Kitabı oku: «Prima Che Uccida», sayfa 14

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CAPITOLO TRENTATRE’

La rete era vecchia e arrugginita, come del resto ogni cosa in quella desolata strada. Sentiva la ruggine tagliarle i polpastrelli ma almeno, proprio la ruggine, faceva sì che il metallo quasi non facesse rumore mentre si arrampicava. La rete era alta poco più di due metri, e dopo pochi istanti raggiunse la cima.

Portò una gamba dall’altro lato, si raddrizzò e scavalcò anche con l’altra gamba.

Si spinse via dalla rete balzando nell’erba con un debole tonfo.

Subito estrasse la sua Glock dalla fondina, avvicinandosi al capanno in posizione accucciata. Giunta alla porta, si raddrizzò leggermente, cercando la fessura nel legno che impediva alla porta di restare chiusa del tutto. La trovò un po’ più in alto e sbirciò all’interno.

Vide subito il palo, eretto proprio al centro del capanno. Un’ombra frenetica si allungò, seguita da ciò che la proiettava. Prima vide la donna che scalciava disperata, poi l’uomo che la stringeva da dietro. La donna era nuda e imbavagliata. Tentava di liberarsi, riuscendo però solo ad emettere grida soffocate.

L’uomo stava cercando di trascinarla verso il palo. Dalle sue spalle pendeva una fune, come un serpente floscio.

Mackenzie, con il cuore che le martellava così forte da assordarla, aveva visto abbastanza. Sapeva di dover agire in fretta; doveva aprire la porta e fare irruzione con la pistola puntata prima che il bastardo capisse cosa stava succedendo.

Questa è la parte che sarebbe più semplice con un po’ di aiuto, pensò fra sé, improvvisamente rimpiangendo di essersi avventurata là fuori da sola.

Allungò la mano sulla maniglia arrugginita. Quando l’afferrò, un terribile pensiero si affacciò alla sua mente. E se fosse stata chiusa a chiava dall’interno?

La risposta era semplice. Adesso che era a pochi centimetri dall’assassino, era disposta a correre più rischi. In quel caso, pensò, aprirò questa cazzo di porta a colpi di pistola.

Strinse la maniglia e inspirò profondamente. Trattenne il fiato ed espirò solo quando ebbe aperto la porta.

Balzò in avanti sollevando la Glock.

“Polizia! Mani in alto e...”

Capì di aver commesso uno sbaglio nel momento stesso in cui mise piede nel capanno. I suoi piedi poggiavano su qualcosa di strano, che faceva un rumore che non aveva senso.

Mackenzie abbassò lo sguardo per una frazione di secondo, distogliendolo dall’uomo davanti a sé, e vide che il pavimento era ricoperto da un telo di plastica. E lei ci stava sopra. Le ci vollero meno di dieci secondi per capire cosa stesse per succedere, ma fu comunque troppo.

La figura oscura davanti a lei si abbassò fulminea, afferrò il telo di plastica con le mani e tirò con forza verso di sé.

Mackenzie lo sentì spostarsi sotto i piedi, e poi perse l’equilibrio e finì a terra.

Poi l’uomo spinse verso di lei la donna nuda, che le finì addosso.

Mackenzie, stordita, cercò di spostare la donna, ma quando ci riuscì, l’uomo si era già slanciato verso di lei con il pugno alzato. Mackenzie si era quasi rimessa in piedi quando la colpì in pieno viso, rimandandola al tappeto.

Una volta a terra, Mackenzie riuscì a vedere il killer in faccia. Aveva sui quarant’anni ed era in parte pelato. Gli occhi erano di un azzurro elettrico e aveva lo sguardo di un animale impazzito che era rimasto troppo tempo in gabbia e anelava alla libertà. Era basso e sembrava tarchiato. Mackenzie era dell’idea che sotto la camicia avesse più muscoli di quelli che uno si sarebbe aspettato. Il pugno che le aveva dato ne era un’ulteriore prova.

Adesso stava arrivando da lei, muovendosi con più rapidità di quella che l’angusto capanno sembrava permettere. In mano aveva qualcosa che pareva strisciare nell’oscurità. Quando sollevò il braccio, Mackenzie capì di cosa si trattasse. Vide l’estremità frastagliata sibilare verso di lei.

Mackenzie si scansò appena in tempo.

La frusta colpì ad appena cinque centimetri dal suo orecchio destro. Il suono era assordante.

Il killer la alzò di nuovo, mirando direttamente a Mackenzie.

Stavolta lei sollevò la pistola, irrigidì le braccia e sparò.

Il movimento che lui fece calando la frusta le fece sbagliare mira, e il proiettile lo colpì troppo in alto, sulla spalla invece che al cuore.

Mollò la frusta e barcollò in avanti, guardando Mackenzie come se la sola idea di una pistola fosse per lui assurda.

A parte quello, non si dette per vinto. Si lanciò verso di lei, cercando di strapparle l’arma di mano. Mackenzie fece di nuovo fuoco, stavolta sfiorandogli il braccio destro.

Lui la investì con tutto il peso, e il colpo le provocò una scarica di dolore per il corpo. Le mani si aprirono di riflesso e la Glock finì sul pavimento.

Nell’istante stesso in la pistola toccò terra, l’assassino si rialzò e si preparò a sferrare un altro pugno. Prima di riuscirci, Mackenzie lo colpì duramente allo stomaco. Con la schiena a terra, non era riuscita a sferrare il colpo con tutta la sua forza, però aveva deviato il pugno, che la raggiunse sfiorandole soltanto la spalla. Mackenzie roteò e gli assestò una gomitata sulla mandibola.

Lui si allontanò e lei cercò subito di riprendersi l’arma.

Quando l’afferrò, il killer si mise a correre. Alzò la pistola e la puntò verso la porta proprio mentre lui usciva dal capanno. Stava per sparare, ma tra lei e il killer c’era la donna nuda.

Mackenzie balzò in piedi e guardò la donna, che tremava ed era ancora legata.

“Resta qui” disse Mackenzie. “Tornerò a liberarti.”

La donna annuì e Mackenzie vide nei suoi occhi che qualcosa si era infranto. Gli avvenimenti di quella notte, a prescindere dall’esito, avrebbero traumatizzato quella giovane donna per il resto della vita.

Con quel pensiero che la tormentava, Mackenzie si precipitò fuori dal capanno appena in tempo per vedere la porta sul retro della casa chiudersi. Mackenzie si lanciò subito all’inseguimento, aspettandosi di trovare la porta chiusa a chiave.

Invece, abbassando la maniglia, si aprì subito, rivelando un piccolo ingresso e una cucina buia.

L’ha fatto apposta, pensò. Vuole che lo segua dentro casa.

Rifletté solo per un momento, poi entrò con la pistola sollevata, addentrandosi nell’oscurità.

CAPITOLO TRENTAQUATTRO

Appena Mackenzie mise piede nella cucina, capì che l’uomo viveva in modo trascurato. Da qualche parte proveniva un tanfo di cibo avariato, misto a odore di polvere e sudore. Sentì i palmi delle mani sudati stringere la pistola, il cuore che le martellava in petto, perfettamente consapevole che poteva morire in quella casa. Cercò di tenere le mani più salde.

Mackenzie avanzò lungo la cucina, con l’orecchio teso per cogliere movimenti nella casa. Adesso che erano dentro, sapeva di non poter prevedere le mosse del killer. In quel momento poteva anche aver preso una pistola.

Mackenzie raggiunse l’altro lato della cucina, dove iniziava un buio corridoio. A metà di esso, una rampa di scale di legno conduceva al piano superiore. Il killer era in vantaggio in quel luogo, e lei lo sapeva. Sarebbe stato sciocco avventurarsi lungo il corridoio. Guardò a destra e vide un soggiorno illuminato da una lampada poggiata su un tavolino. Sul tavolino c’era un’altra Bibbia. Dal volume spuntava un segnalibro e, accanto ad esso, c’erano una penna e un bloc-notes.

Dal piano di sopra giunse un lievissimo scricchiolare dalle assi del pavimento, che rivelava la posizione del killer. Mackenzie si mosse in fretta, sperando di sorprenderlo.

Adesso o mai più, si disse.

In meno di tre secondi aveva attraversato il corridoio ed era salita fino a metà delle scale, dove si fermò, scrutando l’oscurità sopra di lei. I suoi occhi stavano iniziando ad abituarsi al buio e, appena si sentì pronta, riprese a salire.

Era ancora sui gradini quando sentì dei passi in cucina. Confusa, Mackenzie si voltò per guardare giù dalle scale, appena in tempo per vedere la potenziale vittima venire verso di lei. Nei suoi occhi c’era una luce quasi folle, e vedere una donna così bella in mutande nel bel mezzo di quella situazione ad alta tensione era così assurdo che Mackenzie si sentì stordita.

“Ti prego” disse la donna. “Devi chiamare la polizia. Io non...”

Ma non riuscì a terminare la frase. Gridò, guardando un punto proprio sopra Mackenzie. Mackenzie si voltò appena in tempo per vedere l’ombra del killer venire verso di lei, precipitandosi giù dalle scale con una tale rapidità che Mackenzie fece a malapena in tempo a sollevare la pistola.

Crac!

Lui la frustò, e un feroce bruciore pungente le esplose sulle nocche della mano destra – seguite da un dolore accecante sulla guancia sinistra quando la sferzò una seconda volta.

Avvertì subito il sangue scorrerle in viso e sulla mano. Vide l’uomo lanciarsi su di lei dal primo gradino, allora sparò alla cieca, consapevole che il dolore alla mano le impediva di mirare bene.

Nonostante questo, lo sentì gridare di dolore quando il proiettile lo colpì alla parte bassa dello stomaco.

Incredibilmente, il colpo lo aveva solo rallentato. Le si buttò di uovo addosso, e lei perse l’equilibrio cadendo all’indietro.

Tentò i trovare un appiglio sul muro, lasciando cadere la pistola, ma non servì. Entrambi rotolarono giù dalle scale e quando Mackenzie colpì di schiena, il dolore esplose dentro di lei e l’aria le uscì di colpo dai polmoni.

Ruzzolarono per gli ultimi gradini in un ammasso di braccia e gambe. Quando infine atterrarono sul pavimento, la schiena di Mackenzie era contratta dal dolore e il sangue che colava dal suo viso le aveva imbrattato il collo e inzuppato la camicia.

Il killer adesso si stava rialzando, e stava preparandosi ad un altro colpo con la frusta. Si voltò di scatto e invece frustò il suo obiettivo originario, la donna con il reggiseno rosa, che era lì immobile con la bocca aperta, congelata dalla paura. La colpì sulla spalla e subito la pelle si lacerò, mandando uno schizzo di sangue contro il muro del corridoio.

La donna cadde a terra gemendo e Mackenzie tentò di contrattaccare, ma la schiena sembrava non collaborare. Si sentiva paralizzata e temette di esseri rotta la colonna vertebrale cadendo dalle scale.

Il killer riportò la sua attenzione su di lei e sollevò la frusta. Il sorriso sul suo volto era pura follia, un sorriso che sembrava uscito da un manicomio o da un incubo.

“Fonderò una città in tuo nome” disse preparandosi ad abbassare la frusta su di lei.

Mackenzie riuscì solo a sussultare, aspettando che la frusta calasse su di lei con quel raccapricciante schiocco e l’estremità pungente che le avrebbe trafitto la carne, sfigurandola per sempre. Si chiese che aspetto avrebbe avuto una volta che lui avesse finito – ammesso che fosse sopravvissuta.

All’improvviso, dalla cucina giunse come un boato. Mackenzie non capì cosa fosse finché non vide una persona apparire nel corridoio. Corse lungo il corridoio e balzò addosso all’assassino.

Il killer fu fermato mentre si voltava, finendo a terra. Fu solo quando i due corpi iniziarono a lottare che Mackenzie riconobbe, scioccata, chi era l’altra persona.

Porter.

Non aveva senso. Una parte di Mackenzie si chiese se avesse sbattuto la testa cadendo dalle scale e adesso avesse le allucinazioni.

Ma quando la schiena si rilassò un po’ e riuscì barcollando a mettersi in ginocchio, vide quello che stava succedendo. Porter l’aveva salvata. Adesso lottava con il killer, stando sopra di lui e colpendolo abilmente in volto con la mano destra.

Con puntini neri che le danzavano davanti agli occhi, Mackenzie cercò la pistola. Le sembrava che il pavimento oscillasse sotto di lei, e adesso riusciva addirittura a sentire l’odore del suo stesso sangue. Le scorreva dalla guancia come un fiume e...

Improvvisamente individuò la pistola. Era a pochi centimetri dalla mano del killer ed era chiaro che lui stesse cercando di agguantarla.

“Porter” chiamò con voce strozzata, non potendo ancora fare affidamento sulle sue gambe tremanti e sulla schiena dolorante.

Tentò di correre, ma la schiena si blocco e finì in ginocchio con una smorfia di dolore. Poté soltanto restare a guardare mentre il killer afferrava la sua Glock.

Porter se ne accorse appena in tempo e impedì all’uomo di mettersi in posizione per sparare.

Porter però perse l’equilibrio e il killer ne approfittò per rotolare via da sotto di lui, facendolo finire a terra, poi prese la pistola.

Il killer si alzò e fece fuoco.

Lo sparo fu assordante e il ruggito di dolore di Porter troppo breve. Il cuore di Mackenzie si fermò, e lei sperò non significasse quello che pensava.

Mackenzie si costrinse a sopportare il dolore lancinante alla schiena e si mosse in avanti. Il killer se ne stava lì in piedi, con il viso insanguinato per la colluttazione con Porter e Mackenzie lo attaccò da dietro, assestandogli una gomitata tra le scapole.

Cadde in avanti, la pistola che volava via dalla sua presa.

Mackenzie gridò di dolore ma non si fermò e lo colpì anche con un ginocchio. Sentì l’aria uscirgli dai polmoni di botto e ne approfittò.

Gli afferrò la testa con le mani, la destra che pareva calzare un guanto di sangue a causa della frustata, e la sollevò da terra di vari centimetri. Poi, con un grido che era una combinazione suprema di dolore, frustrazione e vittoria, gli sbatté la faccia sulle assi di legno del pavimento.

Lui grugnì e rantolò.

Ripeté la mossa, con rapidi movimenti meccanici. Prima su, poi giù.

Stavolta non emise neanche un suono.

Scese dalla schiena dell’uomo e si appoggiò al muro. Strisciò fino a Porter e il cuore le si gonfiò di sollievo nel vedere che si muoveva ancora. Aveva il lato sinistro della testa ricoperto di sangue, e si teneva l’orecchio come un bambino impaurito.

“Porter?”

Non rispose. Invece, si girò e la guardò negli occhi.

“White?”

Sembrava preoccupato mentre cercava di togliersi il sangue dalla faccia.

“Quel dannato proiettile mi ha sfiorato l’orecchio” disse ad alta voce. “Non ci sento più.”

Lei annuì, inarcando la schiena nel tentativo di alleviare il dolore, che invece pareva non volersene andare mai più. Allungò una mano verso il killer e gli tastò il collo. Era difficile distinguerlo tra l’adrenalina che ancora le scorreva nelle vene e il battito furioso del suo cuore, ma era abbastanza sicura che ci fosse ancora battito in lui.

Mackenzie si stese sul pavimento di fianco a Porter e lentamente estrasse il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni. Mentre scorreva i contatti per trovare il numero di Nelson, lasciò scie insanguinate sullo schermo.

Con il telefono all’orecchio, raggiunse con l’altra mano quella di Porter. La strinse e, nonostante il sangue appiccicoso che le imbrattava le dita, Porter ricambiò la stretta.

CAPITOLO TRENTACINQUE

Tre giorni dopo che il Killer dello Spaventapasseri era stato preso in custodia, Mackenzie ritornò nello stesso ospedale che aveva lasciato appena due giorni prima con quattordici punti di sutura sulla guancia e cinque alla mano. Si recò al terzo piano ed entrò nella stanza dove era ricoverato Porter. Vederlo in un letto d’ospedale le spezzava il cuore, soprattutto se pensava a come era finito lì.

Quando entrò, lui le sorrise. Aveva la parte sinistra della testa piena di cerotti e fasciature, ma vide con sollievo che, rispetto all’ultima volta che lo aveva visitato, gli erano state tolte le flebo.

“Eccoti qui” disse Porter.

Lei ricambiò il sorriso, meravigliandosi di quanto fosse cambiato il loro rapporto.

“Come stai, Porter?”

“Be’, la buona notizia è che riesco a sentirti, cosa che i dottori dubitavano due giorni fa. La cattiva notizia è che non ti sento perfettamente. La notizia ancora peggiore è che il mio orecchio destro non avrà più lo stesso aspetto. A quanto, pare il proiettile mi ha proprio strappato via la parte superiore.”

“Mi dispiace così tanto.”

“Scusa, ma cosa avrei dovuto fare?” chiese Porter in tono un po’ scorbutico. “Il tuo amico dell’FBI mi chiama e mi dice che vuoi scovare il nascondiglio del bastardo tutta sola. Dovevo aiutarti.”

Lei scosse la testa e gli strinse la mano.

“Come hai fatto a trovarmi?”

“Potrei essermi introdotto in casa tua” disse Porter con un sorriso scaltro. “Ho visto la mappa che avevi fatto, dove avevi segnato il centro del cerchio formato dalle città. Poi, quando sono arrivato in quella zona, ho sentito degli spari – immagino sia stato quando eravate nel capanno. Poi ho semplicemente seguito il trambusto per trovarti.”

“Porter, non so come ringraziarti. Sarei morta se...”

Lui scosse la testa, con la mascella tesa.

“Col cavolo” ribatté. “In qualche modo lo avresti battuto.”

Mackenzie annuì, commossa dal complimento, anche se non ne era così certa. Quando chiudeva gli occhi, vedeva ancora il volto del killer mentre sollevava la frusta, pronto ad ucciderla. Nelle ultime due notti si era svegliata con attacchi di panico, sudata, sola nel letto a chiedersi se avrebbe mai smesso di vederlo.

Si ritrovò persa nei propri pensieri e non era sicura di quanto tempo fosse passato quando Porter riprese a parlare.

“Allora, come va la schiena?” si informò, cambiando rapidamente argomento, probabilmente intuendo quello che le passava per la testa.

Lei sorrise, costringendosi a tornare in sé ed essere ottimista. Dopotutto, era lì per offrire conforto a Porter, almeno questo glielo doveva.

“Stamattina ho fatto gli ultimi raggi” disse. “Tutto a posto. Niente lesioni alla colonna vertebrale, solo un brutto strappo. Ho avuto fortuna.”

“A giudicare dai punti che hai in faccia e dal mio orecchio maciullato, non sono sicuro che fortuna sia la parola giusta.”

Mackenzie andò alla sedia per i visitatori vicino alla testa del letto e lo guardò facendo appello a tutta la sua sincerità.

“Sono venuta per ringraziarti” disse. “E per dirti addio.”

Lui si allarmò.

“Addio?”

Lei si fece coraggio.

“Già. Nelson ha dovuto prendere una decisione difficile. Le cose si sono messe davvero male quando si è saputo che avevo preso l’assassino anche se lui mi aveva sollevato dal caso.”

“Lui ti ha licenziata?”

“No, mi ha dato una sospensione di sei mesi. Allora io ho dato le dimissioni.”

Porter si mise a sedere sul letto, facendo una smorfia ma riuscendo comunque a sogghignare.

“Perché accidenti l’hai fatto?”

Lei fissò il pavimento, non sapendo come spiegarglielo.

“Perché” cominciò “ho passato troppo tempo a cercare di dimostrare di non essere soltanto una giovane ragazza ingenua che voleva lavorare di più di tutti gli uomini della squadra. Se poi aggiungi che adesso sono una ribelle che ignora apertamente gli ordini del capitano, è un’altra umiliazione che dovrei sopportare.”

Lui si accigliò, rimanendo in silenzio a lungo.

“E adesso cosa pensi di fare?” le chiese. “Sei troppo brava come detective per cambiare lavoro.”

Lei sorrise e disse: “Sto prendendo in considerazione altre opportunità.”

Lui ghignò per un momento, poi si mise a ridere.

“Te ne andrai all’FBI, non è così?”

Era sicura di non riuscire a nascondere il suo shock. Ricambiò il sorriso quando lui le prese la mano, ricordandole dei loro ultimi momenti nella casa del killer, e si ritrovò a desiderare di confidargli cosa avesse in mente per il proprio futuro. Invece restò zitta. Non era quello il momento giusto.

Lui aveva fatto centro al primo colpo, e questo l’aveva stupita. Era sempre stato così intuitivo? Le aveva sempre nascosto un interesse genuino nei suoi confronti, nascosto da impazienza e commenti sarcastici?

“Allora è così” disse. “Buon per te. Siamo onesti, è quello il tuo posto. Sei sempre stata troppo brava per restare qui. Io lo so bene, e sarà meglio che anche tu te ne renda conto. Ti ho sempre spronata così duramente perché volevo che migliorassi. Volevo che te ne andassi. E sembra che io abbia fatto un ottimo lavoro.”

Si era aspettata un rimprovero, invece fu commossa e sollevata dal suo calore e dalla sincera felicità per lei.

Per la prima volta da molto tempo, sentì affiorare lacrime di gratitudine. Riuscì a ricacciarle indietro però, lasciando che fosse il silenzio a parlare, mentre le loro mani rimanevano strette in un gesto solenne di amicizia, un’amicizia che era sbocciata davvero troppo tardi.

Yaş sınırı:
16+
Litres'teki yayın tarihi:
10 ekim 2019
Hacim:
221 s. 2 illüstrasyon
ISBN:
9781640290303
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