Kitabı oku: «Un Killer tra i Soldati », sayfa 4

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CAPITOLO SETTE

Era ancora buio, quando il volo di linea di Riley decollò. Ma, anche calcolando il fuso orario, sapeva che sarebbe stato giorno a San Diego, al suo arrivo. Sarebbe stata in aria, per più di cinque ore e già si sentiva piuttosto stanca. Doveva essere completamente operativa l’indomani mattina, quando avrebbe raggiunto Bill e Lucy per le indagini. Ci sarebbe stato del lavoro serio di cui occuparsi, e aveva bisogno di prepararsi ad affrontarlo.

Farei meglio a dormire un po’, pensò Riley. La donna seduta accanto a lei sembrava già essersi assopita.

Riley reclinò il sedile e chiuse gli occhi. Ma, invece di addormentarsi, finì per ricordare la recita di Jilly.

Sorrise, ricordando come la Persefone che l’adolescente aveva interpretato avesse colpito Ade sulla testa, e fosse fuggita dagli Inferi, per vivere la vita a modo proprio.

Il ricordo della prima volta che aveva incontrato Jilly fece venire a Riley una fitta al cuore. Era successo una notte ad una fermata per camionisti a Phoenix. Jilly era scappata da una miserabile vita domestica, con un padre violento, e si era rifugiata in un camion parcheggiato. Intendeva davvero vendere il proprio corpo al camionista quando fosse tornato.

Riley rabbrividì.

Che cosa ne sarebbe stato di Jilly, se non si fosse imbattuta in lei quella notte?

Amici e colleghi avevano spesso detto a Riley che aveva fatto bene a portare Jilly nella sua vita.

E allora perché la cosa non la faceva sentire meglio? Invece, provava disperazione.

Dopotutto, c’erano numerose Jilly al mondo, e poche di esse venivano salvate da vite terribili.

Riley non poteva aiutarle tutte, tantomeno poteva liberare il mondo da tutti i malvagi assassini.

E’ tutto così inutile, pensò. Tutto quello che faccio.

Poi, aprì gli occhi e guardò fuori dal finestrino. Il jet si era lasciato alle spalle le luci di Washington DC, e fuori non c’era altro che un’impenetrabile oscurità.

Mentre scrutava nella notte buia, pensò al suo incontro quel giorno con Bill, Lucy e Meredith, e a quanto poco sapesse del caso di cui stava andando ad occuparsi. Meredith aveva detto che le tre vittime erano state colpite da una lunga distanza da un tiratore esperto.

Che cosa le diceva del killer?

Uccidere era uno sport per lui?

O quella che stava svolgendo era una sorta di sinistra missione?

Una cosa sembrava certa: il killer sapeva che cosa stava facendo, ed era bravo a farlo.

Il caso sarebbe stato decisamente una sfida.

Nel frattempo, le palpebre di Riley cominciarono a farsi pesanti.

Forse posso dormire un po’ pensò. Ancora una volta, appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi.

*

Riley stava guardando quelle che sembravano migliaia di Riley, tutte che stavano in piedi disposte tra di loro a varie angolazioni, diventando più piccole e infine svanendo a distanza.

Lei si voltò un po’, e così fecero tutte le altre Riley.

Sollevò un braccio, e così fecero anche le altre.

Poi si allungò, e la sua mano entrò in contatto con una superficie di vetro.

Sono in una sala degli specchi, Riley realizzò.

Ma com’era giunta lì? E come ne sarebbe uscita?

Sentì una voce gridare …

“Riley!”

Era una voce femminile, e in qualche modo, le sembrava familiare.

“Sono qui!” Riley rispose. “Dove sei?”

“Anch’io sono qui.”

Improvvisamente, Riley la vide.

Era proprio davanti a lei, nel bel mezzo della moltitudine di riflessi.

Era una donna esile e bella, che indossava un abito davvero démodé, appartenente ad un’altra epoca.

Riley la riconobbe immediatamente.

“Mamma!” disse in un sussurro sbalordito.

Era sorpresa di sentire che la sua stessa voce fosse quella di una ragazzina.

“Che cosa ci fai qui?” Riley chiese.

“Sono solo venuta a dirti addio” la mamma disse con un sorriso.

Riley faticò a comprendere che cosa stesse accadendo.

Poi, ricordò …

La mamma era stata uccisa proprio davanti ai suoi occhi, in un negozio di dolci, quando Riley aveva soltanto sei anni.

Ma lei era lì, e sembrava esattamente com’era quando Riley l’aveva vista viva.

“Dove stai andando, mammina?” Riley domandò. “Perché devi andartene?”

La mamma sorrise, e toccò lo specchio che le separava.

“Adesso sono in pace, grazie a te. Posso passare oltre ora.”

A poco a poco, Riley cominciò a capire.

Non molto tempo prima, aveva rintracciato il killer di sua madre.

Adesso era un vecchio barbone patetico, che viveva sotto un ponte.

Riley lo aveva lasciato lì, comprendendo che la sua vita era stata una punizione sufficiente per il suo terribile crimine.

Riley si allungò e toccò il vetro che la separava dalla mano materna.

“Ma non puoi andartene, mammina” le disse. “Sono solo una bambina.”

“Oh, no, non lo sei” la donna disse, con il volto radioso e felice. “Guardati.”

Riley guardò il suo stesso riflesso nello specchio, accanto alla mamma.

Era vero.

Ormai Riley era una donna adulta.

Sembrò strano realizzare che ormai avesse superato da parecchio l’età che sua madre aveva raggiunto.

Ma Riley sembrava anche stanca e triste, rispetto alla sua giovane madre.

Non diventerà mai più vecchia, pensò Riley.

Questo non valeva certamente per Riley.

E sapeva che il suo mondo era ancora pieno di ostacoli e sfide da superare.

Sarebbe mai riuscita a trovare il giusto riposo? Sarebbe mai entrata in pace per il resto della sua vita?

Si ritrovò a invidiare l’eterna, pacifica gioia di sua madre.

Poi la madre si voltò e se ne andò, sparendo nell’infinito intreccio di riflessi di Riley.

Improvvisamente, ci fu un terribile schianto, e tutti gli specchi si infransero.

Riley si trovò immersa in un’oscurità quasi totale, con vetri rotti che le arrivavano fino alle caviglie.

Mosse con precauzione i piedi, ad uno ad uno, per provare a farsi largo in mezzo a quel disastro.

“Stai attenta a dove metti i piedi” disse un’altra voce familiare.

Riley si voltò e vide un robusto uomo anziano, con un viso rugoso, duro e invecchiato.

Riley sussultò.

“Papà!” esclamò.

L’uomo sorrise all’evidente sorpresa della figlia.

“Speravi che fossi morto, non è vero?” disse. “Mi spiace deluderti.”

Riley aprì la bocca per contraddirlo.

Ma, poi, si rese conto che l’uomo aveva ragione. Lei non aveva sofferto per il lutto, quando era morto lo scorso ottobre.

E certamente non lo rivoleva nella propria vita.

Dopotutto, le aveva a malapena rivolto una parola gentile in tutta la sua vita.

“Dove sei stato?” Riley chiese.

“Dove sono sempre stato” il padre ribatté.

La scena cominciò a cambiare, passando da un vasto disastro di vetri rotti all’esterno della baita di suo padre nei boschi.

Ora il genitore si trovava di fronte alla scalinata d’ingresso.

“Potrebbe servirti il mio aiuto per questo caso” le disse. “Sembra che il tuo killer sia un soldato. So molto di soldati. E so molto di omicidi.”

Era vero. Il padre era stato un capitano in Vietnam. Lei non sapeva quanti uomini il genitore avesse ucciso durante l’esercizio del proprio dovere.

Ma l’ultima cosa che desiderava era ricevere il suo aiuto.

“E’ ora che tu te ne vada” Riley disse.

Il sorrisetto paterno fu sostituito da un sogghigno.

“Oh, no,” l’uomo esclamò. “Sto cominciando ad abituarmi.”

Il suo volto e il suo corpo cambiarono forma. Nell’arco di istanti, divenne più giovane, più forte, con la pelle scura e persino più minaccioso di prima.

Adesso era Shane Hatcher.

La trasformazione terrorizzò Riley.

Suo padre era sempre stata una presenza crudele nella sua vita.

Ma stava cominciando a temere Hatcher anche di più.

Molto più di quanto suo padre avesse mai fatto, Hatcher aveva una sorta di potere manipolatorio su di lei.

Poteva farle fare cose che lei non avrebbe mai immaginato.

“Vattene” Riley disse.

“Oh, no” Hatcher replicò. “Abbiamo un patto.”

Riley rabbrividì.

Abbiamo un patto, benissimo, lei pensò.

Hatcher l’aveva aiutata a trovare il killer di sua madre. In cambio, lei gli aveva concesso di vivere nella vecchia baita di suo padre.

Inoltre, sapeva di doverglielo. L’aveva aiutata a risolvere i casi, ma lui aveva fatto molto di più.

Aveva persino salvato la vita di sua figlia e quella del suo ex marito.

Riley aprì la bocca per parlare, per protestare.

Ma non venne fuori alcuna parola.

Invece, fu lui a parlare.

“Siamo uniti nella mente, Riley Paige.”

Riley fu svegliata di soprassalto da un brusco sussulto.

L’aereo era appena atterrato al San Diego International Airport.

Il sole del mattino stava sorgendo di là dalla pista.

Il pilota parlò attraverso l’interfono, annunciando il loro arrivo e scusandosi per il brusco atterraggio.

Gli altri passeggeri stavano radunando le loro cose, e si stavano preparando a lasciare l’aereo.

Mentre Riley si alzava assonnata, tirando giù la valigia dallo scompartimento in alto, ripensò all’incubo appena fatto.

Riley non era affatto superstiziosa, ma, nonostante tutto, non poté fare a meno di chiedersi …

L’incubo e il brusco atterraggio erano in qualche modo presagi di eventi futuri?


CAPITOLO OTTO

Era una radiosa e splendida mattina, quando Riley si mise alla guida della sua auto a noleggio, lasciando l’aeroporto. Il tempo era davvero meraviglioso, con una piacevole temperatura che si aggirava tra i 15 e i 20 gradi. Si rese conto che, in quell’occasione, molte persone avrebbero pensato di godersi la spiaggia o una piscina da qualche parte.

Ma Riley percepiva un’occulta apprensione.

Si chiese nostalgicamente se sarebbe mai tornata in California solo per godersi il clima, o andare in qualsiasi altro posto semplicemente per rilassarsi.

Sembrava che il male l’aspettasse ovunque si recasse.

La storia della mia vita, pensò.

Sapeva che doveva a se stessa e alla sua famiglia lasciare quella strada, prendersi del tempo per sé e le ragazze da poter trascorrere da qualche parte, solo per la completa gioia di farlo.

Ma quando sarebbe successo?

Emise un triste e stanco sospiro.

Forse mai, pensò.

Non era riuscita a dormire molto durante il volo, e stava risentendo del jet lag, per via delle tre ore di fuso orario tra lì e la Virginia.

Ciò nonostante, era entusiasta di cominciare ad occuparsi di questo nuovo caso.

Appena si diresse a nord, imboccando la San Diego Freeway, passò davanti ad edifici moderni, affiancati da palme e da altre piante. Presto, si ritrovò fuori dalla città, ma il traffico sull’autostrada a più corsie non tendeva a diminuire. Il rapido flusso di veicoli vicini passava attraverso le colline, dove il primo sole del mattino sottolineava un paesaggio ripido e asciutto.

Malgrado il paesaggio, trovò il Sud della California meno rilassante di quanto si aspettasse. Come lei, tutti nell’oceano di auto sembravano andare di fretta, diretti ad un’importante meta.

Prese un’uscita chiamata “Fort Nash Mowat.” Dopo qualche minuto, accostò davanti ad un cancello, mostrò il distintivo e le fu concesso di entrare.

Aveva già inviato un messaggio a Bill e Lucy, avvisandoli che stava arrivando; li trovò ad attenderla accanto ad un’auto. Bill le presentò la donna in uniforme, che era con loro, come il Colonnello Dana Larson, la comandante dell’ufficio CID di Fort Mowat.

Riley fu subito stupita dalla Larson. Era una donna forte e robusta, con intensi occhi neri. La sua stretta di mano trasmise immediatamente a Riley un senso di confidenza e professionalità.

“Sono felice di conoscerla, Agente Paige” il Colonnello Larson esordì in un tono frizzante e vigoroso. “La sua reputazione la precede.”

Gli occhi di Riley si spalancarono.

“Ne sono sorpresa” rispose.

La Larson sogghignò leggermente.

“Non lo sia” le disse. “Anch’io faccio parte delle forze dell’ordine, e mi tengo aggiornata con le attività del BAU. Siamo onorati di averla qui a Fort Mowat.”

Riley si sentì arrossire un po’, mentre ringraziava il Colonnello Larson.

Larson chiamò un soldato, lì vicino, che si avvicinò rapidamente a lei e salutò.

La donna ordinò: “Caporale Salerno, voglio che riporti l’auto dell’Agente Paige all’autonoleggio dell’aeroporto. Non ne avrà bisogno qui.”

“Sì, signora” il caporale disse, “immediatamente.” Entrò nell’auto di Riley, e uscì fuori dalla base.

Riley, Bill e Lucy entrarono nell’altra auto.

Mentre il Colonnello Larson guidava, Riley chiese: “Che cosa mi sono persa finora?”

“Non molto” Bill rispose. “Il Colonnello Larson ci ha accolti qui ieri sera, e ci ha mostrato i nostri alloggi.”

“Non abbiamo ancora incontrato il Colonnello comandante della base” Lucy aggiunse.

Il Colonnello Larson intervenne: “Stiamo andando dal Colonnello Dutch Adams ora.”

Poi, con un sorrisetto, aggiunse: “Non aspettatevi un caloroso benvenuto. Specialmente voi, Agenti Paige e Vargas.”

Riley non era certa di che cosa intendesse la donna. Il Colonnello Adams non sarebbe stato felice del fatto che il BAU avesse mandato due donne? Riley non riusciva ad immaginare il motivo. Ovunque lei guardasse, vedeva uomini e donne in uniforme, mescolati liberamente. E con il Colonnello Larson alla base, senz’altro Adams era abituato ad interagire con una donna che occupava un ruolo autoritario.

Il Colonnello Larson parcheggiò di fronte ad un semplice e moderno edificio amministrativo, e poi accompagnò al suo interno gli agenti. Quando questi si avvicinarono, tre giovani uomini si misero sull’attenti e salutarono il Colonnello Larson. Riley vide che le loro giacche del CID erano simili a quelle che indossavano gli agenti dell’FBI.

Il Colonnello Larson presentò i tre uomini come il Sergente Matthews ed i membri della sua squadra, gli Agenti Speciali Goodwin e Shores. Poi, entrarono tutti nella sala conferenze, dove erano attesi dal Colonnello Dutch Adams in persona.

Matthews ed i suoi agenti salutarono Adams, ma il Colonnello Larson non lo fece. Riley si rese conto che era dovuto al fatto che Adams era del suo stesso rango. Presto scoprì che la tensione tra i due colonnelli era palpabile, quasi dolorosa.

Em come previsto, Adams apparve palesemente dispiaciuto della presenza di Riley e Lucy.

Ora Riley se ne rese perfettamente conto.

Il Colonnello Dutch Adams era un ufficiale di carriera della vecchia scuola, che non era affatto abituato ad avere uomini e donne a servire insieme. E, a giudicare dalla sua età, Riley era piuttosto sicura che non si sarebbe mai abituato. Probabilmente, sarebbe andato in pensione con i suoi pregiudizi intatti.

Era sicura che Adams doveva risentire particolarmente della presenza del Colonnello Larson nella sua base, un’ufficiale donna sulla quale non esercitava alcuna autorità.

Appena il gruppo si sedette, Riley provò un inquietante brivido di familiarità, mentre studiava il volto di Adams. Era robusto e lungo, scolpito severamente come quelli di molti altri ufficiali che aveva conosciuto in vita sua, incluso suo padre.

In effetti, Riley trovò la somiglianza del Colonnello Adams con suo padre assolutamente inquietante.

Si rivolse a Riley ed ai suoi colleghi con tono eccessivamente ufficiale.

“Benvenuti a Fort Nash Mowat. Questa base è operativa sin dal 1942. Si estende per settantacinque mila acri; è composta da millecinquecento edifici e trecentocinquanta miglia di strade. Ci sono circa sessantamila persona qui, in qualsiasi giorno. Sono orgoglioso di ritenerla la miglior base di addestramento militare nel paese.”

In quel momento, il Colonnello Adams sembrò tentare di soffocare un sogghigno, senza riuscirci molto bene, in realtà.

Aggiunse: “ E, per questa ragione, vi chiedo di non provocare alcuna seccatura mentre siete qui. Questo posto funziona come un meccanismo ben oliato. Gli estranei hanno una spiacevole tendenza a intralciare il lavoro. Se lo farete, vi prometto che la pagherete molto cara. Mi sono spiegato?”

Stava fissando Riley, ovviamente provando ad intimidirla.

Lei sentì Bill e Lucy dire: “Sì, signore.”

Ma non disse nulla.

Non è il mio Colonnello, pensò.

Si limitò a sostenere il suo sguardo e annuì.

Poi, l’uomo passò a fissare gli altri presenti nella stanza. Parlò di nuovo con fredda rabbia nella sua voce.

“Tre bravi uomini sono morti. La situazione a Fort Mowat è inaccettabile. Sistemate la situazione. Immediatamente. Preferibilmente al più presto.”

Poi, fece una pausa per un momento. Dopodiché disse: “Ci sarà il funerale per il Sergente Clifford Worthing alle undici in punto. Mi aspetto che partecipiate tutti.”

Senza aggiungere un’altra parola, si alzò dalla sua sedia. Gli agenti del CID si misero sull’attenti e salutarono, e il Colonnello Adams lasciò la stanza.

Riley era perplessa. Non erano tutti lì per discutere sul caso e sul da farsi?

Ovviamente, notando la sorpresa di Riley, il Colonnello Larson le sorrise.

“In genere, non parla molto” disse. “Forse lei gli piace.”

Tutti risero per la battuta sarcastica.

Riley sapeva che un po’ d’ironia era positiva al momento.

Le cose sarebbero diventate piuttosto difficili molto presto.


CAPITOLO NOVE

La risata cessò, e la Larson stava ancora guardando Riley, Bill e Lucy. La sua espressione era penetrante e potente, come se li stesse valutando in qualche modo. Riley si chiese se il comandante del CID stesse per fare un annuncio urgente.

Invece, la Larson chiese: “Qualcuno di voi ha fatto colazione?”

Tutti risposero di no.

“Beh, questa situazione è inaccettabile” la Larson disse con un sogghigno. “Sistemiamola prima che finiate male. Venite con me, e vi mostrerò un po’ di ospitalità di Fort Mowat.”

Poi, la donna si lasciò la squadra alle spalle e procedette, guidando i tre agenti dell’FBI nel club degli ufficiali. Riley si rese subito conto che il colonnello non stava scherzando relativamente all’ospitalità. La struttura era all’altezza di un ristorante esclusivo, e la Larson non avrebbe lasciato che pagassero i loro pasti.

Discussero sul caso, consumando una deliziosa colazione. Riley comprese che aveva avuto senz’altro bisogno di caffè. Anche il pasto era invitante.

Il Colonnello Larson diede loro il suo punto di vista sul caso. “I tratti più salienti di questi omicidi sono il metodo utilizzato e i ranghi delle vittime. Rolsky, Fraser e Worthing erano tutti sergenti istruttori. Sono stati colpiti da una lunga distanza, con un fucile ad alta precisione. E le vittime sono state tutte uccise di notte.”

Bill chiese: “Che cos’altro avevano in comune?”

“Non molto. Due erano bianchi e uno era nero, perciò non si tratta di una questione razziale. Erano in comando in unità separate, perciò non avevano reclute in comune.”

Riley aggiunse: “Avete probabilmente già controllato i file dei soldati rimproverati per problemi disciplinari o psicologici. Assenze ingiustificate? Congedo con disonore?”

“Certo” la donna rispose. “E’ una lista molto lunga, e l’abbiamo controllata tutta. Ma ve la manderò, così che anche voi possiate analizzarla.”

“Vorrei parlare con gli uomini di ogni unità.”

La Larson annuì. “Naturalmente. Potrà parlare con alcuni di loro dopo il funerale oggi, e le organizzerò degli altri incontri se desidera.”

Riley notò che Lucy stava prendendo appunti. Fece cenno alla giovane agente, affinché facesse anche lei delle domande.

Lucy chiese: “Di che calibro erano i proiettili?”

“Calibro NATO” il Colonnello rispose. “7,62 millimetri.”

Lucy guardò il Colonnello Larson con interesse. Disse: “Sembra allora che l’arma possa essere un fucile M110 da cecchino. O forse un Heckler e Koch G28.”

Il Colonnello Larson sorrise un po’, ovviamente colpita dalla conoscenza di Lucy.

“Per via del raggio, supponiamo che si tratti dell’M110” la donna rispose. “Sembra che tutti i proiettili provengano dalla stessa arma.”

Riley fu contenta nel vedere che Lucy fosse così ben impegnata. Le piaceva pensare a lei come sua protetta, e sapeva che Lucy, invece, la considerava come la sua mentore.

Sta imparando in fretta, Riley pensò con orgoglio.

Poi osservò Bill, intuendo dalla sua espressione che anche il partner era contento per il livello di competenza raggiunto da Lucy.

Riley aveva delle domande da fare, ma decise di non interrompere.

Lucy chiese alla Larson: “State pensando a qualcuno con un addestramento militare, immagino. Un soldato della base?”

“E’ possibile” la donna rispose. “O un ex soldato. Qualcuno con un ottimo addestramento, in ogni caso. Non semplicemente un tiratore nella media.”

Lucy giocherellò con la gomma da cancellare contro il tavolo.

Suggerì: “Qualcuno che ce l’ha con le figure autoritarie? Specialmente i sergenti istruttori?”

La Larson si grattò il mento, pensierosa.

“Lo sto prendendo in considerazione” rispose.

Lucy riprese: “Sono sicura che stia anche considerando il terrorismo islamico.”

La Larson annuì.

“In questi giorni, questa deve semplicemente essere la nostra ipotesi base.”

“Un lupo solitario?” Lucy chiese.

“Forse” la Larson rispose. “Ma potrebbe essere che stia agendo per conto di un gruppo, forse una piccola cellula da queste parti, o una sorta di gruppo internazionale, come l’ISIS o Al-Qaeda.”

Lucy rifletté per un momento.

“Quante reclute musulmane ci sono attualmente a Fort Mowat?” Lucy domandò.

“Al momento, trecentoquarantatré. E’ ovviamente una piccola percentuale delle nostre reclute. Ma dobbiamo fare attenzione a tracciare il profilo. In generale, le nostre reclute musulmane sono state verificate con molta attenzione. Non abbiamo mai avuto problemi di estremismo, se è di questo che si tratta.”

La Larson guardò Riley e Bill e sorrise.

“Ma voi due siete stati molto silenziosi. Come vorreste procedere?”

Riley diede uno sguardo a Bill. Come sempre, poté dire che stava pensando la stessa cosa a cui pensava lei.

“Andiamo a dare un’occhiata alle scene dei crimini” Bill disse.

*

Qualche minuto dopo, il Colonnello Larson guidava Riley e Lucy attraverso Fort Mowat.

“Quali punti volete vedere per primi?” la Larson chiese.

“Vediamoli nell’ordine in cui i crimini sono avvenuti” Riley rispose.

Mentre la Larson guidava, Riley notò soldati impegnati nell'addestramento, mentre facevano delle corse ad ostacoli e praticavano abilità da fuoco con varie armi. Si rese conto che era un lavoro rigoroso e impegnativo.

Riley chiese alla Larson: “A che livello di addestramento sono a questo punto?”

“Alla seconda fase, la Fase Bianca” la donna disse. “Abbiamo tre fasi: rossa, bianca e blu. Le prime due, rossa e bianca, durano ognuna tre settimane, e queste reclute sono alla loro quinta settimana. Nelle loro ultime quattro settimane, affronteranno la Fase Blu. E’ sempre più dura. E’ quando le reclute scoprono se posseggono le caratteristiche necessarie per essere soldati dell’Esercito.”

Riley sentì una nota di orgoglio nella voce della Larson, lo stesso orgoglio che sentiva nella voce di suo padre, quando parlava del suo servizio militare.

Lei ama ciò che fa, Riley pensò.

Non nutriva nemmeno dubbi che il Colonnello Larson fosse eccellente nel proprio lavoro.

La Larson parcheggiò vicino ad un marciapiede, che conduceva attraverso il campo. Uscirono dall’auto, e la Larson li guidò fino ad un punto sul sentiero. Si trovava in un’area aperta, priva di alberi che potessero bloccare la vista.

“Il Sergente Rolsky è stato ucciso proprio qui” la donna disse. “Nessuno ha visto o sentito niente. Non siamo riusciti a stabilire, dalla ferita o dalla posizione del suo corpo, da dove il colpo sia arrivato, tranne per il fatto che è stato esploso da una considerevole distanza.”

Riley si guardò attorno, studiando la scena.

“A che ora è stato ucciso Rolsky?” chiese.

“Circa alle ventidue” il colonnello rispose.

Riley convertì il dato ad un orario civile: le dieci di sera.

L’agente immaginò l’aspetto di quel posto a quell’ora di notte. C’erano un paio di lanterne entro circa nove metri dal punto. Nonostante ciò, la luce lì doveva essere stata molto fioca. Il tiratore doveva aver utilizzato un mirino notturno.

Lei si girò lentamente, provando ad immaginare da dove fosse provenuto il colpo.

C’erano edifici a sud ed a nord. Era improbabile che un cecchino avesse avuto la possibilità di sparare da uno di quei posti.

Ad ovest, oltre il campo scorse il Pacifico, ad una distanza offuscata.

Ad est, c’erano ripide colline.

Riley indicò le colline e disse: “Immagino che il cecchino si sia posizionato da qualche parte laggiù.”

“E’ una buona pista” la Larson disse, indicando un altro punto in terra. “Abbiamo trovato il proiettile proprio qui, il che indica che il colpo dev’essere venuto da qualche parte, in cima a quelle colline. A giudicare dalla ferita, il colpo è stato esploso tra settantasei, ottanta metri. Abbiamo setacciato la zona, ma non ha lasciato alcuna traccia.”

Riley rifletté per un istante.

Poi, chiese alla Larson: “La caccia è consentita a Fort Mowat?”

“Sì, c’è una stagione per farlo, ma occorrono i permessi” la donna rispose. “Al momento, è la stagione del tacchino selvatico. E’ consentito anche sparare ai corvi di giorno.”

Naturalmente, Riley sapeva che quelle morti non erano affatto degli incidenti di caccia. In quanto figlia di un uomo che era stato Marine e cacciatore al contempo, sapeva che nessuno avrebbe usato un fucile da cecchino per uccidere corvi e tacchini, ed animali simili. Un fucile a doppia canna sarebbe stato probabilmente l’arma da caccia scelta intorno a Fort Mowat in quel periodo dell’anno.

Riley chiese alla Larson di condurli al prossimo punto. Il colonnello li portò ad alcune colline basse, all’estremità di un tratto escursionistico. Quando tutti uscirono di nuovo dal veicolo, la Larson indicò il punto che conduceva in cima alla collina.

“Il Sergente Fraser è stato ucciso proprio qui” disse. “Stava facendo un’escursione dopo l’orario di lavoro. Sembra che il colpo sia stato esploso dalla stessa distanza di prima. Ancora una volta, nessuno ha sentito o visto nulla. Ma la nostra migliore ipotesi è che sia stato ucciso alle ventitré.”

Alle undici di sera, pensò Riley.

Indicando un altro punto, la Larson aggiunse: “Abbiamo trovato il proiettile laggiù.”

Riley poi, dette un’occhiata nella direzione opposta, proprio dove doveva essere stato posizionato il cecchino. Vide delle colline coperte di cespugli, e numerosi posti dove un cecchino poteva essersi nascosto. Era sicura che la Larson e la sua squadra avessero già setacciato la zona.

Infine, guidarono in fondo alla zona in cui si trovavano gli alloggi delle reclute. La Larson li condusse dietro una delle caserme. La prima cosa che Riley vide fu un’enorme chiazza nera sul muro accanto alla porta sul retro.

La Larson disse: “E’ qui che il Sergente Worthing è stato ucciso. Sembra che fosse uscito qui fuori a fumare una sigaretta, prima della formazione mattutina del suo plotone. Il colpo è stato così netto, che la sigaretta non gli è mai caduta dalla bocca.”

L’interesse di Riley si destò. Questa scena era diversa dalle altre, e molto più ricca d’informazioni. Esaminò dunque la macchia e l’imbrattamento che scendeva fino in basso.

Poi aggiunse: “Sembra che fosse appoggiato contro il muro, quando il proiettile l’ha colpito. Dovete essere stati in grado di avere un’idea di gran lunga migliore della traiettoria del proiettile, rispetto a quanto non siate riusciti a fare per gli altri.”

“Molto meglio” la Larson replicò. “La posizione precisa.”

La Larson indicò al di là delle caserme, dove le colline cominciavano ad innalzarsi.

“Il cecchino deve essersi posizionato da qualche parte, tra quelle due valli di querce” spiegò. “Ma ha riordinato molto attentamente, dopo. Non siamo riusciti a trovare una traccia di lui in nessuno dei punti possibili.”

Riley vide che la distanza tra i piccoli alberi era di circa sei metri. La Larson e la sua squadra erano stati bravi a restringere molto l’area.

“Com’era il tempo?” Riley chiese.

“Molto bello” la donna rispose. “C’è stata una luna a tre quarti quasi fino all’alba.”

Riley avvertì un formicolio lungo la schiena. Era una sensazione familiare, che la coglieva quando stava per connettersi davvero con la scena di un crimine.

“Vorrei andare a dare un’occhiata da sola” disse.

“Certamente” la Larson rispose. “La accompagno.”

Riley non sapeva come dirle che intendeva andarci da sola.

Per fortuna, Bill intervenne per lei.

“Lasci che l’Agente Paige ci vada da sola. E’ una cosa sua.”

La Larson annuì, senza problemi.

Riley si recò nel campo. Ad ogni passo, quel formicolio s’intensificava.

Infine, si trovò tra i due alberi. Si rese conto del perché la squadra della Larson non fosse riuscita a trovare il punto esatto. Il terreno era decisamente irregolare, caratterizzato da cespugli piccoli. Proprio in quell’area, c’era almeno mezza dozzina di luoghi eccellenti, per accovacciarsi o stendersi, e sparare in direzione delle caserme.

Riley cominciò a camminare avanti e indietro tra gli alberi. Sapeva che non stava cercando qualcosa che il cecchino poteva essersi lasciato alle spalle, nemmeno delle impronte. La Larson e la sua squadra non avrebbero potuto tralasciare qualcosa del genere.

Fece dei respiri lenti, e s’immaginò lì alle prime luci del mattino. Le stelle stavano appena cominciando a sparire, e la luna proiettava ancora ombre ovunque.

La sensazione aumentò sempre di più, una sensazione legata alla presenza del killer.

Riley fece altri respiri profondi, e si preparò ad entrare nella mente del killer.

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