. “Dai un’occhiata alle spalle, senza farti notare. L’uomo con la barba, in fila.”

Ryan si voltò e così fece anche Vin.

“Quello che non riesce a tenere fermo il corpo e la bocca?” chiese Ryan.

“Già,” confermò Jessie. “Sta sanguinando dal braccio sinistro e penso che stia tenendo qualcosa con la mano destra sotto alla giacca.”

“Cosa pensi che sia?”

“Non ne sono sicura. Ma ho notato una macchia umida e scura sulla giacca all’altezza del fianco. Quindi immagino che sia la stessa cosa che gli ha fatto sanguinare l’altro braccio. E poi sembra piuttosto agitato. Prima stava andando addosso ad altri clienti, e non per sbaglio.”

“Potrebbe essere qualcosa,” disse Ryan sottovoce. “O potrebbe essere come la metà della gente a cui siamo passati accanto mentre venivamo qui.”

“Giusto,” disse Jessie, “anche se questa cosa del sangue aggiunge un po’ di pepe alla faccenda. E poi tutte le bariste sembrano terrorizzate, e immagino che abbiano barboni che entrano qua dentro tutto il giorno.”

“Giusto,” disse Ryan, sussultando leggermente mentre si alzava in piedi. “Direi che posso mettermi in fila per un altro caffè. Jessie, tu magari potresti andare a chiamare l’agente che è rimasto fuori e chiedergli di venire dentro come precauzione.”

Jessie annuì e si alzò in piedi a sua volta, cercando di nascondere il dolore che provava sia alla schiena che alla gamba dopo essere rimasta ferma per un po’. Mentre andava verso l’ingresso della caffetteria si voltò e vide che Ryan aveva preso posizione subito dietro all’uomo, che ancora brontolava. Jessie spinse la porta e fece cenno all’agente di entrare.

“Penso che ci sia possibile bisogno di aiuto qui,” disse. “L’uomo con la barba che sta davanti al detective Hernandez potrebbe avere un’arma sotto alla giacca. Non ne siamo certi, ma potrebbe esserci bisogno di rinforzi.”

Aveva appena finito la sua frase, quando un forte grido arrivò dall’interno. Jessie si girò e vide la donna di mezza età che si teneva stretta la spalla destra con la mano sinistra. Dietro di lei Ryan stava lottando con il barbone per strappargli di mano un coltello da caccia. Ma nonostante il vantaggio dato dalla sua prestanza fisica, sembrava comunque una battaglia persa.

L’uomo era come posseduto da una rabbia frenetica e Ryan evidentemente non era al massimo delle sue forze. Nel giro di pochi istanti il barbone si era liberato. Ryan perse l’equilibrio e cadde sul pavimento, mentre l’uomo si riorganizzava subito e gli si lanciava addosso.

Jessie corse dentro, aprì la fondina della pistola e avanzò verso di loro. Stava per tirare fuori l’arma quando vide un lampo di movimento davanti ai suoi occhi. Era Vin Stacey che balzava addosso al barbone, dandogli un colpo alla mandibola con l’avambraccio e facendolo andare a sbattere contro il bancone.

Il coltello volò via dalla mano dell’uomo ora frastornato e scivolò sul pavimento. Vin si fermò su di lui, pronto a procedere se necessario. Non servì. Un attimo dopo l’agente era addosso al barbone, lo faceva girare prono e lo ammanettava. Jessie rimise nella fondina la sua pistola e si inginocchiò accanto a Ryan.

“Stai bene?” gli chiese preoccupata.

“Sì. Mi riprenderò, anche se non sono sicuro che possa dirsi lo stesso per il mio orgoglio.”

Vin gli si avvicinò e gli tese la mano.

“Vuoi una mano, occhi belli?” gli chiese, sbattendo le palpebre con fare ammiccante.

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0+
Litres'teki yayın tarihi:
15 nisan 2020
Hacim:
251 s. 3 illüstrasyon
ISBN:
9781094304854
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