Kitabı oku: «Morte Sui Binari », sayfa 4

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CAPITOLO SEI

Jenn Roston era furiosa, mentre seguiva i colleghi, allontanandosi dalla scena del crimine. Arrancava tra gli alberi dietro a Riley e all’Agente Jeffreys, mentre il Vice Capo Cullen faceva strada, diretto verso i veicoli parcheggiati.

“Toro” Cullen, si fa chiamare, ricordò con disprezzo.

Era felice di avere due persone tra lei e l’uomo.

Continuò a pensare …

Ha provato a fare una dimostrazione di soffocamento di sangue a me!

La donna dubitava che lui avesse cercato una scusa per molestarla, non esattamente, comunque. Ma, di certo, stava cercando una possibilità per imporre il controllo fisico su di lei. Era piuttosto negativo il fatto che si sentisse di mostrare la presa del soffocamento di sangue e i suoi effetti su di lei, come se la donna non fosse già a conoscenza della tecnica.

Pensò che fossero stati fortunati, per il fatto che Cullen non avesse davvero messo il braccio intorno al braccio di Riley. Quest’ultima, infatti, avrebbe rischiato di non riuscire a controllarsi. Sebbene l’uomo fosse assurdamente muscoloso, lei avrebbe quasi sicuramente avuto la meglio su di lui. Naturalmente, sarebbe stato piuttosto sconveniente sulla scena di un crimine, e non avrebbe affatto contribuito a promuovere i buoni rapporti tra investigatori. Perciò, Jenn sapeva che era meglio che le cose non fossero sfuggite di mano.

Come se non bastasse, ora Cullen sembrava essere infastidito dal fatto che Jenn e i suoi colleghi non se sarebbero andati via; certo temeva di perdere la gloria per aver risolto il caso.

Che sfortuna, stronzo, Jenn pensò.

Il gruppo emerse dagli alberi ed entrò nel furgone della polizia con Cullen. L’uomo non disse nulla, mentre guidava fino alla stazione di polizia, e anche i suoi compagni dell’FBI erano silenziosi. Lei immaginava che loro, come lei, stavano pensando all’orrenda scena del crimine e al commento di Cullen, in merito ad avere “qualcosa di particolarmente sgradevole di cui occuparsi” alla stazione.

Jenn odiava gli enigmi, forse perché zia Cora si dimostrava spesso così criptica e minacciosa nei suoi tentativi di manipolazione. E odiava anche vivere con la sensazione che qualcosa nel suo passato potesse distruggere la realizzazione del suo sogno presente di diventare agente FBI.

Quando Cullen parcheggiò il furgone di fronte alla stazione di polizia, Jenn e i colleghi uscirono e lo seguirono all’interno. Lì, Cullen li presentò al Capo della Polizia di Barnwell, Lucas Powell, un uomo di mezz’età con un mento pronunciato.

“Venite con me” Powell disse. “Ci sono degli uomini qui. I miei uomini e io non sappiamo come gestire questo genere di situazione.”

Uomini? Jenn si chiese.

E che tipo di “situazione” intendeva?

Il Capo Lucas Powell guidò Jenn, i colleghi e Cullen verso la sala degli interrogatori. All’interno, trovarono due uomini seduti al tavolo, entrambi indossavano dei gilè giallo fosforescente. Uno era alto e snello, più anziano ma di aspetto vigoroso. L’altro invece era quasi della stessa altezza di Jenn, quindi più basso, e probabilmente non molto più grande di lei.

Stavano bevendo delle tazze di caffè e stavano semplicemente guardando il tavolo.

Powell presentò prima l’uomo più anziano, e quello più giovane per secondo.

“Questo è Arlo Stine, il capotreno del treno merci. E questo invece è Everett Boynton, il suo assistente. Quando il treno si è fermato, sono stati loro a tornare indietro e a trovare il corpo.”

I due uomini guardarono a malapena il gruppo.

Jenn deglutì. Senz’altro, dovevano essere terribilmente traumatizzati.

C’era decisamente “qualcosa di piuttosto sgradevole” di cui occuparsi qui.

Interrogare questi uomini non sarebbe stato facile. A peggiorare le cose, era improbabile che sapessero qualcosa che avrebbe potuto guidarli fino al killer.

Jenn restò dietro, mentre Riley si sedette al tavolo con gli uomini, e parlò quasi sottovoce.

“Sono terribilmente dispiaciuta per il fatto che abbiate dovuto assistere a una cosa simile. Come state?”

L’uomo più anziano, il macchinista, alzò leggermente le spalle.

“Starò benissimo” disse. “Che lei ci creda o no, ho già visto una cosa simile prima d’ora. Persone uccise sui binari, voglio dire. Ho visto corpi straziati, in maniera di gran lunga peggiore. Non che chiunque ci si abitui, ma …”

Stine fece un cenno con il capo verso l’assistente e disse: “Ma Everett non l’ha mai vissuta prima.”

L’uomo più giovane sollevò lo sguardo dal tavolo, e guardò i presenti nella stanza.

“Starò BENE” disse, con voce tremante, ovviamente provando a sembrare sincero.

Riley disse: “Mi spiace di chiedervi questo, ma avete visto la vittima proprio prima …?”

Boynton sussultò bruscamente e non disse nulla.

Stine rispose: “Solo uno scorcio, tutto qui. Eravamo entrambi sul treno. Ma ero alla radio, a fare una telefonata di routine alla prossima stazione, ed Everett stava facendo i calcoli per la curva che avremmo dovuto passare. Quando il macchinista ha cominciato a frenare e ha azionato il fischio, abbiamo controllato e abbiamo visto … qualcosa, ma non eravamo certi di che cosa fosse in realtà.”

Stine fece una pausa e poi aggiunse: “Ma, di certo, ci siamo accorti di che cos’era accaduto, quando siamo scesi dal treno per andare a dare un’occhiata.”

Jenn stava mentalmente ripercorrendo parte della ricerca che aveva fatto durante il volo. Sapeva che il personale sui treni merci era limitato. Nonostante ciò, sembrava che mancasse una persona.

“Dov’è il macchinista?” lei chiese.

“La balena?” Toro Cullen disse. “E’ in custodia.”

La bocca di Jenn si spalancò leggermente.

Sapeva che “balena” nello slang del personale ferroviario, indicava un macchinista.

Ma che cosa diavolo stava succedendo qui?

“L’avete messo in prigione?” lei chiese.

Powell disse: “Non abbiamo avuto molta scelta.”

Il capotreno più anziano aggiunse: “Quel pover’uomo, lui non parlerà con nessuno. Le sole parole che ha detto da quando è successo sono: “Rinchiudetemi.” Ha continuato a ripeterlo e ripeterlo.”

Il capo della polizia locale si giustificò: “Ed è per questo che l’abbiamo rinchiuso. Sembrava la scelta migliore al momento.”

Jenn era sul punto di esplodere per la rabbia.

Chiese: “Avete richiesto la presenza di uno psicologo per farlo parlare con lui?”

Il vice capo della ferrovia disse: “Abbiamo chiesto l’intervento di uno psicologo dell’azienda da Chicago. Sono le regole dell’azienda. Non sappiamo quando arriverà.”

Riley sembrava davvero stupita ora.

“Senza dubbio, il macchinista non dovrebbe sentirsi in colpa per l’accaduto” osservò.

L’assistente sembrò sorpreso.

“Certo” disse. “Non è stata colpa sua, ma non riesce a farne a meno. Era il responsabile ai comandi. E’ quello che si è sentito più inutile. Lo sta logorando. Odio che sia rinchiuso in quel modo. Ho provato davvero a parlargli, ma non mi guarda nemmeno negli occhi. Regole o meno, qualcuno dovrebbe fare qualcosa al riguardo. Non dovremmo aspettare immobili che un dannato strizzacervelli della ferrovia arrivi. Regole o meno, qualcuno dovrebbe fare subito qualcosa. Una buona balena come lui merita di meglio.”

La rabbia di Jenn si acuì.

Si rivolse a Cullen: “Beh, non potete lasciarlo in quella cella da solo. Non m’importa se insiste a restare da solo. Non può fargli bene. Qualcuno deve andare da lui.”

Tutti i presenti la guardarono.

Jenn esitò, poi aggiunse: “Portatemi alla cella. Voglio vederlo.”

Riley la guardò e disse: “Jenn, non credo che sia una buona idea.”

Ma Jenn la ignorò.

“Come si chiama?” chiese ai due ferrovieri.

Boynton disse: “Brock Putnam.”

“Portatemi da lui” ripetè. “Subito.”

Il Capo Powell guidò Jenn fuori dalla sala degli interrogatori e proseguì lungo il corridoio. Mentre proseguivano, Jenn si chiese se Riley potesse avere ragione.

Forse questa non è una buona idea.

Dopotutto, sapeva che l’empatia non era tra le sue migliori qualità di agente. Tendeva ad essere ottusa e schietta, anche quando era necessario un tocco più morbido. Di certo, non era dotata della capacità di Riley di dimostrarsi compassionevole nei momenti appropriati. E, se la stessa Riley non si sentiva all’altezza di quel compito, perché Jenn credeva di doversi assumere tale responsabilità?

Ma non riusciva a fare a meno di pensare …

Qualcuno deve parlare con lui.

Powell la guidò attraverso le file di celle, tutte con porte solide e minuscole finestre.

Infine le chiese: “Vuole che venga dentro con lei?”

“No” Jenn rispose. “Preferisco farlo da sola.”

Powell aprì la porta di una delle celle, e Jenn entrò.

L’uomo lasciò la porta aperta ma si allontanò.

Un individuo di poco più di trent’anni era seduto ad un’estremità della branda, lo sguardo fisso il muro. Indossava una t-shirt e un cappellino da baseball, con la visiera sulla nuca.

Restando sulla porta, Jenn esordì dolcemente …

“Signor Putnam? Brock? Mi chiamo Jenn Roston, e sono dell’FBI. Sono terribilmente dispiaciuta per quanto è successo. Mi chiedevo soltanto se volesse … parlare.”

Putnam non mostrò alcun segno di averla ascoltata.

Sembrava particolarmente determinato a non entrare in contatto visivo con lei, o con chiunque altro, Jenn ne era sicura.

E, dalla ricerca che lei aveva condotto, sapeva esattamente il motivo per cui l’uomo si sentiva in quel modo.

Lei deglutì, mentre un nodo d’ansia le colmava la gola.

Sarebbe stato molto più difficile di quanto aveva immaginato.

CAPITOLO SETTE

Riley continuò a fissare la porta; si sentiva a disagio, da quando Jenn aveva lasciato la stanza. Bill stava interrogando il capotreno e il suo assistente, ma lei era solo preoccupata di come Jenn si stesse occupando del macchinista.

Era certa che l’uomo stesse probabilmente vivendo un momento terribile. Non le piaceva l’idea di rimanere in attesa di uno psicologo ferroviario, probabilmente un leccapiedi ufficiale che si sarebbe preoccupato più del benessere dell’azienda che di quello del macchinista. Ma che altro potevano fare?

E la giovane agente rischiava di peggiorare la situazione ... Riley non aveva mai notato alcun segnale di particolari doti di Jenn nella gestione delle persone.

Se Jenn avesse peggiorato la situazione dell’uomo, questo avrebbe potuto influire sul suo stesso morale? Aveva già preso in considerazione di lasciare l’FBI, per via delle pressioni della sua ex-madre adottiva, un’incallita criminale.

Nonostante le preoccupazioni, Riley riuscì ad ascoltare ciò che stavano dicendo nella stanza.

Bill disse a Stine: “Lei ha detto di aver visto questo genere di cosa prima. Intende omicidi sui binari ferroviari?”

“Oh, no” Stine rispose. “Omicidi simili sono eventi davvero rari. Ma persone che vengono uccise sui binari ... è molto più comune di quanto possa immaginare. Ci sono diverse centinaia di vittime all’anno, alcune delle quali sono semplicemente stupidi in cerca di brividi, ma molti sono suicidi. Nell’ambiente, li chiamiamo “oltrepassanti””.

L’uomo più giovane si agitò nervosamente nella sedia e disse: “Di certo, non voglio vedere nulla del genere, di nuovo. Ma da quello che Arlo mi dice … beh, immagino che faccia parte del lavoro.”

Bill disse al capotreno: “Di certo non c’era nulla che il macchinista potesse fare?”.

Arlo Stine scosse la testa.

“Assolutamente. Aveva già rallentato il treno fino a trentacinque miglia orarie per la curva imminente. Nonostante questo, non c’era modo di fermare una locomotiva diesel, con dieci vagoni merci dietro, in tempo per salvare la donna. Non si possono violare le leggi della fisica e fermare diverse migliaia di tonnellate di acciaio in movimento su due piedi. Lasci che glielo spieghi …”

L’uomo cominciò a parlare della meccanica della frenata. Era un discorso altamente tecnico, e non era di alcun interesse o utilità per Riley o Bill. Ma Riley sapeva che sarebbe stato meglio lasciare che Stine continuasse a parlare, per il suo stesso bene e non certo per quello di altri.

Nel frattempo, Riley si ritrovò ancora a guardare verso la porta, chiedendosi come stesse procedendo l’interrogatorio del macchinista.

*

Jenn si era fermata accanto al letto, vicino alla schiena di Brock Putnam, che osservava il muro in silenzio.

In quel momento, la donna si rese conto di non avere alcuna idea di che cosa dire o fare.

Ma, dalla ricerca che aveva condotto in aereo, aveva intuito la ragione per cui l’uomo era incapace di guardare lei o chiunque altro al momento. Era traumatizzato da un singolo dettaglio, che spesso perseguitava le “balene” che avevano vissuto proprio quanto lui aveva vissuto.

Alcuni istanti prima, il capotreno aveva detto che lui e il suo assistente avevano colto solo uno scorcio della vittima prima che questa morisse.

Ma il macchinista aveva visto molto più di uno scorcio.

Aveva assistito a qualcosa di particolarmente orribile dal suo finestrino sul treno, qualcosa che nessun essere umano innocente meritava di vedere.

Gli sarebbe stato utile dirlo ad alta voce?

Non sono uno strizzacervelli, ricordò a se stessa.

Nonostante tutto, si sentiva sempre più ansiosa di raggiungerlo.

Lentamente e cautamente, Jenn riprese a parlare …

“Penso di sapere che cos’ha visto” disse. “Può parlarmene se vuole.”

Dopo una pausa, la giovane aggiunse …

“Ma non deve, se non vuole.”

Cadde il silenzio.

Immagino che non voglia, Jenn pensò.

Quasi si alzò per andarsene, ma infine l’uomo esordì in un sussurro a malapena udibile …

“Sono morto là fuori.”

Quelle parole diedero i brividi a Jenn.

Ancora una volta, si chiese se fosse davvero compito suo provare a insistere.

Non rispose, supponendo che fosse meglio aspettare se l’uomo intendesse aggiungere altro. Attese dunque molti secondi, sperando in verità che lui restasse in silenzio, permettendole così di andarsene tranquillamente.

Invece l’uomo riprese …

“Ho visto tutto mentre accadeva. Stavo guardando … in uno specchio.”

Fece una pausa per un momento, poi aggiunse …

“Ho visto me stesso morire. Quindi, perché … perché sono qui?”

Jenn deglutì forte.

Sì, ciò che gli era successo era esattamente il genere di cosa di cui lei aveva letto sull’aereo. Centinaia di persone morivano ogni anno sui binari ferroviari. E, troppo spesso, i macchinisti erano testimoni di un momento terrificante.

Entravano in contatto visivo con la persona che stava per morire.

Proprio quello che era accaduto a Brock Putman. La ragione per cui non riusciva a guardare nessuno negli occhi era perché gli faceva rivivere di nuovo quel momento. E il suo identificarsi con la povera donna lo stava letteralmente logorando dentro.

Istintivamente, provava a superare lo shock, negando che altri fossero stati uccisi. Sentendosi in colpa, stava provando a convincersi che lui, e lui soltanto, era morto.

Jenn parlò ancora più cautamente di prima.

“Lei non è morto. Non stava guardando in uno specchio. Qualcun altro è morto. E non è stata colpa sua. Non poteva evitarlo. Lei lo sa, anche se sta avendo difficoltà ad accettarlo. Non è stata colpa sua.”

L’uomo ancora non riusciva a guardarla negli occhi. Ma un singhiozzo gli emerse dalla gola.

Jenn si sentì momentaneamente allarmata. L’aveva appena spinto sull’orlo di un precipizio?

No, lei pensò.

Aveva la sensazione che fosse una cosa positiva, che fosse necessaria.

Le spalle dell’uomo si scossero leggermente, mentre i singhiozzi dell’uomo continuarono.

Jenn lo toccò sulla spalla.

Lei disse: “Brock, potrebbe fare una cosa per me? Voglio soltanto che mi guardi.”

Le sue spalle cessarono di tremare, e i singhiozzi anche.

Poi, molto lentamente, si voltò sul letto e guardò Jenn.

I suoi brillanti occhi blu erano spalancati, imploranti e colmi di lacrime, e la stavano fissando dritto negli occhi.

Jenn dovette respingere le sue stesse lacrime.

Per quanto fosse diretta, brusca e talvolta persino priva di tatto, si rese conto di non aver mai avuto questo tipo di interazione con qualcuno prima d’ora, almeno non professionalmente.

Lei deglutì rumorosamente, poi disse: “Non sta guardando in uno specchio adesso. Sta guardando nei miei occhi. Ed è vivo. Ha tutto il diritto di essere vivo.”

Brock Putnam aprì la bocca per parlare, ma non venne fuori alcuna parola.

Invece, annuì.

Jenn quasi sussultò con sollievo.

Ce l’ho fatta, lei pensò. L’ho fatto aprire.

Poi disse: “Ma merita qualcosa di più. Merita di scoprire chi è il responsabile di questa cosa terribile, non solo per quella povera donna, ma per lei. E merita giustizia. Merita di sapere che non rivivrà mai più un evento simile. Prometto che lei avrà giustizia. Me ne assicurerò.”

Lui annuì di nuovo, quasi sorridendo.

La donna sorrise e aggiunse: “Adesso usciamo fuori di qui. Ci sono due persone qua fuori, preoccupate per lei. Andiamo da loro.”

La ragazza si alzò dalla branda, e Brock la seguì. Usciti dalla cella, trovarono il Capo Powell ancora in attesa. Powell rimase stupito dinnanzi al cambiamento nell’atteggiamento e nel comportamento di Putnam. Tutti insieme tornarono nella sala degli interrogatori. Riley, Bill e Cullen erano ancora lì, e così i due ferrovieri.

Stine e Boynton rimasero seduti con la bocca spalancata per un momento, poi si alzarono e si scambiarono degli abbracci emozionati con Brock Putnam. Infine tutti sedettero insieme al tavolo, e cominciarono a parlare tranquillamente.

Jenn guardò severamente il vice capo della ferrovia, dicendo: “Metta il fuoco sotto le chiappe di qualcuno e faccia arrivare lo psicologo ferroviario qui al più presto possibile.”

Poi, rivolgendosi al capo della polizia locale, aggiunse: “Porti del caffè a quest’uomo.”

Powell annuì silenziosamente e lasciò la stanza.

Riley prese da parte Jenn e le chiese quasi sottovoce: “Pensi che riuscirà mai a tornare al lavoro?”

Jenn rifletté per un momento, poi rispose: “Ne dubito.”

Riley annuì e disse: “Lotterà probabilmente per il resto della sua vita. E’ una cosa orribile con cui dover vivere.” Sorrise ed aggiunse: “Ma hai fatto un buon lavoro, ora.”

Jenn si sentì rinfrancata dall’elogio della partner.

Poi, ripensò a com’era cominciata la sua giornata, come la sua comunicazione con zia Cora l’avesse lasciata con un senso di inadeguatezza.

Forse sono utile dopotutto, pensò.

Aveva sempre saputo che l’empatia era una qualità che le mancava e che aveva bisogno di coltivare. E ora, finalmente, sembrava aver fatto dei passi per diventare un’agente più empatica.

Si sentiva anche motivata dalla promessa che aveva appena fatto a Brock Putnam:

“Prometto che lei avrà giustizia. Me ne assicurerò.”

Era contenta di averlo detto. Ora doveva mantenere la promessa.

Non lo deluderò, pensò.

Intanto, i due ferrovieri e il macchinista continuavano a parlare tranquillamente, dolendosi dell’orribile esperienza che avevano tutti affrontato, ma che si era rivelata brutta in particolare per Putnam.

Improvvisamente, la porta della stanza si aprì e il Capo Powell fece capolino.

Si rivolse a Cullen e agli agenti dell’FBI: “Fareste meglio a venire con me. C’é una testimone.”

Jenn provò un brivido di eccitazione.

Tutti seguirono Cullen in fondo al corridoio.

Avrebbero avuto la svolta di cui avevano bisogno?

CAPITOLO OTTO

Mentre Riley seguiva Powell in fondo al corridoio insieme agli altri agenti dell’FBI e a Toro Cullen, si chiese …

Una testimone? Risolveremo il caso davvero così in fretta?

Anni di esperienza le suggerivano che era alquanto improbabile.

Ciò nonostante, non riusciva a fare a meno di sperare che stavolta fosse diverso. Sarebbe stato meraviglioso chiudere il caso prima che ci fossero altre vittime.

Quando il gruppo arrivò in una piccola sala riunioni, una donna tarchiata sui cinquant’anni stava camminando avanti e indietro al suo interno. Aveva il volto coperto da un trucco pesante, ed i capelli erano di un’innaturale sfumatura di biondo.

Lei si precipitò verso di loro. “Oh, che tragedia” esclamò. “Ho visto la sua foto sul giornale poco fa, e l’ho riconosciuta immediatamente. Che morte orribile. Ma ho avuto una sensazione su di lei, una brutta sensazione. Una premonizione, potreste persino definirla.”

Le speranze di Riley crollarono.

Generalmente, non era un buon segno quando i testimoni cominciavano a menzionare delle “premonizioni”.

Bill guidò la donna ad una sedia.

“Si sieda, signora” le disse. “Faccia con calma, e cominci dall’inizio. Come si chiama?”

La donna sedette, ma si agitò nella sedia.

Bill occupò una sedia vicina, avvicinandola leggermente per parlare con la donna. Anche Riley, Jenn e gli altri presero delle sedie intorno al tavolo della sala riunioni.

“Il suo nome?” Bill chiese di nuovo.

“Sarah Dillon” rispose, rivolgendogli un grande sorriso. “Vivo proprio qui a Barnwell.”

Bill chiese: “E come conosceva la vittima?”

La donna lo guardò, come se fosse sorpresa per la domanda.

“Beh, non la conoscevo davvero. Ci siamo scambiate occasionalmente delle parole.”

Bill domandò: “L’ha vista stamattina, prima che fosse uccisa?”

Sarah Dillon sembrava più sorpresa di prima.

“No. Sono trascorse due settimane o più dall’ultima volta che l’ho vista. Perché è importante?”

Riley scambiò degli sguardi con Bill e Jenn. Sapeva che stavano pensando la stessa cosa.

Un paio di settimane o più?

Naturalmente era un dettaglio di enorme importanza.

Quando Powell aveva detto che era venuta fuori una testimone, Riley aveva immaginato qualcuno che conosceva personalmente la vittima, o che aveva visto qualcosa di davvero concreto per il caso: magari, il momento del rapimento. Eppure, sapeva che avevano bisogno di seguire ogni pista possibile. Finora, non avevano altri dati grazie ai quali poter andare avanti.

Riley disse: “Ci parli delle sue interazioni con la vittima.”

Sarah Dillon si grattò il mento.

“Beh, l’ho vista in città. Occasionalmente, voglio dire. Nei negozi, in strada. Anche nelle stazioni ferroviarie, sia qui sia a Chicago. Io prendo il treno per Chicago ogni settimana circa, per andare a trovare mia sorella e la sua famiglia. L’ho vista salire e scendere dal treno, qui o a Chicago. A volte, siamo anche state nella stessa carrozza insieme.”

Sarah Dillon sgranò gli occhi per un momento.

Poi, chiese quasi sussurrando: “Pensa che io sia in pericolo al momento?”

La donna appariva a Riley sempre meno coerente. Non sapeva come rispondere alla sua domanda. Perché la donna immaginava di potersi trovare in pericolo? Aveva una buona ragione per preoccuparsene?

Su due piedi, Riley ne dubitava. Da un lato, aveva dato una buona occhiata al cadavere sulla scena del crimine, e aveva visto una foto online dell’altra vittima. Entrambe le donne erano minute e avevano i capelli scuri. I loro volti in qualche modo si assomigliavano. Se il killer era ossessionato da un particolare tipo di vittima, questa donna era più robusta e certamente non rientrava nella tipologia.

Riley chiese: “Che informazioni ha?”

Sarah Dillon strizzò gli occhi.

“Informazioni? Beh, forse non informazioni esattamente. Ma una forte sensazione, davvero, davvero forte. Qualcosa di molto brutto riguardo a quella donna. Ce l’ho da un po’ di tempo ormai.”

“Cioè?” Jenn chiese.

“Una volta, sul treno per Chicago, ho provato a conversare con lei. Solo una piccola chiacchierata, sul tempo, su che giornata avessi avuto, su mia sorella e la sua famiglia a Chicago. Inizialmente, lei sembrava abbastanza amichevole. Ma ha cominciato a dimostrarsi scostante quando le ho chiesto di parlarmi di lei. Così, le ho chiesto: “Che cosa fai a Chicago?” Lei rispose che andava lì a far visita a sua madre, in una casa di cura.”

Sarah Dillon maneggiò nervosamente nella borsa.

“Poi, ho cominciato a fare domande su sua madre, com’era il suo stato di salute, quanto tempo fosse stata nella casa di cura, questo genere di cose. Allora, ha cominciato a mettersi sulla difensiva, e in pochi minuti non ha più voluto parlarmi. Ha tirato fuori un libro e ha finto di leggerlo, come se io non ci fossi. Ogni volta che l’ho rivista sul treno, da allora, si è comportata nello stesso modo, agendo come se non mi avesse mai incontrata. Ho semplicemente pensato che fosse maleducata, distaccata. Ma ora … beh, sono sicura che ci fosse dell’altro.”

“Del tipo?” Jenn domandò.

La donna emise un verso di disapprovazione.

“Beh, voi siete delle forze dell’ordine. Ditemelo voi. Ma stava nascondendo qualcosa. Scommetto che era immischiata in qualcosa di illegale. Qualcosa che l’ha fatta uccidere. E ora …”

Poi, rabbrividì completamente.

“Pensate che io sia in pericolo?” chiese di nuovo, scrutando nervosamente intorno alla stanza.

“Perché dovrebbe esserlo?” Bill domandò.

Sembrava che Sarah Dillon riuscisse a malapena a credere a quella domanda.

“Beh, è ovvio, no? C’erano altre persone su quel treno. Molte persone. Nessuna di loro è esattamente amichevole in questi giorni. E, da quando ho parlato con lei, ho notato qualcuno di loro guardarmi in modo strano. Chiunque di loro potrebbe essere stato il killer. Lei non mi ha detto in che cosa fosse immischiata, non ne so nulla. Ma il killer questo non lo sa. Potrebbe pensare che lei mi abbia detto qualcosa alla fine, qualcosa che lui non vuole che io sappia.”

Riley soffocò un sospiro di impazienza e sbottò: “Dubito davvero che sia in pericolo, Signora Dillon.”

Il fatto era che Riley ne era sicura. La donna era paranoica, puro e semplice.

“Ma lei non lo sa” la donna disse, con la voce che diventava più acuta. “Non può saperlo di sicuro. E ho una terribile sensazione. Dovete fare qualcosa. Dovete proteggermi.”

Il Capo Powell si alzò e le dette gentilmente una pacca sulla spalla.

“Aspetti qui solo per un istante, signora” disse. “Torno subito.”

La donna annuì, poi si sedette in silenzio. Sembrava sull’orlo delle lacrime.

Il capo della polizia tornò rapidamente con un poliziotto in uniforme.

Si rivolse alla donna: “Questo è l’Agente Ring. La sorveglierà per un po’. Al momento, deve semplicemente tornare a casa. Ring si assicurerà che ci torni senza alcun problema.”

La donna emise un respiro di sollievo. Si alzò dalla sedia e lasciò la stanza con il poliziotto, guardandolo felicemente, mentre le teneva la porta aperta.

Bill scosse la testa e disse al Capo Powell: “Che cosa farà? Le darà protezione giorno e notte? Perché sarà una perdita di tempo e risorse.”

Powell sogghignò leggermente.

“Non si preoccupi” disse. “Landry Ring ha un effetto calmante sulle persone. E’ quasi prodigioso in questo. Ecco perché ho scelto lui per portarla a casa. Per quando arriveranno, scommetto che Landry l’avrà convinta che non si trova affatto in pericolo.”

Jenn si accigliò.

“Di certo è una perdita di tempo” osservò.

Forse, Riley pensò.

Ma aveva un’assillante sensazione in merito a quello che la “testimone” aveva appena detto …

“C’è qualcosa che proprio non va in quella donna.”

… e …

“Sta nascondendo qualcosa.”

Riley sentiva che Sarah Dillon forse non si era sbagliata del tutto.

Chiese a Powell e Cullen: “Reese Fisher aveva dei familiari che vivono qui a Barnwell?”

Powell rispose: “Solo suo marito Chase. Un chiropratico del posto.”

“Ed è stato interrogato?”

“Naturalmente” Toro Cullen domandò. “Io e il Capo Powell abbiamo parlato con lui. Ha un perfetto alibi: si trovava nel suo ufficio stamattina, quando è successo.”

“Voglio parlare con lui anch’io” Riley disse.

Cullen e Powell si scambiarono un’occhiata sorpresa.

Powell disse: “Non so se sarà utile. E’ piuttosto scosso al momento.”

Riley non sapeva che cosa si aspettasse di scoprire. Ma, se Reese Fisher avesse custodito un segreto, il marito avrebbe potuto dire di che cosa si trattasse.

“Voglio vederlo” Riley insisté. “Subito.”

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