Kitabı oku: «Vicolo Cieco », sayfa 2

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CAPITOLO TRE

Il ristorante giapponese che aveva scelto era di quelli con piano di cottura a vista, dove grandi gruppi di persone potevano sedere al bancone e guardare gli chef cuocere il cibo proprio davanti a loro. Chloe e Moulton optarono per un tavolo in una zona più privata e tranquilla del locale. Una volta sistematisi, Chloe notò con piacere che le pareva naturale trovarsi in un luogo del genere con lui. A parte l’attrazione fisica, Moulton le era piaciuto fin dal primo momento. Era lui che aveva illuminato la sua giornata quando era stata trasferita dalla Squadra Ricerca Prove al Programma Criminali Violenti. E adesso eccolo lì, che ancora una volta rendeva più sopportabili dei momenti imbarazzanti della sua vita.

Non voleva rovinare la serata, ma sapeva che se non si fosse tolta quel peso dal petto, sarebbe stato solo una distrazione.

“Allora” disse Moulton aprendo il menù. “È strano che ti abbia invitata ad uscire?”

“Di sicuro dipende a chi lo chiedi” disse. “Il direttore Johnson probabilmente penserebbe che non sia stata una grande idea. Ad ogni modo, a essere sincera, in realtà speravo che me lo chiedessi.”

“Ah, così sei una all’antica? Non mi avresti invitato tu? Avresti aspettato che facessi io il primo passo?”

“La tradizione non c’entra, c’entra piuttosto essere rimasta scottata da una relazione precedente. Immagino di potertelo anche dire, ormai. Fino a sette mesi fa, ero ufficialmente fidanzata.”

Lo shock sul viso di lui fu solo momentaneo. Per fortuna, Chloe non notò paura o imbarazzo. Prima che Moulton avesse modo di commentare, arrivò la cameriera a prendere le loro ordinazioni per il bere. Entrambi scelsero rapidamente una Sapporo, in modo da non perdere tempo e tornare alla discussione.

“Posso chiederti perché è finita?” chiese Moulton.

“È una lunga storia. La versione breve è che lui era un arrogante e non riusciva a staccarsi dalla famiglia d’origine, in particolare dalla madre. Quando poi all’improvviso ho avuto l’opportunità di iniziare la mia carriera nell’FBI, non mi è astato affatto di sostegno. Non lo era nemmeno per i miei problemi famigliari...”

In quel momento le venne in mente che Moulton probabilmente conosceva parte della storia della sua famiglia. Quando Chloe si era messa a scovare nel suo passato, verso la fine del suo addestramento, era perfettamente consapevole che un po’ tutti nell’accademia erano venuti a sapere delle voci su di lei.

“Sì, ho sentito qualcosa in proposito...”

Moulton non aggiunse altro. Chloe intuì che significava che sarebbe stato disposto ad ascoltarla, se avesse voluto raccontarglielo, ma che a lui stava altrettanto bene se non se la sentiva. E in quel momento, con tutto quello che aveva per la testa, Chloe pensò che era ora o mai più. Non ha senso aspettare, pensò.

“Ti risparmio i dettagli per un’altra volta, ma immagino dovrei dirti che ho visto mio padre oggi.”

“Quindi è libero adesso?”

“Già, e credo che sia in gran parte grazie a quello che ho scoperto sulla morte di mia madre negli ultimi mesi.”

A Moulton ci volle un attimo per decidere cosa dire, così prese qualche sorso di birra per guadagnare tempo, poi disse la cosa migliore che aveva da offrirle.

“Stai bene?”

“Credo di sì. È solo che non me l’aspettavo.”

“Chloe, non dovevamo uscire per forza, stasera. Avrei capito se mi avessi chiamato per annullare l’appuntamento.”

“Stavo per farlo, poi però non mi sembrava il caso di dargli il controllo anche su questa parte della mia vita.”

Moulton annuì, poi entrambi presero il silenzio che seguì come il momento giusto per guardare il menù. Restarono in silenzio finché non furono raggiunti dalla stessa cameriera di prima. Una volta fatte le ordinazioni, Moulton si sporse leggermente sul tavolo e le chiese: “Ti va di parlarne, o preferisci lasciar perdere?”

“Sai, credo che per ora preferisco lasciar perdere. Però non ti stupire se stasera sarò un po’ distratta.”

Lui sorrise e si alzò dalla sedia. “Ma certo. Però lascia che provi qualcosa, se posso.”

“Ma che...?”

Moulton face un passo verso di lei, si chinò e la baciò. Inizialmente Chloe si era ritratta, non essendo sicura di cosa stesse facendo. Ma quando capì, lasciò che accadesse. Non solo, ricambiò il bacio. Fu dolce ma con abbastanza senso di urgenza da farle capire che probabilmente ci pensava almeno da quanto lei.

Prima che la situazione si facesse imbarazzante, Moulton interruppe il bacio; del resto si trovavano in un ristorante circondati da altre persone, e a Chloe non erano mai piaciute le manifestazioni d’affetto pubbliche.

“Non che mi lamenti” disse Chloe “ma perché l’hai fatto?”

“Per due motivi. Uno, volevo essere coraggioso... il che raramente mi riesce con le donne. Due, volevo offrirti un’altra distrazione... nella speranza che possa compensare quella di tuo padre.”

Con la testa che le girava leggermente e il corpo irradiato di calore, Chloe sospirò. “Sì, credo proprio che abbia funzionato.”

“Bene. Tra l’altro, ci siamo anche liberati del dilemma se baciarci o no alla fine dell’appuntamento.”

“Oh, dopo questo sarà meglio di sì” disse Chloe.

Proprio come Moulton aveva sperato, i pensieri sull’apparizione improvvisa di suo padre ora sembravano molto lontani.

***

La cena andò molto meglio di quello che aveva sperato. Dopo aver parlato del ritorno di suo padre e dopo l’inaspettato bacio di Moulton, tutto filò liscio. Chiacchierarono dei pro e dei contro di lavorare al Bureau, di musica, di libri, di storie e persone conosciute durante l’accademia, dei loro hobby e interessi. Le sembrò naturale in un modo che non si era aspettata.

La cosa triste era che le fece desiderare aver mollato Steven molto prima. Se era questo che si era persa quando aveva rinunciato a uscire con altri uomini restando con lui, si era persa molto.

Avevano terminato di mangiare, ma restarono per bere ancora qualcosa. Un’altra occasione in cui Moulton dimostrò le sue attenzioni per lei fu il fatto che lui si fermò a due drink, mentre Chloe prese anche il terzo. Le chiese anche se preferisse prendere un taxi, se si sentiva a disagio a farsi riaccompagnare da lui.

Alla fine la accompagnò fino al suo appartamento, accostando lungo la strada intorno alle dieci. Chloe non era ubriaca, soltanto piacevolmente su di giri, abbastanza da pensare a cose che altrimenti non avrebbe pensato.

“È stata proprio una bella serata” disse Moulton. “Vorrei rifarla molto presto, se non pensi che possa interferire con il lavoro.”

“Anch’io sono stata bene. Grazie per avermelo finalmente chiesto.”

“Grazie per aver accettato.”

Poiché non si riteneva affatto un’esperta di seduzione, invece di rispondere Chloe si avvicinò e lo baciò. Come nel ristorante, il bacio all’inizio fu lento, poi però si intensificò. La mano di lui fu all’improvviso sulla sua guancia, per poi scivolarle sulla nuca per attirarla ancora più vicina. Il bracciolo del sedile li separava, così Chloe si inclinò fino a riuscire a toccargli il petto.

Non capì per quanto tempo si baciarono. Era tutto lento e selvaggiamente romantico. Quando alla fine si separarono, Chloe era un po’ a corto di fiato.

“Allora, abbiamo già parlato del fatto che non sono abituata ad avere appuntamenti” disse Chloe. “Perciò, se sbaglio la prossima parte, perdonami.”

“Quale parte?”

Chloe esitò un momento, ma i tre drink le diedero la spinta per proseguire. “Voglio invitarti a salire in casa. Potrei dire che è per un caffè o per bere qualcosa, ma sarebbe una bugia.”

Moulton parve sinceramente stupito. Chloe si domandò se l’avesse fraintesa. “Sei sicura?” le chiese.

“Non è suonato affatto bene” disse Chloe in imbarazzo. “Quello che intendevo dire era... che vorrei continuare, ma senza questo bracciolo tra noi. Non intendevo... non voglio venire a letto con te.”

Persino nella fioca luce dell’abitacolo, lo vide arrossire a quel commento. “Tranquilla, non mi aspettavo niente del genere.”

Chloe annuì, a sua volta in imbarazzo. “Allora... vuoi salire?”

“Sì, decisamente sì.”

Detto ciò, la baciò di nuovo, stavolta in modo un po’ più giocoso, rifilando una gomitata al bracciolo.

Chloe si staccò da lui e aprì la portiera. Mentre raggiungevano la sua palazzina, pensò che non ricordava l’ultima volta che si era sentita così... così leggera.

Leggera, pensò con un sorriso. Era così che Danielle una volta aveva descritto la sensazione che si prova immediatamente dopo un orgasmo. Il ricordo la fece improvvisamente avvampare, mentre prendeva la mano di Moulton ed entrava nell’edificio.

Salirono in ascensore e, una volta che le porte furono chiuse, Chloe sorprese se stessa premendo Moulton contro la parete e baciandolo. Adesso che riusciva a muovere liberamente le mani, lo afferrò per la vita attirandolo a sé. Questo bacio fu un po’ più appassionato, e lasciava intendere che quello che Chloe avrebbe voluto fargli era molto di più.

Lui era altrettanto preso. Posandole le mani sulla schiena, la strinse di più a sé e quando i loro corpi si incontrarono, a Chloe sfuggì un minuscolo gemito. Fu leggermente imbarazzante.

L’ascensore si fermò e Chloe si staccò da lui. Poteva soltanto immaginare l’espressione che avrebbero fatto i suoi condomini se l’avessero sorpresa a pomiciare in ascensore. Notò con sollievo che anche Moulton pareva un po’ intontito e affannato.

Gli fece strada lungo il corridoio fino al suo appartamento, che era quattro porte più avanti. In quel momento le venne in mente che, a parte Danielle, Moulton era la prima persona a vedere casa sua.

Peccato che non abbia intenzione di perdere tempo facendogli fare un tour, pensò.

Anche quel pensiero la mise in imbarazzo. Non le era mai capitato di provare un tale bisogno fisico per un uomo. Dopo un po’, il sesso con Steven era diventato quasi una routine, una cosa scontata. E ad essere sinceri, non succedeva di frequente che ne rimanesse appagata. Un altro motivo per cui non aveva mai un gran desiderio di intimità con lui.

Chloe aprì la serratura ed entrarono. Accese le luci della cucina e appese la borsa allo schienale di una delle sedie.

“Da quanto abiti qui?” chiese Moulton.

“Sei mesi, più o meno. Non ho molta compagnia.”

Moulton fece un passo verso di lei e le mise una mano sul fianco. Il bacio che si scambiarono fu lento e deciso. Dopo pochi secondi, Moulton la spinse delicatamente contro il bancone con il proprio corpo e intensificò il bacio. Chloe sentì di nuovo che iniziava a mancarle il fiato, e provava un desiderio di un’intensità che non ricordava da quando era stata con un ragazzo per la prima volta, alle superiori.

Interruppe il bacio solo il tempo che bastava per raggiungere il divano, dove si sedettero e ripresero immediatamente. Era bello stare insieme ad un uomo in quel modo semplice, soprattutto un uomo che la faceva sentire così. Se contava l’ultimo periodo della sua relazione con Steven, quando tra loro ormai c’era ben poca fisicità, era da un anno e mezzo che non veniva baciata e toccata così da un uomo.

Dopo quelli che sembrarono pochi secondi ma che con più probabilità dovevano essere cinque minuti, Chloe era talmente appoggiata a Moulton che lui fu costretto a sdraiarsi. Chloe gli fu sopra in un attimo Moulton le infilò le mani sotto la camicia, accarezzandole la schiena. Quel piccolo contatto pelle-contro-pelle spinse Chloe verso un limite che non si era aspettata. Sospirò contro le sue labbra e guidò una delle sue mani lungo il lato del reggiseno.

Si sedette a cavalcioni su di lui, sorridendogli. Si sentiva la testa incredibilmente leggera, e ogni muscolo del suo corpo desiderava di più.

“Dicevo sul serio” disse quasi a mo’ di scusa. “Non possiamo farlo. Non così presto. So che potrà sembrarti all’antica...”

“Chloe, non c’è problema. Dimmi quando vuoi fermarti e lo farò. Dimmi quando è il momento che me ne vada.”

Chloe gli sorrise. Quella risposta fu quasi abbastanza da farle cambiare idea. Ma credeva sinceramente che non dovessero precipitare le cose. Già stare a cavalcioni su di lui sul divano rischiava di andare oltre i limiti.

“Quel momento non verrà” gli disse. “Ti sembrerei troppo svitata se ti chiedessi di restare qui stanotte? Non per fare sesso, solo... per dormire insieme?”

Quella proposta sembrò stupirlo. Chloe dovette riconoscere che era davvero una strana richiesta.

E sai perché glielo stai chiedendo? Era di nuovo la voce di Danielle nella sua testa, canzonatoria ma al tempo stesso di grande aiuto. È perché oggi hai visto papà e questo ha mandato sottosopra il tuo mondo. Vuoi che Moulton resti per non essere sola, stanotte.

“Scusa” disse poi. “È una cosa senza senso e sciocca e...”

“No, no, tranquilla” la interruppe Moulton. “Per me va bene. Però avrei una richiesta.”

“E sarebbe?”

“Baciami ancora, ti prego” disse sorridendo.

Chloe ricambiò il sorriso e fu ben lieta di accontentarlo.

***

Qualche ora dopo si svegliò sentendo Moulton alzarsi dal divano. Chloe si tirò su appoggiandosi ad un gomito. A un certo punto della serata si era ritrovata senza camicia, ma niente di più. Era stato strano addormentarsi sul divano con ancora indosso i pantaloni, ma provava un bizzarro orgoglio per il proprio autocontrollo. Lanciò uno sguardo all’orologio appeso al muro e vide che erano le 5:10 del mattino.

“Tutto bene?” gli chiese.

“Sì, è solo... che mi sembrava strano restare ancora. Non volevo che le cose fossero strane al risveglio, così ho pensato che fosse meglio andarmene. Almeno non c’è l’imbarazzo del sesso.”

“Magari era questo il mio piano fin dall’inizio” scherzò lei.

“Devo andarmene di corsa e fingere che non sia mai successo?” volle sapere Moulton.

“No, credo di preferire se resti. Posso preparare del caffè.”

“Davvero?”

“Sì. Anzi, ne sono sicura.”

Si rinfilò la camicia e andò in cucina. Mentre anche Moulton si rimetteva la sua, Chloe si dedicò al caffè.

“E così è giovedì” disse lui. “Non so perché, ma sembra sabato.”

“Forse perché una serata come quella di ieri di solito si riserva per il venerdì sera? Sai, per inaugurare il weekend.”

“Non saprei. È un bel po’ di tempo che non faccio cose del genere.”

“Ma sparisci” replicò Chloe accendendo la caffettiera.

“No, davvero. Dalla prima liceo, credo. Quello è stato un ottimo anno per me, per quanto riguarda le pomiciate senza sesso.”

“Be’, a quanto pare non hai perso la mano. Ieri sera è stato... insomma, è stato molto più di quello che mi aspettassi.”

“Anche per me.”

“Ma sono contenta che sia successo” aggiunse in fretta. “Tutto quanto.”

“Bene, potremmo anche rifarlo. Questo fine settimana, magari?”

“Magari” ripeté lei. “Ma il mio autocontrollo ha già subito un duro colpo.”

“Forse era quello il mio piano fin dall’inizio” disse Moulton con un sorriso languido.

Chloe arrossì e distolse rapidamente lo sguardo. Era un po’ spiazzata da quanto le piacesse vederlo flirtare con lei.

“Senti” disse poi. “Devo farmi una doccia. Se vuoi fare colazione, serviti pure. Anche se non c’è molto in frigo, in realtà.”

“Grazie” disse Moulton, incapace di staccarle gli occhi di dosso.

Chloe lo lasciò in cucina e andò in camera da letto, che era comunicante con il bagno più grande. Si spogliò, aprì l’acqua ed entrò nella doccia. Quasi le veniva da ridacchiare per come era andata la serata. Si era sentita come un’adolescente. Aveva potuto godersi la sensazione di avere Moulton lì con lei sapendo che non le avrebbe fatto pressioni per fare sesso. Era stato romantico in modo strano e c’erano stati un paio di momenti in cui era stata sul punto di fare marcia indietro sul suo proposito di non andare a letto con lui. Con una sensazione gioiosa a cui non era abituata, sperò dentro di sé che decidesse di farsi coraggio e raggiungerla sotto la doccia.

Se lo fa, tanti saluti a quel poco autocontrollo che mi rimane, pensò.

Aveva quasi finito di lavarsi, quando effettivamente sentì Moulton entrare in bagno.

Meglio tardi che mai, pensò. Tutto il suo corpo si tese, eccitato, e Chloe non vedeva l’ora che lui entrasse nella doccia.

“Ehi, Chloe?”

“Sì?” rispose lei in tono provocante.

“Il tuo cellulare ha appena suonato. Forse sono stato un po’ ficcanaso... ma ho guardato e ho visto che era il Bureau.”

“Ah sì? Chissà, forse è successo qualcosa...”

In quel momento si sentì di nuovo il trillo di un telefonino, ma stavolta era più vicino, forse addirittura in mano a Moulton. Chloe sbirciò fuori dalla doccia, scostando leggermente la tenda. Si scambiarono un’occhiata, poi Moulton rispose.

“Pronto, qui Moulton” disse, poi uscì dal bagno andando in camera da letto. Avendo capito il motivo, Chloe chiuse l’acqua. Afferrò un asciugamano e uscì, rivolgendogli un sorrisetto mentre si avvolgeva velocemente nel telo. Solo perché la scorsa notte avevano amoreggiato per un’ora e mezza non significava automaticamente che le stesse bene che lui la vedesse completamente nuda.

Non ci fu una grande conversazione, per lo più Moulton restò in ascolto, dicendo un paio di volte “D’accordo... sì, signore...”.

La telefonata durò circa un minuto e, una volta finita, Moulton si affacciò nel bagno.

“Posso entrare?”

Poiché l’asciugamano copriva tutto quello che c’era da coprire, Chloe annuì. “Sì. Chi era?”

“Il vicedirettore Garcia. Ha detto che ha provato a chiamarti, ma che probabilmente dormivi.” Le sorrise, poi aggiunse. “Mi ha detto di provare a telefonarti o passare a svegliarti di persona. Ha un caso per noi.”

Chloe ridacchiò uscendo dal bagno. “Credi che ieri sera influirà sul nostro lavoro insieme?”

“Potrei infilarmi di nascosto nella tua stanza d’albergo. A parte quello... non saprei. Vedremo.”

“Ti dispiace versarmi una tazza di caffè? Intanto mi vesto.”

“In realtà, speravo di poter usare la doccia.”

“Ma certo. Anche potevi chiedermelo dieci minuti fa, quando c’ero ancora io sotto.”

“Lo terrò a mente per la prossima volta” disse lui.

Mentre lui si infilava sotto la doccia e Chloe iniziava a vestirsi, si accorse di essere felice. Molto felice, anzi. Se si aggiungeva a quello che era successo la sera precedente un nuovo caso... sembrava quasi che la sua vita non fosse davvero stata sconvolta dall’arrivo improvviso di suo padre.

Ma se vivere in una famiglia disgregata come la sua le aveva insegnato qualcosa, era che non riuscivi mai a sfuggirle del tutto. In un mood o nell’altro, riusciva sempre a raggiungerti.

CAPITOLO QUATTRO

Più o meno negli stessi istanti in cui Chloe ricordava cosa volesse dire perdersi in un uomo, sua sorella era nel bel mezzo di un incubo.

Danielle Fine stava sognando di nuovo sua madre. Era un sogno ricorrente che faceva da quando aveva dodici anni, e in ogni fase della sua vita sembrava assumere un significato diverso. Il sogno in sé, tuttavia, era sempre lo stesso, non cambiava mai.

Nel sogno, sua madre la rincorreva in un lungo corridoio. Solo che era come lei e Chloe l’avevano trovata quel giorno, da bambine: sanguinante, con gli occhi sbarrati e senza vita. Per qualche ragione, la mente di Danielle aveva deciso che doveva essersi rotta una gamba nella caduta (nonostante nulla del genere fosse riportato nei verbali ufficiali), perciò la madre del sogno si trascinava zoppicando all’inseguimento della figlia.

Nonostante la ferita, il cadavere della madre riusciva sempre a starle alle calcagna, a pochi centimetri di distanza: avrebbe potuto quasi afferrarle la caviglia e farla finire a terra. Danielle scappava da quella visione raccapricciante terrorizzata, con gli occhi rivolti in fondo al corridoio. Là, in piedi davanti ad una porta che sembrava lontanissima, c’era suo padre.

Lui era sempre in ginocchio con le braccia spalancate e un gran sorriso stampato in viso. Le sue mani, però, gocciolavano sangue e in quell’istante di panico che finiva sempre per farla svegliare, Danielle smetteva di correre, ritrovandosi intrappolata tra la madre morta e il padre pazzo, non sapendo da che parte fuggire.

E il sogno non era diverso ora. Arrivata a quel punto, Danielle si svegliò all’improvviso. Si tirò su a sedere nel letto lentamente, così abituata, ormai, da capire che si trattava di un sogno prima ancora di essersi completamente svegliata. Assonnata, guardò l’orologio e vide che erano ancora le 23:30. Stavolta aveva dormito appena un’ora, prima che il sogno iniziasse.

Tornò a stendersi, consapevole che le ci sarebbe voluto un po’ prima di riaddormentarsi. Scacciò il sogno dalla sua mente; ormai aveva imparato molti anni prima come allontanarlo, ricordando a se stessa che non c’era niente che avrebbe potuto fare per impedire la morte di sua madre. Anche se avesse rivelato tutti i suoi piccoli segreti sulle cose che aveva visto, sentito e provato di persona sulla personalità tossica del padre, nulla di ciò che avrebbe detto o fatto avrebbe potuto salvare la madre.

Si girò e guardò il comodino, tentata di prendere il telefono e chiamare Chloe. Erano passate settimane dall’ultima volta che si erano sentite. Le cose tra loro erano tese e impacciate, ed era colpa sua. Sapeva di aver proiettato molta della sua negatività su Chloe, principalmente perché Chloe non odiava il loro padre con la sua stessa intensità e trasporto. Era stata Danielle a chiamarla, tre settimane prima, dopo aver capito che Chloe si aspettava fosse lei a fare il primo passo, dopo l’ultima conversazione che avevano avuto e che non era andata così bene... quando Danielle praticamente aveva detto alla sorella di non provare a contattarla.

Però non conosceva le abitudini di Chloe, non aveva idea se le 23:30 fosse troppo tardi per lei. A dire il vero, ultimamente Danielle faticava a prendere sonno prima delle due di notte. Quella era una delle rare sere in cui non era di turno al locale, né era richiesta per firmare documenti per la ristrutturazione del bar che il suo ragazzo le aveva comprato.

Allontanò dalla mente tutti i pensieri sul lavoro, cercando di dormire. Se si fosse messa a pensare a tutto quello che aveva in ballo, non si sarebbe mai riaddormentata.

Ancora una volta, ripensò a Chloe. Si domandò che genere di sogni facesse lei sui loro genitori. Si chiese se fosse ancora fissata con l’idea di liberare il padre e avesse semplicemente deciso di non dirglielo.

Finalmente il sonno la reclamò. L’ultimo pensiero di Danielle prima di addormentarsi fu per Chloe: si chiese so fosse arrivato il momento di perdonare e dimenticare, mettendo da parte i ricordi del padre per evitare che le impedissero un bel rapporto con Chloe.

Si stupì di quanto quel pensiero la rendesse felice... così felice che quando si riaddormentò lo fece col sorriso sulle labbra.

***

La giovane barista che era stata assunta per sostituirla aveva imparato presto. Aveva vent’anni, bella da morire, ed era una specie di prodigio a capire gli uomini ubriachi. Dato che se la cavava tanto bene, Danielle riuscì a incontrare il suo ragazzo e gli imprenditori nell’edificio che sarebbe diventato il suo pub e ristorante dopo appena un mese e mezzo.

Quel giorno erano in corso i lavori per l’impianto climatizzatore, mentre in una stanza sul retro, che sarebbe stata una sala prenotabile per grosse feste, venivano applicati dei pannelli alle pareti. Quando Danielle arrivò, il suo ragazzo stava leggendo un contratto con l’elettricista. Erano seduti ad uno dei tavoli che erano arrivati da poco – che Danielle aveva potuto scegliere fra tre tipi diversi, da sistemare nel ristorante.

Il suo ragazzo la vide entrare. Disse qualcosa all’elettricista e la raggiunse. Si chiamava Sam Dekker e, anche se non era l’uomo più onesto e intelligente del mondo, aveva una bellezza rude e un acume per gli affari a compensare. Era più alto di lei di una ventina di centimetri, così dovette chinarsi per scoccarle un rapido bacio.

“Eccomi a rapporto” disse Danielle. “Che posso fare, oggi?”

Sam si strinse nelle spalle, guardandosi intorno in modo quasi teatrale. “Sinceramente, non credo ci sia molto che tu possa fare. Sta andando tutto per il verso giusto. So che potrà sembrarti sciocco, ma forse potresti sfogliare il catalogo per vedere quali alcolici preferisci servire. Poi potresti decidere dove piazzare le casse sul soffitto, per la musica. Quelle sono cose che di solito si tralasciano e che poi saltano fuori nel momento meno opportuno.”

“Ok, lo farò” disse lei un po’ delusa.

A volte, quando arrivava al cantiere, aveva l’impressione che Sam volesse semplicemente tenerla impegnata, affidandole compiti banali così da poter gestire lui le cose importanti. In un certo senso sembrava che la sottovalutasse, ma del resto era consapevole che Sam sapeva quel che faceva. Aveva aperto tre bar, che stavano andando benissimo, e l’anno prima aveva venduto uno di essi ad una grossa società per più di dieci milioni di dollari.

E adesso aveva deciso di aiutarla ad aprire il suo locale. Era stato lui a convincerla, insistendo che sarebbe stata perfetta per gestire un posto del genere, una volta che ogni cosa fosse stata al suo posto.

Di solito le ragazze escono con i tipi ricchi per avere gioielli e macchine, pensò raggiungendo l’area che sarebbe diventata il bar. E io... ho avuto un locale. Non male, direi.

A volte, quando pensava a ciò che la aspettava, non si sentiva all’altezza. Sarebbe stata lei la responsabile del locale. Avrebbe gestito tutto e avrebbe preso tutte le decisioni. Oltre a ciò, si sentiva un po’ in colpa. Le sembrava che l’opportunità le si fosse presentata unicamente perché era finita in una relazione con un ragazzo che sapeva il fatto suo quando si trattava di affari. Di conseguenza, era consapevole che c’erano cose che avrebbe dovuto sacrificare, dandola vinta a Sam. Non faceva mai domande quando tornava tardi la sera, dando per buono quello che diceva lui, ovvero che era stato a riunioni o cene con gli appaltatori. Aveva preso parte lei stessa ad alcuni di quegli incontri, perciò sapeva che era la verità – quasi sempre.

Inoltre, sentiva di dovergli dimostrare la propria riconoscenza ad ogni occasione. E questo significava non lagnarsi se non si vedevano per giorni e giorni. Significava non prendersela quando lui pretendeva certe cose in camera da letto. Significava non incazzarsi perché, nonostante le avesse comprato un locale, non aveva mai menzionato una sola volta il matrimonio. Danielle era quasi certa che Sam non avesse alcuna intenzione di sposarsi. E per il momento a lei stava bene così, non vedeva motivo di litigare per quello.

Inoltre... cos’aveva da lamentarsi? Aveva finalmente conosciuto un uomo che la trattava come una regina – quando c’era – e adesso lei sembrava a un passo da un successo senza sforzi.

È perché sembra tutto troppo bello per essere vero, e di solito c’è sotto la fregatura, pensò.

Arrivata nella futura zona bar, aprì sul cellulare la piantina del progetto. Segnò dove avrebbe potuto far installare le casse e aggiunse anche un appunto sulla possibilità di aggiungere una vetrata scura sulla parete posteriore. Era in quei momenti che aveva la sensazione che il suo sogno si stesse trasformando in realtà. Che stava davvero succedendo a lei.

“Ehi...”

Si voltò e vide Sam sulla soglia. Le sorrideva e la guardava con l’espressione famelica che aveva spesso quando era su di giri.

“Ehi” ripeté lei.

“Lo so che sembrava volessi liberarmi di te. Ma è vero... nelle prossime settimane tutto ciò che dovrai fare sarà solo mettere qualche firma qua e là.”

“Mi fai lavorare troppo” scherzò Danielle.

“Avevo previsto che l’addestramento della nuova barista ti avrebbe tenuta impegnata molto più a lungo. Non è colpa mia se abbiamo assunto un genio.” Si avvicinò e le mise le braccia intorno alla vita. Danielle doveva sollevare la testa per guardarlo negli occhi, ma per qualche strano motivo questo la faceva sentire al sicuro, le dava l’impressione che lui potesse vegliare su di lei.

“Mangiamo qualcosa insieme, più tardi?” disse Sam. “Qualcosa di semplice. Una pizza e una birra.”

“Per me va bene.”

“E domani... che ne dici se ce ne andiamo da qualche parte? Al mare... in South Carolina un posto del genere.”

“Dici sul serio? Mi sembra un’idea improvvisa e avventata, visto tutto il lavoro che c’è ancora da fare qui. In altre parole... non è affatto da te.”

“Lo so, ma sono stato così preso da questo progetto... mi sono accorto di averti trascurata. Ecco perché voglio farmi perdonare.”

“Sam, tu mi stai dando un’attività tutta mia. Hai già fatto tanto per me.”

“D’accordo, allora diciamo che voglio essere egoista. Voglio allontanarmi da tutto questo e stare nudo e solo con te vicino al mare. Così è meglio?”

“In realtà sì.”

“Bene, allora vai al pub e controlla la nuova arrivata. Passo a prenderti verso mezzogiorno.”

Danielle lo baciò e, anche se Sam chiaramente stava correndo troppo, non le era sfuggito il suo sforzo. Sapeva che per lui era difficile mostrarsi sincero ed emotivo. Vedeva raramente quel lato di lui, perciò quando capitava non si azzardava a mettere in dubbio le sue parole.

Danielle attraversò lo spazio ancora per lo più aperto del vecchio edificio in mattoni che sarebbe presto diventato il suo bar-barra-ristorante. Era difficile pensare che fosse suo, ma era proprio così.

Quando uscì, il sole le sembrava più splendente di quando era arrivata. Sorrise, cercando ancora di capacitarsi di come fosse cambiata la sua vita. Ripensò a Chloe e decise di chiamarla presto. Tutto nella sua vita stava andando talmente bene che poteva tentare anche di recuperare il suo rapporto con Chloe.

Salì in macchina e partì verso l’altro locale di Sam, il locale in cui l’aveva assunta sei mesi prima. Era così distratta dal pensiero di andare via con lui per il fine settimana che non notò l’auto ferma dall’altra parte della strada, che si immise nel traffico dietro di lei.

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