Kitabı oku: «La Casa Perfetta», sayfa 3
CAPITOLO CINQUE
Entrare nell’unità DNR era proprio come ricordava. Dopo aver ottenuto l’autorizzazione all’accesso nel campus interno all’ospedale attraverso un cancello sorvegliato, portò l’auto dietro all’edificio principale avvicinandosi a una struttura più piccola e anonima sul retro.
Era uno stabile in cemento e acciaio a un solo piano, in mezzo a un parcheggio asfaltato. Si vedeva solo il tetto da dietro un’altra recinzione in filo spinato colorato di verde che circondava l’intera proprietà.
Jessie passò attraverso il secondo cancello sorvegliato per accedere al DNR. Dopo aver parcheggiato, proseguì a piedi fino all’accesso principale, fingendo di ignorare le numerose videocamere di sicurezza che seguivano ogni suo passo. Quando arrivò alla porta esterna, aspettò che venisse aperta per farla entrare. Diversamente dalla prima volta che era stata lì, ora la conoscevano e la ammettevano solo vedendola.
Ma questo valeva solo per la porta esterna. Dopo aver attraversato un piccolo cortile, raggiunse l’ingresso principale della struttura, che aveva delle spesse porte in vetro antiproiettile. Strisciò la sua carta personale e la luce del pannello divenne verde. Poi l’agente addetto alla sicurezza dietro al bancone, che poteva vedere a sua volta il colore della luce, la fece entrare completando così il processo.
Jessie si trovava ora in un piccolo vestibolo in attesa che la porta esterna si chiudesse. L’esperienza le aveva insegnato che la porta interna si poteva aprire solo quando quella esterna si era chiusa del tutto. Quando si sentì il sonoro scatto della serratura, la guardia di sicurezza sbloccò la porta interna.
Jessie entrò, e qui trovò ad attenderla un secondo agente armato. L’uomo raccolse i suoi effetti personali, che erano minimi. Aveva imparato nel tempo che era meglio lasciare quasi tutto in macchina, dove non c’era nessun pericolo che qualcuno facesse irruzione.
La guardia la perquisì e poi le fece cenno di andare verso lo scanner a onde millimetriche in stile aeroporto che dava una visione dettagliata del suo corpo. Dopo esservi passata attraverso, i suoi oggetti le venivano restituiti senza una parola. Era l’unica indicazione che le era consentito proseguire.
“Incontrerò l’agente Gentry?” chiese all’agente dietro al banco.
La donna sollevò lo sguardo e la guardò con espressione di completo disinteresse. “Esce tra un momento. Aspettala vicino alla porta dell’Area preparatoria di transizione.”
Jessie seguì le istruzioni. L’Area preparatoria di transizione era la stanza dove tutti i visitatori andavano a cambiarsi prima di interagire con un paziente. Una volta entrati, veniva loro richiesto di indossare un camice grigio stile ospedale, togliersi ogni gioiello e levarsi eventuale trucco dal viso. Come le avevano raccomandata, questi uomini non avevano bisogno di ulteriori stimoli.
Un momento dopo l’agente Katherine ‘Kat’ Gentry uscì dall’area preparatoria per salutarla. Era bello vederla. Sebbene non fossero esattamente andate d’amore e d’accordo da subito quando si erano conosciute la scorsa estate, ora le due donne erano amiche, unite dalla condivisa consapevolezza dell’oscurità che si celava dentro a certe persone. Jessie era arrivata a fidarsi così tanto di lei che Kat era una delle cinque o sei persone al mondo che sapevano che lei era la figlia del Boia dell’Ozarks.
Mentre Kat veniva verso di lei, Jessie notò ancora una volta la perfezione del capo della sicurezza del DNR. Fisicamente imponente nonostante fosse alta poco più di un metro e settanta, il suo corpo da 65 chili era quasi interamente fatto di muscoli e volontà d’acciaio. Ex Ranger dell’esercito, aveva eseguito due tour in Afghanistan e portava i resti di quei giorni stampati sul volto, butterato per le bruciature da frammenti di proiettile e con una lunga cicatrice che partiva subito sotto l’occhio sinistro e percorreva il volto verticalmente fino al lato della guancia. Gli occhi grigi erano misurati, attenti nell’osservare ogni minimo dettaglio e valutare se fosse o meno una minaccia.
Chiaramente non considerava tale Jessie. Sorrise e la strinse in un solido abbraccio.
“Da quanto tempo, signora FBI,” le disse con entusiasmo.
Jessie annaspò per riprendere fiato dopo quella stretta possente, parlando solo quando se ne fu liberata.
“Non appartengo all’FBI,” le ricordò. “Ho solo preso parte al programma di addestramento. Sono ancora affiliata al Dipartimento di Polizia di Los Angeles.”
“Come vuoi,” disse Kat chiudendo il discorso. “Stavi a Quantico, hai lavorato con le autorità del tuo campo, hai imparato belle cose sulle tecniche dell’FBI. Se ho voglia di chiamarti signora FBI, lo faccio.”
“Sei significa che non mi spaccherai la schiena a metà, puoi chiamarmi come ti pare.”
“Detto questo, penso che non potrò più farlo,” puntualizzò Kat. “Mi sembri più forte di prima. Mi pare di capire che non ti hanno fatto lavorare solo di cervello mentre stavi lì.”
“Sei giorni alla settimana,” le raccontò Jessie. “Lunghe corse, percorsi a ostacoli, autodifesa e addestramento con le armi. Diciamo che mi hanno veramente fatto il culo dandomi una forma piuttosto decente.”
“Mi devo preoccupare?” chiese Kat con finta preoccupazione, facendo un passo indietro e sollevando le braccia sulla difensiva.
“Non penso di essere una minaccia per te,” ammise Jessie. “Ma mi sento in grado di potermi proteggere contro qualsiasi persona sospetta, cosa che non era decisamente possibile prima. In retrospettiva, sono stata fortunata ad essere sopravvissuta ad alcuni dei miei più recenti incontri.”
“È meraviglioso, Jessie,” disse Kat. “Magari dovremmo allenarci un giorno o l’altro. Giusto un paio di round per tenerti in forma.”
“Se con un po’ di round intendi un po’ di round di spari, ci sto. Così potrei prendermi una piccola pausa dalla corsa e ginnastica quotidiana.”
“Ritiro tutto quello che ho detto,” disse Kat. “Sei sempre la solita pappamolle di sempre.”
“Oh, ecco la Kat Gentry che ho imparato a conoscere e ammirare. Sapevo che c’era un motivo per cui eri la prima persona che volevo vedere quando sono tornata in città.”
“Sono lusingata,” disse Kat. “Ma penso che entrambe sappiamo che non sono io la persona per cui sei venuta qui. La finiamo con le chiacchiere e andiamo dentro?”
Jessie annuì e seguì Kat nell’Area preparatoria di transizione, dove sterilità e silenzio misero fine allo slancio giocoso del loro incontro.
*
Quindici minuti dopo, Kat condusse Jessie alla porta che connetteva l’ala di sicurezza del DNR ad alcune delle persone più pericolose del pianeta. Erano già state nel suo ufficio per un aggiornamento riguardante gli ultimi mesi, che erano stati sorprendentemente privi di eventi.
Kat l’aveva informata che non appena Crutchfield l’aveva minacciata di un imminente incontro con suo padre, la già serrata sicurezza era stata aumentata ancora di più. La struttura aveva aggiunto ulteriori videocamere di sicurezza e ancora più verifiche dell’identità dei visitatori.
Non c’erano prova che Xander Thurman avesse tentato di fare visita a Crutchfield. I suoi soli ospiti erano stati il medico che veniva ogni mese a controllare le sue funzioni vitali, lo psichiatra con cui non parlava quasi mai e un detective del Dipartimento di Polizia di Los Angeles che aveva sperato, inutilmente, che Crutchfield condividesse informazioni su un caso congelato su cui stava lavorando, e il suo avvocato d’ufficio che si era presentato solo per assicurarsi che non lo stessero torturando. Aveva a malapena dialogato con tutti loro.
Secondo Kat, non aveva parlato di Jessie con il personale, e neppure con Ernie Cortez, il simpatico agente che faceva da supervisore alle sue docce settimanali. Era come se lei non fosse esistita in questo periodo. Jessie si chiese se fosse arrabbiato con lei.
“So che ricordi come funziona,” disse Kat mentre stavano vicino alla porta di sicurezza. “Ma sono passati un po’ di mesi, quindi diamo una ripassata alle procedure di sicurezza come precauzione. Non avvicinarti al prigioniero. Non toccare la barriera di vetro. So che non ti interessa, ma ufficialmente, non dovresti condividere nessuna informazione personale. Chiaro?”
“Sì,” disse Jessie, felice dei promemoria. Le servivano per predisporsi nel giusto assetto mentale.
Kat fece strisciare il proprio badge e annuì guardando la videocamera sopra alla porta. Qualcuno fece scattare la serratura automatica facendole entrare. Jessie fu subito travolta dal sorprendente via vai di attività. Invece delle solite quattro guardie di sicurezza, ce n’erano sei. Inoltre c’erano tre uomini con uniformi da operai che andavano in giro con diversi pezzi di attrezzature tecniche.
“Cosa sta succedendo?” chiese Jessie.
“Oh, mi sono dimenticata di dirtelo: ci arriveranno alcuni nuovi residenti a metà settimana. Avremo tutte e dieci le celle piene. Quindi stiamo controllando l’attrezzatura di sorveglianza nelle celle vuote per essere certi che tutto funzioni bene. Abbiamo anche aumentato il personale addetto alla sicurezza in ogni turno da quattro a sei agenti durante il giorno, compresa me, e da tre a quattro durante la notte.”
“Mi pare… rischioso,” disse Jessie diplomaticamente.
“Ero contraria,” ammise Kat. “Ma la contea aveva necessità e noi avevamo celle disponibili. È stata una battaglia persa da subito.”
Jessie annuì mentre si guardava attorno. I fondamenti del posto sembravano gli stessi. L’unità era progettata come una ruota con un centro di comando nel mezzo e raggi che si allungavano in ogni direzione, portando alle celle dei detenuti. Al momento c’erano sei agenti nello spazio ora affollato del centro di comando, che assomigliava a una stazione infermieristica decisamente piena.
Alcuni volti le erano nuovi, ma la maggior parte apparivano invece familiari, incluso Ernie Cortez. Ernie era un omone grande e grosso, circa due metri per oltre cento chili di muscoli. Era sulla trentina e aveva i primi segni grigi nei capelli corti e neri. Quando vide Jessie, le rivolse un ampio sorriso.
“Signorina elegante,” le disse, usando l’affettuoso soprannome che le aveva affibbiato la prima volta che si erano visti, quando aveva tentato di fare colpo su di lei, suggerendole che avrebbe potuto fare la modella. Lei lo aveva fermato praticamente subito, ma lui non sembrava essersela presa.
“Come va, Ernie?” gli chiese con un sorriso.
“Lo sai: il solito. Mi assicuro che pedofili, stupratori e assassini facciano i bravi. E tu?”
“Praticamente lo stesso,” disse, decidendo di non entrare nei particolari delle sue attività degli ultimi mesi con così tante facce non conosciute attorno.
“Quindi, adesso che hai avuto un po’ di mesi a disposizione per occuparti del tuo divorzio, vuoi passare un po’ di tempo di qualità con il buon vecchio Ernie? Questo week end ho in programma di andare a Tijuana.”
“Il buon vecchio Ernie?” ripeté Jessie, incapace di fare a meno di ridere.
“Cosa c’è?” disse lui sulla finta difensiva. “Non mi si addice come descrizione?”
“Scusami, buon vecchio Ernie, ma sono piuttosto certa di avere altri programmi per questo week end. Ma divertiti a fare festa! Comprami delle Chiclet, ok?”
“Ahi,” rispose lui, stringendosi il petto come se gli avessero tirato una freccia al cuore. “Anche i ragazzi grandi e grossi hanno dei sentimenti, sai? E siamo anche, capisci, grandi e grossi.”
“Va bene, Cortez,” si intromise Kat, “adesso basta. Mi hai fatto venire il vomito ormai. E Jessie ha i suoi affari di cui occuparsi.”
“Cattiva,” mormorò lui sottovoce mentre riportava la sua attenzione sul monitor davanti a sé. Nonostante le sue parole, il tono suggeriva che non era per niente ferito. Kat fece cenno a Jessie di seguirla verso l’ala con la cella di Crutchfield.
“Questo ti potrebbe servire,” le disse porgendole il piccolo telecomando con il pulsante rosso al centro. Si trattava del dispositivo “di emergenza”. Jessie la considerava un po’ una sorta di copertina di Linus digitale.
Se Crutchfield avesse ingarbugliato troppo le cose con lei e le fosse venuta voglia di uscire dalla stanza senza fargli sapere dell’impatto che stava avendo su di lei, doveva solo premere il pulsante che teneva nascosto in mano. Quello avrebbe allertato Kat, che avrebbe potuto mandarla fuori dalla stanza per un qualche motivo inventato. Jessie era piuttosto certa che Crutchfield fosse a conoscenza del dispositivo, ma era comunque contenta di averlo.
Afferrò il telecomando, fece un cenno di assenso a Kat per dirle che era pronta ad entrare e fece un profondo respiro. Kat aprì la porta e Jessie entrò.
A quanto pareva Crutchfield aveva anticipato il suo arrivo. Era in piedi a pochi centimetri dal vetro che divideva la stanza a metà, e le sorrideva.
CAPITOLO SEI
Jessie ci mise un paio di secondi a distogliere gli occhi dai suoi denti storti e valutare la situazione.
In superficie non sembrava per niente diverso da come lo ricordava. Aveva ancora i capelli biondi rasati corti. Indossava ancora la divisa obbligatoria azzurra. Aveva ancora il volto leggermente paffuto che ci si sarebbe aspettati da un uomo altro circa un metro e settantacinque per settanta chili di peso. Lo faceva sembrare più vicino ai venticinque anni che hai trentacinque che effettivamente aveva.
E aveva ancora gli stessi occhi castani inquisitori, quasi rapaci. Erano l’unico accenno che lasciasse intendere che l’uomo di fronte a lei aveva ucciso almeno diciannove persone, se non forse il doppio.
Neanche la cella era cambiata. Era piccola, con uno stretto letto senza lenzuola avvitato alla parete di fondo. Nell’angolo di destra si trovava una piccola scrivania con una sedia attaccata, accanto a un piccolo lavandino. Dietro c’era un gabinetto, disposto sul fondo, con una porta scorrevole in plastica per consentire un minimo di privacy.
“Signorina Jessie,” le disse con voce suadente. “Che sorpresa inaspettata imbattersi in te qui.”
“Eppure lei se ne sta lì in piedi come se stesse aspettando il mio arrivo,” ribatté lei, non volendo concedergli un solo secondo di vantaggio. Si avvicinò al tavolo accanto al vetro e si sedette sulla sedia. Kat assunse la sua solita posizione di controllo, in piedi nell’angolo della stanza.
“Ho percepito un cambiamento nell’energia di questa struttura,” rispose lui, il suo accento della Louisiana più pronunciato che mai. “L’aria sembrava più dolce e mi è parso di sentire gli uccelli che cinguettavano fuori.”
“Non mi pare che lei sia sempre così propenso alle moine,” notò Jessie. “Le spiacerebbe condividere con me il motivo di questo umore così lusinghiero?”
“Niente in particolare, signorina Jessie. Un uomo non può semplicemente apprezzare la piccola gioia che gli viene dall’arrivo di un visitatore inaspettato?”
Qualcosa nel modo in cui disse le ultime parole fece venire i brividi a Jessie, come se ci fosse altro da dover aggiungere. Rimase seduta in silenzio per qualche secondo, permettendo alla propria mente di lavorare, per niente preoccupata dai limiti di tempo. Sapeva che Kat le avrebbe permesso di condurre l’interrogatorio a proprio piacimento.
Rigirandosi le parole di Crutchfield nella testa, si rese conto che potevano avere più di un significato.
“Quando parla di visitatori inaspettati, si riferisce a me, signor Crutchfield?”
Lui la fissò per diversi secondi senza parlare. Alla fine, lentamente, il largo sorriso che aveva stampato in volto si trasformò in un più malevolo – e più credibile – ghigno.
“Non abbiamo ancora stabilito le regole di base per questa visita,” disse, voltandole di colpo le spalle.
“Penso che i tempi delle regole siano passati da tempo, non crede, signor Crutchfield?” gli chiese. “Ci conosciamo da tempo ormai, e direi che a questo punto possiamo permetterci di parlare e basta, no?”
Crutchfield andò fino al letto che stava appeso alla parete della cella e si sedette, l’espressione leggermente nascosta nell’ombra.
“Ma come faccio a essere sicuro che sarai disponibile come vorresti che io fossi con te?” le chiese.
“Dopo aver chiesto a uno dei suoi scagnozzi di fare irruzione nell’appartamento della mia amica spaventandola al punto che ancora non riesce a dormire, non sono certa che lei si sia pienamente guadagnato la mia fiducia o il mio desiderio ad essere disponibile.”
“Tiri in ballo quell’evento,” le disse, “ma trascuri di considerare le innumerevoli volte che ti ho dato assistenza in casi tanto professionali quanto personali. Per ogni cosiddetta indiscrezione da parte mia, io ho compensato con informazioni che si sono dimostrate colme di valore per te. Tutto quello che sto chiedendo sono sicurezze riguardo al fatto che questa non si trasformi in una via a senso unico.”
Jessie lo guardò con determinazione, cercando di capire quanto disponibile avrebbe potuto rivelarsi pur mantenendo la dovuta distanza professionale.
“Cosa sta cercando esattamente?”
“In questo momento? Solo il tuo tempo, signorina Jessie. Preferirei che non facessi così l’estranea. Sono passati settantacinque giorni da quando mi hai concesso l’ultima volta la tua presenza. Un uomo meno sicuro di me potrebbe prendere questa lunga assenza come un’offesa.”
“Ok,” disse Jessie. “Prometto di farle visita più regolarmente. In effetti, mi assicurerò di passare almeno un’altra volta questa settimana. Come le pare?”
“È un inizio,” rispose lui con tono indifferente.
“Fantastico. E allora torniamo alla mia domanda. Prima ha detto di apprezzare la gioia che deriva da visite inaspettate. Si riferiva a me?”
“Signorina Jessie, anche se è sempre un piacere godere dalla tua compagnia, devo confessarti che il mio commento era effettivamente riferito a un altro visitatore.”
Jessie poté sentire Kat irrigidirsi nell’angolo dietro di lei.
“E a chi si sta riferendo,” chiese, mantenendo lo stesso livello di voce.
“Penso tu lo sappia.”
“Mi piacerebbe che lei me lo dicesse,” insistette Jessie.
Bolton Crutchfield si alzò di nuovo in piedi, ora più visibile sotto la luce, e Jessie poté notare che si stava passando la lingua sulle labbra, come le se lei fosse un pesce appeso a una lenza con cui stava giocherellando.
“Come ti ho assicurato l’ultima volta che abbiamo parlato, ti avevo spiegato che avrei fatto una chiacchierata con tuo papà.”
“E l’ha fatto?”
“Certo che sì,” le rispose con tono noncurante, come se le stesse dicendo l’ora. “Mi ha chiesto di portarti i suoi saluti, dopo che gli ho offerto i tuoi.”
Jessie lo fissò attentamente, cercando un indizio sul suo volto, tentando di capire se stesse nascondendo qualcosa.
“Ha parlato con Xander Thurman,” chiese per conferma, “in questa stanza, nel corso delle scorse undici settimane?”
“Sì.”
Jessie sapeva che Kat stava esplodendo dal desiderio di fargli delle domande per tentare di avere conferma della veridicità della sua affermazione e di come fosse potuto succedere. Ma nella sua testa questo era secondario e se ne sarebbero potute occupare poi. Jessie non voleva che la conversazione venisse deviata, quindi proseguì prima che l’amica potesse dire qualsiasi cosa.
“Di cosa avete parlato?” gli chiese, tentando di mantenere la voce neutra.
“Beh, abbiamo dovuto mantenerci piuttosto criptici, in modo da non rivelare la sua vera identità a coloro che stavano ascoltando. Ma il fulcro della nostra chiacchierata sei stata tu, signorina Jessie.”
“Io?”
“Sì. Se ricordi bene, io e lui abbiamo avuto un incontro un paio di anni fa, e al tempo mi aveva avvisato che un giorno avresti potuto venire a farmi visita. Ma che avresti avuto un nome diverso rispetto a quello che ti aveva dato lui, Jessica Thurman.”
Jessie trasalì involontariamente a udire il nome che non sentiva pronunciare da nessuno da una ventina d’anni. Sapeva che lui avrebbe visto la sua reazione, ma non poté farci nulla. Crutchfield sorrise soddisfatto e continuò.
“Voleva sapere come stava la sua figlia perduta da tempo. Era interessato in ogni genere di dettaglio – che lavoro fai, dove vivi, che aspetto hai adesso, qual è il tuo nuovo nome. È molto ansioso di rimettersi in contatto con te, signorina Jessie.”
Mentre Crutchfield parlava, Jessie si impose di inspirare ed espirare lentamente. Ricordò a se stessa di decontrarre il corpo e fare del proprio meglio per restare calma, anche se era tutta una facciata. Doveva apparire imperturbata mentre poneva la domanda successiva.
“E lei ha condiviso alcuni di questi dettagli con lui?”
“Solo uno,” rispose con tono malizioso.
“E quale sarebbe?”
“La casa è dove risiede il cuore,” le disse.
“Cosa diavolo vuol dire?” chiese Jessie, il cuore che improvvisamente batteva rapidamente.
“Gli ho detto dove si trova il luogo che chiami casa,” disse lui con chiarezza.
“Gli ha dato il mio indirizzo?”
“Non sono stato così specifico. A essere onesto, non conosco il tuo indirizzo esatto, nonostante i miei migliori sforzi per scoprirlo. Ma so abbastanza da poter permettere a lui di trovarlo, se sarà abbastanza sveglio. E come entrambi sappiamo, signorina Jessie, il tuo papà è molto sveglio.”
Jessie deglutì a fatica e si impose di non urlargli addosso. Stava ancora rispondendo alle sue domande e lei aveva bisogno di tutte le informazioni che poteva estrapolare, prima che si fermasse.
“Quindi quanto tempo ho prima che venga a bussare alla mia porta?”
“Dipende da quanto tempo ci metterà a mettere insieme tutti i pezzi,” disse Crutchfield scrollando esageratamente le spalle. “Come ho detto, ho dovuto parlare in modo un po’ criptico. Se fossi stato troppo specifico, avrei lanciato dei segnali di allarme alle persone che monitorano ogni mia conversazione. Non sarebbe stato produttivo.”
“Perché non mi racconta esattamente quello che gli ha detto? In questo modo posso organizzarmi adeguatamente con i tempi.”
“E dove sta il divertimento allora, signorina Jessie? Mi piaci parecchio, ma questo mi sembrerebbe un vantaggio irragionevole. Dobbiamo concedere una possibilità a quest’uomo.”
“Una possibilità?” ripeté Jessie incredula. “Di fare cosa? Di squartarmi come ha fatto con mia madre?”
“Non mi pare per niente corretto,” rispose Crutchfield, apparentemente sempre più calmo, man mano che Jessie si agitava. “Avrebbe potuto farlo al tempo in quel capanno in mezzo alla neve tanti anni fa. Ma non l’ha fatto. Allora perché dare per scontato che voglia farti del male ora? Magari vuole solo portare la sua signorinella a Disneyland per una gita.”
“Mi vorrà perdonare se non sono incline a dargli il beneficio del dubbio,” rispose lei con tono secco. “Questo non è un gioco, Bolton. Vuoi che venga a trovarti ancora? Devo essere viva per poterlo fare. La tua migliore amica non sarà molto loquace se il tuo mentore la fa a pezzi.”
“Due cose, signorina Jessie: prima di tutto capisco quanto questa notizia sia sconvolgente, ma preferirei che non assumessi questo tono familiare con me. Chiamarmi per nome? Non solo manca di professionalità, ma non è da te.”
Jessie rimase in silenzio ribollendo per la rabbia. Ancora prima che le dicesse la seconda cosa, già sapeva che le avrebbe detto ciò che lei voleva. Eppure rimase in silenzio, mordendosi letteralmente la lingua nella speranza ardente che non cambiasse idea.
“E secondo,” aggiunse, ovviamente soddisfatto di vederla così agitata, “anche se godo della tua compagnia, non avere la presunzione di pensare di essere la mia migliore amica. Non dimenticare la tua onnipresente e sempre vigile agente Gentry dietro di te. Lei è davvero un fiorellino: un fiorellino secco e appassito. Come le ho detto in più di un’occasione, quando uscirò da questo posto, intendo darle un saluto speciale, se capisci cosa intendo. Quindi non tentare di scavalcarla per metterti in testa.”
“Io…” iniziò a dire Jessie, sperando di cambiare idea.
“Tempo scaduto, mi spiace,” disse lui interrompendola. E detto questo si voltò, dirigendosi verso la piccola nicchia in cui si trovava il gabinetto, chiudendosi alle spalle il divisorio in plastica e mettendo così fine alla conversazione.