Kitabı oku: «Se lei udisse», sayfa 3
CAPITOLO CINQUE
Il bar non era per nulla un bar, ma una zona drink all’interno di una specie di bettola. C’erano bersagli per le freccette e nientepopodimeno che un jukebox, ma la zona ristorante pareva la ragione dell’esistenza dell’attività. La zona bar lì all’Esther’s Place era ficcata in fondo, tanto che pareva che la proprietaria si vergognasse di ciò che vi accadeva. Ma quando Kate e DeMarco entrarono alle cinque e quarantacinque per vedere le amiche di Kayla Peterson, pareva un posto abbastanza carino, anche se leggermente datato.
C’erano tre giovani a un tavolino in angolo. Kate si accorse subito che nessuna di loro beveva alcolici, presumibilmente perché avevano tutte meno di ventun anni. Due avevano ordinato dell’acqua, e l’altra quella che sembrava acqua gassata o Sprite. Tutte e tre parvero accorgersi delle agenti dell’FBI nello stesso istante. Non sembravano spaventate di per sé, ma sicuramente in allarme. Kate si chiese quanto avrebbero aspettato, dopo la fine dell’interrogatorio, per andare in cerca illegalmente di uno o due drink.
DeMarco prese il comando mentre si avvicinavano al tavolino. «Claire Lee, Tabby Amos e Olivia Macintyre?»
«Sì» disse la ragazza seduta in mezzo. Aveva meravigliosi capelli rossi e una figura snella e alta che esibì alzandosi per stringerle la mano. «Io sono Tabitha Amos» disse. «Tabby per quasi tutti, però.»
«Io Claire Lee» disse la ragazza sulla sinistra. Anche lei era piuttosto carina, ma in maniera semplice. Indossava una leggera felpa con cappuccio nella quale sembrava star comoda; non era chiaramente tipo da pensare di dover essere spettacolare ogni volta che usciva di casa.
«E quindi io sono Olivia Macintyre» disse l’ultima. Aveva capelli biondo scuro che parevano quasi castani nell’illuminazione fioca del bar. Portava un paio di occhiali di moda e aveva un’aria introversa.
«Agenti DeMarco e Wise» disse DeMarco. Mostrò con discrezione il distintivo avvicinandosi al tavolino. «Possiamo unirci?»
Il terzetto si accalcò per far spazio a Kate e DeMarco. Nell’istante in cui si sedettero, arrivò una cameriera per prendere l’ordine. Ordinarono entrambe acqua e, dato che avevano saltato il pranzo, anche un cheeseburger a testa da asporto. Le ragazze parvero un po’ perplesse dalla cosa, e Kate capì subito che la decisione di DeMarco di vederle lì era stata furba.
«Allora, sono sicura che lo sceriffo vi ha detto» disse DeMarco «che vogliamo parlare di Kayla Peterson. In particolare abbiamo bisogno di sapere qualsiasi cosa ci possiate dire sull’ultima serata che avete trascorso insieme.»
Le ragazze si guardarono cupe. Parevano tutte sconvolte dagli eventi, ma per lo più calme. Kate non rimase granché sorpresa di scoprire che la portavoce del gruppo era Tabby Amos. Per la maggior parte della gente era la più carina, e perciò quella apparentemente più sicura di sé del gruppo. Era pure stata la prima ad alzarsi per presentarsi.
«Be’, è stata una mia idea. Noi quattro eravamo molto unite alle superiori. Poi Kayla e Claire, qui, hanno deciso di andare al college e ci vedevamo raramente. Ci siamo riunite il Natale scorso… era stata l’ultima volta che ci eravamo viste tutte e quattro. Ho pensato che sarebbe stata bella una serata tra noi prima del matrimonio.»
«Quand’è il matrimonio?» chiese Kate.
«Questo sabato» disse Olivia.
«Chi si sposa?»
«Mio fratello» disse Olivia.
«Ha fatto praticamente da fratello maggiore per tutte alle superiori» disse Tabby. «Diceva due paroline ai viscidi che ci chiedevano di uscire e che non gestivano un rifiuto.»
«Io sono una delle damigelle d’onore» disse Olivia. «E ho invitato tutte le mie amiche, ovviamente.»
«Ma abbiamo pensato che sarebbe stata stupida una serata di deliri il giorno prima del matrimonio» disse Tabby. «Quindi abbiamo deciso per sabato sera.»
«Che cos’avete fatto?» chiese DeMarco.
«Siamo state un po’ da me» disse Claire. «Cioè, dai miei. Ma loro erano via per il finesettimana, sapevano che ero in città e che volevo vedere le amiche. Quindi a loro stava bene che venissero. Abbiamo guardato dei film, bevuto vino e mangiato la pizza.»
«Siete andate da qualche parte?»
«Io e Kayla siamo andate al supermercato di Glensville per prendere altro vino» disse Olivia.
«Glensville dov’è?”
«A una ventina di minuti da Harper Hills.»
«Non potevate prenderlo in città?» chiese Kate.
«No» disse Tabby. «Non abbiamo ancora ventun anni e qui si conoscono tutti.»
«Già» disse Olivia. «E poi a Glensville c’è uno con cui sono uscita, di un paio d’anni più di me. Conosce il gestore del supermercato di Glensville. Loro non ci chiedevano il documento e ci davano da bere.» Allora fece una pausa e poi aggiunse «Cazzo. Non finiranno nei guai, vero?»
«Dovrebbero» disse DeMarco. «Ma questo è nulla in confronto a ciò che stiamo esaminando al momento. Allora… a Glensville è successo qualcosa di interessante?»
«Niente» disse Olivia. «Siamo entrate, abbiamo preso tre bottiglie di vino e siamo uscite.»
«Avete avuto problemi col tipo con cui uscivi?»
«No. Cavoli, ci ho appena parlato. E poi aveva una nuova ragazza. Aveva tipo fretta di andarsene.»
«Qualcuno ha bevuto troppo quella sera?» chiese Kate.
«Tutte e quattro» disse Tabby. «Io me la sono presa quando ho scoperto che Kayla se n’era andata. La casa di sua mamma è a soli dieci minuti da quella di Claire, però… vabbè. È stata irresponsabile a guidare dopo aver bevuto. Ovviamente poi ho scoperto che era stata uccisa e…»
«Che significa quando ho scoperto che Kayla se n’era andata?» chiese DeMarco.
«Be’, intorno alla mezzanotte Claire ha tirato fuori i liquori dei suoi» disse Tabby. «Avevamo un po’ troppo da bere. Io verso l’una sono svenuta.»
«Io poco dopo» disse Claire.
«Già» aggiunse Olivia. «Io e Kayla eravamo le ultime sveglie. Non penso che abbia bevuto i liquori. Certo, era confusa, ma non credo sfatta. Non quando sono svenuta io, almeno.»
«Quindi pensate che vi abbia viste crollare tutte e che abbia deciso di andarsene a casa?» chiese DeMarco.
«Così è parso» disse Claire.
«E quando se n’è andata non vi ha chiamato né vi ha mandato un messaggio?» chiese Kate. «Non ha lasciato un biglietto?»
«Niente» disse Olivia.
«Io ho pensato che fosse in imbarazzo» disse Tabby. «Non è mai stata una gran bevitrice, eh. Credo che la cosa non sia cambiata al college. Certo, magari era un po’ in imbarazzo a uscire con amiche che non avevano mai deciso di andarsene da Harper Hills per il college. Boh.»
«Si comportava diversamente rispetto al passato, a quel che ricordate?» chiese Kate.
«No, e questa è la cosa più strana» disse Claire. «Era sempre la solita vecchia Kayla. Spiritosa, aperta, sincera. Era quasi come se non fosse cambiato niente dal diploma.»
DeMarco fece qualche altra domanda, in particolare riguardo alla conversazione che riuscivano a ricordare di aver avuto quella sera. Mentre lei orchestrava la domanda, Kate fece del suo meglio per esaminare i modi e il linguaggio del corpo delle tre ragazze. Non aveva ragione di sospettare che una di loro nascondesse qualcosa, ma l’attenzione continuava a riportarla su Olivia. Si agitava di continuo e non teneva gli occhi fissi su un posto tanto a lungo.
Lei è rimasta sola con Kayla la notte che è morta, pensò Kate. Magari potremmo cavarle di bocca altro se non ci fossero le altre. Prese nota mentalmente della cosa e la mise da parte mentre DeMarco concludeva le domande.
La cameriera portò i panini e le agenti salutarono. DeMarco terminò la conversazione dando a ogni ragazza il suo biglietto da visita e istruendole di chiamarla se fosse loro venuto in mente altro o avessero sentito voci su ciò che era accaduto a Kayla.
«Che ne pensi?» chiese a Kate mentre tornavano alla macchina.
«Penso che Olivia potrebbe avere dell’altro da dire, se non ci fossero le amiche. Sembrava ansiosa. Ed è stata l’unica a rimanere da sola con Kayla.»
«Pensi che sia successo qualcosa quando sono uscite per il vino?»
«Non lo so. Ma, anche in caso contrario, mi chiedo se non abbiano parlato di qualcosa di relativo a ciò che è accaduto dopo. Sono solo ipotesi, però…»
«No, ho visto anch’io che era a disagio.»
Ci rifletterono montando in auto. Stava scendendo lentamente la sera e, anche se la giornata sembrava lunga, Kate sapeva che non era ancora finita. DeMarco era sempre stata una tipa notturna, di quelle che spremevano ogni minuto di produttività dalla giornata.
E a Kate stava bene. Perché, mentre quella prima giornata giungeva alla sua conclusione, qualcosa nel suo cuore si faceva sempre più sicuro che quello poteva essere il suo ultimo lavoro. In caso affermativo, intendeva trarne il massimo.
CAPITOLO SEI
DeMarco faceva tutto ciò che poteva per non rimuginare. Ma doveva anche essere onesta con se stessa. Per un attimo, anche se breve, si era un po’ arrabbiata quando Duran l’aveva informata che Kate si sarebbe unita a lei nelle indagini. La delusione era però stata presto sostituita dalla gioia. La cooperazione con Kate Wise all’inizio era stata quasi un rapporto tra mentore e allieva. Ma crescendo entrambe e conoscendo le abitudini e i modi reciproci, si era trasformata in qualcosa di più. Comunque DeMarco aveva sempre avuto la sensazione di essere un’agente junior… che stava ancora imparando i fondamenti nella speranza di colpire Kate mentre le sue competenze continuavano a sviluppare e a maturare.
DeMarco lo sapeva che il caso era suo. Kate era salita a bordo all’ultimo minuto e stava facendo l’impossibile per restarsene in seconda fila. Pur apprezzando il gesto più di quanto potesse dire, DeMarco si sentiva pure a disagio. Kate era una leader nata, e guardarla cedere consapevolmente il controllo era strano.
E le veniva anche da chiedersi cosa potesse accadere dietro le quinte. Come vedeva Kate la sua carriera adesso che era la cosiddetta Madre Miracolosa e finalmente era tornata al lavoro?
DeMarco non ne era sicura, ma aveva la sensazione che l’avrebbe scoperto una volta chiuso il caso. Prima, ovviamente, dovevano chiuderlo.
Arrivò al Bowling di Larry alle sei e un quarto. Il parcheggio era quasi vuoto, tinto dello strano rosso del neon sbiadito delle parole BOWLING E SALA GIOCHI dell’insegna sul davanti. DeMarco parcheggiò il più vicino possibile all’ingresso, non sapendo dove fosse stato trovato il corpo della prima vittima. Entrando riesaminò a mente i rapporti memorizzati la sera precedente prima di andare a dormire.
La vittima era Mariah Ogden, diciannove anni. Era stata trovata dal proprietario del bowling alle ventidue e quaranta di mercoledì. Giaceva sull’asfalto dietro alla sua auto. Anche se Larry non li aveva visti, il rapporto del coroner indicava lividi sul collo e le prove di un’immensa pressione contro alla trachea della ragazza. Mariah, come Kayla, era stata strangolata da una persona apparentemente molto forte. Finora pareva che nessuno avesse visto l’accaduto e non c’erano piste.
DeMarco e Kate si avvicinarono al bancone del noleggio scarpe, dove un uomo sui sessant’anni si trovava in piedi accanto a un piccolo televisore. Pareva estremamente annoiato. Una rapida occhiata alle quindici piste dietro di lei mostrò che di occupate ce n’erano solo due – una da cinque signore e l’altra, in fondo all’edificio, da un solitario.
L’uomo dietro al bancone delle scarpine fece loro un cenno quando si avvicinarono, con un’espressione strana. Il risvolto della camicia diceva LARRY. «Posso aiutarvi?»
DeMarco agì rapidamente prima che nascessero tensioni tra lei e Kate. Mostrò il distintivo e il documento e disse «Agenti DeMarco e Wise dell’FBI. Speravo di ottenere delle informazioni sulla morte di Mariah Ogden»
«Ho già detto alla polizia tutto quello che so» disse Larry. «Ma, se vi può aiutare a trovare chi uccide queste ragazze, ok.»
«Ha parlato di ragazze» disse Kate. «Come se ce ne fossero delle altre. Presumo che abbia quindi saputo della seconda vittima.»
«Impossibile evitare notizie tanto terribili in una città piccola come questa. Sì… Kayla Peterson, giusto? Era a casa per un matrimonio, a quel che ho sentito.»
«Larry, come ha trovato il corpo di Mariah?» chiese DeMarco.
«Avevo chiuso. Sono uscito per andare al furgone e ho visto una macchina ancora nel parcheggio, in fondo, vicino all’estremità. A volte i ragazzini restano qui dopo aver giocato a bowling. Quindi sono andato a vedere che stava succedendo. Ho pensato che qualcuno poteva aver lasciato la macchina ed essersene andato con un amico. Ma avvicinandomi ho visto una scarpa da ginnastica. E poi anche la gamba. E c’era Mariah Ogden, appena dietro alla macchina.»
«Già morta?»
«Sì. Ma non credo da tanto. Ho sentito che aveva dei lividi sulla gola. Ma io non li ho visti quando l’ho trovata così.»
«Era stata qui quella sera?»
«No, non quella sera. Ma veniva di tanto in tanto con gli amici.»
Stava per dire altro, ma venne interrotto dal fracasso dei birilli che cadevano e dalle esultanze delle signore. Quando il rumore scemò, Larry proseguì.
«Era una ragazza adorabile, davvero. Molto educata, di buone maniere.»
«Conosce qualcuno del gruppo che frequentava di solito?» chiese DeMarco.
«Non molto bene, no. Ma dovreste parlare con lui.» Fece un cenno alle sue spalle, in direzione del giocatore solitario.
«Chi è?»
«Si chiama Dwayne Patterson. A volte stava col gruppo con cui veniva qui Mariah. Un tipo ritroso. Viene spesso, a volte da solo, ma di solito gira tra un gruppo e l’altro. Non ho prove vere e proprie della cosa, ma il suo modo di guardarla e il fatto che ridesse a tutto quello che diceva… penso che le piacesse un po’.»
«Grazie, Larry» disse Kate.
Lui fece un occhiolino a entrambe quando queste si girarono e partirono alla volta della pista in fondo a sinistra. Mentre si avvicinavano, Dwayne Patterson fece rotolare una palla che lo lasciò con un terrificante split “occhi di serpente”. Inclinò la testa come sperando di vedere qualcosa di diverso e poi si avviò alla macchina delle palle. Aspettando la palla scorse DeMarco e Kate. Non ci si poteva sbagliare su dove stessero andando; sapeva che stavano venendo a parlare con lui e lo mostrò nello sguardo. Pareva un gatto intrappolato da due cani feroci.
«Signor Patterson» disse DeMarco mentre si avvicinavano al macchinario. «Larry dice che lei potrebbe essere una buona fonte di informazioni su Mariah Ogden.»
Era chiaro che Patterson non aveva ancora deciso se aver paura o meno. Lanciò loro un’occhiata scettica e chiese «E voi chi cavolo siete?»
Stavolta DeMarco e Kate si mossero nello stesso momento: mostrarono i documenti all’unisono, come un trucco di magia ben provato. «Agenti DeMarco e Wise dell’FBI. E adesso le va di mostrarsi un po’ più servizievole?»
Patterson sedette lentamente dietro alla macchina del punteggio. «Scusatemi. Non ne avevo idea. Uhm… sì, cioè, la conoscevo. Non benissimo, ma la conoscevo.»
«Quanti anni ha, signor Patterson?» chiese Kate.
«Diciannove.»
«Direbbe che lei e Mariah eravate amici?»
«Certo. Siamo stati amici per quasi tutte le scuole. Non migliori amici, comunque.»
«Ok» disse Kate. «E mercoledì sera scorso? Quel giorno l’ha vista?»
«Sì, la sera in cui è morta. Ero qui, a giocare a bowling con un amico. Quando noi due ce ne siamo andati, ho visto Mariah e alcuni suoi amici passare il tempo nel parcheggio.»
«Lo faceva spesso?»
«No, non spesso. Di tanto in tanto. Non c’è molto altro da fare qui, sapete.»
DeMarco lo sapeva. Era cresciuta in una cittadina simile, dove l’unica cosa da fare la sera era starsene nei parcheggi degli alimentari, a fumare sigarette e magari pomiciare quando non c’era nessuno in vista.
«Si è unito a loro?» chiese DeMarco.
«Solo per un po’. All’inizio, cioè. Ho portato il mio amico a casa e poi sono tornato a vedere come andava.»
«Come andava cosa, di preciso?» chiese Kate.
Patterson si accigliò, percependo il rischio di avventurarsi in un territorio pericoloso. Lentamente, fece del suo meglio per spiegare. Il nervosismo gli trapelava dalla voce, così come dell’altro. Rimorso, forse? DeMarco non ne era sicura.
«Be’, era lì con alcuni dei soliti… alcuni suoi amici delle superiori e una ragazza nuova che aveva conosciuto al centro di formazione professionale di Charlotte. Ma c’era un altro con loro, uno che qualche volta ho visto e… boh… evito, tipo. Dopo sono tornato per vedere se era ancora con Mariah.»
«Perché evita questa persona?» chiese DeMarco.
«È inquietante, ecco. Se ne stava nel parcheggio delle superiori anni dopo essersi diplomato. Deve avere già venticinque anni almeno.»
«E quanti anni aveva la gente con cui uscivate lei e Mariah?»
«Tra i diciannove e i ventuno, più o meno. Odio stereotipare la gente, ma è uno sfigato. Comunque… quella sera era chiaro che era bevuto. Faceva casino ed era aggressivo.»
«Come si chiama questa persona?» chiese Kate.
«C’è bisogno che si sappia che ve l’ho detto io?»
«Assolutamente no.»
«Jamie Griles.» Lo disse a denti stretti, rabbioso. «Non ci sono prove vere, ma molti pensano che vada alle feste delle superiori per far ubriacare le ragazze e andarci a letto. Allora quando ho visto che stava con Mariah e quelle ragazze giovani, mi è sembrato inquietante.»
«Ed era ancora nel parcheggio quando è tornato?»
«No, se n’era già andato. Un’amica di Mariah ha detto che c’era una festa da qualche parte e ha persino scherzato dicendo che Jamie ci era andato perché lì c’erano ragazze più giovani.»
«Jamie Griles è di qui?» chiese DeMarco.
«Sì. Nato e cresciuto qui. E ci morirà pure, qui. Gli sfigati non combinano mai niente.» Patterson rise e scosse la testa. «Disse il meccanico diciannovenne che gioca a bowling da solo il lunedì sera.»
«Ha parlato con la polizia?»
«No. Nessuno si è preso la briga di parlare con me. Come ho detto… non ero suo migliore amico. Solo… uno che la conosceva.»
Il modo in cui lo disse fece pensare a DeMarco che avesse ragione Larry: Dwayne Patterson aveva provato qualcosa per Mariah Ogden. Si chiese se l’avesse mai detto a Mariah. Dal modo in cui gestiva la cosa pensò di no – che si fosse tenuto i suoi sentimenti per sé.
«Non ha pensato di dire alla polizia di Jamie Griles?» chiese Kate.
«Be’, non mi sono neanche fermato a pensare che possa essere stato lui a ucciderla. Sì, è inquietante e sfigato, ma non so se arrivi a uccidere.»
«Ha detto che era rumoroso e aggressivo» disse DeMarco. «Sa se ce l’aveva con qualcuno in particolare?»
«Non ne ho idea.»
DeMarco guardò la sala da bowling come in cerca di altre domande da porre. Quando fu chiaro che avevano terminato, porse un altro dei suoi biglietti da visita. «La prego di non esitare a chiamare se le viene in mente qualcos’altro o se sente qualcosa inerente all’omicidio di Mariah.»
«Lo farò» disse Patterson mettendosi il biglietto in tasca. «Grazie.»
Il grazie parve strano, ma DeMarco capì dallo sguardo rassegnato sul viso del giovane che era contento di essere stato utile, anche se solo in minima parte. Stava già sollevando la palla per affrontare il suo split 7-10 quando DeMarco e Kate si voltarono per andarsene.
CAPITOLO SETTE
«Pensi che sia troppo tardi per una visita a casa?» chiese DeMarco.
Kate rise allacciandosi la cintura. Non appena Dwayne Patterson aveva fatto loro il nome di Jamie Griles, aveva capito che avrebbero fatto almeno un’altra fermata prima di concludere la giornata. Invidiava la prontezza e l’energia di DeMarco e vedeva chiaramente perché si stesse facendo un nome tanto velocemente al bureau.
«Non per uno dalla condotta di Jamie Griles» disse Kate. «Presumo che sia questa la fermata, no?»
«Ho pensato che ne potrebbe valere la pena. Non sono neanche le sette.»
«Io chiamo Gates e vedo se ci recupera un indirizzo.»
Kate chiamò Gates solo per scoprire che non era al distretto. La mise in collegamento con la scrivania di Smith. L’agente parve abbastanza contento di essere utile, e trovò un indirizzo in venti secondi.
Mentre Kate lo inseriva nella mappa del telefono, le vibrò la mano perché Gates la stava richiamando.
«Posso chiedere perché esaminate Griles?» chiese Gates.
«Ci è stato detto che era con un gruppo di amici di Mariah Ogden la sera in cui è stata uccisa. Apparentemente era rumoroso e probabilmente ubriaco.»
«Dovrei avvertirvi che è inquietante al massimo grado. Ma sinceramente non lo vedo tipo da uccidere.»
«È quello che abbiamo sentito. Può definire però inquietante?»
«L’ho arrestato almeno tre volte negli ultimi anni. Robetta, per lo più. Ha tra i precedenti guida in stato di ebrezza, così come un’accusa di disturbo della quiete pubblica quando ha deciso di dare il via a una piccola rissa da Esther. E, come sono certo che abbiate già sentito, ha l’abitudine di cercare di impressionare le ragazze giovani… spesso acquistando loro alcolici. Non siamo ancora riusciti a incastrarlo, ma lo sanno praticamente tutti.»
«Sì, lo abbiamo sentito anche noi.»
«Fatemi sapere se vi serve una mano.»
Kate riappese e cominciò a chiedersi se Griles non potesse essere una pista più solida del previsto. Controllò l’indirizzo nel GPS e vide che si trovava a soli sedici minuti dal Bowling di Larry.
«Stai pensando che l’assassino possa essere una specie di ex fidanzato rifiutato o abbandonato?» chiese DeMarco guidando.
«In una cittadina piccola come questa, all’inizio tendo a pensarlo» disse Kate. «Ma finché non riusciamo a valutare accuratamente i collegamenti tra le due ragazze, sarà dura stringere il cerchio. È l’unica ragione per cui vorrei che la madre fosse ancora qui.»
«Forse domani possiamo chiamarla» disse DeMarco. Era più una domanda, però – un modo velato di chiedere: Saremmo dei mostri assoluti se domani disturbassimo la madre in lutto?
«Se stasera non salta fuori niente, forse dovremo farlo» disse Kate.
«La cosa che mi tormenta è il luogo in cui è stata uccisa Kayla Peterson. Proprio lì, sul portico d’ingresso. Cioè, aveva persino inserito la chiave nella toppa. Mi viene da chiedermi se non fosse con il tipo.»
«Forse voleva farlo entrare di nascosto?» chiese Kate.
«Forse.»
«C’è anche un’altra possibilità. Magari lui era lì ad aspettarla.»
DeMarco annuì con gravità. «Nessuno dei due scenari è particolarmente piacevole.»
Mentre DeMarco le portava all’indirizzo, Kate guardò gli appunti sull’iPad in cui DeMarco aveva caricato tutti i dossier del caso. Finora non c’era molto da vedere, se non delle minuzie qua e là.
«Entrambe le vittime avevano frequentato le stesse scuole superiori» commentò Kate leggendo gli appunti. «Anche se in una città così piccola non è chissà che sorpresa.»
«Studi diversi» indicò DeMarco. «Kayla Peterson è andata fino in Florida per il college. Mariah Ogden frequentava la scuola di formazione professionale di Western View, appena fuori Charlotte.»
«Sarei curiosa di sapere se Jamie Griles conosceva Kayla. Nel caso, fondamentalmente quello sarebbe l’unico collegamento tra le due.»
«E non sarebbe una buona notizia per Griles» disse DeMarco riflettendoci su.
Fu l’ultima cosa che dissero, anche se Kate era piuttosto sicura che DeMarco stesse provando lo stesso entusiasmo suo. Si stavano recando a interrogare la loro prima pista concreta, e quello era sempre un momento entusiasmante. Kate si permise di goderselo, anche se durante il serale viaggio in auto non poteva ignorare quanto cominciasse a farsi sentire la mancanza di Michael.
Provò la solita sensazione bruciante di essere una cattiva madre, di lasciarsi alle spalle la famiglia. Era più del senso di colpa che provava ogni madre di ritorno al lavoro dopo la maternità, però. No, queste erano fitte del passato, fitte di cui aveva sofferto e che pensava di essere riuscita a lasciarsi alle spalle.
Però… erano nuove. E parevano reiterare gli stessi pianti del cuore. Forse si trattava davvero del suo ultimo giro in giostra.
Forse non sarebbe nemmeno dovuta venire qui.
***
Coprirono il resto del viaggio alla residenza di Jamie Griles in silenzio. All’arrivo si ritrovarono a imboccare un piccolo parcheggio di ghiaino di fronte a quello che pareva un complesso di quattro appartamenti. Sembrava un’unica grande casa divisa in quattro diversi locali. Ognuno di essi aveva la sua cassetta della posta all’inizio del parcheggio. Kate si accorse che quella segnata col numero 3 aveva il nome J. GRILES.
DeMarco accostò accanto a un vecchio e malmesso pickup GMC posto leggermente in diagonale di fronte al terzo appartamento. Smontando Kate udì il rombo di uno stereo proveniente da uno degli appartamenti. Fu piuttosto orgogliosa di riconoscere la canzone: Battery dei Metallica. Melissa aveva passato una fase Metallica in gioventù, ed entrambe erano rimaste sorprese e umiliate di scoprire che la madre non li aveva detestati con tutta se stessa.
Avvicinandosi alla porta con un 3 di bronzo al centro, si accorse che la musica non veniva dall’interno. Però in casa qualcuno c’era: una fioca luce riempiva la finestra per lo più chiusa da persiane sbilenche. Mentre Kate metteva piede sui gradini, DeMarco bussò.
«Sì!» fu la risposta dall’interno. «Un minuto!»
Ci fu un breve trambusto all’interno e poi, una ventina di secondi dopo, si aprì la porta. Jamie Griles era un uomo di corporatura media. I capelli neri erano raccolti in uno stile che a Kate quasi ricordò Elvis; erano acconciati con un qualche tipo di fissante. Aveva occhietti piccoli e una mascella cesellata coperta da una barbetta di giornata. Non era bello, ma era anche ben lontano dalla sgradevolezza. Kate non fece chissà che fatica a immaginarsi ragazzine impressionabili rivolgergli le loro attenzioni in cambio di birra o altro.
Sorrise alle due donne e disse «Posso esservi utile, signore?»
DeMarco apparentemente si offese allo sguardo di lui. Quando estrasse documento e distintivo, fondamentalmente glieli buttò addosso. «Agenti DeMarco e Wise dell’FBI. Jamie Griles?»
«Sono io» disse lui. Il sorriso era sparito, sostituito da quella che sembrava sincera confusione. «Ma… l’FBI? E perché?»
«Stiamo indagando su un caso di Harper Hills e vorremmo scambiare due parole con lei.»
Lui passava lo sguardo da una all’altra, forse cercando di capire se scherzavano. Quando fu chiaro che non aveva intenzione di invitarle a entrare, Kate fece un unico passo avanti. «Signor Griles, possiamo entrare?»
«Be’… sì, certo, ma… perché?»
Kate si accorse che DeMarco aveva accolto l’invito prima di spiegare lo scopo della visita. Bella mossa, dato che Griles sicuramente si sarebbe messo sulla difensiva sapendo che gli avrebbero chiesto dei due omicidi.
Kate seguì DeMarco in un piccolo e disordinato soggiorno. Il televisore sulla parete di fondo era sintonizzato su una partita di baseball. C’era una bottiglia di whiskey da poco sul tavolino e una sigaretta ancora accesa su un posacenere lì accanto.
DeMarco partì subito, prima che Griles avesse anche solo il tempo di chiudere la porta. «Signor Griles, ha idea del perché siamo qui?»
«No» disse lui. Chiaramente aveva paura, ma sotto sotto cresceva l’irritazione. Non gli piaceva per niente essere interrogato – costretto a sentirsi inferiore. «Ma non credo che dovrebbe far indovinare a me.»
Interessante per Kate osservare lo scambio di battute, il gioco del gatto col topo. DeMarco aveva allestito una trappola, e Griles l’aveva schivata. Kate avrebbe tentato lo stesso, però. La vaga domanda di DeMarco aveva dato a Griles l’occasione di confessare l’acquisto di alcolici ai minorenni – accusa serissima nello stato della Carolina del Nord. Ma Griles aveva schivato il colpo e aveva rimesso la palla nel campo di DeMarco.
«Signor Griles, questa è una città piccola» disse DeMarco. «Posso almeno presumere che abbia saputo degli omicidi avvenuti in zona ultimamente?»
«Sì. Le voci girano.»
«Conosce i nomi?» chiese Kate.
«Sì» disse lui. Prestava molta attenzione al modo di parlare. Era chiaro che non era la prima volta che veniva interrogato da un’autorità. Se li immaginava bene Griles e lo sceriffo Gates scambiarsi battute simili.
«Me li dica, per cortesia» disse DeMarco.
«Perché? Siete venute perché pensate che io c’entri qualcosa?»
«Io questo non l’ho detto» disse DeMarco. «Ma indagando sugli omicidi oggi abbiamo scoperto che lei ha fatto parte del gruppetto che per ultimo ha visto una delle vittime.»
Griles annuì e parve un po’ sollevato. «Parlate di Mariah?»
«Sì. Mariah Ogden. Abbiamo un testimone che ha visto voi due e un gruppo di minorenni fuori dal Bowling di Larry la sera della sua morte. Cos’ha da dire in proposito?»
«Dico che in questa città ci sono dei bei ficcanaso.»
«Lei ha l’abitudine di uscire con ragazze giovani, signor Griles?» chiese Kate.
«A volte» disse. «Ma tutto ciò che faccio è consenziente. Non sono uno stronzo stupratore.»
«Il nostro testimone dice che era rumoroso e un po’ fuori fase quella sera» disse DeMarco. «Qualcosa la seccava?»
«No. E non ricordo di essere stato rumoroso o fuori controllo.»
«Aveva bevuto?»
«Un po’, sì.»
«Abbiamo saputo da fonte autorevole che ha lasciato il gruppo per recarsi altrove» disse Kate. «Potrebbe darci una cronologia degli eventi dopo l’abbandono del parcheggio del bowling di Larry?»
«Sì. E c’è della gente che può confermare se…»
Lì si bloccò, sedette su una sgangherata e vecchia poltrona, e guardò entrambe come se avessero appena ferito i suoi sentimenti.
«C’è qualcosa che non va, signor Griles?» chiese DeMarco.
«Voi pensate che io sia un sospettato.»
«Un uomo noto per i tentativi di far colpo su ragazze più giovani ha appena ammesso di aver visto la vittima di un omicidio la sera della sua morte» disse DeMarco. «Sì. Qualsiasi agente verrebbe a interrogarla. Quindi ci dia questa cronologia.»
Prese la sigaretta dal posacenere, diede un tiro e si sistemò sulla poltrona. «Me ne sono andato dal bowling con un amico, Gary. Siamo andati da Esther per un paio di drink e alette di bufalo. Dopo siamo andati a una festa in casa per un po’.»
«Dov’era la festa?» chiese Kate.
«Il tipo non lo conosco nemmeno. È dell’ultimo anno… i suoi erano via.»
«Il suo amico Gary è venuto con lei?»
«Sì, Gary e un altro mio amico. Ci siamo andati insieme tutti e tre. Ha guidato quest’altro, Sammy, perché lui non aveva ancora bevuto.»
«Quante persone c’erano alla festa?» chiese Kate.
«Non molte, in realtà. Direi non più di una ventina.»
«Tutti delle superiori?»
Griles fece il solito sguardo da cane bastonato e annuì. «Sì, tranne me, Gary e Sammy.»
Ücretsiz ön izlemeyi tamamladınız.