Kitabı oku: «Non resta che nascondersi», sayfa 4
CAPITOLO OTTO
Adele sentì bussare alla porta. Sollevò un dito, poi si rese conto che la persona dall’altra parte della soglia non poteva vederla. “Un momento,” esclamò.
Ritornò al suo computer e gli occhi passarono poi all’agente Marshall che stava seduta dall’altra parte del tavolo di legno rotondo. Adele inspirò profondamente, raccogliendo i pensieri. “Quindi mi stai dicendo che i Beneveti si occupavano intensamente di attività collegate all’estrazione del petrolio,” disse.
L’agente Marshall annuì e i suoi capelli corti brillarono alla luce che filtrava dalla finestra e le disegnava una strana figura sulla testa, come una sorta di macchia sulla sua fronte.
“Cosa ci facevano questi due quassù? Pensi fossero coinvolti nell’apertura del nuovo resort?”
L’agente Marshall scosse la testa. “Non lo so. Questa informazione è protetta. Anche per noi. Dove ci sono in ballo i soldi, entra in gioco anche il potere.”
Qualcuno bussò ancora alla porta, educatamente ma questa volta un po’ più forte.
“Quasi finito,” disse Adele. Riportò l’attenzione sull’agente tedesca. “Pezzo grosso italiano dell’industria del petrolio sparisce nelle Alpi. Ecco un titolo per te.”
L’agente Marshall le sorrise educatamente, le braccia incrociate davanti a sé. Ma trattenne la lingua. Adele la scrutò, cercando di decifrare la sua espressione. La Marshall era qui per aiutarla nel caso, o doveva solo evitare che Adele si immischiasse troppo?
Prima che la persona alla porta potesse bussare una terza volta, Adele chiamò: “Avanti, prego.”
La serratura emise un click e la porta si aprì leggermente. Un uomo con un’uniforme da inserviente si fermò a disagio sulla soglia.
“Salve?” disse Adele con tono curioso.
“Sì,” disse l’uomo con voce esitante. Fece un passo strascicato entrando nella stanza, ma poi parve ripensarci e si ritirò con la medesima rapidità. Rimase ad aspettare incerto sulla soglia, spostando lo sguardo da Adele all’agente Marshall.
Adele voltò il proprio sguardo interrogativo verso la giovane collega. La Marshall però si alzò in piedi e fece segno all’uomo. “Grazie per essere venuto, Otto.” La Marshall lanciò poi un’occhiata ad Adele. “Avevi detto che volevi parlare con alcuni dei dipendenti riguardo ai Beneveti.”
Adele inarcò le sopracciglia, indicando che aveva capito.
“Questo è Otto Klein,” disse la Marshall. “Lavora al resort da quasi cinque anni. Interagiva spesso con il signore e la signora Beneveti.”
Con espressione ora più morbida, Adele si voltò a guardare l’uomo. “Lei è un inserviente?”
Otto annuì e si schiarì la gola. “Sì,” disse in preciso tedesco.
“E la coppia scomparsa, li conosceva?”
Il signor Klein era ancora sulla porta, ma a un gesto di Adele entrò riluttante e si avvicinò al tavolo. La porta alle sue spalle era ancora aperta, e Adele sapeva per esperienza che le persone che venivano a trovarsi in una situazione da ‘combatti o scappa’ tentavano spesso di organizzare un punto di fuga il più rapido possibile. Quelli che preferivano la fuga, non chiudevano mai la porta. Quelli che preferivano lo scontro, sì.
Esaminò l’inserviente dalla sua sedia. L’uomo non si sedette e la guardò con espressione nervosa. Era di bell’aspetto, come la maggior parte dei dipendenti lì al resort. Adele sapeva che un elemento in comune tra il suo caso e quello che stavano gestendo John e Robert era il livello della clientela. La maggior parte degli ospiti in questo resort erano straordinariamente abbienti. In effetti dubitava che qualcuno di estraneo al club dei miliardari potesse permettersi di soggiornare in un posto come quello.
Sentì una folata di profumo di colonia provenire da Otto: un aroma fragrante e floreale, mescolato con l’odore di auto nuova. Le venne in mente un pensiero improvviso: ricordò vagamente la sua infanzia. I ricordi affiorarono, per un brevissimo momento, come un rapido sussurro. Immaginò se stessa, suo padre, sua madre. Prima del divorzio. Vide le colline innevate, le scivolate giù dai pendii. Ricordò la cioccolata calda vicino al fuoco e le battaglie a palle di neve tra loro, mentre correvano dalla vasca esterna calda a quella interna. Sorrise debolmente, ma poi il suo sorriso svanì mentre altri ricordi le sopraggiungevano. Ricordi di litigi, di rabbia.
Arricciò il naso e cacciò via le emozioni, mettendo da parte i pensieri.
Fissò il suo sguardo su Otto. “Cosa pensava del signore e della signora Beneveti?”
Otto esitò. L’inserviente si grattò il mento e si sistemò la sottile fibbia che penzolava dal cappello che aveva sulla testa.
“Erano dei clienti eccellenti, e davano delle ottime mance,” disse.
Adele socchiuse gli occhi. Clienti. Mance. Entrambi commenti che riguardavano la situazione finanziaria degli ospiti. Frutti penzolanti dai rami più bassi. Ma anche dettagli rivelatori.
“La coppia italiana le piaceva?”
“Come ho detto,” disse Otto con esitazione, “erano generosi. Davano delle buonissime mance.”
“Sì, ma le piacevano? Se non avessero dato delle buone mance, si sarebbe bevuto una birra con il signor Beneveti?”
Otto fece una pausa. “Non penso che il signor Beneveti bevesse. Non che io sappia. Non stavano mai ai bar.”
“Ai bar? Il resort ha più bar? Plurale?”
“Sì,” disse Otto, sempre esitante. “Ce ne sono quattro. E un paio delle stanze più costose hanno il loro.”
Adele cercò di non lasciar trasparire la sua sorpresa. Forse le sarebbe stato necessario rivalutare il lusso e lo sfarzo di quella struttura. “Va bene. Ma il signor Beneveti, partiamo da lui. Cosa ne pensava di lui? Mance a parte.”
Otto alzò le mani sulla difensiva e dondolò all’indietro sui talloni, come a volersi spostare verso la porta, ma poi si ricompose e rimase fermo. “Non lo conoscevo bene,” disse.
“Non le piaceva, giusto?”
Gli occhi dell’agente Marshall sfrecciarono su Adele, la fronte leggermente corrugata. Ma Adele mantenne lo sguardo fisso su Otto.
L’inserviente si grattò ancora il lato del mento, risistemando un’altra volta la fibbia del cappello.
“Ho avuto un paio di interazioni con il signor Beneveti,” disse il signor Klein con attenzione, “che non sono state esattamente piacevoli.”
Adele annuì. “Lei è un uomo molto cortese, Otto. Rispetto il fatto che lei stia facendo il suo lavoro anche ora. Ma questa è un’indagine. Un’indagine per omicidio.”
A quelle parole, per la prima volta l’atteggiamento di Otto mutò. Silenzioso, nervoso, esitante: la maschera si dissolse e venne sostituita da orrore e paura. La fissò. “Omicidio? Pensavo si fosse trattato dell’attacco di un orso.”
Adele socchiuse gli occhi. “Lo dicono le notizie locali, giusto?”
Otto annuì. “Anche i proprietari del resort. I direttori. Tutti lo stanno dicendo.”
Adele scosse la testa. “Nein. Non sono ancora convinta. Non abbiamo ricevuto il rapporto del medico legale.”
Otto annuì. “Oh Gott! È terribile. Nessuno si merita una cosa così, neanche…”
“Neanche?” chiese Adele, afferrando al volo la sua allusione.
Il signor Klein arrossì leggermente, le guance che assumevano un colore simile a quello della sua uniforme. Ma alla fine tossì e disse: “Il signor Beneveti poteva essere maleducato, a volte arrogante. Una volta ha lanciato un bicchiere contro un mio amico. Ha detto che era imbevibile, che era un deterrente contro le sbornie. Ha infradiciato il cameriere di vodka e tonic. Il ragazzo aveva semplicemente preso male l’ordine. L’aveva portato nella stanza sbagliata. Ha ricevuto un richiamo. Il signor Beneveti è andato dal direttore e ha tentato di farlo licenziare.”
“È stato licenziato?”
Otto scosse la testa. “No, ma gli hanno cambiato i turni. Gli hanno tagliato il monte ore in modo che non potesse interagire con loro. Gli è costato l’affitto per un paio di mesi. Noi altri lo abbiamo aiutato meglio che potevamo. Il signor Beneveti aveva un caratteraccio. Aveva soldi, un sacco. E lo sapeva.”
Otto fece silenzio, rendendosi conto di aver forse parlato più di quanto avrebbe voluto. Scrollò le spalle imbarazzato, le guance che arrossivano di nuovo. “Ma come ho detto, erano generosi.”
Adele inclinò la testa di lato, congiungendo le dita delle mani sotto al mento mentre osservava l’inserviente. “Nient’altro? Qualche altra interazione? Qualcun altro che potrebbe avere del rancore nei confronti della coppia italiana?”
Otto scosse rapidamente la testa. “Io non nutro nessun rancore. Come ho detto, non ho niente di personale contro di lui. Era maleducato e insopportabile. Poteva essere un po’ dispotico, il signor Beneveti. Protettivo. Ma un sacco di clienti qui sono fatti così. Sono abbienti, e con i soldi vengono le paranoie. Non sanno mai cosa la gente voglia effettivamente da loro. È un peccato se ci si pensa.” Otto annuì con certezza, come a tentare di convincere se stesso, poi abbassò nuovamente la testa, con minore sicurezza, e si grattò il lato del viso.
“Va bene,” disse Adele. “Non c’è nient’altro che le viene in mente?”
Otto scosse la testa. “No, ma,” disse esitando, “quel cameriere, quello che gli aveva portato la vodka col tonic. Lui potrebbe sapere qualcosa di più. È solo un ragazzino, ha diciannove anni. Ma fa ancora parte del personale.”
“È qui adesso?” chiese Adele.
“Sì, devo andare a chiamarlo?”
Adele scosse la testa. “No, vado a parlarci io. Dove si trova? Non vogliamo rubarle altro tempo, so che ha i suoi orari precisi.”
“Va bene. Si chiama Joseph Meissner.”
“Joseph Meissner?” chiese Beatrice Marshall.
“Sì, lavora in uno dei bar adesso. Si chiama Tregua tra le Rupi. Dopo il corso interno di golf.”
“C’è un corso interno di golf?” chiese Adele con tono piatto.
“Vicino alla piscina riscaldata,” disse Otto con un sorrisino. “Benvenuta all’uno per cento.”
Le guardò tutte e due con sorriso professionale e allenato, poi andò con esitazione verso la porta e scomparve, lasciando le due agenti di nuovo sole nella stanza.
Adele scambiò un’occhiata con l’agente Marshall. “Hai sentito?” chiese sottovoce.
“Ho sentito un sacco di cose,” disse lei. “A cosa ti riferisci in particolare?”
“La storia dell’attacco dell’orso. I proprietari la ripetono. I direttori. Come se preferissero che tra le piste ci fosse un orso scatenato, piuttosto che un assassino.”
La Marshall fischiò. “Avrebbe senso. I clienti qui pagano bene. Molto bene. I proprietari di certo non vorrebbero spaventarli.”
Adele si rimise in piedi, chiudendo il suo portatile e dirigendosi verso la porta. Strada facendo, afferrò la giacca.
“Sai dove si trova il Tregua tra le Rupi?” le chiese.
“Onestamente, un drink ci starebbe proprio bene adesso.”
“Si, ma dobbiamo parlare con questo Joseph Meissner. Pare che possa aver covato del rancore nei confronti dei Beneveti.”
“Non pensi davvero che un garzoncello li abbia ammazzati, vero? Neanche sappiamo ancora se sia stato davvero un omicidio. Non è ancora arrivato il rapporto del medico legale.”
Adele scrollò le spalle. Non lo disse, ma dentro di sé sapeva benissimo che lo era. Come un segugio che sente la traccia di un odore, lei lo sapeva. “Va bene,” disse. “Pensi che ci sia qualcuno che può portarci al bar?”
Anche la Marshall prese la sua giacca, infilandosela mentre seguiva Adele. “Ci sono golf cart che si spostano ovunque qui. Le chiavi sono giù al bancone.”
Adele resistette all’impulso di ruotare gli occhi al cielo. Golf cart a richiesta. Piscine private riscaldate accanto a campi da golf indoor. Bar privati nelle stanze. Le sembrava tutto stupefacente. Ma allo stesso tempo era anche così alieno e strano. Un modo estraneo di vivere. Però lei stessa aveva i suoi ricordi sulle piste da sci. Non erano mai venuti in un posto così bello. La sua famiglia non se l’era mai potuto permettere. Ma Adele ricordava le piste. Le belle conversazioni vicino al fuoco. I litigi di notte. Ricordava tutto.
CAPITOLO NOVE
Il Tregua tra le Rupi si trovava proprio al limitare del resort. Era un edificio a tre piani fatto di vetro e piattaforme circolari in legno. Sembrava innalzarsi su dei trampoli, ergendosi tanto da andare a sfiorare le cime degli alberi circostanti, e presentando una veduta incredibile sulla vallata sottostante. Adele e l’agente Marshall uscirono dal golf cart che avevano preso in prestito e si avvicinarono ai gradini in legno, che erano impreziositi da piccoli frammenti di pietre luccicanti che riflettevano la luce proveniente dall’alto.
Adele teneva le mani nelle tasche del giaccone e aveva il naso arrossato dal freddo, ma non poté comunque ignorare la bellezza dello scenario che circondava il bar sopraelevato.
Le montagne come sfondo, una vallata in primo piano, vetrate tutt’attorno a mostrare la meraviglia della natura. Adele salì i gradini con l’agente Marshall al seguito.
Aprì la porta del locale e si trovò davanti alcuni tavoli già occupati da dei clienti. A uno di essi era addirittura riunita una famiglia. I bambini stavano sorseggiando delle coca cole, mentre i genitori si gustavano due bicchieri di vino.
I tavoli stessi erano affascinanti. Erano fatti di vetro, con piccole pietre, levigate o lucidate, incastonate nella resina. Delle lampadine singole erano sistemate all’interno di alloggiamenti concavi nel soffitto, e illuminavano l’ambiente creando disegni luccicanti sui tavoli. Il soffitto era scuro, e con i colori riflessi assomigliava al cielo della notte. Dei lucernai lasciavano intendere che nelle notti più buie ma prive di nuvole, i visitatori potessero godersi la magnifica vista del cielo.
Per ora era ancora tardo pomeriggio e la notte non era ancora calata.
Adele si avvicinò al bancone con l’agente Marshall dietro di lei. Si sentiva un po’ fuori posto mentre si faceva strada verso il bancone e vi si appoggiava. “Mi scusi, sto cercando Joseph Meissner.”
La donna dietro al banco si voltò a guardarla, poi mise un bicchiere di fronte a un uomo robusto con un giaccone marrone. Sorrise all’uomo e scambiò con lui qualche chiacchiera prima di avvicinarsi ad Adele e all’agente Marshall. “Joseph è fuori,” disse senza tante cerimonie.
“Sa dove si trova?”
“Sta rifornendo il magazzino. Perché? Chi siete?”
“Sono l’agente Sharp. Sto indagando sulla scomparsa del signore e della signora Beneveti. Ho sentito che Joseph ha avuto qualche battibecco con loro.”
A volte l’approccio più diretto bastava ad eliminare la titubanza della gente. O almeno questo sperava Adele. Studiò la barista e la donna socchiuse gli occhi. “Joseph è un bravo ragazzo. Non c’entra niente con questa storia. E poi mi pare di aver capito che è stato l’attacco di un orso.”
“Così continuo a sentire,” disse Adele. “Sa quando Joseph sarà di ritorno?”
La donna incrociò le braccia. Non c’erano tatuaggi in evidenza. Ma Adele poté vedere dei piccoli fori, vagamente coperti con una sorta di cipria, sulle orecchie e sul naso della donna, a suggerire che quando non era di servizio, portava almeno tre piercing.
“Come ho detto, Joseph è un bravo ragazzo. E poi i Beneveti erano degli stronzi.”
Adele sbatté le palpebre. L’agente Marshall si fece più vicina.
“Molto esplicita,” disse Adele. “Le spiacerebbe spiegare?”
La donna dietro al bancone sbuffò. Si voltò, prese un paio di bicchieri e si portò all’estremità del banco, versandovi dentro qualcosa da un’alta bottiglia marrone con un’etichetta dorata. Aveva appena finito di versare che due clienti dal tavolo in fondo alla sala alzarono le mani e uno di loro esclamò: “Un altro giro, per favore.”
La donna sorrise, prese entrambi i drink e li portò al tavolo. Poi tornò indietro.
Adele aspettò con pazienza, guardandola mentre tornava verso di loro. La barista strofinò le mani sul piccolo canovaccio appeso dietro al banco. “Erano degli stronzi. Parlavano ad alta voce, erano prepotenti. Era come se fossero i padroni del posto. Il signor Beneveti me ne ha fatta passare più di una. Ovviamente non avevo il permesso di farne un grosso problema. Poi ha iniziato ad allungare le mani. Il signor Beneveti ha cercato di far licenziare diversi di noi. Anche Joseph, da quello che ricordo.”
Adele annuì. “Così ho sentito dire. Sta dicendo che il signor Beneveti le ha messo le mani addosso?”
La donna sbuffò. “Non usi la sua bocca per parlare dei miei problemi. No. Ho detto che allungava le mani. Era prepotente. Lavoro in un bar. Poche inibizioni e clienti ricchi. Danno buone mance, ma parte della mia dignità,” disse indicando verso la porta, “la lascio su quei gradini all’ingresso. Altrimenti non ce la farei mai.”
Adele fissò la donna. “Va bene, quindi i Beneveti non le piacevano.”
La barista scosse la testa. “Non c’era tanto da gradire. Ricchi stronzi. Davano buone mance, e questo è giusto. Ma se fai come loro, è facile dare mance e poi sperare che i tuoi problemi svaniscano. Non dico che non fosse carino da parte loro. Ma sì, non mi piacevano. Non piacevano a un sacco di gente.”
Adele tamburellò le dita sul bancone. “Inizio a percepire la sensazione. Bene, la vorrei ringraziare per il suo tempo. C’è nient’altro che magari ha notato? Niente di strano? Qualcuno che conosce che avrebbe potuto covare del rancore per i Beneveti?”
“Pensavo fosse stato l’attacco di un orso,” ripeté la donna.
Adele scrollò le spalle. “Sto solo mettendo i puntini sulle i. Le viene in mente niente?”
La donna fece per rispondere, ma subito la sua espressione spensierata e il suo atteggiamento senza filtri mutarono. Una maschera di preoccupazione rapidamente lasciò spazio a un’espressione docile e obbediente. Raddrizzò la schiena, tirò indietro le spalle e sorrise con cortesia. “È tutto?” chiese, con tono attento e gentile.
Adele si accigliò, poi sentì il tintinnio di un campanello alle sue spalle e si voltò a guardare.
Un uomo con un abito grigio si trovava sulla porta. Non si era neanche messo una giacca. Era basso di statura, grassoccio e quasi calvo. Un inserviente alle sue spalle teneva sottobraccio una giacca. L’uomo stava scuotendo la testa e il suo viso era rosso e paonazzo. “Scusatemi,” disse con voce severa. “Scusatemi, voi due!”
Adele ci mise un paio di secondi a capire che l’uomo si stava rivolgendo a lei e all’agente Marshall. Si voltò. “Sì?”
“State importunando i miei dipendenti?”
Adele si rese conto un secondo dopo che l’uomo con il giaccone al braccio era Otto. Il signor Klein sussultò imbarazzato e scosse la testa, pronunciando un tacito Scusate.
Adele guardò l’uomo. “E lei chi è?”
“Sono il direttore Adderman. Sono a capo di questa struttura. Ho sentito che state dando fastidio ai miei dipendenti.”
Parlava con tono severo ma tranquillo. Con la sicurezza tipica di chi è al comando. Abbastanza forte perché Adele potesse percepire la sua antipatia per loro, ma abbastanza sommessamente da non farsi sentire dai clienti presenti. Si avvicinò e la sua voce seguì i suoi passi. Era più basso di Adele di una buona spanna. Anche l’agente Marshall era più alta di lui.
“Vi devo chiedere di andarvene subito,” disse il direttore.
Adele inarcò un sopracciglio. “Temo che lei non possa farlo. Questa è un’indagine criminale.”
Il volto del direttore Addermann si fece ancora più rosso. “Tenga la voce bassa,” disse con tono secco. Allungò una mano e afferrò il polso di Adele, pronto a trascinarla verso la porta.
Adele rimase ferma e ruotò il braccio divincolandosi. Lanciò all’uomo un’occhiata torva. “La avviso di non toccarmi un’altra volta. Ce ne andremo quando saremo pronte. Non rispondiamo a lei.”
“Questa è proprietà privata,” disse il direttore, agitando un dito davanti al naso di Adele.
L’agente Marshall scosse la testa. “Non ha importanza. Stiamo indagando. Se desidera, può discuterne con il mio capo.”
“E chi sarebbe il suo capo?” chiese l’uomo.
“Il direttore Baumgardner,” disse la giovane senza battere ciglio.
Parte della furia dell’uomo parve raffreddarsi. “BKA? E lei? Da dove viene lei?”
Adele scrollò le spalle. “FBI. Interpol. Stiamo indagando sulla scomparsa del signore e della signora Beneveti. Abbiamo saputo che erano clienti regolari qui. È vero?”
Il volto del direttore era ancora più paonazzo di prima. Scosse la testa. “Piantatela di importunare i miei dipendenti. Lasciate stare i clienti. Dovete indagare: bene. Non vi posso fermare. Ma finitela di rovinarmi gli affari.”
“Come potremmo mai farlo?” disse Adele accigliandosi.
A quel punto, abbassando la voce ancora di più, il direttore si chinò verso di lei e sibilò: “È stato l’attacco di un orso! Questo hanno detto quelli della ricerca e salvataggio. Questo è quello di cui siamo convinti. La pianti di spaventare i miei clienti. Un paio di persone hanno già fatto delle domande. Se mi manda all’aria gli affari, Dio mi aiuti, la denuncio. La denuncio fino a che di lei non rimarrà più niente. Chiaro?”
Adele lo fissò e scosse la testa. “È il resort che sta avvalorando la storia? Spingendo la gente a credere che si sia trattato dell’attacco di un orso?”
Il direttore la scrutò con circospezione. Le sue guance arrossate parevano avvampare sia di rabbia che di freddo. Fece un passo indietro e scrollò le spalle. “Noi diciamo solo quello che ci ha riportato la squadra di ricerca e salvataggio. L’indagine sta a voi. Ma piantatela di importunare i miei dipendenti e i miei clienti. Grazie.”
Si fece da parte e indicò la porta allungando con finta cortesia un braccio.
Adele guardò la mano dell’uomo. Per pura ripicca, voleva restare. In un angolo della sua testa stava pensando a cosa avrebbe fatto John. Probabilmente avrebbe ordinato qualcosa da bere proprio davanti al direttore, godendosi il rossore che imporporava sempre più il volto dell’uomo. Ma Adele non era John. Non era tipa da permettere al proprio orgoglio di decidere per lei. Il direttore non la voleva qui. Era maleducato, prepotente. Spaventato. Spaventato di perdere il suo lavoro. Un altro resort stava per aprire poco distante, ugualmente lussuoso, e forse era quello il motivo che l’aveva reso tanto nervoso.
C’erano un sacco di soldi coinvolti in posti come quelli. Più di quanto lei avrebbe mai pensato. E dove c’erano i soldi, c’era un movente.
Adele passò le dita sopra al bancone. Qualcosa nel legno freddo sotto ai suoi polpastrelli le fece spostare lo sguardo oltre il direttore, verso le finestre che si affacciavano sulle piste da sci.
Di nuovo, aveva solo dieci anni. Di nuovo, vide suo padre e sua madre seduti di fronte a lei in… una sala da pranzo? No, non una sala da pranzo. Un ristorante. Anche quello vicino alle piste. Ricordava che da bambina sciava. Nelle Alpi. Adele si fermò e si accigliò.
Bellissimi ricordi, ma disseminati di scene di rabbia. Litigi. Grida.
Rabbrividì, desiderando che quei pensieri svanissero.
Scosse la testa, come a voler cacciare via un’emicrania, e si alzò in piedi, allontanandosi dal bancone. Fece un cenno del capo in segno di ringraziamento alla barista e un rigido saluto con la mano al direttore. L’agente Marshall la seguì. Le due donne uscirono dal bar e scesero i gradini.
“Beh, è stato un momento vivace,” disse la Marshall sottovoce.
“Sì,” disse Adele. “Il direttore ha un velato interesse nel fermare le indagini.”
“Cosa pensi?” chiese la Marshall, ora sottovoce.
Adele fece ancora qualche passo, assicurandosi che nessuno dal bar potesse sentirle. “Mi sto chiedendo se ci sia dell’altro che possano aver coperto. Qualsiasi cosa. Ci sono in ballo un sacco di soldi qui.”
La Marshall si accigliò. “Non pensi che il direttore abbia qualcosa a che vedere con l’omicidio, vero?”
Adele sollevò le spalle. “Non posso esserne certa. Ci sono un sacco di sospetti qui. Il nostro lavoro è di sfoltire l’elenco.”
“Quella coppia svizzera in Francia? Nessuna notizia da quel fronte?”
Adele scosse la testa. “Non ho avuto modo di ragguagliarmi con gli investigatori.”
“Però li conosci, no? So che hai lavorato con in francesi in passato.”
“Sono in parte francese. Anche americana. E tedesca.”
La Marshall fischiò mentre si avvicinavano al golf cart. “Tre cittadinanze? Impressionante. Parli molto bene la lingua.”
“Grazie. Ma no, nient’altra informazione sugli svizzeri. Appena ne avrò l’occasione, parlerò con gli investigatori.”
Adele entrò nel golf cart con la Marshall e la giovane agente iniziò a guidare tornando verso l’ala principale del resort.
Adele era pensierosa mentre si spostavano, il volto sferzato da fredde folate di vento. Osservò le montagne e gli alberi, ripercorrendo con gli occhi i sentieri innevati. I Beneveti erano stati assassinati. Ne era certa. Il rapporto del medico legale sarebbe arrivato molto presto, ma l’avrebbe confermato. Però le congetture non erano niente senza gli indizi. Una sensazione di pancia significava poco senza una direzione. Se intendeva portare anche altri a credere al suo istinto, avrebbe dovuto trovare prima delle solide prove.
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