Kitabı oku: «Una Ragione per Correre », sayfa 4

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CAPITOLO SETTE

Nella mente di Avery la stanza si svuotò; divenne nera e tutto ciò che riusciva a vedere erano i cinque uomini, Ramirez accanto a lei e il pugno di Desoto che le si avvicinava al volto. La chiamava la nebbia, una dimensione dove andava spesso ai tempi in cui correva. Un altro mondo, separato dalla sua esistenza fisica. Il suo istruttore di jujitsu la definiva la “consapevolezza definitiva”, uno spazio in cui la sua concentrazione si faceva selettiva, e quindi i sensi erano più amplificati attorno a determinati obiettivi.

Volteggiò oltre il braccio di Desoto e gli strinse il polso. Nello stesso momento, raddrizzò un fianco per fare leva e usò lo slancio per scagliarlo sul pavimento dello scantinato. Il legno si incrinò e il grosso uomo si schiantò pesantemente.

Senza fermarsi, Avery si girò e colpì il suo assalitore allo stomaco. Dopo di che, tutto iniziò a muoversi al rallentatore. Prese di mira tutti e cinque gli uomini, per provocare il massimo dei danni con il minimo dello sforzo. Un colpo alla gola ne fece cadere uno a terra. Un calcio all’inguine seguito da un violento colpo all’indietro e un altro uomo si schiantò sul tavolo spaccato. Per un secondo perse di vista il fratello di Desoto. Si voltò per scoprire che stava per colpirla con un tirapugni; Ramirez si intromise con un balzo e lo sbatté a terra.

Desoto ruggì e la afferrò da dietro in una stretta micidiale.

L’enorme peso del suo corpo era come un blocco di cemento. Avery non riusciva a liberarsi dalla sua presa. Calciò per aria e lui la sollevò e la gettò contro un muro.

Avery volò contro una scaffalatura e l’intero mobile le precipitò addosso quando cadde a terra. Desoto le sferrò un calcio allo stomaco; il colpo fu così forte da sollevarla per aria. Un altro calcio e le scattò la testa all’indietro. Desoto si abbassò. Grosse braccia le strinsero il collo in una morsa pericolosa. Uno scatto rapido e lei tornò verticale, con i piedi ciondoloni.

“Potrei spezzarti il collo,” sussurrò lui, “come un ramoscello.”

Stordita.

La sua mente era stordita per i colpi. Era difficile prendere fiato.

Concentrati, ordinò a se stessa. O sei morta.

Cercò di farlo ribaltare, o di liberarsi dalla presa delle sue braccia. La morsa ferrea la tenne stretta. Qualcosa si abbatté sulla schiena di Desoto. L’uomo abbassò i piedi di Avery per terra e si guardò alle spalle per vedere Ramirez con una sedia.

“Non ti ha fatto male?” chiese Ramirez.

Desoto ringhiò.

Avery tornò in sé, sollevò una gamba e gli spinse il tallone sulle dita dei piedi.

“Uh!” ululò Desoto.

Indossava una maglietta bianca con i bottoni, pantaloni corti beige e infradito; il tallone di Avery gli aveva spaccato due ossa. Istintivamente la lasciò andare, e quando fu pronto a stringerla di nuovo, Avery era già in posizione. Un rapido pugno alla gola fu seguito da un colpo al plesso solare.

A terra c’era una mazza di ferro.

Lei la prese e lo colpì alla testa.

Desoto si accasciò immediatamente al suolo.

Due dei suoi uomini erano già a terra, incluso il fratello minore. Un terzo, che aveva osservato la lotta con Desoto, sgranò gli occhi per la sorpresa. Estrasse la pistola e Avery gli schiaffeggiò la mano con la mazza, volteggiò su se stessa per lo slancio e lo colpì in faccia. L’uomo volò contro una scaffalatura.

Nel frattempo gli ultimi due uomini avevano sopraffatto Ramirez.

Avery roteò la mazza contro l’interno delle ginocchia di un assalitore. Lui si ribaltò e lei gli abbatté il metallo sul petto, per poi calciarlo in faccia con violenza. L’altro uomo le sferrò un pugno su una guancia e la scagliò urlando sul tavolo da poker.

Si schiantarono insieme.

L’uomo era su di lei e continuava a colpirla. Alla fine Avery riuscì ad afferrargli un polso e si girò. Lui cadde e lei roteò per intrappolargli le braccia in una presa di sottomissione. Era perpendicolare al suo corpo. Aveva la gambe sopra la sua pancia e le braccia erano diritte e iper-estese.

“Lasciami andare! Lasciami andare!” gridò l’uomo.

Lei sollevò una gamba e lo calciò in faccia fino a quando non perse i sensi.

“Vaffanculo!” urlò.

Tutto cadde nel silenzio. Tutte e cinque gli uomini, Desoto incluso, erano svenuti.

Ramirez gemette e si alzò sulle mani e le ginocchia.

“Gesù…” sussurrò.

Avery notò una pistola sul pavimento. La prese e la puntò alla porta dello scantinato. Non appena ebbe preso la mira, Tito apparve.

“Non alzare la pistola!” strillò Avery. “Mi hai sentita? Non farlo!”

Tito gettò un’occhiata all’arma che stringeva in mano.

“Alza la pistola e ti sparo.”

La scena nella stanza era impossibile da credere per Tito; quando vide Desoto, rimase praticamente a bocca spalancata.

“L’hai fatto tu questo?” domandò seriamente.

“Lascia a terra la pistola!”

Tito prese la mira.

Avery fece fuoco due volte nel suo petto e lo spedì a gambe all’aria sulle scale.

CAPITOLO OTTO

Fuori dal caffè, Avery si teneva una borsa di ghiaccio sull’occhio. Sotto pulsavano due brutti lividi e tutta la guancia era gonfia. Respirare era difficile, che le fece temere di essersi rotta una costola, e aveva il collo dolorante e arrossato per la stretta violenta di Desoto.

Nonostante le violenze, Avery si sentiva bene. Meglio che bene. Era riuscita a difendersi contro un killer gigantesco e altri cinque uomini.

Ce l’hai fatta, pensò.

Aveva passato anni a imparare a combattere, innumerevoli anni e ore da sola nel dojo, facendo sparring contro se stessa. Aveva già partecipato ad altri combattimenti, ma nessuno contro cinque uomini, e di certo nessuno contro qualcuno di forte quanto Desoto.

Ramirez era seduto sul marciapiede. Uscito dallo scantinato era stato sul punto di collassare. In confronto ad Avery era messo molto male: il suo volto era tumefatto e coperto di tagli, e aveva costantemente le vertigini.

“Sei stata una bestia laggiù,” borbottò, “un vero animale…”

“Grazie?” rispose lei.

Il locale di Desoto era nel cuore dell’A7, quindi Avery si era sentita obbligata a chiamare Simms per i rinforzi. Un’ambulanza era sulla scena, insieme a diversi agenti dell’A7 arrivati per portare dentro Desoto e i suoi uomini con le accuse di aggressione, possesso d’armi e altre piccole infrazioni. Il corpo di Tito, avvolto in un sacco nero, venne riportato su e caricato nel retro del veicolo per le emergenze.

Simms apparve e scosse la testa.

“Laggiù è un casino,” disse. “Grazie per tutte le scartoffie extra.”

“Preferivi che chiamassi i miei?”

“No,” ammise lui, “immagino di no. Abbiamo tre diversi dipartimenti che stanno cercando di incastrare Desoto, così almeno possiamo metterlo sotto torchio. Non so cosa avessi in mente, a venire qui senza rinforzi, ma bel lavoro. Come hai fatto ad affrontarli tutti e sei da sola?”

“Sono stata aiutata,” rispose Avery con un cenno verso Ramirez.

Ramirez alzò una mano in segno di riconoscimento.

“E che mi dici dell’assassino dello yacht?” chiese Simms. “Qualche collegamento?”

“Non credo,” rispose lei. “Due dei suoi uomini hanno rapinato il negozio un paio di volte. Desoto era sorpreso e incazzato. Se i commessi confermano la storia, credo che non ci siano dubbi. Volevano i soldi, non una proprietaria del negozio morta.”

Un altro agente apparve e fece cenno a Simms.

Simms diede un colpetto sulla spalla di Avery.

“Forse è meglio se te ne vai,” disse. “Ora li portano su.”

“No,” disse Avery. “Vorrei vederlo.”

Desoto era così grosso che dovette chinarsi per uscire dalla porta d’ingresso. Era affiancato da due agenti e ce n’era un altro alle sue spalle. In confronto a tutti gli altri, sembrava un gigante. I suoi uomini vennero accompagnati di sopra dopo di lui. Tutti furono sospinti verso un furgone della polizia. Mente si avvicinava ad Avery, Desoto si fermò e si voltò; nessuno dei poliziotti riuscì a farlo smuovere.

“Black,” la chiamò.

“Sì?” disse lei.

“Sai quel bersaglio di cui parlavi?”

“Sì?”

“Click, click, boom,” disse lui con un occhiolino.

La fissò per un altro istante prima di lasciare che la polizia lo facesse salire sul furgone.

Le minacce a vuoto facevano parte del lavoro. Avery lo aveva imparato molto tempo prima, ma un uomo come Desoto non parlava a vanvera. Vista da fuori, rimase immobile e lo fissò fino a quando non se ne fu andato, ma dentro di sé riuscì a malapena a mantenere la calma.

“Ho bisogno di bere,” disse.

“Assolutamente no,” borbottò Ramirez, “sto di merda.”

“Facciamo così,” disse lei. “Qualsiasi bar tu voglia. Scegli tu.”

Lui si illuminò subito.

“Davvero?”

Avery non si era mai offerta di andare in un bar scelto da Ramirez. Quando lui usciva, andava a bere con la squadra, mentre Avery sceglieva posti tranquilli e poco noti nel suo quartiere. Da quando era iniziata la loro specie di relazione, Avery non lo aveva mai accompagnato fuori, né era andata a bere con chiunque altro del dipartimento.

Ramirez si alzò troppo in fretta, ondeggiò ma si riprese.

“Ho il posto che fa per noi,” disse.

CAPITOLO NOVE

“Cazzo, sì!” ruggì Finley ubriaco. “Hai appena battuto sei membri della Chelsea Death Squad, incluso Juan Desoto? Non ci credo. Non ci credo, cazzo. Dicono che Desoto sia un mostro. Certi non credono neppure che esista.”

“L’ha fatto,” giurò Ramirez. “Ero proprio lì, amico. Ti dico la verità, l’ha fatto. La ragazza è una maestra di kung fu o una cosa così. Avesti dovuto vederla. Veloce come una saetta. Non ho mai visto niente del genere. Dove hai imparato a combattere così?”

“Molto ore in palestra,” spiegò Avery. “Nessuna vita. Niente amici. Solo io, un sacco da boxe, e lacrime e sudore a litri.”

“Mi devi insegnare qualcuna di quelle mosse,” la supplicò lui.

“Anche tu te la sei cavata bene,” disse Avery. “Mi hai salvata due volte, se non ricordo male.”

“È vero, l’ho fatto,” confermò lui facendosi sentire da tutti.

Erano al Joe’s Pub su Canal Street, un bar per poliziotti a pochi isolati di distanza dalla stazione di polizia dell’A1. Al grande tavolo di legno c’erano tutti gli uomini che erano stati nella squadra Omicidi insieme ad Avery: Finley, Ramirez, Thompson e Jones, insieme ad altri due poliziotti di quartiere che erano amici di Finley. Il supervisore della Omicidi, Dylan Connelly, era a un altro tavolo non lontano, a bere insieme ad alcuni uomini che lavoravano nella sua unità. Di tanto in tanto, alzava lo sguardo come per attirare l’attenzione di Avery, ma lei non se ne era accorta.

Thompson era l’uomo più grosso di tutto il bar. Praticamente albino, aveva la pelle estremamente pallida, sottili capelli biondi, labbra carnose e occhi chiari. Il suo sguardo ubriaco si incupì guardando Avery.

“Io potrei batterti,” dichiarò.

“Io potrei batterla,” esclamò Finley. “È una ragazza. Le ragazze non sanno combattere, lo sanno tutti. È stato un caso. Desoto era ammalato e i suoi uomini sono rimasti improvvisamente accecati dalle sue grazie femminili. Non è possibile che li abbia battuti ad armi pari. Impossibile.”

Jones, un giamaicano snello e con qualche anno in più degli altri, si chinò in avanti molto interessato.

“Come hai battuto Desoto?” domandò. “Sul serio. Niente cazzate sulla palestra. Anche io vado in palestra e guardami. Non metto su neanche un etto.”

“Sono stata fortunata,” disse Avery.

“Sì, ma come?” voleva davvero sapere.

“Jujitsu,” spiegò lei. “Un tempo correvo, quando facevo l’avvocato, ma dopo tutto lo scandalo, fare jogging per la città non è stata più una buona idea. Mi sono iscritta a un corso di jujitsu e ci ho passato ore e ore. Credo che stessi cercando di purificare la mia anima o qualcosa del genere. Mi piaceva. Molto. Così tanto che l’istruttore mi ha dato le chiavi della palestra e mi ha detto che potevo andarci quando volevo.”

“Jujitsu del cazzo,” disse Finley come se fosse stata una parolaccia. “Non mi serve il karate. Mi basta chiamare i miei ragazzi e loro fanno pop-pop-pop!” gridò, fingendo di sparare con una mitragliatrice. “Fanno saltare tutti per aria!”

Per commemorare l’evento venne ordinato un giro di bevute.

Avery giocò a biliardo, tirò le freccette e alle dieci di sera era completamente sbronza. Era la prima volta che passava veramente del tempo insieme alla sua squadra, e provava un autentico senso di comunità. In un raro momento di vulnerabilità, gettò le braccia attorno al ben più basso Finley, vicino al tavolo da biliardo. “Tu per me sei uno a posto,” dichiarò.

Finley, apparentemente incantato dal suo tocco e dalla presenza vicina a sé di quella dea alta e bionda, rimase senza parole per un momento.

Ramirez era curvo al bar, seduto da solo, dove era stato tutta la serata. Il tragitto fino a lui quasi spedì Avery a faccia in giù sul pavimento. Gli mise le braccia attorno al collo e lo baciò sulla guancia.

“Va meglio così?” chiese.

“Fa male.”

“Aw,” cinguettò lei. “Andiamocene da qui. Ti farò stare meglio.”

“Nah,” borbottò Ramirez.

“Che c’è che non va?”

Ramirez era affranto quando si girò.

“Tu,” rispose. “Sei incredibile in tutto quello che fai. E io cosa sono? A volte mi sembra di essere solo la tua spalla. Lo sai, fino a quando non sei arrivata tu, ero convinto di essere un ottimo poliziotto, ma ogni volta che siamo insieme vedo i miei difetti. Questa mattina… chi altro avrebbe potuto impedire a quel tizio di sparare all’agente? Al molo, chi altro avrebbe potuto vedere quello che hai notato tu? Chi altro avrebbe potuto convincere Desoto a farti entrare nel suo covo per poi batterlo? Sei tanto in gamba, Avery, che mi fai mettere in dubbio il mio valore.”

“Andiamo,” disse Avery e appoggiò la fronte alla sua. “Sei un ottimo poliziotto. Mi hai salvato la vita. Di nuovo. Desoto mi avrebbe spezzato il collo a metà.”

“Lo avrebbe fatto chiunque,” disse lui allontanandosi.

“Sei il poliziotto meglio vestito che conosca,” affermò lei, “e quello più entusiasta, senza contare che mi fai sempre sorridere con il tuo atteggiamento positivo.”

“Davvero?”

“Sì,” insistette lei. “Io mi perdo troppo nei miei pensieri. Rischio di stare a rimuginare per settimane. Tu mi costringi a uscire dal guscio e mi fai sentire una donna.”

Lo baciò sulle labbra.

Ramirez abbassò il capo.

“Grazie,” disse. “Sul serio. Grazie. Significa molto per me. Sto bene. Solo, dammi un minuto, va bene? Lasciami finire il mio drink e riflettere su un paio di cose.”

“Certo,” rispose lei.

Il bar era persino più affollato di quando erano arrivati. Avery scrutò la folla. Thompson e Jones se ne erano andati. Finley stava giocando a biliardo. C’era qualche altro agente che lei riconobbe dall’ufficio, ma nessuno che tenesse particolarmente a incontrare. Due uomini ben vestiti le fecero un cenno e indicarono i drink. Lei scosse la testa.

Le ritornarono alla mente delle immagini: le mani di Desoto attorno al suo collo, e la donna sulla barca con l’ombra inquietante e la stella.

Avery ordinò un altro bicchiere e trovò un tavolo tranquillo in un angolo vicino al fondo. Doveva sembrare pazza agli altri avventori: una donna sola con il volto pesto, le mani sul tavolo attorno a un bicchiere e lo sguardo concentrato sul nulla, mentre dentro di sé passava al setaccio gli eventi del giorno per trovare un collegamento.

Desoto, un vicolo cieco.

I genitori, un vicolo cieco.

Le amiche? Avery si rese conto che a un certo punto avrebbe dovuto contattarle, meglio prima che dopo.

Perché l’assassino ha disegnato una stella?

Pensò all’appartamento dove era avvenuto l’omicidio, ai libri, ai vestiti nel cesto e al tappeto mancante. È grosso, pensò, e forte, ed è sicuramente arrabbiato. Le telecamere sono state rese inutilizzabili, che significa che è cauto. Un addestramento militare? Forse.

Spuntò un’altra casella.

Decisamente un gesto personale, rifletté. Torna indietro nel passato della Venemeer. Scopri chi altro ha lavorato nel negozio, o è uscito con lei a scuola. Compila una lista. Dopo aver fatto la lista, parla di nuovo con i genitori perché possano confermarla.

I pezzi iniziarono a prendere forma, pezzi di un puzzle che doveva ancora completare.

Ramirez era proprio davanti a lei, intento a osservarla.

“Ehi,” disse Avery, coprendosi il volto per l’imbarazzo.

“Guardati un po’.” Lui sorrise a sua volta. “Che cosa stai facendo?”

Le sue guance si tinsero di rosso.

“È così che lavoro,” spiegò lei.

Ramirez le si accomodò di fianco.

“Come?” chiese. “Spiegami.”

“Io… analizzo tutto con la mente,” disse lei. “Tutti i fatti. Tutti i pezzi. Provo a cercare mentalmente i collegamenti. Mi creo un elenco di piste da seguire così da non tralasciare niente. Devo essere meticolosa.”

“Perché?” chiese lui. “Perché sei così brava con queste cose?”

Le apparve un’immagine di suo padre, con il fucile in mano, la canna puntata al suo volto. “Smettila di frignare o ti darò io una ragione per piangere!”

Per scappare, pensò.

Era tutto ciò che Avery aveva desiderato per la maggior parte della vita: scappare dal suo passato. Ma per scappare le serviva un piano, e i piani spesso andavano a monte.

“Era l’unico modo per andarsene,” disse.

“Andarsene? Da dove?”

Avery si voltò verso di lui e gli svelò qualcosa che non ammetteva ad alta voce da anni.

“Ero un’orfana. Lo sapevi?”

Ramirez si appoggiò all’indietro sbalordito.

“No!” esclamò. “Non avrei mai detto che fossi un’orfana. Sono davvero un pessimo poliziotto.”

“Non pensarlo nemmeno.” Lei sorrise e gli strinse una mano.

“Comunque,” continuò. “Sono stata in affido per sei anni. Sono stata in un sacco di case e sono stata scelta da qualche famiglia. Matrigne, è così che le chiamano. Vengono pagate per prendere ragazzini che non hanno nessun altro posto dove andare. Tutti sono felici. Lo stato si sbarazza dei bambini meno gestibili e delle persone orribili ottengono degli schiavi.”

“Avery, mi dispiace così tanto.”

“C’era una matrigna…”

Sul loro tavolo si abbatté un giornale.

Dylan Connelly era in piedi sopra di loro.

“Lo hai visto?” disse “È l’edizione della sera. È dappertutto su Internet. Una copia della lettera è stata spedita all’A7. O’Malley ci sta aspettando. Vuole che tutta la squadra esamini quello che hai scoperto finora. Viene dal tuo assassino.”

Sulla prima pagina del giornale campeggiava: Omicidio alla Marina, e mostrava una foto della vittima sulla prua dello yacht ormeggiato alla banchina. Alcune frasi dell’articolo le saltarono all’occhio: “Il campione di saliva preso dalla lettera corrisponde a quello della donna uccisa,” e “Possibile collegamento con la libreria.” Avery era citata per nome due volte: una come investigatore dell’A1 chiamata ad aiutare con il caso, e un’altra come possibile interesse amoroso del serial killer in prigione Howard Randall.

Un titolo più piccolo diceva: La Lettera dell’Assassino! La foto mostrava un’immagine ingrandita di parole scarabocchiate su della carta.

Avery voltò la pagina.

La lettera occupava tutta una pagina. Il messaggio dell’assassino era scritto come un poema:

Come puoi interrompere il ciclo?

Come goderti ogni momento della vita?

Ho trovato la chiave.

Posso ottenere il premio.

Chiunque osi si faccia avanti.

Io vi sfido.

Il primo corpo è in posizione. Ce ne saranno molti altri.

Avery l’appoggiò, tutto il suo corpo tremava.

Ce ne saranno molti altri.

Con improvvisa certezza, seppe che aveva ragione.

CAPITOLO DIECI

Prima ancora dell’ingresso di Avery e Ramirez nella sala conferenze dall’A1, i due sentirono O’Malley che urlava al viva voce.

“Completamente inaccettabile, Will! Avreste dovuto passarci tutte le vostre informazioni. Gestiamo noi il caso adesso. E invece hai ricevuto delle prove importantissime e hai deciso di tenertele per te. Quando ci avresti chiamati?”

“Abbiamo ricevuto la lettera solo questo pomeriggio,” gridò Holt dal telefono.

“E come hanno fatto i giornali ad averla?”

“Ne hanno ricevuto una copia. Noi qui abbiamo l’originale, ma l’assassino ha fatto delle copie. Da quello che ho capito, le ha mandate a tutti i giornali.”

“Non è possibile che i giornali sapessero che la macchia in fondo alla lettera era un campione di saliva. Quello deve essere venuto dal tuo dipartimento. Quindi hai ricevuto la lettera, l’hai fatta controllare dalla Scientifica, hai trovato una corrispondenza con la saliva della vittima e poi l’hai detto a qualcuno. Solo così poteva succedere, Will. La prima telefonata che avresti dovuto fare era alla detective Black. Lo sai dove sono in questo momento? Sono in ufficio. Sai dove avrei dovuto essere? Avrei dovuto essere a letto con mia moglie. E invece sono qui. È perché non hai fatto il tuo lavoro, e ora abbiamo tra le mani un incubo pubblicitario e il sindaco è incazzato.”

“Calmati, Mike, calma.”

“Non mi calmerò fino a quando non mi avrai detto la verità!”

“La verità è che non avevamo idea che la lettera fosse collegata alla vittima di questa mattina. È arrivata tramite posta normale, è stata aperta dal nostro staff e qualcuno ha avuto la lungimiranza di mandarla alla Scientifica. È stato un caso che abbiano trovato una corrispondenza.”

“Chi ha chiamato i giornali?”

“Devono averci chiamati loro.”

“La fuga di notizie viene sicuramente dal tuo dipartimento.”

“Me ne occuperò io.”

“Sarà meglio che tu lo faccia, e la prossima volta mi aspetto che ci chiami subito.”

Riappese.

“Merda!” gridò.

Dylan Connelly si sedette.

“Capitano, perché non va a casa?” disse. “Posso occuparmene io.”

“Per ora non posso andare da nessuna parte,” rispose O’Malley, “perché il sindaco mi ha trascinato nella sua campagna anti crimine da vogliamoci-tutti-bene e ora sono fregato. Non preoccuparti, me ne andrò presto. Tu sei qui per sapere tutto quello che puoi da Black e Ramirez e da agire come ufficiale di collegamento con Simms dell’A7, così che questo non accada di nuovo. Voi due siete amici, giusto?”

“Eravamo insieme all’accademia.”

“Bene. Non appena abbiamo finito qui, chiamalo. Se non vuole parlare con me o con Black, almeno parlerà con te.”

“Potrebbe non essere colpa sua,” disse Avery. “Prima ha avuto un po’ da fare.”

“Oh, giusto,” scattò O’Malley. “Ora che ci penso. Bella faccia,” commentò ad Avery. “Che diavolo stavi facendo nel covo della banda di Juan Desoto?”

“Era una pista. La stavamo seguendo.”

“Avresti dovuto parlare con lui,” disse O’Malley. “Invece l’A7 ha cinque uomini in una cella di sicurezza e uno in ospedale. Come facciamo a sapere che non sporgeranno denuncia?”

“Non è colpa nostra, capitano,” disse Ramirez. “Siamo entrati…”

“Te l’ho chiesto?” scattò O’Malley. “No, non l’ho fatto. Non per niente, Ramirez, ma Black è la responsabile di questo caso ed entrare è stata una sua scelta. Che cosa è successo?”

“Volevamo solo parlare. Desoto ne ha fatto una cosa personale. A quanto pare qualche anno fa ho colpito suo cugino, ma non me lo ricordo. Desoto mi ha attaccato per primo e ha cercato di uccidermi, anzi ucciderci,” si corresse, con uno sguardo verso Ramirez. “Se non ci fossimo battuti, saremmo morti tutti e due.”

“Incarichi interdipartimentali,” sibilò O’Malley. “Cazzate. Beh, guardati le spalle. Desoto non la prenderà alla leggera. Ancora non si sa niente, ma io farei molta attenzione per un po’, e dovresti anche tu. Ora,” sospirò. “Torniamo alla lettera. Holt e la sua squadra hanno controllato che non ci fossero impronte. Niente. Cercare di rintracciare l’inchiostro della penna è inutile. Abbiamo lo stile della scrittura, ma fino a quando non abbiamo un sospettato, è inutile. Nessuno sa come la lettera sia finita nella loro buchetta postale. Questo tizio deve essere un fantasma. Qualche idea? Qualcuno?” disse con uno sguardo a Ramirez. “Ve lo garantisco, l’A7 cercherà di risolvere questo caso solo per dimostrare che non ha bisogno del nostro aiuto.”

Sul tavolo c’era una copia della lettera. Avery si chinò per esaminare ogni riga.

“‘Interrompere il ciclo’,” lesse, “‘goderti ogni momento’.” La vittima gestiva una libreria esoterica. Auto-aiuto, l’aldilà. Sembra qualcosa che direbbe un guru dell’auto-aiuto. Forse se cercassimo tra i suoi libri, potremmo trovare un riscontro?”

Nessuno disse nient’altro.

Si fissarono l’un l’altro per i seguenti dieci minuti e proposero idee a caso, ma ad Avery nessuna sembrò giusta, e si immaginò i pezzi del puzzle che si allontanavano sempre di più.

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