Kitabı oku: «Una Ragione per Nascondersi », sayfa 3
CAPITOLO QUATTRO
Quaranta minuti più tardi, Avery entrò nella sala conferenze del quartier generale dell’A1. Si era già formata una folla di agenti ed esperti vari, per un totale di dodici persone, e lei conosceva quasi tutti, anche se non bene quanto Ramirez o Finley. Immaginava fosse colpa sua. Dopo che Ramirez le era stato assegnato come partner, lei non si era di certo preoccupata di farsi degli amici. Le era sembrata una cosa sciocca, in quanto detective della squadra Omicidi.
Mentre tutti si accomodavano attorno al tavolo (a esclusione di Avery, che preferiva sempre rimanere in piedi), uno degli agenti che non conosceva iniziò a passare in giro copie stampate delle poche informazioni che avevano fino a quel momento—foto della scena del crimine e una lista per punti di ciò che sapevano del posto. Avery ne studiò una e la trovò succinta.
Notò che mentre tutti si sedevano, Ramirez si era sistemato davanti a lei. Abbassò lo sguardo su di lui e si rese conto che istintivamente gli si era avvicinata. Scoprì anche che avrebbe voluto appoggiargli una mano sulla spalla, solo per toccarlo. Indietreggiò, vedendo che Finley la stava guardando stranamente.
Merda, pensò. È così ovvio?
Tornò a tenersi occupata rileggendo gli appunti. Mentre leggeva, O’Malley e Connelly entrarono nella sala. O’Malley chiuse la porta e andò nella parte anteriore della stanza. Prima ancora che iniziasse a parlare, i mormorii e le conversazioni si acquietarono. Avery lo guardò con grande apprezzamento e rispetto. Era il tipo d’uomo che poteva prendere il controllo di una situazione schiarendosi semplicemente la gola o lasciando capire che stava per parlare.
“Grazie per esservi riuniti tanto rapidamente,” iniziò O’Malley. “Avete tra le mani tutto ciò che sappiamo di questo caso finora, con una sola eccezione. Ho chiesto a degli impiegati della città di procurarsi tutto ciò che riuscivano dalle telecamere dei semafori della zona. Due delle quattro telecamere mostrano una donna che passeggia con il cane. E questo è quanto abbiamo.”
“C’è un’altra cosa,” aggiunse uno degli agenti al tavolo. Avery sapeva che si chiamava Mosely, ma di lui non conosceva altro. “Proprio due minuti prima di venire a questa riunione ho saputo che il centralino ha ricevuto una chiamata da un uomo anziano. Ha detto di aver visto qualcuno che ha descritto come un ‘uomo alto e inquietante’ aggirarsi nella zona. A quanto pare aveva una specie di borsa sotto un lungo cappotto. Il centralino ne ha preso nota ma ha supposto si trattasse solo di un vecchio impiccione che non aveva niente di meglio da fare. Quando abbiamo aperto il caso della vittima di incendio, questa mattina, mi hanno informato.”
“Abbiamo un recapito di quest’uomo?” chiese Avery.
Connelly le lanciò un’occhiata irritata. Lei immaginò di aver parlato al momento sbagliato, anche se le aveva detto meno di quarantacinque minuti prima che quello era il suo caso.
“Sì,” rispose Mosely.
“Voglio che qualcuno lo chiami non appena la riunione si sarà conclusa,” ordinò O’Malley. “Finley… a che punto siamo con la lista dei posti che vendono sostanze chimiche che possono bruciare con quella potenza in un tempo così breve?”
“Ho trovato tre rivendite nel raggio di trenta chilometri. Due di queste mi devono mandare una lista delle sostanze che possono fare un danno simile e mi devono dire se le hanno o meno in magazzino.”
Avery ascoltò il botta e risposta, prendendo mentalmente appunti e cercando di organizzarli con un criterio appropriato. Con ogni nuova informazione, la strana scena del crimine di quella mattina iniziava ad avere sempre più senso. Anche se fino a quel punto, il senso era del tutto incomprensibile.
“Ancora non abbiamo idea di chi sia la vittima,” continuò O’Malley. “Dovremo usare le impronte dentali fino a quando non riusciremo ad avere un riconoscimento grazie alle riprese delle telecamere del traffico.” Poi spostò lo sguardo su Avery e le fece cenno di andare davanti al tavolo. “La detective Black è a capo del caso e quindi qualsiasi cosa troviate d’ora in avanti andrà direttamente a lei.”
Avery si unì a lui e scrutò la tavolata. Le cadde lo sguardo su Jane Parks, una degli investigatori capo della Scientifica. “Ci sono dei risultati sui frammenti di vetro?” chiese.
“Non ancora,” rispose la Parks. “Sappiamo per certo che non ci sono impronte digitali. Stiamo ancora cercando di capire che oggetto fosse. Per ora diamo per scontato che si tratti di un gingillo che non ha niente a che vedere con il crimine.”
“E quale è l’opinione della Scientifica sull’incendio?” domandò Avery. “Siete d’accordo che non si è trattato di un incendio casuale?”
“Sì. Stiamo ancora analizzando le ceneri, ma è ovvio che nessun incendio normale avrebbe potuto bruciare tanto accuratamente la carne umana. Sulle ossa non è rimasto quasi niente, lo scheletro stesso sembra immacolato e non mostra alcun segno di ustione.”
“Potrebbe descriverci in che modo brucerebbe normalmente un corpo?” chiese Avery.
“Beh, non c’è niente di normale nel bruciare un corpo umano, a meno che non lo si stia cremando,” spiegò Parks. “Diciamo che un corpo sia intrappolato in una casa in fiamme e prenda fuoco in questo modo. Il grasso corporeo agisce da carburante non appena la pelle viene consumata, e mantiene vivo il fuoco. Quasi come una candela, capisce? Ma in questo caso l’incendio è stato rapido e molto breve… probabilmente tanto intenso che ha vaporizzato il grasso prima che potesse fare da carburante.”
“Quanto tempo servirebbe a un corpo per bruciarsi fino alle ossa?” chiese Avery.
“Beh, ci sono diversi fattori determinanti,” rispose la Parks. “Ma tra le cinque e le sette ore sarebbe una stima accurata. Un incendio lento e controllato, come quelli usati nei forni crematori, può impiegare fino a otto ore.”
“E invece questo è bruciato in meno di un’ora e mezza?” domandò Connelly.
“Sì, questa è l’ipotesi,” disse la Parks.
La sala conferenze si riempì di bisbigli di disgusto e stupore. Avery lo capiva. Era difficile riuscire a scenderci a patti.
“Oppure,” disse Avery, “il corpo è stato bruciato altrove e i resti sono stati abbandonati in quel lotto questa mattina.”
“Ma lo scheletro… quello era uno scheletro nuovo,” affermò la Parks. “Ha passato molto poco tempo senza la sua pelle, i muscoli, i tessuti e tutto il resto. Davvero pochissimo tempo.”
“Riesce a darci una stima di quanto tempo fa il corpo è stato bruciato?” chiese Avery.
“Di certo non più di un giorno fa.”
“Quindi c’è voluta molta pianificazione e studio da parte del killer,” concluse Avery. “Deve saperne molto su come si bruciano i corpi. E siccome che non ha fatto alcun tentativo di nascondere i resti, e ha anche ucciso la vittima in una maniera tanto sorprendente… possiamo già raggiungere qualche conclusione. E quella che temo di più è che probabilmente questo sarà il primo di molti omicidi.”
“Che cosa vuoi dire?” chiese Connelly.
Lei sentì tutti gli sguardi presenti nella stanza su di sé.
“Voglio dire che probabilmente è l’opera di un serial killer.”
Un silenzio attonito gravò sulla stanza.
“Di che cosa stai parlando?” domandò Connelly. “Non hai prove per supportare un’affermazione del genere.”
“Niente di ovvio,” ammise Avery. “Ma voleva che i resti fossero trovati. Non ha fatto alcun tentativo di nasconderli in quel lotto. C’è un ruscello proprio in fondo alla proprietà, avrebbe potuto abbandonarlo lì. Inoltre c’è la cenere. Perché lasciare la cenere sulla scena quando puoi eliminarla facilmente a casa? La pianificazione e il metodo dell’omicidio… è molto fiero di ciò che ha fatto, ne ha ricavato piacere. Voleva che i resti fossero trovati e che se ne parlasse. E questi sono tutti segni che indicano un serial killer.”
Sentì tutti i presenti ricambiare il suo sguardo, percepì la solennità del momento e capì che erano arrivati tutti alla stessa conclusione: quella faccenda si stava trasformando da un bizzarro caso su una cremazione improvvisata a un’urgente caccia al serial killer.
CAPITOLO CINQUE
Dopo la tensione della riunione, Avery fu felice di ritrovarsi dietro al volante della sua auto, con Ramirez nel sedile del passeggero. Tra di loro c’era uno strano silenzio che la mise a disagio. Era davvero stata tanto ingenua da credere che andare a letto insieme non avrebbe alterato il loro rapporto di lavoro?
Era stato uno sbaglio?
Iniziava a pensare che lo fosse stato. Purtroppo il fatto che il sesso fosse stato praticamente stravolgente lo rendeva difficile da accettare.
“Mentre abbiamo un minuto di tempo,” iniziò Ramirez, “vogliamo parlare della notte scorsa?”
“Certo,” rispose Avery. “Di che cosa vuoi parlare?”
“Beh, a rischio di sembrare il classico maschio stereotipato, mi chiedevo se fosse una cosa di una notte sola o se lo faremo di nuovo.”
“Non lo so,” replicò Avery.
“Te ne stai già pentendo?” chiese lui.
“No,” lo rassicurò. “Nessun pentimento. È solo che lì per lì non ho pensato a come avrebbe influenzato il nostro rapporto di lavoro.”
“Non credo che possa rovinarlo,” disse Ramirez. “Scherzi a parte, io e te abbiamo girato attorno a questa attrazione fisica per mesi. Finalmente abbiamo fatto qualcosa, quindi la tensione dovrebbe essere svanita, giusto?”
“È proprio da te pensarla così,” replicò Avery con un sorriso malizioso.
“Tu non lo credi?”
Lei ci pensò su per un po’ e poi scrollò le spalle. “Non lo so. E a essere sincera, non sono certa di essere già pronta a parlarne.”
“Mi sembra giusto. In effetti siamo nel bel mezzo di un caso che sembra decisamente complicato.”
“Sì, lo siamo,” disse lei. “Hai ricevuto l’email del distretto? Che altro sappiamo del testimone, a parte il suo indirizzo di casa?”
Ramirez cercò nel telefono e ritrovò la mail. “Eccola,” annunciò. “Il nostro testimone si chiama Donald Greer, di ottantuno anni. In pensione. Vive in un appartamento a meno di un chilometro di distanza dalla scena del crimine. È un vedovo che ha lavorato cinquantacinque anni come supervisore in un cantiere navale, dopo essersi fatto saltare via due dita dei piedi in Vietnam.”
“E come è riuscito a vedere l’assassino?” chiese Avery.
“Questo ancora non lo sappiamo. Suppongo che scoprirlo sia il nostro lavoro, giusto?”
“Giusto,” disse lei.
Tra di loro ricadde il silenzio. Avery sentì l’istinto di tendersi e prenderlo per mano, ma ci ripensò. Era meglio mantenere la situazione strettamente professionale. Forse sarebbero finiti lo stesso di nuovo a letto insieme e magari le cose sarebbero andate ancora oltre—fino a diventare qualcosa di più emotivo e concreto.
In quel momento non aveva alcuna importanza. Avevano un lavoro da fare e tutto ciò che avesse a che fare con le loro vite private doveva essere messo da parte.
***
Donald Greer dimostrava tutti i suoi ottantuno anni. I suoi capelli erano una folta e scarmigliata massa bianca in cima alla testa e i denti erano leggermente scoloriti per l’età e le cure sbagliate. In ogni caso, era chiaramente lieto di ricevere visite mentre accoglieva Avery e Ramirez in casa sua. Quando sorrise, fu in modo tanto sincero e aperto che le condizioni anti-estetiche dei suoi denti sembrarono svanire.
“Vi posso offrire del caffè o del tè?” chiese loro mentre entravano.
“No, grazie,” rispose Avery.
Da qualche parte in casa un cane abbaiò. Era un cane piccolo e i suoi versi suggerivano che fosse vecchio almeno quanto Donald.
“Quindi, si tratta dell’uomo che ho visto stamattina?” chiese Donald. Si lasciò cadere su una poltrona nel soggiorno.
“Sì, signore, è così,” replicò Avery. “Ci è stato detto che ha visto un uomo alto che sembrava nascondere qualcosa sotto il suo…”
Il cane che si trovava da qualche parte nelle stanze sul retro dell’appartamento, cominciò ad abbaiare ancora più forte. I suoi guaiti erano rumorosi e piuttosto rauchi.
“Zitta, Daisy!” gridò Donald. Il cane si ammutolì, dopo un fioco guaito. Donald scosse la testa e ridacchiò. “A Daisy piace molto la compagnia,” spiegò. “Ma sta invecchiando e ha la tendenza a fare la pipì sulle persone quando si emoziona troppo, quindi ho dovuto chiuderla per il vostro arrivo. Ero fuori a farle fare la passeggiata quando ho visto quell’uomo.”
“Fin dove arriva con il cane?” chiese Avery.
“Oh, io e Daisy camminiamo almeno due chilometri e mezzo ogni mattina. Il mio cuore non è più quello di una volta e il dottore ha detto che devo camminare il più possibile. Così dovrebbero rimanere in forma anche le mie articolazioni.”
“Capisco,” disse lei. “Fa sempre lo stesso percorso tutte le mattine?”
“No. Di tanto in tanto lo cambiamo. Abbiamo circa cinque percorsi diversi.”
“E dove era quando ha visto l’uomo, questa mattina?”
“Sulla Kirkley. Io e Daisy avevamo appena girato l’angolo di Spring Street. Quella parte della città è sempre deserta al mattino. Qualche camion qua e là, ma niente di più. Credo che nell’ultimo mese circa abbiamo visto solo due o tre persone nella Kirkley… e stavano tutti passeggiando con il cane. In quella zona non ci sono neppure quei masochisti a cui piace correre.”
Era chiaro dal modo in cui chiacchierava che Donald Greer non riceveva molte visite. Aveva una gran voglia di parlare e declamava tutto a voce molto alta. Avery si chiese se fosse perché l’età gli aveva abbassato l’udito o se le sue orecchie si erano rovinare ascoltando Daisy che abbaiava ogni giorno.
“E questo uomo stava andando nella vostra direzione o stava tornando indietro?” chiese Avery.
“Credo che vi fosse diretto. Non sono sicuro. Era un bel po’ davanti a me e mi è sembrato che si fermasse per un istante quando sono arrivato alla Kirkley. Credo che abbia capito che ero lì, dietro di lui. Poi ha iniziato a camminare di nuovo, abbastanza in fretta, ed è svanito nella nebbia. Forse ha preso una di quelle stradine laterali lungo la Kirkley.”
“Forse stava facendo anche lui la passeggiata con un cane?” ipotizzò Ramirez.
“No, l’avrei capito. Daisy impazzisce quando vede un altro cane o ne sente l’odore in zona. Ma è rimasta in silenzio come al solito.”
“Ha qualche idea di che cosa potesse avere sotto la giacca che ha detto di avergli visto addosso?”
“Non sono riuscito a capirlo,” rispose l’uomo anziano. “L’ho solo visto che muoveva qualcosa al di sotto. Ma stamattina la nebbia era troppo fitta.”
“E che cosa può dirci del cappotto che indossava?” chiese Avery. “Di che tipo era?”
Prima che potesse rispondere furono interrotti dal cellulare di Ramirez. Lui rispose e si allontanò, parlando a bassa voce.
“Il cappotto,” continuò Donald, “era come quelli neri, lunghi ed eleganti che portano gli uomini d’affari. Il tipo che arriva alle ginocchia.”
“Come un soprabito,” disse Avery.
“Sì,” esclamò Donald. “Proprio così.”
Avery stava finendo le domande, piuttosto certa che quel colloquio con il loro unico testimone fosse un fiasco. Stava cercando di farsi venire in mente un’altra domanda rilevante quando Ramirez tornò nella stanza.
“Devo andare,” disse. “Connelly mi vuole a dare una mano per un problema vicino al Boston College.”
“Non c’è problema,” rispose Avery. “Credo che tanto qui abbiamo finito.” Si voltò verso Donald e disse: “Signor Greer, la ringrazio moltissimo per averci dedicato il suo tempo.”
Donald li accompagnò fino all’ingresso del palazzo e li salutò con la mano mentre entravano in auto.
“Vieni con me?” chiese Ramirez mentre si avviavano lungo la strada.
“No,” rispose lei. “Credo che ritornerò sulla scena del crimine.”
“A Kirkley Street?” disse il partner.
“Sì. Tu prendi pure l’auto per fare qualsiasi cosa ti abbia chiesto Connelly, io prenderò un taxi per tornare al quartier generale.”
“Sei sicura?”
“Sì, non è che abbia molto altro da...”
“Da fare?”
“Merda!”
“Che c’è?” chiese Ramirez, preoccupato.
“Rose. Avrei dovuto stare insieme a Rose questo pomeriggio. Le ho chiesto io di passare una giornata tra ragazze. E così non succederà. Devo darle buca un’altra volta.”
“Capirà,” disse Ramirez.
“No. No, non lo farà. Io la deludo sempre.”
Ramirez non seppe come rispondere. Nell’auto scese il silenzio fino a quando non raggiunsero Kirkley Street. Parcheggiò a lato dell’altra strada, direttamente davanti alla scena del crimine di quella mattina.
“Fai attenzione,” disse il partner.
“Certo,” rispose lei. Sorprese se stessa quando si tese e lo baciò leggermente sulle labbra.
Poi uscì dall’auto e iniziò subito a studiare la scena. Era così concentrata e immersa nei suoi pensieri che a malapena notò che Ramirez stava ripartendo alle sue spalle.
CAPITOLO SEI
Dopo aver fissato la scena per un momento, Avery si voltò e guardò lungo la strada. Seguì con lo sguardo il percorso che Donald Greer doveva aver fatto, fino alla propria destra, dove la Kirkley incrociava Spring Street. Si incamminò lungo la strada, arrivò all’incrocio e poi si girò.
Mentre avanzava diversi pensieri le affollavano la mente. Il killer si era mosso a piedi per tutto il tempo? E se era così, perché era arrivato da Spring Street, una strada desolata e in rovina proprio come la Kirkley? O forse era arrivato in auto. Se era quello il caso, dove avrebbe parcheggiato? Se la nebbia fosse stata abbastanza fitta, avrebbe potuto parcheggiare ovunque sulla Kirkley e la sua macchina sarebbe stata invisibile.
Se l’uomo con il lungo cappotto era davvero il loro assassino, aveva fatto quello stesso percorso meno di otto ore prima. Cercò di immaginarsi la scena avvolta in una fitta nebbia mattutina. Essendo una zona della città tanto desolata, non le fu difficile farlo. Mentre si dirigeva lentamente verso il lotto dove erano stati trovati le ossa e i frammenti, tenne gli occhi aperti alla ricerca di potenziali vicoli dove l’uomo avrebbe potuto defilarsi.
Ce n’erano molti, quello era certo. C’erano sei lotti vuoti e due strade laterali in cui avrebbe potuto nascondersi. Se ci fosse stata abbastanza nebbia, sarebbe potuto svanire completamente in uno qualsiasi di quei luoghi.
Quel fatto dava adito a un pensiero interessante. Se l’uomo si era nascosto in una di quelle aree, aveva lasciato andare Donald Greer senza disturbarlo. Ciò eliminava la possibilità che l’assassinio fosse stato un atto di violenza insensata. La maggior parte delle persone capaci di una simile brutalità non avrebbe lasciato andare Donald tanto facilmente. In effetti, nella maggior parte dei casi Donald sarebbe diventato un’altra vittima.
Se aveva avuto bisogno di altre prove a sostegno del fatto che il corpo era stato bruciato altrove, quel pensiero gliele fornì. Forse allora, l’oggetto che l’uomo teneva sotto il cappotto era stato il contenitore dei resti che aveva abbandonato nel lotto.
Aveva un senso e lentamente iniziò a provare un senso crescente di soddisfazione. Adesso sì che iniziava a capire qualcosa.
Arrivò al lotto dove erano stati trovati i resti. Sempre efficiente e sollecito, O’Malley aveva già allontanato la polizia dalla scena. Immaginò che lo avesse fatto non appena la scientifica era passata a raccogliere i resti.
Andò dove erano state abbandonate ossa e ceneri e si fermò lì, guardandosi intorno. L’area paludosa dietro al terreno era più visibile che mai da quella posizione. Era molto vicina e meno allo scoperto del resto del lotto. Quindi perché qualcuno avrebbe voluto abbandonare le ossa nel bel mezzo di un terreno abbandonato piuttosto che nel ruscello infestato dalle erbacce? Perché lasciare i resti all’aria aperta invece che nasconderli tra la melma e l’acqua stagnante?
Era una domanda su cui aveva già riflettuto. E nella sua mente, la risposta era la prova che avevano davanti un serial killer.
Perché vuole che la gente veda il suo operato. È orgoglioso e probabilmente anche un po’ arrogante.
Probabilmente era anche una persona intelligente. L’uso della nebbia per nascondersi indicava che aveva pianificato bene gli eventi. Doveva aver controllato il meteo con cura per assicurarsi che ci fosse abbastanza foschia. Doveva anche conoscere relativamente bene la zona. La sua pianificazione doveva essere stata meticolosa.
E il fuoco… doveva conoscere bene il fuoco. Per bruciare un corpo tanto accuratamente senza annerire o danneggiare altrimenti le ossa serviva pazienza e dedizione. L’assassino doveva davvero sapere molto sul fuoco e sul processo dell’incenerimento.
Incenerimento, pensò. Fuoco.
Mentre studiava la scena del crimine e immaginava l’assassino in piedi al suo posto, sentì che le stava sfuggendo qualcosa, un indizio cruciale che le stava proprio sotto il naso. Ma tutto ciò che riusciva a vedere era la zona paludosa e fangosa in fondo alla proprietà, insieme al piccolo riquadro di spazio dove una povera vittima era stata abbandonata come se non fosse stata altro che un comune mucchio di spazzatura.
Si guardò di nuovo intorno nel lotto vuoto e si chiese se il luogo del ritrovamento dei resti non fosse importante quanto credeva. Se l’assassino usava il fuoco come mezzo per inviare un messaggio a qualcuno (alla vittima o alla polizia), forse era su quello che avrebbe dovuto concentrarsi.
Mentre un’idea iniziava a prendere forma nella sua mente, tirò fuori il cellulare e chiamò il taxi più vicino per farsi portare via di lì. Dopo la chiamata e aver richiesto il taxi, guardò tra i suoi contatti e fissò il nome della figlia per cinque secondi.
Mi dispiace così tanto, Rose, pensò.
Premette CHIAMA e si portò il cellulare all’orecchio, mentre il suo cuore andava in mille pezzi.
Rose rispose al terzo squillo. Subito sembrò felice. Avery sentì della musica che risuonava fioca in lontananza, si immaginò la figlia che si preparava per il loro pomeriggio insieme e si odiò un po’.
“Ehi, mamma,” disse Rose.
“Ehi, Rose.”
“Che succede?”
“Rose…” iniziò. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Guardò il lotto abbandonato alle sue spalle, cercando di convincersi che doveva farlo e che un giorno, Rose avrebbe capito.
Senza che Avery aggiungesse un’altra parola, Rose apparentemente colse il senso della chiamata. Emise una breve risatina amara. “Perfetto,” disse la ragazza, senza più gioia nella voce. “Mamma, mi stai prendendo per il culo?”
Avery aveva già sentito imprecare la figlia ma quella volta fu una pugnalata al petto perché se lo meritava.
“Rose, mi hanno affidato un caso. È una brutta faccenda e io devo…”
“Lo so che cosa devi fare,” la interruppe Rose. Non gridò. Quasi non alzò nemmeno la voce. E in qualche modo, ciò rese tutto peggiore.
“Rose, non posso farci niente. Non mi aspettavo di certo che succedesse una cosa del genere. Quando mi sono organizzata con te, pensavo che avrei avuto un paio di giorni liberi. Ma è spuntata questa faccenda e… beh, le cose cambiano.”
“Immagino che succeda, a volte,” disse Rose. “Ma non con te. Con te, le cose sono sempre le stesse… quando si tratta di me, per lo meno.”
“Rose, questo non è giusto.”
“Non cercare neanche di dirmi che cosa è o non è giusto! Sai che c’è, mamma? Lasciamo perdere. Questa volta e qualsiasi altra volta ti venga in mente di giocare alla Buona Madre in futuro. Si vede che non è destino.”
“Rose…”
“Lo capisco, mamma, davvero. Ma tu ti rendi conto di quanto faccia schifo avere una donna come te per madre… una donna forte con un lavoro impegnativo? Una donna che rispetto moltissimo… ma che continua a deludermi, una volta dopo l’altra?”
Avery non sapeva che cosa dire. E non avrebbe avuto importanza, perché Rose non ne poteva più.
“Ciao, mamma. Grazie comunque per avermi avvisata in anticipo. Meglio così che se mi avessi dato buca, immagino.”
“Rose, io…”
La linea cadde.
Avery infilò il cellulare in fondo alla tasca e fece un respiro profondo. Dall’occhio destro le scivolò un'unica lacrima lungo una guancia e se l’asciugò il più rapidamente possibile. Poi camminò deliberatamente verso l’area che quella mattina era stata cordonata con il nastro della scena del crimine e la fissò a lungo.
Fuoco, pensò. Forse è più di qualcosa che il killer usa per colpire. Forse è simbolico. Forse è il fuoco l’indizio più importante.
E quindi mentre aspettava l’arrivo del taxi, pensò al fuoco e a che genere di persona avrebbe potuto usarlo per inviare un messaggio. Era difficile riuscire a comprenderlo, dato che conosceva molto poco della piromania.
Devo parlare con qualcun altro di questa faccenda, rifletté.
E con quel pensiero tirò fuori il cellulare e chiamò il quartier generale dell’A1. Chiese di farsi passare Sloane Miller, la psicologa dell’A1 e strizzacervelli di fiducia per gli agenti e i detective del distretto. Se qualcuno poteva capire la mente di un assassino con il fuoco nel cervello, quella era proprio Sloane.
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