Quasi morta

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CAPITOLO TRE

Cassie capì troppo tardi di essere stata stupida, chiacchierona e di essersi fidata decisamente troppo. Nel suo bisogno di compagnia, aveva rivelato a questo sconosciuto di essere completamente sola al mondo e che nessuno aveva idea di dove si trovasse.

Le vennero alla mente scenari di rapimenti, traffico di persone, e abusi. Doveva scappare.

Mentre la mano di Vadim le si stringeva intorno al polso, Cassie tirò indietro il braccio, e lui riuscì ad afferrarle solo la manica della giacca.

Fragile e rovinato, il tessuto si ruppe, lasciando nella sua presa solo un lembo di poliestere. Cassie era libera.

Si girò e iniziò a correre a perdifiato nella direzione da cui erano arrivati.

Con la testa inclinata in direzione opposta alla pioggia, attraversò la strada di corsa mentre stava scattando il semaforo. Urla e insulti alle sue spalle le rivelarono che il grosso ombrello di Vadim si stava per lui rivelando più un ostacolo che un aiuto. Cassie svoltò rapidamente a sinistra proprio mentre un autobus le passava alle spalle, pregando che lui non avesse visto dove era andata, ma un altro urlo dietro di lei le fece sapere che non era così, e che lui la stava ancora inseguendo.

Svoltò a destra, in una strada affollata, e mentre passava attraverso i pedoni in movimento, si tolse la giacca e il berretto, per evitare che i loro colori aiutassero il ragazzo a trovarla. Si arrotolò i vestiti sotto il braccio, e una volta raggiunto un altro incrocio, si guardò alle spalle mentre girava nuovamente a sinistra.

Sembrava che nessuno la stesse seguendo, ma lui avrebbe ancora potuto raggiungerla – o, peggio ancora, prevedere dove lei si stesse dirigendo e aspettarla direttamente lì.

Davanti a lei, come un faro di speranza e sicurezza, vide l’insegna “Pensione” che aveva notato in precedenza. Non vide Vadim da nessuna parte.

Cassie corse verso l’ostello, pregando di poter riuscire ad entrare in tempo, per essere al sicuro.

*

La musica a tutto volume proveniente dall’edificio si sentiva dalla strada, dove si trovava un fragile cancello di sicurezza dipinto di bianco, socchiuso.

Dopo averlo aperto, Cassie salì una stretta scalinata di legno. Fu accolta da voci, risa e fumo di sigaretta.

Si diede un’occhiata alle spalle, ma non c’era nessuno.

Forse il ragazzo si era arreso. Ora che era riuscita a fuggire, Cassie si domandò se non avesse esagerato. Il furgone parcheggiato poteva essere stato solo una coincidenza. Vadim magari voleva solo portarla a casa sua.

In ogni caso, non era ciò che le aveva promesso, e aveva cercato di afferrarla non appena lei aveva esitato. Cassie fu invasa da puro terrore quando si ricordò come fosse riuscita a malapena a scappare.

Era stata una vera stupida a blaterare che era da sola, che nessuno aveva idea di dove si trovasse, che si era imbarcata nella ricerca senza speranza di una persona che avrebbe potuto non trovare mai. Respirando profondamente, Cassie si rimproverò per la sua incredibile stupidità. Era stato per lei un enorme sollievo poter raccontare la storia di Jacqui a uno sconosciuto che non l’avrebbe giudicata. Non si era resa conto di cos’altro stava rivelando.

Il cancello di sicurezza in cima alle scale era chiuso. Portava in un piccolo ingresso, vuoto, ma vi era un pulsante sul muro con un cartello attaccato sotto di esso.

Le parole erano scritte in lingue diverse, con l’inglese in cima.

“Suonare per essere serviti”.

Cassie premette il pulsante, sperando che qualcuno sentisse, visto che lassù la musica era assordante.

Per favore, rispondete, pregò.

Poi la porta dall’altra parte dell’atrio si aprì, ed entrò una ragazza bionda di età simile alla sua. Sembrò sorpresa nel vedere Cassie in piedi lì fuori.

“Buona sera”, la salutò.

“Parli inglese?” chiese Cassie, pregando che la donna parlasse la sua lingua e capisse che aveva bisogno di entrare al più presto.

Con suo sollievo, la ragazza passò ad un inglese dall’accento tedesco.

“Come posso aiutarti?”

“Ho urgente bisogno di un posto dove stare. Avete una stanza libera?”

La bionda rifletté per un momento.

“Non abbiamo camere”, disse, scuotendo la testa, e Cassie fu invasa dal disappunto. Si guardò alle spalle, preoccupata di aver sentito un tonfo sulle scale, ma doveva essere la musica che proveniva da qualche parte all’interno dell’atrio.

“Per favore, posso almeno entrare?” chiese.

“Certo. Stai bene?”

La donna premette un pulsante che fece scattare la serratura. Cassie sentì il freddo metallo vibrarle tra le mani, mentre la serratura scattava, e chiuse il cancello saldamente alle sue spalle, con un fragore metallico.

Finalmente era al sicuro.

“Ho avuto una brutta esperienza. Un uomo mi ha detto che mi avrebbe accompagnato qui, ma poi siamo finiti con l’andare in una direzione completamente diversa. Mi ha afferrato il braccio quando mi sono resa conto che c’era qualcosa che non andava, ma sono riuscita a liberarmi”.

La donna sollevò le sopracciglia, sembrando sconvolta.

“Sono felice che tu sia riuscita a fuggire. Questa parte di Milano può essere pericolosa di notte. Per favore, entra nell’ufficio. Credo di aver frainteso la tua domanda. Non abbiamo stanze libere; tutte le camere singole sono prenotate. Ma ho un letto disponibile nel dormitorio condiviso, se ti va”.

“Grazie, mille. Sì”.

Debole per il sollievo di non dover tornare nuovamente nelle strade buie, Cassie seguì la donna attraverso l’ingresso e in un minuscolo ufficio con un cartello sulla porta: “Direttore dell’ostello”.

Lì, Cassie pagò la stanza. Si rese conto nuovamente di quanto i prezzi fossero scomodamente alti. Milano era una città costosa e non sembrava possibile viverci senza spendere troppo.

“Hai del bagaglio?” le chiese la ragazza.

Cassie scosse la testa. “È in macchina, a chilometri da qui”.

Con sua sorpresa, l’altra ragazza annuì, come se fosse una risposta che riceveva abitualmente.

“Visto che sei in un dormitorio condiviso, ti servirà un pacchetto di articoli da bagno”.

Lo spazzolino, il dentifricio, il sapone e una maglietta di cotone per dormire sembrarono un salvavita per Cassie, che dovette consegnare altri Euro in cambio.

“La tua stanza è in fondo al corridoio. Il tuo letto è il più vicino alla porta e hai una cassetta di sicurezza”.

“Grazie”.

“Il bar è da quella parte. Possiamo offrire ai nostri clienti la birra più economica di Milano”. La ragazza sorrise mentre posava la chiave della cassaforte sul bancone.

“Mi chiamo Gretchen”, aggiunse.

“Io sono Cassie”.

Ricordandosi del motivo per cui si trovava lì, Cassie chiese “Avete un telefono? Internet?”

Trattenne il fiato mentre Gretchen considerava la domanda.

“Gli ospiti possono usare il telefono dell’ufficio solo in caso di emergenza”, disse. “Ci sono molti posti nelle vicinanze dove è possibile fare telefonate e usare un computer. Sono elencati in bacheca vicino alla libreria, e troverai anche una mappa”.

“Grazie”.

Cassie si guardò alle spalle. Aveva notato la bacheca entrando, sulla mensola più in alto. Era una grossa lavagna, ricoperta da pezzi di carta.

“Mettiamo anche annunci di lavoro in bacheca”, spiegò Gretchen. “Facciamo ricerche giornaliere su tutti i siti e stampiamo gli annunci. Alcuni ci contattano direttamente se hanno bisogno di qualcuno part-time, come per esempio per fare il cameriere, riempire gli scaffali, o pulire. Quei lavori solitamente vengono pagati in contanti, giornalmente”.

Sorrise a Cassie con affetto, come se sapesse bene cosa volesse dire essere in un Paese straniero con pochi soldi.

“La maggior parte dei nostri ospiti riesce a trovare lavoro, se vuole, perciò se te ne serve uno, fammi sapere”, aggiunse.

“Grazie ancora”, rispose Cassie.

Si diresse subito verso la bacheca.

C’era un elenco di cinque posti nei dintorni dove si potevano usare telefono e internet, e Cassie trattenne il respiro quando vide che vi era il nome della Cartoleria, ma che recentemente era stato coperto da una croce con un appunto, “Chiuso”.

Quello era un buon segno, perciò Cassie decise di chiedere a Gretchen se poteva controllare l’elenco degli ospiti. Si diresse nel salottino, vedendo che la ragazza aveva appena aperto una birra e si stava sedendo sul divano tra un gruppo di persone che ridevano.

“Ecco un altro ospite”.

Un giovane snello con un accento inglese, che sembrava anche più giovane di Cassie, si alzò di scatto e aprì il frigorifero.

“Sono Tim. Cosa posso servirti?”

Notando l’esitazione della ragazza, disse, “Abbiamo un prezzo speciale per l’Heineken”.

“Grazie”, rispose Cassie.

Pagò, e lui le passò una bottiglia ghiacciata. Due ragazze dai capelli scuri, che parevano essere gemelle, si alzarono da uno dei divani vicini per farle spazio.

“A dire il vero, sono venuta qui perché speravo di trovare mia sorella”, disse, sentendosi nervosa mentre parlava.

“Mi chiedo se qualcuno di voi possa averla conosciuta, o se è stata qui per caso. Ha i capelli biondi – o per lo meno era bionda quando l’ho vista l’ultima volta. Il suo nome è Jacqui Vale”.

“Siete lontane da tanto?” chiese con affetto una delle ragazze more.

Quando Cassie annuì, aggiunse, “È molto triste. Spero tu riesca a trovarla”.

Cassie bevve un sorso di birra. Era gelida e ricca di malto.

Gretchen stava scorrendo il telefono.

“Non abbiamo avuto nessuna Jacqui qui a dicembre. O a novembre”, disse, e Cassie sentì il cuore sprofondare.

“Aspetta”, disse Tim. “Ho in mente qualcuno”.

Chiuse gli occhi, come per ricordare qualcosa, e Cassie lo fissò con ansia.

“Non vengono molti americani qui, perciò mi ricordo l’accento. Non ha prenotato una stanza, è venuta con un’amica che stava qui. Ha bevuto qualcosa e poi se n’è andata. Non era bionda; aveva i capelli castani, ma era molto carina, e ti assomigliava un po’. Forse qualche anno più grande”.

 

Cassie annuì incoraggiandolo. “Jacqui è più grande di me”.

“L’amica la chiamava Jax. Abbiamo incominciato a parlare quando l’ho servita, e mi ha detto che stava in un paesino. Credo fosse a un’ora o due da qui. Ora, ovviamente, non mi ricordo il nome del paese però”.

Cassie si sentì mancare il respiro, al pensiero che sua sorella fosse effettivamente stata lì. A trovare un’amica, proseguendo con la sua vita. Non sembrava che fosse sul lastrico, disperata, o tossicodipendente, né in una relazione violenta, e nemmeno in alcuno dei terribili scenari che Cassie aveva temuto ogni volta che aveva pensato a Jacqui, e si chiese perché non si fosse mai messa in contatto con lei.

Forse la famiglia non era stata così importante per lei e non sentiva il bisogno di ricontattarla. Anche se erano molto affiatate, erano state le avversità a renderle unite, dover sopravvivere agli scoppi di rabbia del padre e all’instabile vita familiare. Jacqui avrebbe potuto volersi lasciare quei ricordi alle spalle.

“Non sapevo che avessi una così buona memoria in merito ai volti, Tim”, lo prese in giro Gretchen. “O funziona solo con le belle ragazze?”

Tim sorrise, sembrando imbarazzato. “Ehi, era stupenda. Stavo pensando di chiederle di uscire, ma poi ho scoperto che non viveva a Milano, e ho pensato che probabilmente non sarebbe stata comunque interessata”.

Ci fu un coro di protesta dalle altre ragazze.

“Che sciocco! Avresti dovuto chiederglielo”, insistette la ragazza seduta accanto a Cassie.

“Non ho ricevuto le giuste vibrazioni, e credo che avrebbe detto di no. In ogni caso, Cassie, se mi dai il tuo numero, farò del mio meglio per ricordarmi il nome del paese. Se mi torna in mente ti scrivo”.

“Grazie”, disse Cassie.

La ragazza diede il suo numero a Tim e finì la birra. Sembrava che fossero tutti pronti per un altro giro e avrebbero proseguito fino a dopo mezzanotte, ma lei era esausta.

Si alzò e salutò tutti prima di andare a fare una doccia calda e sdraiarsi a letto.

Fu solo quando tirò su le coperte che si ricordò, con uno shock, che i suoi medicinali per l’ansia erano ancora nella sua valigia.

Aveva già subito in passato le conseguenze per il fatto di aver saltato una pillola. Faceva fatica a dormire se non era a pari con le pastiglie, ed era propensa ad avere incubi molto realistici. Talvolta, era diventata sonnambula, e Cassie si sentì nervosa all’idea che potesse succederle in un dormitorio condiviso.

Poteva solo sperare che la birra, assieme al fatto di essere esausta, avrebbero tenuto lontano i brutti sogni.

CAPITOLO QUATTRO

“Svelta. Alzati. Dobbiamo andare”.

Qualcuno stava colpendo la spalla di Cassie, ma lei era stanca – talmente stanca da riuscire a malapena ad aprire gli occhi. Combattendo la sua spossatezza, riuscì a svegliarsi.

Jacqui era accanto al suo letto; i luminosi capelli castani mettevano in risalto una nera giacca alla moda.

“Sei qui?” Emozionata, Cassie si sedette, pronta ad abbracciare sua sorella.

Ma Jacqui si voltò.

“Sbrigati”, bisbigliò. “Stanno arrivando”.

“Chi sta arrivando?” chiese Cassie.

Pensò immediatamente a Vadim. Le aveva afferrato la manica, strappato la giacca. Aveva piani in serbo per lei. Era riuscita a scappare, ma ora lui l’aveva ritrovata. Si sarebbe dovuta immaginare che l’avrebbe fatto.

“Non so come potremmo scappare”, disse con ansia. “C’è solo una porta”.

“C’è l’uscita di sicurezza. È qui, lascia che te la mostri”.

Jacqui la guidò attraverso un lungo e oscuro corridoio. Indossava dei jeans strappati alla moda, e dei sandali rossi con il tacco. Cassie la seguì con le sue scarpe da tennis consumate, sperando che Jacqui avesse ragione e ci fosse davvero una via di fuga in quella direzione.

“Da questa parte”, disse Jacqui.

Aprì una porta di metallo. Cassie indietreggiò quando vide la sgangherata scala antincendio. I gradini di metallo erano rotti ed arrugginiti. E peggio ancora, la scala scendeva solo per metà della costruzione. Oltre, non vi era altro che un vertiginoso ed infinito vuoto fino alla strada sottostante.

“Non possiamo passare da qui”.

“Possiamo. Dobbiamo”.

La risata di Jacqui era acuta e, fissandola inorridita, Cassie notò che il suo volto era cambiato. Non si trattava di sua sorella. Era Elaine, una delle fidanzate di suo padre, quella che lei aveva odiato e temuto più di tutte.

“Scendiamo”, gridò la crudele donna bionda. “Scendi prima tu. Fammi vedere come si fa. Sai che ti ho sempre odiato”.

Sentendo il metallo arrugginito tremare quando lo toccò, anche Cassie iniziò ad urlare.

“No! Ti prego, no. Aiutami!”

Una risata acuta fu l’unica risposta che ricevette, quando la scala antincendio iniziò a cedere, rompendosi sotto il suo peso.

E poi improvvisamente erano le mani di qualcun altro a scuoterla.

“Per favore, svegliati! Svegliati!”

Cassie aprì gli occhi.

Le luci del dormitorio erano accese, e lei si ritrovò a fissare le due gemelle dai capelli scuri. La stavano guardando con un’espressione di preoccupazione mista a fastidio.

“Hai avuto un sacco di incubi, e stavi urlando. Stai bene?”

“Sì, sto bene. Mi dispiace. Mi capita di fare brutti sogni”.

“È fastidioso”, aggiunse l’altra gemella. “Non c’è niente che tu possa fare per fermarli? Non è giusto nei nostri confronti; lavoriamo di giorno, e oggi abbiamo un turno da dodici ore”.

Cassie si sentì oppressa dai sensi di colpa. Avrebbe dovuto sapere che i suoi incubi avrebbero dato enormemente fastidio in una stanza condivisa.

“Che ore sono?”

“Ora sono le quattro e mezza del mattino”.

“Mi alzo”, decise Cassie.

“Sei sicura?” Le gemelle si scambiarono uno sguardo sorpreso.

“Sì, sono sicura. Mi spiace molto di avervi svegliato”.

Scese dal letto, sentendosi disorientata e in preda alle vertigini per via del sonno; indossò velocemente la maglia nell’oscurità, poi, afferrata la sua borsa, uscì dalla stanza e chiuse la porta senza far rumore.

Il salotto era vuoto, e Cassie si sedette su uno dei divani, ripiegando le gambe sul cuscino. Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto fare, o dove sarebbe potuta andare.

Sarebbe stato maleducato rischiare di disturbare il sonno dei suoi compagni di stanza per un’altra notte, e non si sarebbe potuta permettere una stanza singola, neanche se si fosse liberata.

Avrebbe potuto permettersela se avesse trovato un lavoro. Non aveva un visto lavorativo, ma da quanto avevano detto gli altri la notte precedente, se il lavoro era per meno di tre mesi, a nessuno in Italia importava  se questo veniva svolto con solo il visto turistico.

Lavorare le avrebbe reso possibile dormire in questo ostello e guadagnare del tempo. Anche se Tim non si fosse ricordato il nome del paese in cui viveva Jacqui, forse sua sorella avrebbe potuto provare a contattarla nuovamente.

Cassie si diresse verso la bacheca, per vedere se vi era qualche lavoro disponibile.

Sperava di trovare un impiego da cameriera; avendo già svolto quel lavoro in passato, si sarebbe sentita sicura di sé nel candidarsi. Tuttavia, con grande disappunto, scoprì che tutti questi lavori richiedevano che i candidati dovessero parlare un italiano fluente. Altre lingue erano un vantaggio, ma non erano essenziali.

Con un sospiro frustrato, Cassie eliminò l’idea di fare la cameriera.

Lavare i piatti? Fare le pulizie?

Cercando sulla bacheca non riuscì a trovare lavori di questo genere. C’erano due annunci per posizioni da commessa, ma anche qui era richiesto l’italiano. Poi c’era l’annuncio per un lavoro da fattorino in bicicletta, che sembrava interessante ed era anche ben pagato, ma dovevi avere la tua bicicletta e il caschetto, e lei non li possedeva.

Quelle erano tutte le offerte disponibili, e non poteva candidarsi a nessuna di esse.

Scoraggiata, Cassie tornò al divano, e mise il cellulare in carica. Forse poteva cercare su internet e vedere se c’era qualche altro lavoro disponibile. Era ancora molto presto, e dopo il brusco risveglio sentiva gli occhi pesanti per la stanchezza. Sul divano scivolò in un sonno leggero, e fu svegliata un paio d’ore più tardi dalle gemelle, che stavano uscendo.

C’erano già persone sveglie in giro, e Cassie poteva sentire l’odore del caffè che stava bollendo. Scollegò il telefono e scese dal divano, perché non voleva che altri sapessero che aveva dormito lì anziché nel letto che le era stato assegnato.

Seguendo l’aroma del caffè, trovò Gretchen, in vestaglia, che stava attaccando due nuovi annunci di lavoro alla bacheca.

“Questi sono appena arrivati”, disse con un sorriso. “E vendiamo caffè nel cucinino in fondo al corridoio”.

Cassie guardò i due nuovi annunci. Uno era per un lavoro da cameriera, che, nuovamente, non le era d’aiuto. Quando lesse l’altro, ebbe un brivido di nervosismo.

CAPITOLO QUATTRO

“Svelta. Alzati. Dobbiamo andare”.

Qualcuno stava colpendo la spalla di Cassie, ma lei era stanca – talmente stanca da riuscire a malapena ad aprire gli occhi. Combattendo la sua spossatezza, riuscì a svegliarsi.

Jacqui era accanto al suo letto; i luminosi capelli castani mettevano in risalto una nera giacca alla moda.

“Sei qui?” Emozionata, Cassie si sedette, pronta ad abbracciare sua sorella.

Ma Jacqui si voltò.

“Sbrigati”, bisbigliò. “Stanno arrivando”.

“Chi sta arrivando?” chiese Cassie.

Pensò immediatamente a Vadim. Le aveva afferrato la manica, strappato la giacca. Aveva piani in serbo per lei. Era riuscita a scappare, ma ora lui l’aveva ritrovata. Si sarebbe dovuta immaginare che l’avrebbe fatto.

“Non so come potremmo scappare”, disse con ansia. “C’è solo una porta”.

“C’è l’uscita di sicurezza. È qui, lascia che te la mostri”.

Jacqui la guidò attraverso un lungo e oscuro corridoio. Indossava dei jeans strappati alla moda, e dei sandali rossi con il tacco. Cassie la seguì con le sue scarpe da tennis consumate, sperando che Jacqui avesse ragione e ci fosse davvero una via di fuga in quella direzione.

“Da questa parte”, disse Jacqui.

Aprì una porta di metallo. Cassie indietreggiò quando vide la sgangherata scala antincendio. I gradini di metallo erano rotti ed arrugginiti. E peggio ancora, la scala scendeva solo per metà della costruzione. Oltre, non vi era altro che un vertiginoso ed infinito vuoto fino alla strada sottostante.

“Non possiamo passare da qui”.

“Possiamo. Dobbiamo”.

La risata di Jacqui era acuta e, fissandola inorridita, Cassie notò che il suo volto era cambiato. Non si trattava di sua sorella. Era Elaine, una delle fidanzate di suo padre, quella che lei aveva odiato e temuto più di tutte.

“Scendiamo”, gridò la crudele donna bionda. “Scendi prima tu. Fammi vedere come si fa. Sai che ti ho sempre odiato”.

Sentendo il metallo arrugginito tremare quando lo toccò, anche Cassie iniziò ad urlare.

“No! Ti prego, no. Aiutami!”

Una risata acuta fu l’unica risposta che ricevette, quando la scala antincendio iniziò a cedere, rompendosi sotto il suo peso.

E poi improvvisamente erano le mani di qualcun altro a scuoterla.

“Per favore, svegliati! Svegliati!”

Cassie aprì gli occhi.

Le luci del dormitorio erano accese, e lei si ritrovò a fissare le due gemelle dai capelli scuri. La stavano guardando con un’espressione di preoccupazione mista a fastidio.

“Hai avuto un sacco di incubi, e stavi urlando. Stai bene?”

“Sì, sto bene. Mi dispiace. Mi capita di fare brutti sogni”.

“È fastidioso”, aggiunse l’altra gemella. “Non c’è niente che tu possa fare per fermarli? Non è giusto nei nostri confronti; lavoriamo di giorno, e oggi abbiamo un turno da dodici ore”.

Cassie si sentì oppressa dai sensi di colpa. Avrebbe dovuto sapere che i suoi incubi avrebbero dato enormemente fastidio in una stanza condivisa.

“Che ore sono?”

“Ora sono le quattro e mezza del mattino”.

“Mi alzo”, decise Cassie.

“Sei sicura?” Le gemelle si scambiarono uno sguardo sorpreso.

“Sì, sono sicura. Mi spiace molto di avervi svegliato”.

Scese dal letto, sentendosi disorientata e in preda alle vertigini per via del sonno; indossò velocemente la maglia nell’oscurità, poi, afferrata la sua borsa, uscì dalla stanza e chiuse la porta senza far rumore.

Il salotto era vuoto, e Cassie si sedette su uno dei divani, ripiegando le gambe sul cuscino. Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto fare, o dove sarebbe potuta andare.

 

Sarebbe stato maleducato rischiare di disturbare il sonno dei suoi compagni di stanza per un’altra notte, e non si sarebbe potuta permettere una stanza singola, neanche se si fosse liberata.

Avrebbe potuto permettersela se avesse trovato un lavoro. Non aveva un visto lavorativo, ma da quanto avevano detto gli altri la notte precedente, se il lavoro era per meno di tre mesi, a nessuno in Italia importava  se questo veniva svolto con solo il visto turistico.

Lavorare le avrebbe reso possibile dormire in questo ostello e guadagnare del tempo. Anche se Tim non si fosse ricordato il nome del paese in cui viveva Jacqui, forse sua sorella avrebbe potuto provare a contattarla nuovamente.

Cassie si diresse verso la bacheca, per vedere se vi era qualche lavoro disponibile.

Sperava di trovare un impiego da cameriera; avendo già svolto quel lavoro in passato, si sarebbe sentita sicura di sé nel candidarsi. Tuttavia, con grande disappunto, scoprì che tutti questi lavori richiedevano che i candidati dovessero parlare un italiano fluente. Altre lingue erano un vantaggio, ma non erano essenziali.

Con un sospiro frustrato, Cassie eliminò l’idea di fare la cameriera.

Lavare i piatti? Fare le pulizie?

Cercando sulla bacheca non riuscì a trovare lavori di questo genere. C’erano due annunci per posizioni da commessa, ma anche qui era richiesto l’italiano. Poi c’era l’annuncio per un lavoro da fattorino in bicicletta, che sembrava interessante ed era anche ben pagato, ma dovevi avere la tua bicicletta e il caschetto, e lei non li possedeva.

Quelle erano tutte le offerte disponibili, e non poteva candidarsi a nessuna di esse.

Scoraggiata, Cassie tornò al divano, e mise il cellulare in carica. Forse poteva cercare su internet e vedere se c’era qualche altro lavoro disponibile. Era ancora molto presto, e dopo il brusco risveglio sentiva gli occhi pesanti per la stanchezza. Sul divano scivolò in un sonno leggero, e fu svegliata un paio d’ore più tardi dalle gemelle, che stavano uscendo.

C’erano già persone sveglie in giro, e Cassie poteva sentire l’odore del caffè che stava bollendo. Scollegò il telefono e scese dal divano, perché non voleva che altri sapessero che aveva dormito lì anziché nel letto che le era stato assegnato.

Seguendo l’aroma del caffè, trovò Gretchen, in vestaglia, che stava attaccando due nuovi annunci di lavoro alla bacheca.

“Questi sono appena arrivati”, disse con un sorriso. “E vendiamo caffè nel cucinino in fondo al corridoio”.

Cassie guardò i due nuovi annunci. Uno era per un lavoro da cameriera, che, nuovamente, non le era d’aiuto. Quando lesse l’altro, ebbe un brivido di nervosismo.

“Ragazza alla pari cercasi. Madre  divorziata, cerca aiuto per tre mesi, con inizio il prima possibile, per prendersi cura di due bambine di 8 e 9 anni. Richiesta buona conoscenza della lingua inglese. Lussuoso alloggio fornito. Per favore, chiamare Ottavia Rossi”.

Cassie chiuse gli occhi e sentì la pelle d’oca scenderle lungo la spina dorsale.

Non pensava di poter gestire un altro lavoro come ragazza alla pari. Non dopo che i primi due erano andati così male.

Il suo primo impiego, in Francia, l’aveva prestato presso un ricco proprietario terriero. Fu solo dopo che arrivò al castello che Cassie si rese conto di quanto disfunzionali fossero lui e la sua fidanzata nel gestire i tre figli traumatizzati. Ognuno di questi si era ribellato contro la brutale autorità del padre in modo diverso, e Cassie aveva subito le conseguenze dei loro comportamenti.

Il lavoro si era tramutato in un incubo, e quando la fidanzata dell’uomo morì in circostanze sospette, Cassie riuscì a scampare a malapena all’arresto come sospettata di omicidio.

Il padrone – Pierre Dubois – in seguito era stato accusato del crimine, e il suo processo era tuttora in corso. Ogni volta che vedeva qualche notizia in merito, Cassie la leggeva con ansia. A causa della dura battaglia che avevano messo in atto gli avvocati, l’articolo più recente dichiarava che si sarebbe raggiunto il verdetto solo a Febbraio.

Cassie era allora andata in Gran Bretagna, cercando disperatamente di non essere notata, in caso i legali dell’uomo decidessero di presentarle un mandato di comparizione – o peggio, riuscissero a creare abbastanza prove per poter dimostrare che lei fosse la colpevole.

In Inghilterra, era corsa direttamente tra le braccia di un uomo affascinante ed attraente, che si era presentato come un padre divorziato bisognoso di urgente aiuto nel gestire i propri figli. Cassie si era presa una bella cotta per Ryan Ellis e aveva creduto ad ogni parola che lui le aveva detto. Poi il mondo idilliaco che  pensava di avere trovato si era sgretolato attorno a lei man mano che le bugie venivano a galla, e la situazione si era tramutata in puro orrore.

Cassie non era ancora in grado di ripensare a quell’esperienza senza sentirsi invadere dal panico. Voltandosi, andò quasi a sbattere contro Gretchen, che era impegnata a sistemare la bacheca, togliendo alcuni degli annunci più vecchi.

“Scusa”, disse Cassie.

“Hai visto qualcosa che potrebbe interessarti?” le chiese Gretchen.

“Non ne sono sicura. Il lavoro come ragazza alla pari sembra interessante”, rispose Cassie, solo per essere educata.

“È nella periferia di Milano. È una zona molto ricca. E vivresti in famiglia, vedo, perciò avresti anche l’alloggio incluso”.

“Grazie”, disse Cassie. Fece una foto all’annuncio, sebbene sapesse che stava compiendo quel gesto senza avere alcuna intenzione di accettare il lavoro.

Diede un’occhiata ai libri in vendita. Erano un eclettico miscuglio di letteratura e saggistica. C’erano due libri sullo scaffale che le sarebbero potuti essere utili. Uno era un frasario di italiano, e l’altro un libro di lingua italiana per principianti. I volumi erano usurati e decisamente molto usati, ma erano anche economici. Felice di poter iniziare a imparare l’italiano, Cassie si diresse verso l’ufficio per pagarli.

Dopo aver comprato i libri e una tazza di caffè, partì alla ricerca della propria auto. Sebbene la città apparisse molto diversa alla luce del giorno, Cassie riuscì a tornare verso la propria vettura, sbagliando strada solo un paio di volte.

Durante il tragitto, non riuscì a smettere di pensare al lavoro come ragazza alla pari.

Era quello che passava il convento, e lei aveva disperato bisogno di rimanere in città per un po’. Dopo tutto, Tim il barista poteva ricordarsi il nome del paese in cui viveva Jacqui in qualunque momento.

Vivere sul luogo di lavoro avrebbe significato non dover disturbare gli altri viaggiatori, e Cassie non avrebbe rischiato di avere un’altra spaventosa esperienza in città, simile a quella della sera prima con Vadim.

Inoltre avrebbe lavorato per una donna. Una donna divorziata. Cassie poteva assicurarsi che ciò fosse vero, prima di prendere una decisione. Non voleva lavorare nuovamente per un uomo. Non sembrava nemmeno che ce ne fosse uno nella casa, solo la donna e le due bambine.

Poteva chiedere. Non c’era niente di male nello scoprire qualcosa di più, giusto?

Ciononostante, ricordandosi delle sue esperienze precedenti, Cassie digitò il numero con apprensione.

La chiamata fu connessa, e il telefono continuò a squillare, facendo aumentare il nervosismo di Cassie secondo dopo secondo.

Infine, vi fu una risposta.

“Buongiorno”, disse una voce di donna, che sembrava senza fiato.

Desiderando di aver avuto il tempo di studiare il suo frasario, Cassie rispose nervosamente.

“Good morning”.

“Questo è il telefono della Signora Rossi, sono Abigail. Come posso aiutarla?” continuò la donna, in un perfetto inglese. Probabilmente madrelingua, pensò Cassie.

Cercò di tenere a bada il nervosismo e parlò con sicurezza.

“Chiamo per l’annuncio di lavoro. Posso parlare con Ottavia Rossi?”

“Il lavoro? Attenda in linea. La Sig.ra Rossi è in riunione”.

Cassie udì la donna parlare con un’altra persona. Un attimo dopo, era di nuovo in linea.

“Mi spiace molto, ma il lavoro è già stato assegnato”.

“Oh”. Cassie si sentì stupita e avvilita. Non era sicura di cosa dire, ma la donna prese questa decisione per lei.

“Arrivederci”, disse, e chiuse la telefonata.