Kitabı oku: «Una Nuova Chance», sayfa 2
“Quali voci giravano?” chiese Mackenzie, anche se era sicura di sapere già di cosa si trattasse.
“Be’, quelle principali erano sul Killer dello Spaventapasseri e sulla docile ragazza che lo ha catturato. Una ragazza che era così brava nel suo ruolo di detective, che l’FBI è andato in Nebraska a reclutarla.”
“È una versione un tantino esagerata, ma sì... Quell’elefante lo riconosco. Però hai detto le voci principali. Ce ne sono altre?”
D’un tratto, Colby parve a disagio. Si sistemò nervosamente una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio. “Sì, ci sono altre voci. Ho sentito che è stato grazie ad un agente se sei riuscita a entrare. E... be’, questo ambiente è guidato dagli uomini, ti puoi immaginare cosa insinuassero le voci.”
Mackenzie alzò gli occhi al cielo, in imbarazzo. Non aveva mai smesso di chiedersi quali voci girassero sul conto suo e di Ellington, l’agente che effettivamente aveva contribuito maggiormente al suo ingresso nell’FBI.
“Scusa” disse Colby. “Forse non avrei dovuto dirtelo?”
Mackenzie si strinse nelle spalle. “Non fa niente. Tutti abbiamo delle storie alle spalle.”
Accorgendosi di aver forse detto troppo, Colby guardò il tavolo e sorseggiò nervosamente la sua bibita. “Scusa” disse piano. “Credevo che dovessi saperlo. Sei la prima vera amica che ho trovato qui e volevo essere il più sincera possibile con te.”
“Idem” disse Mackenzie.
“Quindi è tutto a posto tra noi?” chiese Colby.
“Sì. Adesso perché non tiri fuori qualcos’altro di cui possiamo parlare?”
“Ah, ma è facile” disse Colby. “Dimmi di te e Harry.”
“Harry Dougan?” domandò Mackenzie.
“Esatto, il futuro agente che sembra spogliarti con gli occhi ogni volta che siete nella stessa stanza.”
“Non c’è niente da dire” commentò Mackenzie.
Colby fece roteare gli occhi sorridendo. “Se lo dici tu.”
“No, davvero. Non è il mio tipo.”
“Forse neanche tu sei il suo tipo” osservò Colby. “Forse vuole solo vederti nuda. Mi chiedo... che tipo di persona sei esattamente? Profonda e tutta psicologia, ci scommetto.”
“Cosa te lo fa pensare?” volle sapere Mackenzie.
“I tuoi interessi e la tua tendenza a eccellere nel profiling criminale.”
“Credo che sia un’idea sbagliata che si fanno in molti riguardo le persone interessate alla psicologia forense” disse Mackenzie. “Se ti servono le prove, ti posso indicare almeno tre uomini nella Polizia di Stato del Nebraska.”
Da quel momento, si misero a parlare del più e del meno: le lezioni, gli istruttori e così via. Tuttavia, per tutto il tempo Mackenzie fremeva di rabbia. Le voci che aveva riferito Colby erano il motivo esatto per cui aveva deciso di non dare nell’occhio. Non si era sforzata di farsi degli amici e quella decisione avrebbe dovuto fornirle un sacco di tempo per sistemare il suo appartamento.
E la fonte di tutto era Ellington... l’uomo che era venuto in Nebraska e aveva cambiato il suo mondo. Sembrava una cosa scontata da pensare, ma era essenzialmente quello che era successo. E il fatto che ancora non riuscisse a toglierselo dalla testa le dava quasi la nausea.
Anche mentre lei e Colby chiacchieravano finendo il pranzo, Mackenzie si domandava cosa stesse facendo Ellington. Inoltre si domandava cosa lei si sarebbe ritrovata a fare ora se lui non fosse arrivato in Nebraska mentre cercava di catturare il Killer dello Spaventapasseri. Non era un’immagine piacevole: probabilmente si sarebbe ritrovata a guidare lungo quelle strade infinitamente dritte, circondate dal cielo, dai campi o dal grano. E probabilmente sarebbe stata in coppia con uno stronzo maschilista che sarebbe stato la versione più giovane e più testarda di Porter, il suo vecchio partner.
Il Nebraska non le mancava. Non le mancava la routine del suo lavoro lì e sicuramente non le mancava la mentalità di quel luogo. Quello che invece le mancava era sapere di essere ben integrata. Inoltre, nel suo dipartimento era stata nel gruppo di persone più in alto. Lì a Quantico, invece, non era così. La competizione era spietata e doveva combattere per raggiungere il vertice.
Per fortuna era pronta alla sfida ed era più che felice di lasciarsi il Killer dello Spaventapasseri e la sua vecchia vita alle spalle.
Ora doveva solo riuscire a far cessare gli incubi.
CAPITOLO DUE
Il mattino seguente iniziò di buon’ora con l’addestramento con le armi, qualcosa in cui Mackenzie stava scoprendo di essere piuttosto abile. Era sempre stata una tiratrice discreta, ma con le giuste istruzioni e una classe di ventidue competitori, era diventata spaventosamente brava. Prediligeva la Sig Sauer che aveva usato in Nebraska, ma aveva scoperto con piacere che l’arma in dotazione all’FBI era una Glock, non troppo diversa.
Guardò il bersaglio di carta in fondo al corridoio di tiro. La sagoma di carta pendeva immobile da un braccio meccanico a diciotto metri di distanza. Prese la mira, sparò tre colpi in rapida successione, quindi abbassò la pistola. Il fragore dei colpi le vibrava nelle mani e la sensazione le piaceva.
Quando la luce verde in fondo al corridoio si accese, spinse un pulsante sul piccolo pannello che aveva davanti e fece avvicinare il bersaglio. Mentre si faceva più vicino, riuscì a vedere i tre buchi nei punti che aveva colpito. Il bersaglio era sagomato come la metà superiore di un uomo. Due colpi erano finiti in alto sul petto, mentre l’altro aveva sfiorato la spalla sinistra. Era andata discretamente (non benissimo) e anche se era un po’ delusa per i colpi imprecisi al petto, sapeva che era migliorata molto rispetto alla sua prima sessione al poligono.
Undici settimane. Era lì da undici settimane e stava ancora imparando. Era arrabbiata per i colpi al petto perché potevano essere letali. Era addestrata a sparare solo per fermare il sospettato e doveva sparare un colpo mortale al petto o alla testa solo in circostanze estreme.
Il suo istinto stava migliorando. Sorrise verso il bersaglio di carta poi guardò la scatola di munizioni davanti a lei. Ricaricò la Glock e premette un tasto per far apparire un nuovo bersaglio. Stavolta lo mandò a ventitré metri di distanza.
Attese che la luce da rossa si facesse verde, quindi diede le spalle al bersaglio. Inspirò, si voltò ed esplose altri tre colpi.
Tre fori perfettamente allineati si aprirono appena sotto la spalla della sagoma.
Molto meglio, pensò Mackenzie.
Soddisfatta, si tolse le cuffie e gli occhiali di protezione. Mise tutto in ordine e premette un altro pulsante sul pannello di controllo, che fece avvicinare il braccio meccanico che reggeva il bersaglio. Prese il bersaglio, lo ripiegò e lo mise nella cartellina che si portava sempre dietro.
Veniva al poligono nel tempo libero per affinare le abilità che riteneva inferiori rispetto agli altri nel suo corso. Lei era una delle più grandi lì e le voci di corridoio avevano già iniziato a circolare – voci su come fosse stata reclutata in un minuscolo distretto di polizia del Nebraska dopo che aveva risolto il caso del Killer dello Spaventapasseri. In quanto a bravura con le armi era più o meno a metà tra i suoi compagni di corso, ma era determinata a diventare una dei migliori prima che il suo addestramento all’Accademia terminasse.
Doveva dimostrare quanto valeva ed era disposta a farlo.
*
Dopo il poligono di tiro, Mackenzie si diresse senza perdere tempo all’ultima lezione del corso, una sessione di psicologia tenuta da Samuel McClarren. McClarren era un ex agente di sessantasei anni, oltre che un autore di sei best-seller del New York Times che trattavano del profilo psicologico di alcuni dei più crudeli serial killer degli ultimi cent’anni. Mackenzie aveva letto tutto ciò che l’uomo aveva scritto e sarebbe rimasta ad ascoltare le sue lezioni per ore ed ore. Era di gran lunga il suo corso preferito. Nonostante il vicedirettore non credesse necessario che lei lo seguisse, basandosi sul suo curriculum e sulla sua esperienza lavorativa, lei non si era lasciata sfuggire quell’occasione.
Come al solito, fu tra i primi ad arrivare in classe e si mise a sedere davanti. Preparò il quaderno e la penna, mentre altri aprivano i loro MacBook. Mentre aspettava, Samuel McClarren si sistemò al leggio. Alle spalle di Mackenzie, i quarantadue studenti attendevano con trepidazione; ognuno di loro pareva pendere dalle labbra di McClarren quando parlava.
“Ieri abbiamo visto i costrutti psicologici che spingevano Ed Gein, per la gioia di alcuni tra voi deboli di stomaco” disse McClarren. “Oggi non andrà meglio, dato che ci inoltreremo nella mente spesso sottovalutata ma incredibilmente contorta di John Wayne Gacy. Ventisei vittime accertate, tutte uccise per strangolamento o asfissia tramite un laccio emostatico. Dopo aver ucciso le sue vittime, le lasciava in vari luoghi, come sotto le assi di casa sua o nel fiume Des Plaines. E poi c’è naturalmente il particolare che gran parte delle persone ricorda quando sente il suo nome: il trucco da clown. Alla base, il caso Gacy è uno studio sul crollo psicologico.”
La lezione proseguì, con McClarren che parlava e gli studenti che prendevano febbrilmente appunti. Come sempre, quell’ora e un quarto volò per Mackenzie e alla fine avrebbe desiderato sentirne ancora. In un paio di occasioni, la lezione di McClarren le aveva riportato alla mente ricordi della caccia al Killer dello Spaventapasseri, soprattutto di quando era tornata sulle scene del crimine per cercare di entrare nella testa del killer. Aveva sempre saputo di essere portata per quel genere di cose, ma aveva cercato di tenerlo nascosto. A volte la spaventava e lo trovava un po’ morboso, per questo lo teneva per sé.
Al termine della sessione, Mackenzie raccolse le sue cose e si avviò verso la porta. Stava ancora elaborando nella mente la lezione quando uscì nel corridoio, così non vide subito l’uomo in piedi di fianco alla porta. Anzi, non si accorse di lui finché non si sentì chiamare per nome.
“Mackenzie! Ehi, aspetta.”
Sentendo il suo nome si fermò e, girandosi, vide un volto familiare nella folla.
L’Agente Ellington si dirigeva verso di lei. Vederlo fu una tale sorpresa che rimase letteralmente immobile per un momento, cercando di capire cosa ci facesse lì. Mentre era ancora come congelata, lui le rivolse un timido sorriso e si avvicinò. Insieme a lui c’era un altro uomo.
“Agente Ellington” disse Mackenzie. “Come va?”
“Tutto bene” rispose. “E tu?”
“Abbastanza bene. Che ci fai qui? Segui un corso di aggiornamento?” gli chiese cercando di sembrare spiritosa.
“No, non esattamente” disse Ellington. Le sorrise ancora, ricordandole all’improvviso cosa l’avesse spinta a provarci con lui rendendosi ridicola tre mesi prima. Indicando l’uomo che era con lui, disse: “Mackenzie White, questo è l’Agente Speciale Bryers.”
Bryers fece un passo avanti tendendole la mano. Mackenzie la strinse e si prese un istante per studiare l’uomo. Sembrava aver appena passato i cinquant’anni e aveva baffi quasi completamente grigi e cordiali occhi azzurri. Capì subito che doveva essere un uomo dai modi gentili, uno dei veri gentiluomini del sud di cui aveva tanto sentito parlare da quando si era trasferita in Virginia.
“Piacere di conoscerti” disse Bryers mentre si stringevano la mano.
Terminate le presentazioni, Ellington tornò alle questioni di lavoro. “Sei impegnata adesso?” domandò a Mackenzie.
“No” rispose lei.
“Allora, se hai un minuto, c’è qualcosa di cui l’Agente Bryers ed io vorremmo parlarti.”
Mackenzie vide l’ombra del dubbio passare sul volto di Bryers alle parole di Ellington. A pensarci bene, Bryers pareva un po’ a disagio. Forse era per quello che sembrava così timido.
“Ma certo” concesse.
“Andiamo” proseguì Ellington, conducendola verso la piccola zona dedicata allo studio sul retro dell’edificio. “Ti offro un caffè.”
Mackenzie si ricordò l’ultima occasione in cui Ellington aveva dimostrato un tale interesse per lei; l’aveva fatta arrivare lì, a un passo dal realizzare il suo sogno di diventare un’agente dell’FBI, con tutti gli alti e bassi che questo avrebbe comportato. Seguirlo adesso era la cosa più sensata da fare, quindi lo fece, lanciando uno sguardo all’Agente Bryers mentre si incamminavano e chiedendosi perché fosse così inquieto.
*
“Allora, ci sei quasi, vero?” le chiese Ellington mentre si sedevano davanti alle tazze di caffè che lui aveva preso al bar.
“Mancano otto settimane” disse lei.
“Allora ti mancano antiterrorismo, quindici ore di simulazione e più o meno dodici ore di poligono di tiro, giusto?”
“E tu come faresti a saperlo?” chiese Mackenzie interessata.
Ellington si strinse nelle spalle e fece un sorrisetto. “Da quando sei arrivata qui, il mio hobby è tenerti d’occhio. Sono stato io a raccomandarti, quindi c’è il mio culo a rischio. Stai facendo colpo praticamente su tutti quelli che contano. A questo punto, il resto è praticamente solo una formalità. A meno che non combini un disastro in queste ultime otto settimane, secondo me sei già dentro.”
Trasse un profondo respiro e sembrò prepararsi a qualcosa di brutto.
“Il che ci porta al motivo per cui volevo parlare con te. L’Agente Bryers si trova in una situazione difficile e potrebbe servirgli il tuo aiuto. Ma lascerò che sia lui a spiegarti tutto.”
Bryers non sembrava ancora convinto e si capiva dal modo in cui mise giù il suo caffè e aspettò alcuni secondi prima di iniziare a parlare.
“Dunque, come diceva l’Agente Ellington, effettivamente stai facendo una buona impressione con tutti quelli che contano. Negli ultimi due giorni il tuo nome è venuto fuori già tre volte.”
“A che proposito?” chiese lei, un po’ nervosa.
“Mi sto occupando di un caso al momento che ha spinto il mio partner da tredici anni a lasciare l’FBI” spiegò Bryers. “Era comunque prossimo alla pensione, quindi non è stata una sorpresa. Gli voglio bene come ad un fratello, ma ne ha passate troppe. Ha visto abbastanza nei suoi ventott’anni come agente e non voleva arrivare alla pensione perseguitato dall’ennesimo incubo. Quindi, naturalmente, la posizione che copriva è rimasta scoperta e io sono in cerca di un nuovo partner. Non sarebbe una cosa permanente, sarebbe solo fino alla risoluzione di questo caso.”
Mackenzie avvertì un fremito di eccitazione e sapeva di doversi controllare, prima che il suo bisogno di compiacere gli altri e fare una buona impressione prendesse il sopravvento. “È questo il motivo per cui è stato fatto il mio nome?” chiese.
“Esattamente” confermò Bryers.
“Ma ci saranno un sacco di agenti con più esperienza di me che potrebbero ricoprire quel ruolo molto meglio di quanto farei io.”
“Probabilmente ci sono agenti più adatti” disse Ellington in tono pratico. “Ma per quanto ne sappiamo, questo caso è simile a quello del Killer dello Spaventapasseri sotto più aspetti. A questo aggiungi il fatto che il tuo nome è un po’ sulla bocca di tutti e capirai perché i superiori ti ritengono una scelta perfetta.”
“Ma io non sono ancora un’agente” osservò Mackenzie. “Cioè, con un caso del genere potete davvero permettervi di aspettarmi per otto settimane?”
“Non dovremmo aspettarti” disse Ellington. “A rischio di sembrare presuntuoso, questa non è un’offerta che l’FBI farebbe a chiunque. Un’occasione come questa... be’, scommetto che tutti quelli che erano in classe con te poco fa sarebbero disposti ad uccidere per averla. È qualcosa di assolutamente non convenzionale, ma i pezzi grossi sono disposti a chiudere un occhio.”
“È solo che mi sembra... disonesto” disse Mackenzie.
“Lo è” convenne Ellington. “Ed è tecnicamente illegale. Però non possiamo ignorare le somiglianze tra questo caso e quello che hai risolto tu in Nebraska. O ti facciamo entrare in azione di nascosto adesso, oppure dobbiamo aspettare come minimo tre o quattro giorni che l’Agente Bryers trovi un altro partner, e la tempistica è essenziale qui.”
Naturalmente desiderava quell’occasione, ma le sembrava tutto troppo veloce, troppo affrettato.
“Posso pensarci su?” chiese.
“Non c’è tempo” rispose Ellington. “Appena avremo finito qui, ti manderò i documenti sul caso, così potrai darci un’occhiata. Avrai un paio d’ore, dopodiché dovrai darmi una risposta. Però, Mackenzie... ti suggerisco caldamente di accettare.”
Sapeva che avrebbe accettato, ma non voleva sembrare troppo impaziente o presuntuosa. Inoltre, in effetti c’era un certo livello di nervosismo che si stava insinuando in lei. Si trattava di qualcosa di grosso e il fatto che un agente esperto come Bryers volesse il suo aiuto... be’, era semplicemente incredibile.
“Ti faccio un riassunto” disse Bryers, sporgendosi in avanti oltre il tavolino e abbassando la voce. “Finora abbiamo due cadaveri, tutti e due rinvenuti nella stessa discarica. Si tratta in entrambi i casi di giovani donne: una aveva ventidue anni, l’altra diciannove. Sono state trovate nude e ricoperte di contusioni. L’ultima mostrava segni di molestie, ma non c’erano fluidi corporei. I corpi sono apparsi a distanza di due mesi e mezzo l’uno dall’altro, ma il fatto che fossero nello stesso luogo e con le stesse ferite...”
“Non è una coincidenza” concluse Mackenzie.
“Probabilmente no” disse Bryers. “Allora, dimmi... immaginiamo che questo caso sia tuo. Che ti sia appena stato affidato. Quale sarebbe la prima cosa che faresti?”
Le ci vollero meno di tre secondi per trovare una risposta. Mentre rispondeva, sentì che stava scivolando in uno stato di estrema concentrazione, e seppe che la sua era la risposta giusta. Se avesse avuto dei dubbi se accettare o meno quella proposta, adesso erano stati cancellati.
“Io inizierei dalla discarica” disse. “Vorrei vedere la scena del crimine con i miei occhi. Poi parlerei con i famigliari. Le vittime erano sposate?”
“La ventiduenne sì” disse Ellington. “Era sposata da sedici mesi.”
“Allora sì” disse Mackenzie. “Prima andrei alla discarica, poi parlerei col marito.”
Ellington e Bryers si scambiarono uno sguardo d’intesa. Ellington annuì e tamburellò le dita sul tavolo. “Ci stai?” chiese.
“Ci sto” disse lei, incapace di contenere la sua eccitazione ancora per molto.
“Bene” commentò Bryers. Mise la mano in tasca e tirò fuori un mazzo di chiavi, che posò sul tavolo. “Non ha senso sprecare altro tempo. Andiamo.”
CAPITOLO TRE
Erano le 13:35 quando raggiunsero la discarica. La temperatura di trenta gradi rafforzava il tanfo del luogo e le mosche erano così rumorose che sembravano creare una strana melodia. Mackenzie aveva guidato, mentre Bryers l’aveva aggiornata sui dettagli del caso dal sedile del passeggero.
Quando uscirono dall’auto e si avviarono verso la discarica, Mackenzie credeva di aver inquadrato Bryers. Era il tipo d’uomo che si atteneva scrupolosamente alle regole. Lui non l’avrebbe ammesso, ma era estremamente nervoso ad averla al suo fianco, anche se tutti quelli che erano informati della situazione avevano approvato la cosa ad occhi chiusi. Era chiaro dalla sua postura e dagli sguardi sfuggenti che le rivolgeva.
Mackenzie camminava lentamente mentre Bryers si avvicinava ai cassonetti verdi con passo deciso, come se fosse un addetto ai lavori lì. Dovette ricordarsi che lui era già stato sulla scena del crimine. Sapeva cosa aspettarsi e questo la faceva sentire una novellina – il che era vero, in realtà.
Si prese un momento per studiare il luogo, dato che non aveva mai avuto occasione di studiare le discariche. La zona in cui erano lei e Bryers in quel momento era una parte della discarica in cui potevano circolare i veicoli. Sei enormi cassonetti metallici stavano allineati in uno spazio cavo nel terreno. Oltre, si vedeva la zona sottostante, dove i furgoni venivano a raccogliere il carico. Lo spazio cavo nel terreno che nascondeva i cassonetti era mimetizzato, grazie al fatto che pareva una collina ben curata, con tanto di stradina cementata. Mackenzie e Bryers in quel momento erano in cima, mentre la stradina aggirava la collina e si immetteva in un’altra strada che portava sull’autostrada.
Mackenzie studiò il terreno. Nel punto in cui era c’era solo terra compatta, che poi lasciava il posto a ghiaia quindi a catrame dall’altra parte dei cassonetti. Nella parte di terra polverosa vide delle tracce di pneumatici, che però erano talmente numerose ed intricate tra loro che sarebbe stato molto difficile individuarne una sola. Di recente il tempo era stato caldo e asciutto; l’ultima volta che era piovuto era stato circa una settimana prima, ma si era trattato soltanto di pioggerellina fine. Il terreno secco avrebbe reso tutto molto più complicato.
Concludendo che ottenere impronte definite era pressoché impossibile, Mackenzie raggiunse Bryers al cassonetto.
“Il corpo è stato rinvenuto in questo qui” disse Bryers. “La Scientifica ha già prelevato campioni di sangue e impronte. La vittima si chiamava Susan Kellerman, aveva ventidue anni ed abitava a Georgetown.”
Mackenzie annuì senza dire niente. Guardando nel cassonetto rivide le sue priorità. Adesso lavorava con l’FBI, quindi poteva benissimo saltare qualche passaggio per procedere oltre. Non avrebbe sprecato tempo con le cose ovvie. Quelli che erano stati lì prima di lei, probabilmente anche Bryers, avevano già fatto il lavoro sporco. Quindi Mackenzie cercò di concentrarsi sul lato oscuro... su cose che potevano essere state trascurate.
Perlustrò la zona circostante per circa un minuto, poi concluse di sapere tutto quello che c’era da sapere, ovvero non molto.
“Allora, dimmi” disse Bryers. “Se dovessi azzardare un’ipotesi, perché il killer si è disfatto dei corpi qui?”
“Non credo l’abbia fatto per comodità” disse Mackenzie. “Credo che stia cercando di non correre rischi. Lascia i corpi qui perché vuole farli sparire. Inoltre secondo me vive qui vicino... a non più di trenta o cinquanta chilometri. Non credo che andrebbe in macchina più lontano di così solo per disfarsi di un cadavere... soprattutto di notte.”
“Perché di notte?” domandò Bryers.
Mackenzie sapeva che la stava mettendo alla prova, ma non le dispiaceva. Vista l’incredibile opportunità che le era stata data, se lo aspettava.
“Perché sarebbe obbligato a venire di notte per gettare un cadavere. Farlo alla luce del giorno quando ci sono anche gli addetti ai lavori sarebbe stupido.”
“Quindi credi che sia intelligente?”
“Non necessariamente. È attento e prudente, il che non equivale a intelligente.”
“Ti ho vista cercare orme” disse lui. “Anche noi ci abbiamo provato, ma non abbiamo trovato niente di utile. Ce ne sono troppe.”
“Già, sarebbe difficile isolarle” convenne lei. “Naturalmente, come dicevo, secondo me il corpo dev’essere stato scaricato qui dopo ore. Anche tu stai procedendo seguendo questa ipotesi?”
“Proprio così.”
“Allora non ci saranno impronte qui” concluse Mackenzie.
Lui le sorrise. “Giusto” disse. “Non impronte di pneumatici. Ma di scarpe sì. Però non conta, dato che anche di quelle ce ne sono troppe.”
Mackenzie annuì, sentendosi una stupida per essersi lasciata sfuggire un dettaglio così ovvio. Poi però la sua mente seguì subito un’altra direzione.
“Be’, non è che si sia portato il cadavere in spalla” disse. “Da qualche parte devono esserci le impronte del suo veicolo. Non qui, ma forse appena fuori dal cancello. Potremmo controllare per vedere quali tracce si fermano fuori dal cancello e quali proseguono oltre. Potremmo anche perlustrare il terreno vicino alla recinzione per cercare il punto in cui ha fatto cadere il corpo.”
“Questo è un valido ragionamento” commentò Bryers, chiaramente divertito. “È un dettaglio a cui sono arrivati anche i colleghi al laboratorio e che invece a me era sfuggito. Comunque hai ragione. L’auto del colpevole dev’essersi fermata fuori dal cancello. Quindi, seguendo il tuo ragionamento, se troviamo tracce che arrivano al cancello, poi si fermano e tornano indietro, sono quelle dell’assassino.”
“Potrebbero essere” disse Mackenzie.
“Il tuo ragionamento fila, ma non ci porta a nulla di nuovo. Che altro?”
Non era maleducato o sprezzante, lo si capiva dal tono di voce. La stava semplicemente spronando, spingendola a continuare a pensare.
“Sappiamo quanti veicoli transitano qui in un giorno?”
“All’incirca millecento” disse Bryers. “Se però riusciamo a trovare impronte che arrivano vicino al cancello e poi si fermano...”
“Sarebbe un punto di partenza.”
“È quello che speriamo di trovare” disse Bryers. “C’è già una squadra all’opera su questo da ieri pomeriggio, ma non abbiamo ancora nessuna pista.”
“Se vuoi posso dare un’occhiata anch’io” disse Mackenzie.
“Fa’ pure” disse Bryers. “Ma adesso lavori con l’FBI. Non devi impazzire se c’è un dipartimento che può gestire la cosa meglio di te.”
Mackenzie tornò a guardare la discarica, cercando di distinguere i rifiuti compattati. Una giovane donna era stata lì dentro fino a poco prima, nuda e contusa. Era stata lasciata nello stesso luogo dove le persone gettano i rifiuti, le cose di cui non hanno più bisogno. Forse il killer voleva insinuare che le donne che aveva ucciso non valessero più della comune spazzatura.
Desiderò essere stata presente anche lei lì con Bryers e il suo ex collega. Forse avrebbe avuto più elementi su cui indagare. Forse sarebbe riuscita a portare Bryers più vicino a un sospettato. Almeno era riuscita a dimostrarsi in gamba con la sua veloce intuizione sulle impronte di pneumatici.
Si voltò verso di lui e vide che se ne stava fermo in piedi ad osservare oltre il cancello. Le stava chiaramente lasciando il tempo per riflettere. Lei lo apprezzava, ma ancora una volta si sentì consapevole di essere una principiante.
Si avventurò verso la recinzione che circondava la discarica. Iniziò dal cancello dal quale accedevano i veicoli e proseguì verso sinistra. Stava esaminando la parte inferiore della rete quando un pensiero la colpì.
Sicuramente ha dovuto scavalcare la rete.
Quindi si mise a esaminarla. Non sapeva di preciso cosa cercasse. Magari della terra, oppure delle fibre incastrate nella rete. Qualunque cosa avesse trovato non sarebbe stato molto, ma sarebbe stato comunque qualcosa.
Passarono meno di due minuti prima che notasse qualcosa di interessante. Era così minuscolo che le era quasi sfuggito. Avvicinandosi, però, vide che poteva essere più utile di quello che aveva creduto.
Quasi due metri sulla sinistra del cancello, a circa un metro e mezzo di altezza, c’era un lembo di stoffa bianca impigliato nella maglia della rete metallica. Magari la stoffa in sé non sarebbe stata di grande aiuto, ma almeno avrebbe potuto fornire un’indicazione su dove iniziare a cercare impronte digitali.
“Agente Bryers?” chiamò.
Lui la raggiunse lentamente, come se non si aspettasse molto. Quando fu vicino, lo udì emettere un mmmh mentre osservava la stoffa.
“Ottimo lavoro, White” disse.
“Ti prego, chiamami Mackenzie” disse. “Oppure Mac, se ti senti coraggioso.”
“Secondo te cos’è?” le chiese.
“Forse niente. O forse un lembo di stoffa che appartiene a qualcuno che di recente ha scavalcato la recinzione. La stoffa in sé potrebbe essere inutile, ma ci dà un’area delimitata dove possiamo concentrarci per rilevare impronte digitali.”
“C’è un piccolo kit per la raccolta delle prove nel baule dell’auto. Andresti a prenderlo mentre io riferisco quello che abbiamo trovato?”
“Certo” disse lei, tornando alla macchina.
Quando tornò, stava già concludendo la telefonata. Bryers era sempre rapido ed efficiente. Era una delle cose che stava imparando ad apprezzare in lui.
“D’accordo, Mac” le disse. “Adesso seguiamo il tuo suggerimento di oggi. Il marito della vittima vive a circa venti minuti da qui. Sei pronta?”
“Certo” disse Mackenzie.
Risalirono in macchina e si allontanarono dalla discarica ancora chiusa. Sopra di loro volavano degli avvoltoi, osservando tutto ciò che accadeva con sguardo indifferente.
***
Caleb Kellerman aveva già ospiti due poliziotti quando Mackenzie e Bryers giunsero a casa sua. Viveva appena fuori Georgetown, in un’abitazione a due piani che era carina come prima casa. Pensare che i Kellerman erano stati sposati da poco più di un anno quando la moglie era stata assassinata fece sentire Mackenzie davvero dispiaciuta per l’uomo, ma anche arrabbiata per quello che era accaduto.
Una prima casa che non avrà mai la possibilità di vedere cos’altro sarebbe potuta diventare, pensò Mackenzie entrando. È estremamente triste.
Entrarono dall’ingresso principale, trovandosi in un piccolo atrio che si affacciava direttamente sul salotto. Mackenzie avvertì lo strisciante senso di solitudine e silenzio che riempiva gran parte delle case poco dopo un lutto. Sperava che prima o poi ci si sarebbe abituata, ma ne dubitava.
Bryers si presentò agli agenti, che sembrarono sollevati quando venne loro chiesto di farsi da parte. Una volta che se ne furono andati, Bryers e Mackenzie si recarono nel salotto. Mackenzie notò che Caleb Kellerman sembrava giovanissimo; con il viso sbarbato, la maglietta dei Five Finger Death Punch e pantaloncini mimetici extra large, sarebbe facilmente passato per un diciottenne. Mackenzie tuttavia riuscì a vedere oltre le apparenze, trovando sul volto del giovane un’indicibile sofferenza.
Lui alzò lo sguardo, in attesa che uno di loro due prendesse la parola. Mackenzie vide Bryers farle un lieve cenno del capo in direzione di Caleb Kellerman, suggerendole di procedere. Fece un passo avanti, terrorizzata ma al tempo stesso lusingata che le fosse concessa tanta autorità. O Bryers aveva molta fiducia in lei, oppure stava cercando di metterla a disagio.
“Signor Kellerman, io sono l’Agente White e questo è l’agente Bryers.” Esitò un istante. Si era appena definita l’Agente White? Suonava davvero bene. Accantonò quel pensiero e proseguì. “So che sta affrontando una perdita enorme e non fingerò di poterla comprendere” disse in tono pacato e caloroso, ma al tempo stesso deciso. “Tuttavia, se vogliamo catturare la persona che ha fatto questo, siamo costretti a farle delle domande. Se la sente?”