Kitabı oku: «La Porta Accanto», sayfa 2

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CAPITOLO DUE

Danielle Fine si mise in bocca una compressa di caffeina No-Doz e la mano giù con della coca gasata tiepida, quindi aprì il cassetto della biancheria intima e si mise a frugare nel lato destro, in cerca del capo più osé che riuscisse a trovare.

Danielle pensò a Martin. Uscivano insieme da sei settimane, ormai. E, anche se entrambi avevano deciso di prendere le cose con calma, Danielle stava perdendo la pazienza. Aveva deciso che quella sera gli sarebbe saltata addosso; fermarsi in seconda base ogni volta che si vedevano la faceva sentire come una stupida adolescente che non sapeva quel che faceva.

Invece lei lo sapeva. Ed era quasi sicura che anche Martin lo sapesse. Entro la fine della serata l’avrebbe saputo per certo.

Alla fine scelse un paio di mutandine di pizzo nero che coprivano a malapena il davanti ed erano praticamente inesistenti sul retro. Pensò a quale reggiseno indossare, ma optò per non indossarne uno. Lei e Martin non erano tipi da agghindarsi, e comunque era ben consapevole di avere un seno piuttosto piatto; nemmeno il reggiseno più costoso del mondo avrebbe potuto fare granché. Tra l’altro... Martin le aveva rivelato che gli piacevano le sue tette quando si intravedevano attraverso la maglietta.

Si erano dati appuntamenti presto, per andare a cena subito così da riuscire ad assistere al la proiezione del film delle 18:30. Il solo fatto che dovessero cenare fuori e andare a vedere un film, piuttosto che restare in casa a bere per poi andare da lui a pomiciare, era un punto a favore di Danielle. Si domandò se Martin fosse il tipo di ragazzo a cui piaceva sentirsi un gentiluomo.

Dopo sei settimane con lui… Dovresti già sapere cose simili, pensò mentre si infilava le mutandine.

Si vestì davanti allo specchio a parete della sua camera. Provò un paio di camicie, prima di decidere di restare sul semplice. Optò per una maglietta nera leggermente aderente e un paio di jeans. Non era il tipo di ragazza che aveva un sacco di abiti e gonne. Di solito indossava la prima cosa che le capitava, la mattina. Sapeva che aveva avuto la fortuna di ereditare il bell’aspetto della madre e, dato che aveva anche una pelle immacolata, di solito usciva anche senza molto trucco. A completare il suo look ci pensavano i suoi capelli tinti di nero e gli occhi di un castano intenso. In un battibaleno poteva trasformarsi da ragazza dolce e innocente a femme fatale. Era una delle ragioni per cui non le importava troppo di avere il seno piccolo.

Dopo una rapida occhiata allo specchio, che le restituì lo stesso fisico, lo stesso viso, e perfino la stessa maglietta con il logo di una band che aveva da adolescente, Danielle era pronta a uscire per incontrare Martin. Lui era una specie di tipo impomatato, solo non uno di quelli che passava il suo tempo in officine o piste da corsa di motociclette. A un certo punto aveva praticato box a livello amatoriale, o almeno questo era quello che diceva. Il suo corpo pareva confermarlo (un altro motivo per cui Danielle stava perdendo la pazienza). Al momento lavorava come informatico freelance. Ma, come lei, non prendeva la vita troppo sul serio e gli piaceva bere molto. Fino ad allora, sembravano la coppia perfetta.

Eppure, sei settimane e niente sesso. Danielle avvertiva molta pressione. E se lui l’avesse respinta? E se avesse voluto continuare a fare le cose con calma, anche se lei non ne poteva più di aspettare?

Sospirando, andò al frigorifero. Per calmare i nervi prese una Guinness dal frigo, l’aprì e ne bevve una sorsata. Si accorse che stava bevendo alcol dopo aver preso un No-Doz, ma subito allontanò il pensiero. Di sicuro aveva sottoposto il suo corpo a prove più ardue.

Il suo telefono si mise a squillare. Se mi sta chiamando per annullare l’appuntamento, è la volta buona che lo uccido, pensò.

Quando vide sul display che il nome non era il suo, si rilassò. Quando poi però vide che era sua sorella, afflosciò le spalle. Sapeva che avrebbe dovuto rispondere. Se non l’avesse fatto, Chloe l’avrebbe richiamata dopo 15 minuti. L’insistenza era uno dei pochi tratti che avevano in comune.

Rispose alla chiamata saltando i convenevoli, come faceva di solito. “Bentornata a Pinecrest”, disse con voce monotona. “Se di nuovo una residente ufficiale?”

“Dipende se lo chiedi a me, o a tutti gli scatoloni ancora chiusi” rispose Chloe.

“Quando sei arrivata?” Chiese Danielle.

“Stamattina. Finalmente hanno scaricato tutto dal furgone dei traslochi e adesso stiamo cercando di trovare un posto a tutto.”

“Avete bisogno di aiuto?” chiese Danielle.

Il breve silenzio all’altro capo del telefono suggerì che Chloe non si era aspettata questa generosità. A dire la verità, Danielle l’aveva chiesto solo perché sapeva che Chloe non avrebbe accettato. O meglio, Steven non avrebbe voluto che Chloe accettasse.

“Sai, credo che ormai ce la caviamo anche da soli. Vorrei aver pensato di chiamarti quando stavamo ancora scaricando tutti quei maledetti scatoloni.”

“Forse allora non mi sarei offerta”, disse Danielle con una punta di sarcasmo.

“Ad ogni modo, ascolta. Ti ricordi Kathleen Saunders delle superiori?”

“Vagamente” disse Danielle, il nome che le riportava alla mente un volto adolescenziale luminoso e sorridente, una di quelle persone che ti parlava sempre a distanza troppo ravvicinata.

“Ho scoperto che vive nel mio quartiere. Appena due case più avanti. È passata poco fa a salutarmi. Ha anche invitato me e Steven ad una festa di quartiere questo fine settimana.”

“Wow, sei qui da un giorno e sembri già dannatamente accasata. Hai già comprato un minivan?”

Seguì un altro silenzio breve; Danielle immaginò che Chloe stesse cercando di capire se quel commento fosse una frecciatina o soltanto una battuta. “Non ancora” rispose infine. “Prima ci vogliono dei bambini. Ma per quanto riguarda quella festa… Credo che dovresti venire. Kathleen ha chiesto anche di te.”

“Mi sento lusingata” disse Danielle, per niente lusingata.

“Senti, ad ogni modo finiremo col vederci comunque” disse Chloe. “Potremmo farlo direttamente subito, per evitare di doverci inseguire al telefono. Inoltre, vorrei farti vedere la casa.”

“Mi sa che quel giorno ho un appuntamento” disse Danielle.

“Un vero appuntamento o soltanto una delle tue avventure da una notte?”

“Un vero appuntamento. Lui ti piacerebbe, credo.” Quella era una stronzata. Danielle era piuttosto sicura che Chloe non avrebbe affatto approvato Martin.

“Sai come facciamo per scoprirlo? Porta anche lui.”

“Oh Gesù, sei insopportabile.”

“Sarebbe un sì?” Chiese Chloe.

“Sarebbe un vedremo.”

“D’accordo. Come stai, Danielle? Va tutto bene?”

“Credo di sì. Il lavoro va bene e sto per uscire con lo stesso ragazzo per la ventesima volta.”

“Oh, allora sembra davvero speciale” scherzò Chloe.

“A proposito, devo andare” disse Danielle.

“Ma certo. Ti manderò l’indirizzo per messaggio. Spero che verrai alla festa di quartiere. È questo sabato alle tre.”

“Non faccio promesse” disse Danielle, poi prese una lunga sorsata della sua Guinness. “Ciao Chloe.”

Terminò la chiamata senza aspettare che Chloe rispondesse. Non aveva idea del perché, ma la conversazione era stata estenuante.

Una festa di quartiere, pensò con amarezza. Va bene che non parliamo tanto spesso, ma pensavo mi conoscesse almeno un po’…

A quel pensiero ne seguì un altro. Iniziò a pensare a sua madre, perché era là che andava la sua mente ogni volta che era irritata con Chloe. Mentre pensava alla madre, si portò la mano al collo. Sentendo la pelle nuda, tornò di fretta in camera da letto, andò al portagioielli sulla cassettiera e ne tirò fuori la collana d’argento della madre; era praticamente l’unico oggetto tangibile che aveva che era appartenuto a Gale Fine. Se la mise al collo e infilò il semplice pendente sotto la maglietta.

Sentendolo contro la pelle, si domandò quante volte Chloe pensasse alla loro madre. Cercò anche di ricordare l’ultima volta che avevano parlato di quello che era successo quella mattina di diciassette anni fa. Sapeva che entrambe erano perseguitate da quel ricordo, ma esisteva forse qualcuno a cui piaceva rievocare spettri?

Mancavano solo dieci minuti all’appuntamento con Martin, così Danielle finì di bere la sua birra e decise di presentarsi in anticipo. Fece per avviarsi, ma si bloccò.

Proprio sotto la porta d’ingresso c’era una busta. Non si trovava lì mentre era al telefono con Chloe.

Si avvicinò e la raccolse con cautela. Le sembrò quasi di guardare se stessa in un film, poiché non era la prima volta che succedeva. Non era la prima lettera che arrivava.

La busta era senza contrassegni. Non c’erano scritti né nome né indirizzo. Aprì la busta, che non era sigillata. Infilò dentro la mano e tirò fuori un semplice cartoncino quadrato, poco più grande di una carta da gioco.

Prese il messaggio e lo lesse; poi lo lesse di nuovo.

Lo rimise dentro la busta e lo portò sulla scrivania addossata al muro del soggiorno. La mise insieme alle altre quattro lettere, tutte contenenti messaggi simili.

Le osservò per un momento, spaurita e confusa.

Aveva i palmi delle mani sudati e il cuore che le martellava nel petto.

Chi è che mi sta guardando? si domandò. E perché?

Poi fece quello che faceva sempre quando c’era qualcosa che la preoccupava. Lo ignorò. Allontanò dalla mente la lettera, insieme al messaggio che conteneva, e uscì dalla porta per incontrare Martin.

Mentre usciva dall’edificio, il messaggio della lettera le lampeggiava nella mente come un’insegna al neon.

SO COSA È SUCCESSO REALMENTE.

Non aveva senso, eppure allo stesso tempo sembrava avere perfettamente senso. Abbassò lo sguardo osservando la propria ombra sul marciapiede e si scoprì ad accelerare il passo. Sapeva che accantonare il problema non sarebbe servito a risolverlo, ma almeno la faceva sentire meglio.

SO COSA È SUCCESSO REALMENTE.

Anche i suoi piedi parevano d’accordo con lei, infatti sembrava volessero smettere di camminare, tornare indietro per cercare di dare un senso a quelle lettere, chiamare qualcuno. Forse la polizia. Forse persino Chloe.

Invece Danielle camminò ancora più veloce.

Era riuscita a lasciarsi il passato alle spalle, per la maggior parte.

Perché per quelle lettere avrebbe dovuto essere diverso?

CAPITOLO TRE

“Quindi non avete cambiato idea sul pollo, eh?”

In fondo era una domanda innocente, ma provocò in Chloe un’ondata di rabbia. Si morse l’interno della guancia per evitare di lasciarsi sfuggire qualche commento poco gentile.

Sally Brennan, la madre di Steven, era seduta di fronte a lei con un sorriso che sembrava uscito dal film La donna perfetta.

“Infatti, mamma” disse Steven. “È solo cibo… Cibo che probabilmente io non toccherò nemmeno, tanto sarò nervoso. Se qualcuno ha intenzione di lamentarsi del cibo che sarà servito al mio matrimonio, allora se ne può anche tornare a casa e magari fermarsi a mangiare a un Taco Bell, già che c’è.”

Chloe strinse la mano di Steven sotto il tavolo. A quanto pareva, aveva intuito l’irritazione di Chloe. Era raro che Steven contraddicesse la madre, ma quando lo faceva le sembrava quasi un eroe.

“Beh, non è certo il modo più carino di comportarsi” commentò Sally.

“Ha ragione lui” Wayne Brennan, il padre di Steven, disse dall’altro capo del tavolo. Il bicchiere di vino davanti a lui era stato svuotato per la terza volta quella sera e l’uomo stava prendendo la bottiglia per riempirlo di nuovo. “Sinceramente, a nessuno importa un bel niente del cibo ai matrimoni. È l’alcol che tutti aspettano. E avremo un rinfresco gratuito, perciò...”

La conversazione restò in sospeso, ma la smorfia sul volto di Sally non nascondeva che secondo lei il pollo rimanesse una pessima idea.

Ma quella non è una novità. Si era lamentata e lagnata praticamente di ogni decisione che Chloe e Steven avevano preso; e non mancava mai di ricordare loro con disinvoltura chi avrebbe pagato per la cerimonia.

Non solo Pinecrest era ancora una volta la casa di Chloe, ma era anche dove vivevano i genitori di Steven. Si erano trasferiti lì cinque anni prima, anche se tecnicamente stavano appena fuori Pinecrest, in una città poco più piccola, chiamata Elon. Oltre al lavoro di Steven, era stata una delle ragioni per cui Chloe e Steven avevano deciso di trasferirsi a Pinecrest. Lui lavorava come sviluppatore di software e gli era stata offerta una posizione troppo buona per poterla rifiutare. Quanto a Chloe, al momento era una tirocinante dell’FBI, mentre stava conseguendo il Master in diritto penale. Vista la vicinanza del quartier generale dell’FBI a Baltimora, la decisione di andare a vivere lì era sembrata perfettamente sensata.

Ma Chloe stava già rimpiangendo di essersi trasferita così vicino ai genitori di Steven. Wayne non era male, la maggior parte delle volte. Invece Sally Brennan era, per dirla in modo gentile, una stronza arrogante che amava ficcare il naso dove non avrebbe dovuto.

I Brennan, come coppia, erano persone piuttosto piacevoli, entrambi in pensione, benestanti e per lo più felici. Ma coccolavano troppo Steven. In quanto figlio unico, aveva ammesso più volte con Chloe che i suoi genitori l’avevano viziato oltre ogni limite. Persino adesso, all’età di ventotto anni, lo trattavano fin troppo da bambino. E quello che ne veniva fuori era un atteggiamento di iperprotettività. Era la ragione principale per cui Chloe rabbrividiva mentalmente ogni volta che volevano parlare dei preparativi per il matrimonio.

E, sfortunatamente, sembrava proprio quello che volevano fare quella sera a cena. Sally non aveva perso tempo prima di tirare fuori l’argomento del menù nunziale.

“Allora, com’è la casa?” chiese Wayne, ansioso quanto Chloe di cambiare argomento.

“Fantastica” disse Chloe. “Dovremmo finire tra pochi giorni con quel labirinto di scatoloni.”

“Ah, e sentite questa” aggiunse Steven. “Una ragazza che andava al liceo con Chloe vive proprio lungo la nostra strada, a un paio di case di distanza. Non è da pazzi?”

“Forse non quanto sembra” commentò Wayne. “Questa città è davvero minuscola. Era inevitabile che a un certo punto avreste incontrato qualcuno che conoscete.”

“Soprattutto in quei quartieri dove le case sono tutte addossate una all’altra” aggiunse Sally con un sorrisino, lanciando una frecciatina non proprio velata sulla loro scelta abitativa.

“Le case del nostro quartiere non sono addossate una all’altra” protestò Steven.

“Infatti. Abbiamo un giardino abbastanza grande” aggiunse Chloe.

Scrollando le spalle, Sally bevve un altro sorso di vino. Quindi sembrò riflettere su qualcosa, quasi stesse considerando se dirlo o meno; alla fine si arrese e diede voce ai suoi pensieri.

“Non c’è solo la tua amica delle superiori a Pinecrest, vero?” chiese. “Anche tua sorella vive qui, se non ricordo male. “

“Sì, è così.”

Chloe aveva risposto seccamente, ma senza essere maleducata. Sally Brennan non aveva mai nascosto il proprio disappunto nei confronti di Danielle, nonostante le loro strade si fossero incrociate soltanto due volte. Purtroppo Sally era una di quelle casalinghe annoiate che vivevano di scandali e pettegolezzi. Perciò, quando aveva scoperto che Chloe aveva una sorella dal passato turbolento, era stata in egual misura sconvolta e affascinata.

“Non parliamone, mamma” disse Steven.

Chloe avrebbe voluto sentirsi difesa dalle parole di Steven, invece non aveva fatto altro che ferirla. Di solito, quando saltava fuori l’argomento Danielle, Steven prendeva le parti di sua madre. Lui aveva il buonsenso di sapere quando tacere, ma sua madre no.

“Sarà lei la damigella d’onore?” chiese Sally.

“Sì.”

Sally non alzò gli occhi al cielo, ma la sua espressione mostrava chiaramente quello che pensava.

“È mia sorella” disse Chloe. “Perciò sì, ho chiesto a lei di essere la mia damigella d’onore.”

“Ma certo, ha senso” disse Sally, “ma ho sempre pensato che la damigella d’onore debba essere scelta con criterio. È un grande onore, ma anche una grande responsabilità.” Chloe dovette afferrare il bordo del tavolo per trattenere una risposta tagliente. Notando la sua tensione, Steven fece del proprio meglio per salvare la situazione. “Mamma, dacci un taglio” disse. “Danielle se la caverà benissimo. E anche se qualcosa dovesse andare storto, farò in modo di avere un piano di riserva. Questo è il mio matrimonio, mamma. Non ho intenzione che succeda qualcosa di brutto.”

Stavolta fu Chloe che avrebbe voluto alzare gli occhi al cielo. Ancora una volta, Steven era intervenuto per spalleggiarla e al tempo stesso non irritare i suoi genitori. Soltanto per una volta, Chloe avrebbe voluto che lui difendesse sul serio Danielle. Sapeva che Steven non aveva grossi problemi con Danielle, ma stava facendo del proprio meglio per rassicurare la madre. Le dava quasi la nausea.

“Adesso basta con queste sciocchezze” disse Wayne mettendosi nel piatto una seconda porzione di patate arrosto. “Parliamo di football. Allora, Chloe… Sei una fan dei Redskins, vero?”

“Oddio, no. Dei Giants.”

“Non sono migliori” disse Wayne con una risata.

E tanto bastò per dissipare la tensione di quella cena. Chloe aveva sempre apprezzato il coraggio di Wayne di ignorare la stronzaggine della moglie e cambiare argomento senza aspettare che lei avesse finito di parlare. A Chloe sarebbe piaciuto se Steven avesse ereditato quella qualità dal padre. Ciononostante, quella sera Chloe non poté fare a meno di domandarsi se i timori di Sally fossero fondati. Danielle non era il tipo da agghindarsi e starsene tranquilla davanti a un mucchio di gente. Si sarebbe dovuta spingere fuori dal suo guscio, al matrimonio, e Chloe stessa si era domandata se ne sarebbe stata in grado.

Mentre quelle preoccupazioni le aleggiavano nella mente, ripensò alle bambine di molti anni prima, sedute sulla gradinata d’ingresso mentre il sacco per cadaveri veniva condotto fuori dall’appartamento. Ricordava senza difficoltà lo sguardo vacuo di Danielle. Sapeva che in quel momento qualcosa si era rotto dentro di lei. Sapeva che, nel giro di una notte, aveva perso sua sorella. E aveva sospettato che, da quel momento in poi, Danielle non sarebbe stata più la stessa.

CAPITOLO QUATTRO

Pioveva quando Chloe e il suo istruttore arrivarono sulla scena. Si sentì un pesce piccolo scendendo dalla macchina sotto quella pioggerellina. Poiché era ancora una tirocinante che doveva andare in giro con il suo istruttore, non le venivano affidati casi importanti. Quello, per esempio, sembrava il classico caso di violenza domestica. E anche se i particolari del caso non sembravano particolarmente brutali o raccapriccianti, le sole parole violenza domestica la facevano rabbrividire.

Del resto, aveva sentito ripetere quelle parole molto spesso, dopo la morte della madre. Il suo istruttore avrebbe dovuto essere a conoscenza del suo passato, di quello che era successo ai suoi genitori, ma quando quella mattina erano usciti non le aveva detto niente.

Si trovavano nella città di Willow Creek quel primo giorno, una piccola cittadina a circa venticinque chilometri di distanza da Baltimora. Stava facendo tirocinio nell’FBI per entrare a far parte della Squadra Ricerca Prove, e mentre si avvicinavano all’edificio a due piani, l’istruttore le lasciò persino assumere il comando. Il suo nome era Kyle Greene, un agente di quarantacinque anni che era stato sollevato dagli incarichi sul campo quando si era strappato il legamento incrociato anteriore durante l’inseguimento di un sospettato. Non era mai guarito del tutto da quella ferita, e così gli era stata offerta la possibilità di fare da istruttore e da mentore per i tirocinanti. Lui e Chloe avevano parlato solo due volte prima di quella mattina: una settimana prima su FaceTime, per conoscersi meglio, quindi due giorni prima, durante il viaggio da Philadelphia a Pinecrest.

“Una cosa, prima che entriamo” disse Greene. “Non gliel’ho detto finora perché non volevo che ci rimuginasse tutta la mattina.”

“Sì…?”

“Anche se questo è un caso di violenza domestica, si tratta anche di omicidio. Quando saremo là dentro, ci sarà un cadavere. Piuttosto recente.”

“Oh…” disse Chloe, incapace di nascondere il suo shock.

“So che è ben più di quello che si aspettava, ma prima che arrivasse c’è stato un po’ di dibattito. Abbiamo pensato che avremmo potuto farla agire in prima linea fin dall’inizio. È da un po’ che stiamo considerando l’idea di affidare ai tirocinanti più responsabilità, per dare loro modo di imparare più in fretta. E a giudicare dal suo fascicolo, abbiamo pensato che sarebbe stata una candidata ideale per mettere in pratica questa nostra idea. Spero che per lei vada bene.”

Chloe era ancora sorpresa, incapace di mettere insieme le parole. Sì, era una maggiore responsabilità. Sì, significava che avrebbe avuto più occhi puntati su di sé. Ma non si era mai tirata indietro da una sfida, e non intendeva iniziare a farlo ora.

“Sono grata per questa opportunità.”

“Bene” disse Greene, e dal suo tono si capiva che era esattamente quello che si aspettava.

Le fece cenno di seguirlo su per i gradini del portico. All’interno c’erano due agenti che parlavano con il medico legale. Chloe fece del proprio meglio per prepararsi alla scena, ma nonostante credesse di esserci riuscita, rimase comunque scossa quando vide la gamba di una donna spuntare da dietro il bancone della cucina.

“Adesso voglio che giri intorno al cadavere” disse Greene. “Mi dica quello che nota, sia del corpo che dell’ambiente circostante. Mi riferisca tutto il suo ragionamento.”

Durante il suo tirocinio, Chloe aveva visto un paio di cadaveri; quando viveva a Philadelphia non era così raro imbattersi in uno. Ma stavolta era diverso. Questo le sembrava fin troppo familiare. Aggirò il bancone della cucina e guardò la scena del delitto.

La vittima era una donna che sembrava sulla trentina. Era stata colpita in testa con un oggetto contundente, con tutta probabilità il tostapane che ora giaceva in pezzi a qualche passo da lei. I danni maggiori li aveva fatti sul lato sinistro della fronte della donna, e l’impatto era stato così forte da spaccarle la cavità oculare; adesso pareva che l’occhio della donna potesse scivolare fuori da un momento all’altro e finire sul pavimento. La testa era circondata da una pozza di sangue circolare, quasi fosse un’aureola.

Forse la cosa più strana era che i pantaloni della tuta erano abbassati fino alle caviglie e le mutandine fino alle ginocchia. Chloe si accovacciò vicino al corpo in cerca di altri particolari. Vide due piccoli segni sul lato del collo della donna, che sembravano graffi freschi.

“Dov’è il marito?” chiese.

“In custodia” disse Greene. “Ha confessato tutto, ha già raccontato alla polizia cosa è successo.”

“Ma se è un caso di violenza domestica, perché è stato chiamato l’FBI?” chiese lei.

“Perché questo tizio è stato arrestato tre anni fa per aver picchiato la sua prima moglie in modo talmente violento da spedirla al pronto soccorso. La donna però non ha sporto denuncia. Inoltre, due settimane fa, il suo computer è stato segnalato per la presenza di potenziali video proibiti.”

Chloe ascoltò tutte le informazioni, riflettendo su quello che aveva davanti. Mise insieme tutti i pezzi come in un puzzle ed espose le sue teorie ad alta voce man mano che le venivano in mente.

“Visti i precedenti di quest’uomo, si può dire che sia incline alla violenza. Alla violenza estrema, a giudicare dal tostapane. I pantaloni da tuta e le mutandine calate indicano che stava cercando di fare sesso con lei in cucina. O forse lo stavano già facendo e lei voleva fermarsi. I graffi sul collo indicano un rapporto violento, forse consensuale all’inizio, oppure del tutto non consensuale.

In quella si fermò a studiare il sangue. “Il sangue sembra relativamente fresco. Se dovessi fare una stima, direi che l’omicidio è avvenuto nelle ultime sei ore.”

“E quale sarebbe la sua prossima mossa?” chiese Greene. “Se non avessimo già il marito in custodia e stessimo cercando il colpevole, come si muoverebbe?”

“Cercherei le prove di un rapporto sessuale, così potremmo ricavare il DNA e scoprire a chi appartiene. Ma in attesa dei risultati, andrei di sopra in camera da letto a cercare un portafoglio o qualcosa di simile, nella speranza di trovare un documento d’identità. Naturalmente, questo se non fosse già stato sospettato il marito. In quel caso, potremo ottenere il suo nome direttamente dall’indirizzo di casa.”

Greene le sorrise, annuendo. “Proprio così. Sarebbe sorpresa da quanti novellini cascano in questa domanda tranello. Siamo a casa del sospettato, quindi il nome lo sappiamo già. Ma se non fosse il marito ad essere sospettato, avrebbe ragione lei. Tra l’altro… Fine, si sente bene?”

La domanda la colse di sorpresa, soprattutto perché non stava affatto bene. Era rimasta incantata, a fissare il sangue sulle mattonelle della cucina. Quella vista l’aveva riportata indietro negli anni, a fissare la pozza di sangue che andava seccandosi sulla moquette alla base delle scale.

Senza alcun preavviso, iniziò a sentirsi debole. Si afferrò al bancone della cucina, temendo di stare per vomitare. Era preoccupante e imbarazzante.

È questo che mi devo aspettare ogni volta che mi troverò davanti una scena del crimine anche solo vagamente sanguinolenta? Davanti ad ogni scena del crimine che assomigli vagamente a quella della mamma?

Nella sua mente sentiva la voce di Sally, una delle prime cose che le avesse detto: non sono sicura che una donna possa essere un bravo agente. Soprattutto una con un passato traumatico come il tuo. Mi domando se sia un trauma che si riesca mai a superare…

“Mi dispiace, mi scusi” mormorò. Si spinse via dal bancone e corse alla porta d’ingresso. Per poco non cadde dai gradini del portico mentre raggiungeva il prato, sicura che avrebbe vomitato.

Per fortuna il destino le risparmiò quell’imbarazzo. Fece una serie di respiri profondi, concentrandosi al punto che quasi non si accorse di Greene che la raggiungeva.

“Ci sono casi che colpiscono anche me” le disse. Mantenne una certa distanza, lasciandole il suo spazio. “Ci saranno scene del crimine molto peggiori. È triste, ma dopo un po’ è come se ci si facesse il callo.”

Chloe annuì, poiché l’aveva già sentito prima. “Lo so. È solo che… Questa scena mi ha riportato alla mente un ricordo. Un ricordo a cui non mi piace pensare.”

“Il Bureau dispone di psicoterapeuti eccezionali per aiutare gli agenti a superare cose come questa. Perciò non pensi mai di essere da sola o che questo faccia di lei un agente incapace.”

“La ringrazio” disse Chloe, finalmente in grado di rimettersi dritta in piedi.

Si accorse che all’improvviso sua sorella le mancava terribilmente. Per quanto sembrasse macabro, ogni volta che le affioravano alla mente ricordi del giorno in cui la loro madre era morta, erano sempre accompagnati da un profondo affetto nei confronti di Danielle. Come adesso; Chloe non poteva fare a meno di pensare a sua sorella. Danielle ne aveva passate tante nel corso degli anni; era una vittima delle circostanze e al tempo stesso di alcune decisioni sbagliate. E adesso che Chloe viveva così vicino a lei, sembrava impensabile che dovessero rimanere distanti.

Certo, aveva invitato Danielle alla festa di quartiere quel weekend, ma Chloe scoprì che non sarebbe riuscita ad aspettare tanto a lungo. Inoltre, aveva il sospetto che non ci sarebbe nemmeno venuta.

All’improvviso, seppe cosa doveva fare: doveva vederla adesso.

***

Chloe non sapeva perché fosse così nervosa quando bussò alla porta di Danielle. Sapeva che Danielle era in casa; la stessa auto che aveva avuto da adolescente era nel parcheggio della palazzina, con ancora attaccati gli stickers di band musicali come Nine Inch Nails, KMFDM, Ministry. Vedere l’auto e tutti quegli adesivi le provocò una fitta di nostalgia che era più che altro tristezza.

Davvero non è cresciuta per niente? Si domandò Chloe.

Quando Danielle aprì la porta, Chloe vide che era proprio così. O almeno era quello che il suo aspetto lasciava pensare.

Le sorelle rimasero a guardarsi per due secondi, prima di abbracciarsi rapidamente. Chloe notò che Danielle si tingeva ancora i capelli di nero, indossava ancora il piercing al labbro sul lato sinistro della bocca, aveva un accenno di eyeliner nero e indossava una maglietta dei Bauhaus e dei jeans strappati.

“Chloe” disse Danielle, accennando appena un sorriso. “Come stai?”

Era come se si fossero viste appena il giorno prima, ma andava bene così. Chloe non si aspettava certo una reazione più emotiva dalla sorella.

Chloe entrò nell’appartamento e, senza curarsi di quello che potesse pensare Danielle, la avvolse in un altro abbraccio. Era passato poco più di un anno da quando si erano viste, tre da quando si erano abbracciate così affettuosamente. Qualcosa nel fatto che ora vivessero nella stessa città sembrava aver creato un legame tra loro; era qualcosa che Chloe poteva avvertire, per cui non erano necessarie parole.

Danielle ricambiò l’abbraccio, seppur pigramente. “Quindi… come stai?” ripeté Danielle.

“Bene” disse Chloe. “So che avrei dovuto chiamare prima, ma… Non lo so. Avevo paura che avresti trovato una scusa per dirmi di non passare.”

“Può darsi” ammise Danielle. “Ma adesso che sei qui, accomodati. Scusa il disordine. Anzi no, non scusarlo. Sai che sono sempre stata disordinata.”

Chloe rise ma, entrando nell’appartamento, rimase sorpresa di trovarlo relativamente ordinato. L’area del soggiorno era scarsamente ammobiliata, con soltanto una poltrona, una TV su mobiletto, un tavolino e una lampada. Chloe sapeva che anche il resto della casa doveva essere così. Danielle era il tipo di persona che viveva solo con lo stretto essenziale. Le uniche eccezioni, se non era cambiata da quando era un adolescente (e a quanto sembrava non lo era), erano la musica e i libri. Chloe si sentì quasi in colpa per la casa elaborate e spaziosa che aveva appena comprato con Steven.

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