Kitabı oku: «Tracce di Morte»

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T R A C C E D I M O R T E

(UN THRILLER DI KERI LOCKE — LIBRO 1)

B L A K E P I E R C E

Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie thriller best-seller di RILEY PAGE, che include sei libri (e molti altri). Blake Pierce è anche l’autore della serie di MACKENZIE WHITE, che comprende tre libri (e molti altri); della serie di AVERY BLACK, che comprende tre libri (e molti altri); e della nuova serie thriller di KERI LOCKE.

Avido lettore e fan dei gialli e dei thriller, Blake vorrebbe avere tue notizie, quindi sentiti libero di visitare il sito internet www.blakepierceauthor.com per saperne di più e rimanere aggiornato su tutte le novità.

Copyright © 2016 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Salvo per quanto permesso dalla legge degli Stati Uniti U.S. Copyright Act del 1976, è vietato riprodurre, distribuire, diffondere e archiviare in qualsiasi database o sistema di reperimento dati questa pubblicazione in alcuna forma o con qualsiasi mezzo, senza il permesso dell’autore. Questo e-book è disponibile solo per fruizione personale. Questo e-book non può essere rivenduto né donato ad altri. Se vuole condividerlo con altre persone, è pregato di aggiungerne un’ulteriore copia per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato o non è stato acquisto per suo solo uso e consumo, è pregato di restituirlo e comprarne una copia. La ringraziamo del rispetto che dimostra nei confronti del duro lavoro dell’autore. Questa storia è opera di finzione. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in modo romanzesco. Ogni riferimento a persone reali, in vita o meno, è una coincidenza. Immagine di copertina Copyright PhotographyByMK, usata su licenzia concessa da Shutterstock.com.

I LIBRI DI BLAKE PIERCE

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

SERIE MYSTERY DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER CORRERE (LIBRO #2)

I GIALLI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

INDICE

PROLOGO

CAPITOLO UNO

CAPITOLO DUE

CAPITOLO TRE

CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO CINQUE

CAPITOLO SEI

CAPITOLO SETTE

CAPITOLO OTTO

CAPITOLO NOVE

CAPITOLO DIECI

CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO DODICI

CAPITOLO TREDICI

CAPITOLO QUATTORDICI

CAPITOLO QUINDICI

CAPITOLO SEDICI

CAPITOLO DICIASSETTE

CAPITOLO DICIOTTO

CAPITOLO DICIANNOVE

CAPITOLO VENTI

CAPITOLO VENTUNO

CAPITOLO VENTIDUE

CAPITOLO VENTITRÉ

CAPITOLO VENTIQUATTRO

CAPITOLO VENTICINQUE

CAPITOLO VENTISEI

CAPITOLO VENTISETTE

CAPITOLO VENTOTTO

CAPITOLO VENTINOVE

CAPITOLO TRENTA

CAPITOLO TRENTUNO

PROLOGO

Guardò l’orologio.

Le quattordici e cinquantanove.

La campanella avrebbe suonato tra meno di un minuto.

Ashley viveva a soli dodici isolati circa dalla scuola superiore, meno di un miglio, e quasi sempre percorreva il viaggio da sola. Quella era la sua unica preoccupazione – che oggi sarebbe stata una delle rare occasioni in cui avrebbe avuto compagnia.

A cinque minuti dall’uscita da scuola, era in vista, e il cuore gli balzò nel petto nel vederla camminare con altre due ragazze lungo Main Street. Si fermarono a un incrocio a chiacchierare. Non avrebbe funzionato. Dovevano lasciarla sola. Dovevano.

L’ansia gli si gonfiò nella pancia. Doveva essere per forza oggi.

Seduto sul sedile anteriore del furgone, cercava di controllare quello che gli piaceva chiamare il suo io originale. Era il suo io originale a emergere quando faceva gli esperimenti speciali sui suoi esemplari, a casa. Era il suo io originale a permettergli di ignorare le urla e le preghiere degli esemplari in modo da potersi concentrare sul suo importante lavoro.

Doveva tenere il suo io originale ben nascosto. Si ricordò di chiamarle ragazze e non esemplari. Si ricordò di usare nomi appropriati, come “Ashley.” Si ricordò che per gli altri lui era assolutamente normale e che se si comportava così nessuno avrebbe potuto accorgersi di cosa fosse in agguato nel suo cuore.

Lo faceva da anni, comportandosi normalmente. Alcune persone lo definivano addirittura tranquillo. A lui piaceva. Voleva dire che era un bravo attore. E comportandosi normalmente quasi sempre, in qualche modo si era costruito una vita, una vita che alcuni avrebbero potuto anche invidiargli. Si poteva nascondere in bella vista.

Eppure adesso gli scoppiava nel petto, implorandolo di lasciarlo libero. Il desiderio stava prendendo il sopravvento – andava tenuto sotto controllo.

Chiuse gli occhi e fece molti respiri profondi, cercando di ricordare le istruzioni. Con l’ultimo respiro, inalò per cinque secondi e poi espirò lentamente, lasciando che il suono che aveva imparato gli uscisse dalle labbra lentamente.

“Ohhhmmm…”

Aprì gli occhi – e provò un immediato sollievo. Le due amiche avevano svoltato verso ovest, sulla Clubhouse Avenue, verso l’acqua. Ashley continuava a percorrere Main Street verso sud, sola, accanto al parco per cani.

A volte nel pomeriggio si fermava lì, a guardare i cani scorrazzare dietro alle palline da tennis per il campo ricoperto di trucioli. Ma oggi no. Oggi camminava con uno scopo, come se dovesse andare da qualche parte.

Se avesse saputo cosa stava per accadere, non si sarebbe presa il disturbo.

Il pensiero lo fece sorridere.

Aveva sempre pensato che fosse una ragazza attraente. E mentre avanzava lento lungo la strada alle sue spalle, assicurandosi di dare la precedenza alla sfilata di studenti che attraversavano fuori dalle strisce, ancora una volta ammirò il suo slanciato e atletico corpo da surfista. Indossava una gonna rosa che finiva appena sopra le ginocchia e un top azzurro che la stringeva.

Fece la sua mossa.

Una calma calda lo invase. Accese la sigaretta elettronica dall’aspetto particolare che aveva conservato sulla mensola centrale del furgone e premette delicatamente l’acceleratore.

La affiancò col furgone e la chiamò dal finestrino aperto del passeggero.

“Ehi.”

In un primo momento parve presa alla sprovvista. Lanciò un’occhiata all’interno del veicolo, chiaramente incapace di capire chi fosse.

“Sono io,” disse con nonchalance. Fermò il furgoncino, si sporse e aprì la portiera del passeggero in modo che potesse vederlo.

Si sporse un po’ verso di lui per guardarlo meglio. Dopo un attimo gli parve di leggergli in viso che l’aveva riconosciuto.

“Oh, ciao. Scusa,” disse la ragazza.

“Nessun problema,” la rassicurò lui, prima di fare un lungo tiro.

Lei guardò più da vicino l’aggeggio che aveva in mano.

“Non ne avevo mai vista una.”

“Vuoi provarla?” gliela offrì con la massima naturalezza di cui fu capace.

Lei annuì e gli si avvicinò, sporgendosi verso di lui. Anche lui si sporse verso di lei, come se stesse per sfilarsi la sigaretta dalla bocca e porgergliela. Ma quando fu a circa un metro di distanza, premette un bottoncino della sigaretta, che aprì una piccola fibbia dalla quale partì una spruzzata di una sostanza chimica che la colpì proprio in faccia, con una nebbiolina. Nello stesso momento, si portò una maschera al volto, in modo da non respirare la sostanza.

Fu tutto così discreto e silenzioso che Ashley non se ne accorse neanche. Prima che potesse reagire, gli occhi le si chiusero, il corpo collassò.

Si stava già sporgendo in avanti, perdendo conoscenza, e tutto ciò che lui dovette fare fu allungarsi e sistemarla con calma sul sedile del passeggero. A un osservatore casuale sarebbe anche potuto sembrare che lei fosse consenziente.

Il cuore gli batteva forte ma si ricordò di rimanere calmo. Era arrivato fin lì.

Si allungò sull’esemplare, chiuse la portiera del passeggero e le allacciò bene la cintura – e poi fece lo stesso con la sua. Finalmente si concesse un ultimo lento e profondo respiro.

Quando fu certo che la via fosse libera, si immise lentamente in strada.

Presto era mescolato al traffico di metà pomeriggio della California del sud, un semplice pendolare che era parte di quell’armonia, che cercava di farsi strada in un oceano di umanità.

CAPITOLO UNO

Lunedì

Tardo pomeriggio

La detective Keri Locke implorava se stessa di non farlo, quella volta. In quanto detective junior dell’Unità persone scomparse della Divisione Pacific della West Los Angeles, ci si aspettava che lavorasse più di chiunque altro della divisione. E in quanto donna di trentacinque anni che era entrata nel gruppo solo quattro anni prima, spesso si sentiva come se dovesse essere il poliziotto più stacanovista dell’intero LAPD. Non poteva permettersi di dare l’impressione di essere in pausa.

Tutto intorno a lei, il dipartimento ronzava di attività. Un’anziana ispanica era seduta alla scrivania vicina, e rilasciava una dichiarazione su un borseggio. In fondo al corridoio, stavano imputando un ladro di automobili. Era un tipico pomeriggio di quella che era diventata la sua nuova vita normale. Eppure quel bisogno ricorrente la stava divorando – e rifiutava di farsi ignorare.

Gli si abbandonò. Si alzò e raggiunse la finestra che guardava su Culver Boulevard. Rimase lì e riusciva quasi a vedere il suo riflesso. Con il bagliore del sole pomeridiano che danzava, sembrava in parte umana in parte fantasma.

Era così che si sentiva. Sapeva di essere una donna obiettivamente attraente. Un metro e settanta di altezza e cinquantanove chili di peso – sessanta, a essere onesti – con capelli biondo scuro e una figura che era sopravvissuta a un parto relativamente illesa, e che faceva ancora girare molte teste.

Ma se qualcuno avesse guardato da vicino, avrebbe visto che gli occhi marroni erano rossi e torbidi, che la fronte era un groviglio di rughe premature, e che la pelle spesso aveva il pallore di, be’, di un fantasma.

Come la maggior parte dei giorni, indossava una semplice camicetta infilata in pantaloni neri e scarpe basse nere che sembravano professionali ma con cui correre era facile. I capelli erano raccolti in una coda di cavallo. Questa era la sua uniforme ufficiosa. Praticamente l’unica cosa che cambiava quotidianamente era il colore del top che portava. Tutto ciò rinforzava la sua sensazione di segnare il tempo più che di viverlo.

Keri vide del movimento con la coda dell’occhio e tornò alla realtà. Stavano arrivando.

Fuori dalla finestra, Culver Boulevard era più che altro vuota. C’era una pista ciclabile e pedonale dall’altra parte della strada. Nella maggior parte dei giorni, nel tardo pomeriggio, il viale era soffocato di pedoni. Ma era inesorabilmente caldo oggi, con temperature sui trentadue gradi e nessuna brezza, persino lì, a meno di cinque miglia dalla spiaggia. I genitori che normalmente riportavano i bambini a casa da scuola a piedi oggi usavano le loro automobili con l’aria condizionata. Eccetto uno.

Alle sedici e dodici esatte, precisa come un orologio, una ragazzina in bicicletta, tra i sette e gli otto anni, pedalava lentamente lungo la pista. Indossava un vestito bianco elegante. La sua giovanile madre si trascinava dietro di lei in jeans e t-shirt, con uno zaino appeso con noncuranza alla spalla.

Keri combatté l’ansia che le si stava gonfiando nello stomaco e si guardò intorno per vedere se qualcuno dell’ufficio la stesse osservando. Nessuno. Si permise di cedere alla voglia alla quale aveva cercato di resistere per tutto il giorno e osservò.

Keri le guardava con occhi gelosi e adoranti. Ancora non riusciva a crederci, perfino dopo tutte le volte che aveva trascorso a quella finestra. La bambina era la copia sputata di Evie, dai capelli biondi mossi agli occhi verdi, e persino al sorriso leggermente sbilenco.

Restò lì in trance, a fissare fuori dalla finestra molto tempo dopo che la madre e la figlia furono scomparse dalla vista.

Quando finalmente si riscosse e tornò a voltarsi verso l’ufficio, l’anziana ispanica se ne stava andando. Il ladro di auto era stato esaminato. Un nuovo criminale, ammanettato e scontroso, era scivolato al suo posto alla reception, e un attento agente in uniforme stava in piedi alla sua sinistra.

Keri guardò l’orologio digitale appeso al muro sopra alla macchina del caffè. Segnava le sedici e ventidue.

Sono rimasta davvero qui a fissare fuori dalla finestra per dieci interi minuti? Sta peggiorando, non migliorando.

Tornò alla sua scrivania a testa bassa, cercando di non incrociare lo sguardo di nessun collega curioso. Sedette e guardò i documenti sul tavolo. Il caso Martine era per lo più terminato, in attesa solo della firma del pubblico ministero prima che potesse gettarlo nell’archivio dei casi “completi fino al processo”. Il caso Sanders era in attesa finché il CSU, l’unità scena del crimine, non fosse tornato con il verbale preliminare. La divisione Rampart aveva chiesto alla Pacific di fare delle ricerche su una prostituta di nome Roxie che era sparita dal radar; un collega gli aveva detto che aveva cominciato a lavorare nel Westside e speravano che qualcuno della sua unità potesse confermarlo in modo da non essere costretti ad aprire un fascicolo.

Il lato difficile con i casi di persone scomparse, almeno per quanto riguardava gli adulti, era che sparire non costituiva crimine. La polizia aveva più libertà d’azione con i minori, a seconda dell’età. Ma in generale non c’era nulla a impedire alle persone di ritirarsi semplicemente dalle loro vite. Accadeva più spesso di quanto la maggior parte della gente si sarebbe aspettata. Senza prove di reato, l’applicazione della legge si limitava a ciò che potevano fare legalmente per investigare. A causa di ciò, i casi come quello di Roxie spesso finivano nelle crepe del sistema.

Sospirando dalla rassegnazione, Keri capì che, salvo eventi straordinari, non c’era proprio nessuna ragione di rimanere lì dopo le cinque.

Chiuse gli occhi e immaginò se stessa, meno di un’ora da più tardi, a rilassarsi nella sua casa galleggiante, Le coppe del mare, a versarsi tre dita – okay, quattro – di Glenlivet e a prepararsi per una serata di avanzi di cinese da asporto e repliche di Scandal. Se quella terapia personalizzata non avesse dato risultati, sarebbe potuta tornare sul divano della dottoressa Blanc – alternativa poco allettante.

Aveva cominciato a radunare i fascicoli del giorno quando arrivò Ray e si lasciò cadere sulla sedia dall’altra parte della grande scrivania che condividevano. Ray ufficialmente era il detective Raymond “Big” Sands, suo partner da quasi un anno ormai, e suo amico da quasi sette.

Il suo nome gli calzava davvero a pennello. Ray (Keri non lo chiamava mai “Big” – il suo ego non aveva bisogno di essere lisciato) era un ragazzone afroamericano di un metro e novantacinque per centoquattro chili con una testa calva splendente, un dente inferiore scheggiato, un pizzetto meticolosamente spuntato e un debole per le camicie eleganti di una taglia troppo piccole per lui, giusto per enfatizzare la sua massa.

Ormai quarantenne, Ray somigliava ancora al campione olimpionico di pugilato vincitore del bronzo che era stato a vent’anni e al concorrente dei pesi massimi, con un record di 28-2-1, che era stato fino ai ventotto anni. Fino a quando un grintoso piccoletto mancino di dieci centimetri più basso di lui gli cavò l’occhio destro con un feroce gancio e mise una fine stridula a tutto quanto. Aveva portato una benda per i due anni successivi, non amando la seccatura, e alla fine aveva perso un occhio di vetro, che a modo suo per lui era perfetto.

Come Keri, Ray era entrato a far parte della squadra più tardi della maggior parte degli agenti, quando era alla ricerca di un nuovo scopo, all’inizio dei suoi trent’anni. Era salito di livello velocemente e ora era detective senior dell’Unità persone scomparse, o MPU, della Divisione Pacific.

“Sembri una donna che sogna oceani e whiskey,” disse.

“È così ovvio?” chiese Keri.

“Sono un bravo detective. La mia capacità di osservazione è senza pari. In più hai già parlato dei tuoi eccitanti programmi per la serata due volte, oggi.”

“Che cosa posso dire? Insisto nel perseguimento dei miei obiettivi, Raymond.”

Sorrise, e l’occhio buono tradiva un calore che il suo atteggiamento fisico nascondeva. Keri era l’unica a cui fosse permesso chiamarlo col nome vero. Le piaceva mischiarlo con altri titoli meno lusinghieri. Spesso lui faceva lo stesso con lei.

“Senti, Piccola miss California, forse faresti meglio a trascorrere gli ultimi pochi minuti del turno verificando con il CSU il caso Sanders invece di fare sogni a occhi aperti da piccola alcolizzata.”

“Da piccola alcolizzata?” disse lei, fingendo di essere offesa. “Non è alcolismo se si comincia a bere alle cinque, Gigantor.”

Stava per replicare quando suonò il telefono. Keri rispose prima che Ray potesse dire qualcosa e gli fece una linguaccia divertita.

“Divisione Pacific, Persone scomparse. Detective Locke.”

Anche Ray alzò il ricevitore, ma non parlò.

La donna che era al telefono dalla voce sembrava giovane, tra i venti e i trent’anni. Prima ancora che dicesse perché aveva chiamato, Keri notò la preoccupazione nel suo tono.

“Sono Mia Penn. Vivo in Dell Avenue, nel distretto di Venice Canal. Sono preoccupata per mia figlia, Ashley. Sarebbe dovuta tornare da scuola per le tre e mezza. Sapeva che l’avrei portata dal dentista alle quattro e quarantacinque. Mi ha mandato un messaggio appena prima di lasciare la scuola, alle tre, ma non è qui e non risponde alle telefonate né ai messaggi. Non è per niente da lei. È molto responsabile.”

“Signora Penn, Ashley di solito torna a casa a piedi o in auto?” chiese Keri.

“A piedi. Fa solo la decima classe – ha quindici anni. Non ha ancora cominciato il corso di guida.”

Keri guardò Ray. Sapeva che cosa stava per dire e lei certo non avrebbe potuto che dargli ragione. Ma qualcosa nel tono di Mia Penn l’aveva colpita. Sapeva che la donna stava a malapena mantenendo il controllo. C’era il panico appena sotto la superficie. Voleva chiedergli di lasciar perdere il protocollo ma non riuscì a pensare a una ragione credibile per cui avrebbe dovuto farlo.

“Signora Penn, sono il detective Ray Sands. Prendo la parola. Voglio che faccia un respiro profondo e che poi mi dica se è già accaduto che sua figlia tornasse a casa in ritardo.”

Mia Penn si mise a parlare subito, dimenticandosi del respiro profondo.

“Certo,” ammise, cercando di nascondere l’esasperazione della voce. “Come ho detto, ha quindici anni. Ma ha sempre mandato un messaggio o chiamato se non tornava entro un’ora o giù di lì. E non l’ha mai fatto se avevamo degli appuntamenti.”

Ray rispose senza guardare quello che, lo sapeva, sarebbe stata l’occhiataccia truce di disapprovazione di Keri.

“Signora Penn, ufficialmente sua figlia è una minorenne e perciò le tipiche leggi per le persone scomparse non vengono applicate come se si trattasse di un’adulta. Abbiamo un’autorità di investigazione più ampia. Ma, a essere sincero, un’adolescente che non risponde ai messaggi della madre e che non è arrivata a casa meno di due ore dopo la fine della scuola – è una situazione che non susciterà il tipo di risposta immediata che lei spera. A questo punto non c’è molto che possiamo fare. In una situazione del genere, il meglio che lei possa fare è venire in stazione a rilasciare una dichiarazione. Dovrebbe farlo assolutamente. Non c’è nulla di male a farlo e potrebbe accelerare le cose se dovessimo cominciare a lavorarci.”

Ci fu una lunga pausa prima che Mia Penn rispondesse. La voce aveva una sfumatura affilata che prima non c’era.

“Quanto devo aspettare perché cominciate a ‘lavorarci,’ detective?” chiese. “Altre due ore bastano? Devo aspettare finché non fa buio? Finché non la trovo in casa neanche domattina? Scommetto che se dicessi…”

Qualsiasi cosa stesse dicendo Mia Penn, si fermò, come se sapesse che qualsiasi altra cosa detta sarebbe stata controproducente. Ray stava per risponderle ma Keri alzò la mano e gli lanciò la solito occhiata che diceva “lascia che me ne occupi io”.

“Ascolti, signora Penn, sono di nuovo io, la detective Locke. Ha detto che vivete a Venice Canal, vero? È sulla strada per casa mia. Mi dia il suo indirizzo email. Le invierò il modulo per persone scomparse. Può già cominciare a compilarlo e io passerò da lei per aiutarla a finirlo e velocizzare il sistema. Che ne dice?”

“Che va bene, detective Locke. Grazie.”

“Nessun problema. E, ehi, magari Ashley sarà a casa per quando arrivo e potrò farle una severa lezione sul tenere sempre informata la propria madre – gratis.”

Keri afferrò la borsa e le chiavi, preparandosi ad andare a casa della Penn.

Ray non diceva una parola da quando avevano riattaccato. Keri sapeva che fumava silenziosamente di rabbia, ma si rifiutò di alzare lo sguardo. Se lui avesse colto il suo sguardo, sarebbe stata lei a prendersi la lezioncina e non era dell’umore giusto.

Ma Ray apparentemente non aveva bisogno del contatto visivo per dire quello che voleva dire.

“Venice Canal non è sulla strada per casa tua.”

“È di poco fuori strada,” insistette lei, sempre senza alzare lo sguardo. “Perciò dovrò aspettare fino alle diciotto e trenta per tornare al porto e a Olivia Pope e ai suoi scandali. Non è grave.”

Ray sospirò e tornò ad accomodarsi sulla sedia.

“È grave. Keri, lavori come detective qui da quasi un anno, ormai. Mi piace averti come partner. E hai fatto del lavoro fantastico, persino prima di ottenere il distintivo. Il caso Gonzales, per esempio. Non credo che io sarei riuscito a risolverlo e lavoro su casi del genere da una decina d’anni più di te. Hai una specie di sesto senso per queste cose. Ecco perché ti abbiamo usata come risorsa ai vecchi tempi. Ed ecco perché hai il potenziale per diventare una detective davvero fantastica.”

“Grazie,” disse, anche se sapeva che non aveva finito.

“Ma hai una grandissima debolezza e ti rovinerà se non riesci a controllarla. Devi lasciare che il sistema lavori. Esiste per una ragione. Il settantacinque percento del nostro lavoro procede da solo nelle prime ventiquattr’ore senza il nostro aiuto. Dobbiamo lasciare che sia così e concentrarci sul restante venticinque percento. Se non lo facciamo, finiamo col distruggerci di fatica. Diventiamo improduttivi, o peggio – controproducenti. E poi tradiamo le persone che davvero hanno bisogno di noi. Fa parte del nostro lavoro sceglierci le nostre battaglie.”

“Ray, non ordinerò un’allerta Amber per minori scomparsi. Sto solo aiutando una madre preoccupata a riempire dei documenti. E, sinceramente, devo allungare la strada di soli quindici minuti.”

“E…” disse lui in attesa.

“E c’era qualcosa nella sua voce. Non ci sta dicendo qualcosa. Voglio solo parlarle faccia a faccia. Magari non è niente. E se è così, me ne andrò.”

Ray scosse la testa e fece un altro tentativo.

“Quante ore hai perso su quel bambino senzatetto a Palms che eri sicura fosse scomparso ma che invece non lo era? Quindici?”

Keri si strinse nelle spalle.

“Meglio prevenire che curare,” borbottò sottovoce.

“Meglio impiegati che congedati per uso inappropriato delle risorse del dipartimento,” replicò lui.

“È dopo le diciassette,” disse Keri.

“E quindi?”

“E quindi fuori orario di lavoro. E quella madre mi sta aspettando.”

“Sembrerà che tu non sia mai fuori dall’orario di lavoro. Richiamala, Keri. Dille di inviarti via email il modulo quando l’avrà compilato. Dille di chiamare qui se ha delle domande. Ma tornatene a casa.”

Era stata il più paziente possibile ma per quanto la riguardava, la conversazione era finita.

“Ci vediamo domani, mister Perfettino,” disse stringendogli un braccio.

Mentre si dirigeva al parcheggio e alla sua Toyota Prius color argento vecchia di dieci anni, cercò di ricordare la strada più veloce per raggiungere Venice Canal. Sentiva già una fretta che non capiva.

Che non le piaceva.