Kitabı oku: «Morte al College »

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MORTE AL COLLEGE

(UN MISTERO DI RILEY PAIGE—LIBRO 7)

B L A K E P I E R C E

Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che include sei libri (e oltre). Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta da tre libri (e oltre); e anche della nuova serie dei misteri di KERI LOCKE.

Accanito lettore, da sempre appassionato di romanzi gialli e thriller, Blake apprezza i vostri commenti; pertanto siete invitati a visitare il sito www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto.

Copyright © 2017 di Blake Pierce. Tutti i diritti sono riservati. Fatta eccezione per quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti d'America del 1976, nessuno stralcio di questa pubblicazione potrà essere riprodotto, distribuito o trasmesso in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né potrà essere inserito in un database o in un sistema di recupero dei dati, senza che l'autore abbia prestato preventivamente il consenso. La licenza di questo ebook è concessa soltanto ad uso personale. Questa copia del libro non potrà essere rivenduta o trasferita ad altre persone. Se desiderate condividerlo con altri, vi preghiamo di acquistarne una copia per ogni richiedente. Se state leggendo questo libro e non l'avete acquistato, o non è stato acquistato solo a vostro uso personale, restituite la copia a vostre mani ed acquistatela. Vi siamo grati per il rispetto che dimostrerete alla fatica di questo autore. Questa è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono il frutto dell'immaginazione dell'autore o sono utilizzati per mera finzione. Qualsiasi rassomiglianza a persone reali, viventi o meno, è frutto di una pura coincidenza. Immagine di copertina è di proprietà di Pholon, usata su licenza di Shutterstock.com.

LIBRI DI BLAKE PIERCE

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

I MISTERI DI AVERY BLACK

IL KILLER DI COLLEGIALI (Libro #1)

CORSA CONTRO IL TEMPO (Libro #2)

FUOCO A BOSTON (Libro #3)

I MISTERI DI KERI LOCKE

UNA TRACCIA DI MORTE (Libro #1)

UNA TRACCIA DI OMICIDIO (Libro #2)

UNA TRACCIA DI VIZIO (Libro #3)

INDICE

PROLOGO

CAPITOLO UNO

CAPITOLO DUE

CAPITOLO TRE

CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO CINQUE

CAPITOLO SEI

CAPITOLO SETTE

CAPITOLO OTTO

CAPITOLO NOVE

CAPITOLO DIECI

CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO DODICI

CAPITOLO TREDICI

CAPITOLO QUATTORDICI

CAPITOLO QUINDICI

CAPITOLO SEDICI

CAPITOLO DICIASSETTE

CAPITOLO DICIOTTO

CAPITOLO DICIANNOVE

CAPITOLO VENTI

CAPITOLO VENTUNO

CAPITOLO VENTIDUE

CAPITOLO VENTITRE

CAPITOLO VENTIQUATTRO

CAPITOLO VENTICINQUE

CAPITOLO VENTISEI

CAPITOLO VENTISETTE

CAPITOLO VENTOTTO

CAPITOLO VENTINOVE

CAPITOLO TRENTA

CAPITOLO TRENTUNO

CAPITOLO TRENTADUE

CAPITOLO TRENTATRE

CAPITOLO TRENTAQUATTRO

CAPITOLO TRENTACINQUE

CAPITOLO TRENTASEI

CAPITOLO TRENTASETTE

CAPITOLO TRENTOTTO

CAPITOLO TRENTANOVE

CAPITOLO QUARANTA

PROLOGO

Tiffany era già vestita, quando sentì la madre chiamarla dal piano di sotto.

“Tiffany! Sei pronta per la chiesa?”

“Quasi, mamma” le rispose. “Dammi ancora un attimo.”

“Allora, sbrigati. Dobbiamo uscire tra cinque minuti.”

“OK.”

In realtà Tiffany era già pronta da parecchio tempo, quasi subito dopo aver fatto colazione con un delizioso waffle insieme ai genitori, al piano di sotto. Non voleva andare da nessuna parte. Si stava divertendo un mondo a guardare dei buffi video con animali sul suo cellulare.

Finora, aveva guardato un pechinese andare sullo skateboard, un bulldog salire su una scala a pioli, un gatto che provava a suonare la chitarra, un grosso cane che inseguiva la sua coda quando qualcuno cantava “Pop Goes the Weasel,” e infine un branco di coniglietti che correvano.

E in quel momento, stava guardando un video davvero molto divertente. Uno scoiattolo continuava a provare ad entrare in una mangiatoia per uccelli, costruita proprio per tenere lontani gli scoiattoli. In qualsiasi modo la bestiola si avvicinasse, la mangiatoia girava su se stessa e lo faceva volare via. Ma l’animaletto era determinato, e non aveva alcuna intenzione di demordere.

La ragazza continuò a ridacchiare, guardando il video, finché la madre la chiamò di nuovo.

“Tiffany! Tua sorella viene con noi?”

“Credo di no, mamma.”

“Allora, va a chiederglielo per favore.”

Tiffany sospirò. Avrebbe voluto più che mai risponderle …

“Vaglielo a chiedere tu.”

Invece, si limitò a dire: “OK.”

La sorella diciannovenne di Tiffany, Lois, non era scesa a fare colazione. Tiffany era sicura che non avesse alcuna intenzione di andare in chiesa. Del resto, lo aveva detto già il giorno prima.

Lois aveva partecipato sempre meno alle attività di famiglia, da quando aveva iniziato ad andare al college in autunno. Era vero che tornava a casa quasi sempre nel fine settimana, durante le vacanze e le pause delle lezioni, ma si limitava a starsene per conto suo o ad uscire con gli amici, e quasi sempre dormiva fino a tardi al mattino.

Tiffany non poteva certo biasimarla.

La vita familiare a Pennington poteva annoiare a morte gli adolescenti. E la chiesa annoiava Tiffany quasi più di ogni altra cosa.

Con un sospiro, fermò il video e uscì in corridoio. La camera di Lois era al piano superiore; a confronto della sua era sfarzosa ed occupava la maggior parte della mansarda. Aveva persino un bagno privato, lassù, e un enorme armadio. Tiffany era ancora relegata nella camera da letto più piccola, al secondo piano, che le era toccata praticamente da sempre.

Non le sembrava giusto. Aveva sperato di ereditare la camera della sorella, una volta che quest’ultima fosse andata al college. Perché Lois aveva bisogno di tutto quello spazio ora che veniva a casa soltanto durante i fine settimana? Non potevano scambiarsi finalmente le camere?

Se ne lamentava spesso e volentieri, ma a nessuno sembrava importare.

Si fermò in fondo alle scale che conducevano alla mansarda, e gridò.

“Ehi, Lois! Vieni con noi?”

Non ci fu alcuna risposta. Tiffany roteò gli occhi, sbuffando: capitava sempre così, ogni volta che doveva rivolgersi a Lois, per un motivo o per un altro.

Salì le scale, e bussò alla porta della camera della sorella.

“Ehi, Lois” gridò di nuovo. “Stiamo andando in chiesa. Vieni?”

Ancora una volta, non ottenne alcuna risposta.

Tiffany strascicò i piedi con impazienza, poi bussò di nuovo.

“Sei sveglia?” chiese.

Ancora nessuna risposta.

Tiffany gemette forte. Forse Lois era profondamente addormentata, o stava ascoltando la musica con le cuffie alle orecchie. Molto più probabilmente, la stava semplicemente ignorando.

“OK” gridò. “Dirò alla mamma che non verrai con noi.”

Mentre scendeva di sotto, Tiffany si sentì un po’ preoccupata. Lois era sembrata giù, durante le sue ultime visite: non proprio depressa, ma neppure allegra come al solito. Aveva detto a Tiffany che il college era più duro di quanto si fosse aspettata e che la pressione la stava logorando.

In fondo alle scale, il padre era fermo nell’atrio, intento a controllare il suo orologio con impazienza. Sembrava pronto ad uscire: indossava già un caldo cappotto, un berretto impellicciato, una sciarpa e un paio di guanti. La mamma aveva il cappotto in mano.

“Allora, Lois viene?” il papà chiese.

“Ha detto di no” Tiffany rispose, mentendo. Il padre sarebbe certo andato su tutte le furie, se Tiffany gli avesse detto di non aver ricevuto nemmeno una risposta, dopo aver bussato alla porta della camera della sorella.

“A dire il vero, non mi sorprende” la mamma esclamò, indossando i guanti. “Ho sentito la sua auto tornare molto tardi ieri sera. Non sono certa di che ora fosse.”

Tiffany provò nuovamente invidia, soltanto a sentire nominare l’auto della sorella. Lois godeva di molta libertà ora che frequentava il college! Soprattutto, a nessuno sembrava importare a che ora fosse rientrata la sera precedente. Tiffany, peraltro non l’aveva neppure sentita rincasare.

Sarò stata addormentata profondamente, pensò.

Mentre Tiffany si accingeva ad indossare il cappotto, il padre brontolò: “Voi due ci state mettendo una vita. Faremo tardi per la messa.”

“Arriveremo in tempo” la mamma rispose con tranquillità.

“Vado a mettere in moto l’auto” il padre esclamò; poi aprì la porta e uscì.

Tiffany e la madre uscirono insieme, seguendolo.

L’aria fredda investì brutalmente la ragazza. Il manto di neve, caduta qualche giorno prima, ricopriva ancora la terra.

Tiffany avrebbe voluto stare ancora al caldo, sotto le coperte. Era una brutta giornata per andare da qualsiasi parte.

Improvvisamente, sentì la madre sussultare.

“Lester, che cos’è stato?” la donna si rivolse al marito.

Tiffany vide il padre stare fermo di fronte alla porta aperta del garage. Guardava all’interno, con gli occhi e la bocca spalancati. Sembrava sbalordito e scioccato.

“Che cosa succede?” la moglie chiese di nuovo.

L’uomo si voltò a guardarla. Sembrava non essere in grado di pronunciare una sola parola.

Infine, disse d’impulso: Chiama il nove-uno-uno.”

“Perché?” la moglie rispose.

Il padre non aveva fornito alcuna spiegazione. Si diresse all’interno del garage. La madre avanzò e, appena arrivata davanti alla porta aperta, emise un urlo che paralizzò a morte Tiffany.

La madre si precipitò nel garage.

Per un lungo momento, Tiffany restò immobile.

“Che cosa c’è?” la ragazza gridò.

Sentì la voce singhiozzante della madre, proveniente dal garage: “Torna in casa, Tiffany.”

“Perché?” Tiffany rispose gridando.

La madre uscì di corsa dal garage. Afferrò il braccio di Tiffany e provò a spingerla via, per farla rientrare in casa.

“Non guardare” disse. “Torna dentro.”

Tiffany riuscì a liberarsi dalla stretta materna, e corse all’interno del garage.

Le ci volle un momento per realizzare il tutto. Tutte e tre le auto erano parcheggiate lì. Nell’angolo sul retro, a sinistra, il padre stava maldestramente lottando con una scala a pioli.

C’era qualcosa appeso lì con una corda, legato ad una trave del tetto.

Era una persona.

Era sua sorella.

CAPITOLO UNO

Riley Paige si era appena seduta a tavola per cenare, quando sua figlia disse qualcosa che la scosse profondamente.

“Non siamo l’immagine della famiglia perfetta?”

Riley guardò April, il cui viso era diventato rosso per l’imbarazzo.

“Accidenti, l’ho detto ad alta voce?” April esclamò imbarazzata. “Sono stata per caso sdolcinata?”

Riley scoppiò a ridere e si guardò intorno al tavolo. Il suo ex-marito, Ryan, era seduto all’altra estremità. Alla sinistra della donna, la figlia quindicenne April sedeva accanto alla governante, Gabriela. Alla sua destra invece, c’era la nuova arrivata, la tredicenne Jilly.

April e Jilly avevano appena preparato gli hamburger per la cena di domenica, offrendo a Gabriela una pausa dalla cucina.

Ryan morse il suo hamburger, poi disse: “Allora, siamo una famiglia, non è vero? Voglio dire, guardiamoci.”

Riley non aggiunse nulla.

Una famiglia, pensò. E’ ciò che siamo davvero?

Quell’idea la colse leggermente di sorpresa. Dopotutto, lei e Ryan si erano separati quasi due anni prima, ed erano divorziati ormai da sei mesi. Sebbene stessero di nuovo trascorrendo del tempo insieme, Riley aveva evitato di riflettere a dove ciò li avrebbe condotti. Si era messa alle spalle anni di dolore e tradimento, per potersi godere un sereno presente.

Poi, c’era April, la cui adolescenza si stava dimostrando certamente impegnativa. Il suo desiderio di famiglia sarebbe durato?

Riley era ancora più incerta su Jilly. L’aveva trovata ad una fermata per camion a Phoenix, mentre provava a vendere il proprio corpo ai camionisti, e l’aveva sottratta ad una vita terribile e ad un padre violento; ora sperava di adottarla. Ma Jilly era ancora una ragazza complicata, e le cose erano delicate con lei.

L’unica persona a tavola, di cui Riley si sentiva sicura, era Gabriela. La robusta guatemalteca lavorava per la famiglia da molto tempo prima del divorzio. Gabriela era sempre stata responsabile, affidabile ed amorevole.

“Che cosa ne pensi, Gabriela?” Riley chiese.

La governante sorrise.

“Un famiglia si può scegliere, non ereditare soltanto” disse. “Il sangue non è tutto. L’amore è ciò che conta.”

Improvvisamente, Riley si sentì avvolgere dal calore. Poteva sempre contare sul fatto che Gabriela dicesse quello che occorreva. Osservò con un nuovo senso di soddisfazione le persone che la circondavano.

Dopo essere stata in ferie dal BAU per un mese, si stava godendo la vita domestica nella sua casa di città.

E mi sto godendo la mia famiglia, pensò.

Poi, April aggiunse una nuova frase che la sorprese.

“Papà, quando ti trasferirai da noi?”

Ryan sembrò piuttosto sorpreso. Come faceva sempre, Riley si domandò se questo nuovo momento fosse troppo bello per durare.

“E’ un argomento molto serio per discuterne al momento” Ryan rispose.

“Perché?” la ragazza chiese al padre. “Potresti benissimo vivere qui. Voglio dire, tu e mamma dormite di nuovo insieme, e tu sei qui quasi ogni giorno.”

Riley sentì il suo volto arrossire.

Scioccata, Gabriela diede ad April una forte gomitata. “¡Chica! ¡Silencio!” esclamò.

Jilly si guardò intorno, sorridendo a trentadue denti.

“Ehi, è un’idea grandiosa” disse. “Allora sì che prenderei dei buoni voti.”

Era vero, Ryan stava aiutando Jilly a rimettersi in pari nella sua nuova scuola, specialmente con le materie umanistiche. Era stata davvero molto utile a tutte loro negli ultimi mesi.

Lo sguardo di Riley incontrò quello di Ryan. Vide che anche lui stava arrossendo.

Per quanto la riguardava, non sapeva che cosa dire. Doveva ammettere di trovare l’idea accattivante. Si stava abituando al fatto che Ryan trascorresse con lei la maggior parte delle notti. Tutto era andato facilmente al suo posto, forse fin troppo facilmente. O, forse, parte della sua serenità proveniva dal fatto di non dover prendere alcuna decisione al riguardo.

Ricordò come April avesse definito la loro situazione pochi istanti prima.

“L’immagine della famiglia perfetta.”

Sicuramente apparivano così in quel momento. Ma Riley non riusciva a non sentirsi a disagio. Tutta quella perfezione era soltanto un’illusione? Proprio come leggere un buon libro o guardare un bel film?

Riley era fin troppo consapevole di ciò che avveniva nel mondo, che era popolato da mostri. Aveva dedicato la sua vita professionale a combatterli. Ma, nel corso dell’ultimo mese, era stata quasi capace di fingere che non esistessero.

Un sorriso attraversò lentamente il volto di Ryan.

“Ehi, perché non ci trasferiamo tutti da me?” disse. “C’è abbastanza spazio per tutti.”

Riley soffocò a stento un moto d’ansia.

L’ultima cosa che desiderava era tornare nella grande casa di periferia che aveva condiviso per anni con Ryan. Era davvero piena di sgradevoli ricordi.

“Non potrei rinunciare a questa casa” rispose. “Mi sono sistemata così bene qui.”

April guardò ansiosamente suo padre.

“Dipende da te, papà” la ragazza disse. “Ti trasferirai qui con noi o no?”

Riley guardò il viso di Ryan. Intuì che fosse piuttosto combattuto sulla decisione da prendere. Ne comprendeva almeno un motivo: lavorava anche in uno studio legale di Washington DC, ma spesso lavorava a casa e non c’era abbastanza spazio lì da loro.

Infine, Ryan rispose: “Vorrei tenere la casa. Potrebbe ancora restare il mio ufficio”.

April quasi saltellava per la contentezza.

“Perciò è un sì?” lei chiese.

Ryan sorrise silenziosamente per un istante.

“Sì, immagino sia così” disse finalmente.

April emise un grido di gioia. Jilly applaudì e ridacchiò.

“Grandioso!” Jilly disse. “Ti spiace passarmi il ketchup, papà?”

Ryan, April, Gabriela e Jilly cominciarono a chiacchierare felicemente, mentre continuavano a mangiare.

Riley si impose di godere di questa felicità, finché ne aveva la possibilità. Prima o poi, sarebbe stata chiamata a fermare un altro mostro. Quel pensiero le provocò un brivido lungo la schiena. Il male era in agguato, ad attenderla?

*

Il giorno seguente, poiché le lezioni a scuola di April sarebbero state più brevi, per consentire le riunioni tra gli insegnanti, Riley aveva dato il permesso alla figlia di rimanere a casa. Decisero di andare a fare shopping insieme, mentre Jilly era ancora a scuola.

Le file di negozi nel centro commerciale sembravano infinite agli occhi di Riley, e molti dei negozi sembravano assomigliarsi. Manichini scheletrici, vestiti di abiti alla moda, sfoggiavano pose impossibili nelle vetrine. Mentre passavano davanti a figure senza testa, Riley ebbe l’impressione che fossero tutte intercambiabili. Ma April continuava ad elencare tutto ciò che ciascun negozio offriva, e quali stili lei preferiva indossare. La ragazza apparentemente vedeva varietà, mentre alla madre appariva tutto uguale.

Una cosa da adolescente, immagino, pensò Riley.

Almeno, quel giorno il centro commerciale non era affollato.

April indicò un cartello fuori da un negozio, la cui insegna recitava: Towne Shoppe.

“Oh, guarda!” lei esclamò. “‘ARTICOLI DI MARCA CONVENIENTI’! Entriamo a dare un’occhiata!”

All’interno del negozio, April si fiondò su uno scaffale di jeans e giacche, scegliendo dei modelli da poter provare.

“Vorrei dei nuovi jeans anch’io” osservò Riley.

April roteò gli occhi.

“Oh, mamma, non dei jeans da mamma, per favore!”

“Ecco, non posso indossare quello che porti tu. Devo riuscire ad andare in giro senza dovermi preoccupare che i miei vestiti si strappino o volino via. Nessun difetto nel mio guardaroba, grazie.”

April scoppiò a ridere. “Vuoi dire, un paio di pantaloni! Allora ti auguro buona fortuna, sarà difficile riuscire a trovarne in un posto del genere.”

Riley si guardò intorno, esaminando i jeans disponibili. Erano tutti estremamente attillati, a vita bassa e strappati artificialmente.

Sospirò. Conosceva un paio di negozi nel centro commerciale, dove avrebbe potuto acquistare qualcosa che si avvicinasse di più al suo stile. Ma avrebbe dovuto sopportare le prese in giro di April.

“Cercherò qualcosa per me un’altra volta” Riley .

April afferrò diverse paia di jeans e si diresse al camerino di prova. Quando uscì, indossava il tipo di jeans che Riley detestava: attillati, strappati e con l’ombelico bene in vista.

Riley scosse la testa. “Dovresti provare anche tu i jeans da mamma” suggerì. “Ti accorgeresti che sono molto più comodi. Ma, alla fine, la comodità non ti interessa, vero?”

“No” April rispose, voltandosi e guardando come le stavano i jeans allo specchio. “Prendo questi. Adesso provo gli altri.”

April tornò al camerino svariate volte. Provò soltanto jeans del tipo che Riley odiava, ma la donna sapeva che era meglio non impedirle di comprarli. Sarebbe stata una battaglia inutile e avrebbe perso, in un modo o nell’altro.

Osservando April posare davanti allo specchio, Riley notò che la figlia era quasi alta quanto lei, e la maglietta che indossava mostrava una figura ben sviluppata. Con i capelli scuri e gli occhi nocciola, la rassomiglianza tra loro era impressionante. Naturalmente, i capelli di April non mostravano i fili grigi che apparivano tra quelli di Riley. Ma, nonostante tutto …

Sta diventando una donna, Riley pensò.

Non riusciva a fare a meno di sentirsi a disagio all’idea.

April stava crescendo troppo in fretta?

Aveva senz’altro vissuto molte esperienze nell’arco dell’ultimo anno. Era stata rapita per ben due volte. In un’occasione, era stata tenuta prigioniera al buio da un sadico, che l’aveva torturata con una fiamma ossidrica. Aveva anche combattuto contro un killer nella loro stessa casa. Ma l’esperienza peggiore di tutte era stata un’altra: un fidanzato violento l’aveva drogata e aveva provato a venderla al mercato del sesso.

Riley sapeva che era un carico eccessivo da affrontare per una quindicenne. Si sentiva in colpa, perché era stato il suo stesso lavoro a mettere April e le altre persone che amava in un pericolo mortale.

E ora April era lì, apparentemente molto matura, nonostante gli sforzi per sembrare e comportarsi come una normale adolescente. Sembrava aver superato la fase peggiore della PTSD. Ma quale genere di ansie e timori ancora la tormentavano nel profondo? Se le sarebbe mai lasciate alle spalle?

Riley pagò i nuovi vestiti di April, e poi uscì su un balcone del centro commerciale. L’atteggiamento fiducioso che traspariva dalla camminata di April ridusse la preoccupazione di Riley. Le cose, dopotutto, stavano migliorando. Sapeva che in quel momento, Ryan stava portando alcune delle sue cose nella sua casa di città. E April e Jilly stavano andando bene a scuola.

Riley stava per proporre di trovare un posto in cui mangiare, quando il cellulare di April si mise a vibrare. La ragazza si allontanò bruscamente, per rispondere alla chiamata.

Riley ne rimase avvilita. A volte, quel cellulare sembrava un essere vivente, che richiedeva tutta l’attenzione di April.

“Ehi, che cosa c’è?” April chiese, rispondendo al telefono.

Improvvisamente, le sue ginocchia cedettero, e si sedette su una panchina. Il suo viso divenne pallido e la sua espressione felice mutò in una smorfia di dolore. Le lacrime cominciarono a rigarle il viso. Allarmata, Riley si precipitò dalla figlia, e si sedette accanto a lei.

“Oh mio Dio!” April esclamò. “Come è potuto … perché … non posso…”

Riley ora era davvero agitata.

Che cos’era successo?

Qualcuno era ferito o in pericolo?

Si trattava di Jilly, Ryan, Gabriela?

No, avrebbero senz’altro chiamato Riley per dare una notizia simile, non di certo April.

“Mi dispiace tanto” April continuava a ripetere. Poi, mise fine alla telefonata.

“Chi era?” Riley chiese ansiosamente.

“Era Tiffany” April disse con un tono scioccato ma calmo.

Riley riconobbe il nome. Tiffany Pennington era la migliore amica di April in quel periodo. Riley l’aveva incontrata un paio di volte.

“Che cosa succede?” Riley chiese.

April guardò sua madre, rivolgendole un’espressione addolorata e sconvolta.

“La sorella di Tiffany è morta” April disse.

Fu come se April non riuscisse a credere alle sue stesse parole.

Poi, con voce rotta, aggiunse: “Dicono si sia trattato di suicidio.”

₺140,11
Yaş sınırı:
16+
Litres'teki yayın tarihi:
10 ekim 2019
Hacim:
250 s. 1 illüstrasyon
ISBN:
9781640292154
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