Kitabı oku: «La Tresca Perfetta», sayfa 3

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CAPITOLO CINQUE

Restare concentrati era difficile.

Con tutto quel testosterone che rimbalzava per l’appartamento, Jessie era ancora leggermente apprensiva e preoccupata che potesse scatenarsi una sparatoria da un momento all’altro.

Cercò di spingere fuori dalla propria testa tutta quella feroce animosità mentre attraversava l’appartamento. Da questo momento in poi aveva bisogno della mente sgombera. Il medico locale si concentrava sullo stato fisico del corpo e quelli della scena del crimine cercavano schizzi di sangue e impronte digitali. Ma lei doveva essere cosciente di tutto ciò che contribuiva alla costituzione psicologica della vittima. Anche il minimo dettaglio poteva condurre all’assassino.

L’appartamento era piuttosto ordinario. Dagli arredi le era chiaro che entrambe le residenti erano donne, anche se non le avevano ancora detto il genere della coinquilina della vittima. Una di loro era chiaramente più personalmente conservatrice rispetto all’altra. I quadri alle pareti erano un confuso amalgama di acquerelli e iconografia religiosa, posta accanto a stampe di Gustav Klimt e foto provocatorie di Mapplethorpe.

Mentre percorreva il corridoio, Jessie ebbe la netta impressione che l’inquilina più eccentrica fosse anche quella che aveva più soldi. Il suo stile sembrava molto più dominante. Quando passarono accanto alla piccola camera da letto, sbirciò all’interno e vide una croce appesa sopra al comò.

Quindi è morta quella che poteva permettersi la camera più grande.

Piuttosto certa, continuò verso la seconda camera alla fine del corridoio, da dove poteva sentire provenire delle voci.

“È pronta, signora profiler criminale?” chiese Costabile con tono derisorio.

“È decisamente…” iniziò a dire Ryan, ma Jessie lo interruppe.

“Sono ok,” rispose.

Non le serviva che Ryan difendesse la sua virtù professionale. E di certo non voleva un’altra competizione tra uomini duri quando tutto quello di cui aveva bisogno era concentrarsi. Ignorando qualsiasi guerra di occhiatacce fosse in corso alle sue spalle, fece un respiro profondo ed entrò nella camera da letto.

Prima ancora di guardare il corpo, permise ai propri occhi di osservare la stanza. C’erano altre scelte decorative coraggiose alle pareti e una lampada sferica da discoteca accanto al letto. Una sedia nell’angolo era rovesciata a terra e c’erano riviste sparpagliate sul pavimento, tutti elementi che suggerivano una lotta. La scrivania era per lo più vuota, anche se c’era un punto rettangolare e pulito circondato dalla polvere, segno sicuro che poco prima lì c’era stato un computer portatile.

“La TV è ancora qui,” notò Ryan. “E anche la console dei videogiochi. Mi pare una decisione strana, per un ladro, lasciare roba così.”

“Però il portatile è sparito,” disse Jessie. “Avete trovato un cellulare?”

“Non ancora,” disse l’agente Webb.

“Avete preso il numero dalla compagna di appartamento, in modo da poterlo rintracciare?” chiese, tentando di non lasciare libero sfogo alla propria impazienza.

“La coinquilina è un po’ sull’isterico,” disse Costabile. “Abbiamo fatto fatica a tirarle fuori qualcosa, oltre al suo nome, Elizabeth Polacnyk. Quelli del soccorso sanitario la stanno tenendo nell’ambulanza qua fuori. Intendevano sedarla.”

“Ok,” disse Jessie. “Ma non lasciatela andare fino a che non avremo avuto modo di parlarle.”

Costabile sembrava ancora infastidito, ma fece cenno all’agente Lester, che era ancora accanto alla porta d’accesso, per comunicargli il suo ordine. Quando lo fece, Jessie finalmente fissò la propria attenzione sulla ragazza stesa sul letto. Era già nel sacco da cadavere, che però non era stato ancora chiuso. Jessie si sentì ribollire di rabbia a quella vista.

“Qualcuno ha fatto delle foto prima che il corpo venisse spostato?” chiese Ryan, pronunciando a voce alta la domanda che Jessie aveva in testa.

Un tecnico della scena del crimine alzò la mano.

“Sono riuscito a scattarne qualcuna prima che venisse messa nel sacco,” disse.

Il vice medico legale si avvicinò.

“Salve. Sono Maggie Caldwell. Abbiamo cercato di posticipare l’insaccamento,” disse con tono dispiaciuto. “Ma abbiamo ricevuto ordini diversi.”

L’accusa rimase sospesa in aria, non detta.

“Come ho detto,” disse Costabile sulla difensiva, “sembrava un caso fatto e chiuso. Non volevo sprecare risorse.”

Jessie cercò di tenere la voce regolare mentre rispondeva.

“Sono sicura che lei ha decenni di esperienza in questo lavoro, sergente,” disse. “Ma ha per caso l’abitudine di dare ordini e prendere decisioni che vadano a disturbare la scena del delitto prima che i detective arrivino, indipendentemente da quali siano le risorse richieste?”

“L’ufficio della Valley non è uno splendore come voi del centro,” disse l’uomo con rabbia. “Noi non abbiamo il lusso di starcene placidi a osservare ogni bambina scappata di casa che troviamo morta.”

Anche se la rabbia di Jessie stava ribollendo, la sua voce rimase calma e lenta.

“Non sapevo che le procedure della polizia da questa parte della città ora prevedessero il risparmio del budget dedicato alla risoluzione dei crimini. Mi piacerebbe vedere quella clausola nel nuovo regolamento. E inoltre non mi ero resa conto che non valesse la pena di indagare gli omicidi di adolescenti scappate di casa. Mi sono persa quella lezione quando ho frequentato la scuola all’LAPD?”

“Sta mettendo in questione la mia professionalità?” chiese Costabile, facendo un passo verso di lei.

“Sto solo facendo delle domande, sergente,” rispose lei senza tirarsi indietro. “Se la sua coscienza sta suggerendo qualcosa di più profondo, sta a lei capirlo. Io direi che se questa ragazza è un’adolescente scappata di casa, se la sta cavando piuttosto bene. È evidente che ha un lavoro che paga bene, che le permette di vivere in un discreto appartamento, comprare quadri e, sulla base della condizione di unghie e capelli, frequentare saloni costosi. È sicuro che non sta dando certe cose per scontate riguardo alla vittima?”

Costabile sembrava non sapere a quale offensiva domanda rispondere per prima. Dopo un momento di frustrati borbottii, prese la parola.

“La ragazza è stata trovata con indosso una divisa da cheerleader, con la gonna calata. Mi sembra piuttosto dozzinale come scena. Da quello che posso ipotizzare, è una del mestiere.”

“Non è possibile che la gonna sia stata tolta dall’aggressore?” chiese Jessie. “Il suo agente ha detto che aveva diciassette anni. Non è possibile che sia una cheerleader della scuola? Non è possibile che sia un’attrice con un costume di scena? Siamo sicuri che sia una puttana da quattro soldi? A me pare che lei stia dando per scontate un sacco di cose, per essere un professionista delle forze dell’ordine, sergente.”

Costabile fece un altro passo avanti. Ora era faccia a faccia con Jessie. Lei temeva che Ryan potesse tentare di intervenire, ma il collega fu capace di trattenersi. Probabilmente sapeva quello che lei stava facendo. Costabile le parlò sottovoce.

“Quindi lei intende venire qui con la sua reputazione da profiler hipster e strafiga e definirmi incapace del mio lavoro? Siamo arrivati a questo adesso?”

Stava quasi ringhiando, ma Jessie non se ne curò.

“Lo sta dicendo lei,” sussurrò in risposta. “E poi, se pensa di potermi intimidire con le sue tette da uomo e l’alito che puzza da aglio, si sbaglia di grosso. Sono stata faccia a faccia con uomini che prendevano pezzi di corpi umani come souvenir, quindi le sue misere tattiche di bullismo non mi fanno impressione. E ora si levi dai piedi.”

Le narici di Costabile si dilatarono. I vasi sanguigni sulla sua fronte sembravano poter esplodere da un secondo all’altro. Jessie lo osservò attentamente. Una parte di lei avrebbe voluto dargli una ginocchiata all’inguine. Ma la sua parte analitica lo stava ancora testando, cercando di determinare esattamente cosa stesse succedendo qui e perché la procedura non fosse stata ottemperata. C’era qualcosa di molto losco. Se si fosse arrabbiato a sufficienza, forse quell’uomo avrebbe inavvertitamente svelato qualcosa.

I due si guardarono torvi. Costabile era chino in avanti e ansimante, Jessie silenziosa e ferma. Era pronta a stare così anche tutta la serata, se in questo modo poteva contribuire a piegarlo. Dopo cinque secondi buoni, l’uomo espirò, soffiandole intenzionalmente addosso. Si piantò un sorriso forzato in viso e fece un passo indietro.

“Devo dire, signorina Hunt, che lei è una stronza ancora peggiore di quanto avessi sentito.”

“Come si chiama?” chiese Jessie, quasi prima che l’uomo potesse completare il suo insulto.

“Cosa?” le chiese lui, sorpreso dall’improvvisa reazione.

“La ragazza,” insistette Jessie, accennando al letto con un movimento della testa. “Sa almeno come si chiama?”

“Si chiama Michaela Penn,” disse l’agente Lester, salvando il proprio superiore da potenziale imbarazzo. “Stiamo ancora raccogliendo informazioni, ma sembra che frequentasse una scuola cattolica femminile locale. Si è emancipata dalla famiglia, anche se minorenne, già due anni fa e si è diplomata presto. Faceva la cameriera part-time al Jerry’s Dely a Studio City.”

“Grazie, agente,” disse Jessie, prima di aggiungere un’altra frase a beneficio del sergente Costabile. “Sembra davvero dozzinale.”

Si voltò e guardò finalmente Michaela con attenzione per la prima volta da quando era entrata nella stanza. La prima cosa che le balzò all’occhio fu quanto la ragazza sembrasse giovane. Poteva anche avere diciassette anni, ma con i capelli corti e scuri e la pelle chiara, ora bluastra, sembrava essere più vicina ai quindici.

Sollevò lo sguardo su una foto della ragazza posata sul comò e cercò di collegarla alla forma priva di vita che giaceva sul letto. La Michaela nella foto era bella nel suo delicato stile da folletto. Le ricordava una ragazza di quei cartoni anime giapponesi.

I suoi profondi occhi blu erano grandi ma privi di emozione, come se avesse imparato da tempo a nascondere i propri sentimenti. Solo il sorrisino accennato ai lati della bocca accennava alla possibilità di qualcosa nascosto sotto. Emanava l’impressione di un fuoco d’artificio non acceso, come se stesse solo tergiversando, preparandosi a esplodere da un momento all’altro.

“Potete aprire del tutto la zip della sacca?” chiese Ryan portandosi accanto a Jessie. Mentre aspettavano, sussurrò sottovoce. “Spero che valesse la pena di alienare permanentemente l’agente con maggior collegamenti nella Valley, insultandolo a quel modo. Perché non mollerà mai l’osso.”

“La giuria è già all’opera,” mormorò lei in risposta.

I poliziotti si erano allontanati, ma Maggie Caldwell, la vice del medico legale, restò vicina dopo l’apertura della sacca.

“Scusate,” disse sommessamente. “Non volevo toccare il corpo, ma Costabile era di fretta e voleva che facessimo velocemente. Se foste arrivati cinque minuti dopo, l’avreste trovata già caricata sul furgoncino.”

“Qualche idea del motivo di questa fretta?” chiese Ryan.

“No,” rispose la Caldwell nervosamente. “Ma non penso che fosse totalmente una sua idea. Era al telefono con qualcuno che sembrava dargli delle istruzioni. Solo dopo aver riagganciato ha iniziato a spingere per fare il più velocemente possibile.”

Jessie si avvicinò alla ragazza. La sua divisa da cheerleader, con scritte bianche e bordo nero, era molto comune. La scritta diceva solo “Central H.S.” La gonna era tirata giù fino a metà cosce.

“Lester ha detto che si era già diplomata, giusto?” ricordò Ryan. “Allora perché la divisa?”

“Vivo in questa zona da vent’anni e non riconosco questa scuola o questi colori,” disse la Caldwell. “Non penso sia vera.”

“Magari era un costume,” suggerì Jessie. “Fare la cameriera e recitare difficilmente sono attività reciprocamente esclusive.”

“È possibile,” confermò Ryan. “Odio dirlo, ma Costabile potrebbe anche avere ragione. Potrebbe essere un outfit che si era messa per… un cliente. Non deve essere passato inosservato qua in giro.”

Jessie annuì, dando voce alla propria teoria.

“Qualsiasi cosa stesse facendo, a meno che non avesse un fondo fiduciario, era molto più che un semplice lavoro da cameriera. Questo posto è carino. Le opere d’arte non sono economiche ed è chiaro che si occupava con cura di pelle e capelli, appoggiandosi ad assistenza professionale. Non faceva fatica a tirare avanti. Sappiamo se ha subito un’aggressione sessuale?” chiese alla Caldwell.

“Troppo presto per dirlo. Ne sapremo di più domani.”

“Dobbiamo assolutamente parlare presto con la compagna d’appartamento,” disse Ryan. “Magari lei può dirci se Michaela avesse ricevuto delle minacce ultimamente.”

Jessie annuì e guardò più attentamente le ferite da arma da taglio. Ce n’erano cinque nel petto e altre quattro all’addome.

“Qualcuno ha trovato l’arma del delitto?” chiese.

“C’è un coltello da macellaio mancante dal ceppo in cucina,” disse l’agente Lester, che aveva sentito la domanda. “Ma non siamo riusciti a trovarlo.”

“Strano,” notò Ryan.

“Cosa?” chiese Lester.

“Beh, se si tratta di un furto andato storto, ci si aspetterebbe che il colpevole fosse sorpreso di trovare Michaela nella stanza. La confusione generale qua dentro suggerisce una lotta. Ma se il colpevole non sapeva che lei era qui, come ha fatto a prendere il coltello? Difficile credere che sia corso in cucina a prenderlo e sia poi tornato in camera.”

“Magari le ha fatto perdere i sensi e poi ha preso il coltello?” suggerì Lester.

“Ma se le ha fatto perdere conoscenza e questa era una rapina, perché non limitarsi a prendere la roba e andarsene?” si chiese Jessie a voce alta. “A quel punto non avrebbe trovato nessuna resistenza. Andare a prendere il coltello, tornare nella stanza e pugnalare una ragazza svenuta per nove volte. Non mi sembra un comportamento tipico da ladro. Questo è un gesto a sangue freddo. Eppure…”

“Cosa?” la incitò Lester.

“È stato portato via il computer portatile,” disse, indicando la scrivania vuota. “E non abbiamo qui il suo telefono. Quindi è stata derubata. La domanda è: è stato un ripensamento? Era tutto preparato o quelle cose sono state prese per un motivo specifico? Qualsiasi sia il caso, direi che non c’è niente di chiaro e concluso.”

All’ultimo commento, Costabile, che se ne stava in silenzio in un angolo da qualche minuto, sobbalzò.

“Pensavo che avesse smesso di spargere diffamazione,” disse con tono acido. “Ma immagino fosse troppo da sperare.”

Jessie stava per ribattere, quando Ryan si intromise.

“Per ora lasciamo stare,” disse. “Dopotutto dobbiamo ancora parlare con la compagna d’appartamento. Andiamo, Jessie.”

Si incamminarono verso la porta, ma Ryan si fermò proprio mentre stavano per uscire. Chinandosi in avanti in modo che solo Costabile e Jessie potessero sentire, mormorò all’uomo un ultimo commento.

“Ma le devo dire, sergente, che se pensa che abbiamo finito di chiederle perché sta gestendo questo caso in modo così frettoloso, si sta tristemente sbagliando. Non so cosa lei stia nascondendo, ma questo caso puzza. Se pensa di poterci tenere sopra un coperchio, si sta prendendo in giro da solo.”

Costabile non rispose. Ma rivolse a Ryan un grosso sorriso malevolo che suggeriva quanto diversamente la pensasse.

CAPITOLO SEI

Per un secondo Jessie pensò che anche la coinquilina di Michaela fosse morta.

Nonostante le rassicurazioni degli infermieri del pronto soccorso, la ragazza non reagì quando aprirono il portellone dell’ambulanza e cercarono di richiamare la sua attenzione. Anche quando la chiamarono con quello che gli infermieri dissero essere il suo nomignolo preferito, Lizzie, non fece un solo movimento. Fu solo quando Ryan alzò la coperta termica in cui era avvolta che la ragazza diede il primo segno di vita.

“Che c’è?” chiese con voce stanca e scontrosa.

La ragazza sembrava essere negli ultimi anni dell’adolescenza. Anche se non aveva visto la camera di Lizzie, Jessie capì subito che si trattava di una personalità più contenuta rispetto alla compagna di appartamento. I capelli castani erano raccolti indietro e il trucco sul viso era quasi inesistente. Era vestita in modo molto conservatore, con una felpa con cerniera dell’Università Statale della California e un paio di pantaloni. Portava al collo un crocifisso.

Jessie guardò Ryan accigliata, non soddisfatta dalla sua tattica. Ma lui scrollò le spalle come a dire che aveva esaurito tutta la pazienza.

“Lizzie,” iniziò Jessie, usando la voce più empatica che le fosse possibile, “stiamo indagando su quanto successo e dobbiamo farti delle domande.”

“Mi hanno dato qualcosa,” disse Lizzie. “Mi sento un po’ strana.”

“Capiamo,” le assicurò Jessie mentre la aiutava a mettersi seduta. “E ti faremo portare in ospedale per fare un controllo subito dopo. Ma prima abbiamo bisogno di sapere alcune cose da te, va bene?”

“Va bene.”

“Come facevi a conoscere Michaela?” le chiese.

“Siamo andate a scuola insieme,” disse Lizzie, parlando lentamente, come se avesse bisogno di concentrarsi su ogni singola parola. “Lei ha finito prima, ma siamo rimaste in contatto. Quando mi sono diplomata abbiamo deciso di diventare coinquiline. Era una brava compagna d’appartamento.”

Jessie si voltò a guardare Ryan. La ragazza era davvero fuori combattimento. Sarebbe stato difficile cavarle fuori qualcosa. Lui inarcò le sopracciglia, frustrato. Jessie tentò di nuovo.

“Lizzie, Michaela aveva famigliari in zona?”

Con molto sforzo, Lizzie scosse la testa.

“E un ragazzo, o qualcuno con qui avesse magari recentemente litigato?”

“Nessun ragazzo,” rispose Lizzie pigramente.

“Magari un collega con cui aveva dei problemi?”

Gli occhi di Lizzie, fino a quel momento piuttosto appannati, si fecero più concentrati.

“Mick era una cameriera,” disse lei frettolosamente.

“Ok,” rispose Jessie, sorpresa dall’intensità della sua affermazione. “Aveva problemi con qualcuno al lavoro?”

“Era una cameriera,” ripeté Lizzie con veemenza.

Jessie si arrese e si voltò nuovamente verso Ryan.

“Penso che dovremo aspettare per parlarle. Non ha senso.”

“Sarebbe quello che preferirei anche io,” disse l’infermiere che si trovava lì vicino. “Dopo quello che ha passato, e con i medicinali che le abbiamo somministrato, vorrei davvero portarla dentro per farle dare un’occhiata.”

“Vada pure,” gli disse Ryan. “Passeremo di là a parlarle domani.”

Guardarono mentre Lizzie veniva assicurata alla barella e le porte dell’ambulanza si chiudevano. Mentre il veicolo partiva nel buio della notte, a Jessie venne in mente una cosa.

“Il detective della Valley non si è ancora visto.”

“Non sono sicuro che vogliamo essere qui quando arriverà,” le disse Ryan. “Non voglio che ci tempesti di domande sullo ‘schema investigativo’ che stiamo seguendo.”

“Non gli vuoi chiedere perché sia arrivato così tardi?” gli domandò Jessie sorpresa.

“Sì. Ma ho come la sensazione che andremmo a colpire lo stesso muro di mattoni che ci siamo trovati davanti con Costabile. Dobbiamo scoprire di più prima di pararci davanti a questi tizi.”

“Questo lo capisco,” gli disse Jessie. “Ma giusto per essere chiari, siamo d’accordo che c’è qualcosa di seriamente losco qui, giusto? Voglio dire, quel Costabile sembra più un capo della mafia che un sergente della polizia. O magari è il Don Corleone dell’ufficio della Valley.”

Ryan la guardò, chiaramente a disagio con le sue parole, ma non cercò di controbattere. Jessie decise di lasciarlo stare e continuò a parlare prima che lui potesse risponderle.

“Non penso che tireremo fuori niente di utile stasera.” Sospirò.

“No. Sarà meglio riprendere la cosa per mano domattina. A quel punto Lizzie sarà più coerente. La Caldwell potrebbe avere qualcosa di più definito sulla potenziale aggressione sessuale e potremo vedere se qualcuno ha tentato di vendere il portatile o il telefono di Michaela.”

“Ok,” disse Jessie riluttante. “Una cosa la sappiamo per certo. La tua Cathy Bla-bla aveva ragione. C’è decisamente qualcosa di poco chiaro in questo caso.”

*

Hannah era sveglia quando Jessie tornò a casa.

La ragazza quasi non alzò lo sguardo dal film che stava guardando quando lei entrò. Era quasi l’una di notte e domani sarebbe dovuta andare a scuola, ma Jessie non aveva energie per mettersi a discutere.

“È stata una lunga serata,” disse. “Vado a letto. Puoi abbassare il volume per favore e cercare di andare a letto presto, in modo da essere in forma domani?”

Hannah abbassò il volume di qualche tacca, ma per il resto non diede alcun cenno di aver sentito le parole della sorellastra. Jessie rimase sulla soglia della sua camera da letto per qualche secondo, dibattuta se tentare di nuovo. Ma alla fine decise che non ne valeva la pena e si limitò a chiudere la porta.

Dormì un sonno inquieto quella notte. Non era una cosa insolita. Negli ultimi anni aveva potuto contare su regolari incubi centrati sugli uomini che avevano costituito una minaccia per la sua vita. Erano generalmente un mix in cui comparivano il suo ex-marito, suo padre e Bolton Crutchfield.

Ma questa notte, come molte delle notti recenti, i suoi sogni furono centrati su Hannah. La sua mente era scossa da un vortice di immagini sconnesse, alcune della ragazza in pericolo nelle mani di un aggressore mascherato, altre in cui camminava indifferente verso il pericolo.

Ma il sogno che la preoccupò di più fu l’ultimo, in cui Hannah sedeva a un tavolo, sorridendo noncurante mentre un cameriere non identificabile le serviva un piatto pieno di parti di corpo umano. Si stava proprio portando una forchettata di carne umana alla bocca quando Jessie si svegliò di soprassalto, madida di sudore e con il respiro affannoso.

I primi raggi di sole del mattino filtravano attraverso una fessura tra le tende. Jessie si mise a sedere, ruotò le gambe fuori dal lato del letto e si appoggiò la testa tra le mani. La fronte le batteva dolorante e sentiva un vago senso di nausea. Mentre prendeva dell’ibuprofene e una bottiglietta di Pepto-Bismol, cercò di non interpretare troppo i sogni fatti.

Sapeva per esperienza che non erano tanto premonitori, quando una manifestazione delle sue paure. Faceva sogni del genere perché temeva per il futuro di Hannah, non perché quello che vi vedeva fosse destinato a divenire realtà.

Almeno questo era ciò che continuava a ripetersi.

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