Kitabı oku: «Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV», sayfa 8
Partito il re da Livorno di Toscana in sull'entrare del novantanove, arrivava il dì tre di marzo in cospetto di Cagliari. Quivi vistosi in potestà propria, e considerato, che le deliberazioni generose, e magnanime nascono anche, e finalmente piene di comodità e di profitto, volle fare manifesto a ciascuno, e pubblicò solennemente, che l'onore della sua persona, l'interesse della sua famiglia e de' suoi successori, e così medesimamente le sue congiunzioni di amicizia con le potenze amiche, da lui, come di un debito sacro, richiedevano, che altamente, ed in cospetto di tutta Europa protestasse contro gli atti, per forza dei quali era stato costretto ad abbandonare i suoi territorj di terraferma, ed a rinunziare per un tempo all'esercizio della sua potenza. Dichiarava ed affermava, fede e parola di re, che non solamente non aveva mai violato, neanco menomamente i trattati fatti con la repubblica Francese, ma che anzi tutto al contrario, gli aveva con tale scrupolosità, e con tali dimostrazioni di amicizia e condiscendenza osservati, che di gran lunga aveva ecceduto gli obblighi contratti con la repubblica; che era notorio a ciascuno che egli ogni pensiero, ed ogni cura aveva continuamente posto, perchè ogni cittadino Francese, e principalmente i soldati, che o ne' suoi territorj stanziavano, o per loro passavano, fossero da tutti rispettati e sicuri, perchè coloro, che gl'insultassero, fossero frenati, e puniti, e perchè anzi si calmassero gli sdegni di coloro, che mossi da giusto risentimento per oltraggi ricevuti dai soldati licenziosi fossero trascorsi contro di loro ad atti violenti. Protestava medesimamente ed affermava, fede e parola di re, contro ogni scritto, ovunque fosse pubblicato, per cui venisse ad insinuarsi, che sua maestà avesse avuto intelligenze segrete con le potenze nemiche alla Francia; che in pruova di cotesto si riferiva, e con intiera fede si riposava, non solamente sui rapporti mandati al governo Francese, e su quanto i suoi generali avevano detto, e scritto più volte, ma eziandio sulle sincere testimonianze che i ministri, e i rappresentanti delle potenze, che sedevano in Torino, avevano mandato alle loro rispettive corti; che poteva vedere, e giudicare facilmente ognuno per se, e solo dai fatti noti a tutto il pubblico, che l'avere aderito a quanto gli fu imposto dalle superiori forze della repubblica, solo era temporaneo, ed altro fine non poteva avere, se non quello di allontanare dai suoi sudditi in Piemonte quelle calamità, che una giusta resistenza avrebbe partorito, essendo stato il re oppresso da un assalto improvviso, assalto, che non avrebbe mai dovuto aspettarsi da parte di una potenza sua alleata, e nel momento stesso, in cui per richiesta di lei aveva posto le proprie forze nel grado della più profonda pace. Mossa da tutti questi motivi si era sua maestà risoluta, tostochè in poter suo fosse, di far nota a tutte le potenze d'Europa l'ingiustizia del procedere dei generali ed agenti Francesi, e la nullità delle ragioni addotte nei manifesti loro, e d'invocare altresì al tempo stesso la sua rintegrazione nei dominj de' suoi maggiori.
Questi lamenti e proteste del re, quando il confessare l'intelligenze avute coi nemici della Francia, se fossero state vere, gli sarebbe stato utile, e conducevole alla rintegrazione, dimostrano, non solamente sincerità, ma ancora grandezza d'animo. Così acquistava lode nella disgrazia, mentre la prosperità fruttava infamia al direttorio.
Accoglievano i Sardi, come ben si conveniva, con dimostrazioni di rispetto e d'amore l'esule stirpe d'Emanuele Filiberto.
LIBRO DECIMOSESTO
SOMMARIO
Guerra nello stato Romano. I Napoletani cacciati da Championnet. Mack, generale dei regj, si ritira, e fa un suo principale alloggiamento a Capua. Il re Ferdinando si ritira in Sicilia. Le provincie tumultuano contro i Francesi, Napoli stessa si muove a furia di popolo contro di loro. Feroci battaglie tra i Francesi ed i lazzaroni. I Francesi entrano in Napoli. Continente condotta di Championnet: crea a Napoli un governo provvisorio; è richiamato dal direttorio, e perchè: gli vien surrogato Macdonald. I popoli delle province si muovono quasi universalmente contro i Francesi. Mossa importante del cardinal Ruffo. Guerra terribile, crudele, e sanguinosa. Rivoluzione di Lucca. Accidenti gravi del Piemonte: domanda la sua unione alla Francia. Scherer surrogato a Joubert nel supremo grado dell'esercito d'Italia, e perchè. Nuova guerra. Scherer vinto da Kray a Verona, poi a Magnano. I Russi sotto la condotta di Suwarow arrivano in Italia ad ingrossar gli Austriaci. Moreau subentra a Scherer, e combatte infelicemente a Cassano: si ritira prima ad Alessandria, poi sul territorio Ligure oltre gli Apennini. Milano in poter dei confederati. Moti incomposti dei Piemontesi. Suwarow arriva in Piemonte, e vi crea un governo provvisorio. Presa della cittadella di Torino. I repubblicani d'Italia o sono carcerati, o si ricoverano in Francia: benevolenza dei Francesi verso di loro.
Mentre la sede antica dei re di Sardegna diveniva preda dei repubblicani, più abili a sconvolgere, che ad ordinare, le sorti della parte meridionale d'Italia imprudentemente, e forse temerariamente tentate dal re di Napoli, partorivano accidenti insoliti e terribili. Non aveva il generale Mack trovato nello stato Romano quel seguito, che si era concetto colla speranza, poichè l'essersi ritirati, ma intieri, non rotti, i Francesi, e la fama ancor fresca del loro valore, davano timore che, ove fossero ingrossati, si precipitassero di nuovo alle offese con danno estremo di coloro, che troppo vivamente si fossero scoperti contro di loro. Nè ignoravano i popoli, che sebbene un odio grande ai nuovi repubblicani si portasse, non pochi erano, che con le ricchezze, con le esortazioni, e con tutta l'opera loro gli secondavano: il che faceva che ognuno credesse, che la parte loro fosse maggiore di quello, che era veramente. Ne nasceva altresì, che i Francesi erano, per mezzo degli aderenti, ottimamente informati di quanto più importava loro sapere per la salute dell'esercito. Il terrore poi concetto per le infelici pruove fatte contro i medesimi in parecchie parti d'Italia, massimamente il caso spaventoso di Verona, teneva sospeso l'animo di ognuno, impediva che si movesse cosa alcuna contro i repubblicani, e frenava i popoli desiderosi di prorompere. Nè potevano persuadersi facilmente, che le truppe Napolitane, di cui si conoscevano piuttosto i vanti che i fatti, fossero abili a resistere a genti tanto riputate per esperienza e per valore: la troppo facile vittoria, essendosi i Francesi ritirati piuttosto volontariamente, che per battaglie infelicemente combattute, aveva allontanato dai Napolitani ogni occasione di mostrare ciò, che potessero contro quei campioni formidabili della repubblica, per modo che era la fama dei repubblicani intatta, quella dei regj dubbia. Per la qual cosa dalla occupazione dei territorj in fuori, acquistati piuttosto senza contrasto, che per forza, la riputazione e la probabilità della vittoria stava tuttavia dal canto dei vincitori audacissimi d'Italia. Si aggiungeva, che sebbene i Romani odiassero i Francesi, non amavano però i Napolitani, e pareva loro di uscire da una servitù abbominata per sottentrare ad un'altra forse non meno odiosa. Nè il procedere dei Napolitani era atto a rattemperare gli odj; perchè oltre le parole al solito gonfiamente lanciate, il che irritava la Romana natura assuefatta a mirar al reale, non al vano, i fatti erano piuttosto da conquistatori provocati, che da amici chiamati, e l'Italia andava a sacco e da chi pretendeva liberarla con parole di libertà, e da chi pretendeva liberarla con parole di conservazione. Tutte queste cose non erano nascoste a Mack, e però argomentando, che la guerra era piuttosto incominciata di nome che di fatto, e che se con qualche fazione importante, in cui si venisse al sangue, non dimostrava che le mani fossero tanto forti, quanto le lingue pronte, il tempo avrebbe presto condotto una mutazione di fortuna, si deliberava ad andar all'incontro delle armi repubblicane. Del che tanto maggiore necessità gli sovrastava, quanto Championnet raccoglieva genti in fretta, e continuamente s'ingrossava.
Avendo adunque avuto avviso, che con felice navigazione era Naselli sbarcato a Livorno, e Ruggiero di Damas ad Orbitello, si muoveva a tentare la fortuna delle battaglie. Siccome poi credeva, se prosperamente nei primi incontri combattesse, di trovare, se non maggiore inclinazione di popoli, almeno maggiore sicurtà di governo nella Toscana, provincia suddita a principe Austriaco, elesse di far impeto contro l'ala destra dell'esercito Francese, che governata dal generale Macdonald, da Terni si distendeva fin verso Nepi, Civitacastellana, e Monterosi. A questo partito dava anche favore il pensare, che Naselli, e massimamente il conte Ruggiero venivano alla volta sua per la strada del littorale, coi quali desiderava, ed era punto principale della sua impresa, il congiungersi. Nè era di poca importanza il moto della città di Viterbo, che a furor di popolo si era scoperta contro i Francesi. Marciava Mack, divisi i suoi in cinque schiere, il dì cinque decembre, da Baccano contro i repubblicani, mentre al tempo stesso ordinava un moto verso Civitaducale, per tener in rispetto i Francesi da quella banda. Prevaleva di gran lunga di numero, conducendo quarantamila soldati contro un nemico, che se arrivava agli ottomila, non gli passava, poichè in questo numero consisteva l'ala destra dei repubblicani. Sboccava la prima schiera Napolitana verso Nepi, la seconda, insistendo sull'antica via Romana, verso Rignano, la terza verso Santa Maria di Falori, schiere tutte destinate a combattere sulla destra sponda del Tevere. La quarta aveva il carico d'impadronirsi di Vignanello per guadagnare la terra d'Orta, e quivi varcare il fiume. Finalmente per fare un po' di spalla a destra a tutte queste genti, la quinta schiera dei regj marciava contro a Magliano, e già aveva traversato il Tevere al passo di Ponzano. I Francesi, sentita prestamente la venuta del nemico, non si fermarono ad aspettarlo, ma siccome quelli, che stimavano se stessi da quegli uomini valorosi che erano, e tenendo in poco conto le genti Napolitane, uscirono incontanente ad incontrarle. I capi poco dubitavano della vittoria, perchè oltre il provato valore dei soldati, sapevano, che gli assalti dei Francesi, per la natura pronta della nazione, sono sempre più fortunati che le difese. Non fu l'esito diverso dalle speranze. Kellerman, figliuolo del vecchio generale di questo nome, e giovane commendabile per valore e per bontà, contuttochè sulle prime trovasse un duro incontro, ruppe la prima Napolitana schiera, cacciolla insino a Monterosi, e quivi rompendola di nuovo tagliava a pezzi i valorosi, disperdeva i codardi. Non procedettero con maggior riputazione le cose dei Napolitani dall'altre parti: il colonnello Lahure ruppe la schiera di Rignano, sebbene sulle prime avesse perduto del campo; perchè Macdonald con pronti ajuti soccorrendolo, lo ebbe tostamente abilitato alla vittoria. S'incontrava la schiera che giva all'assalto di Santa Maria di Falori in una squadra Polacca capitanata dal generale Kniazewitz, e che aveva con se una legione Romana, che aveva alzate le bandiere della repubblica. Polacchi e Romani valorosissimamente combatterono: i Napolitani andarono in volta, non senza grave perdita d'uomini, d'armi, e di bagaglie. Il generale Maurizio Mathieu affrontava, così avendo ordinato Macdonald, la quarta schiera, la quale cedendo si ricoverava nella terra di Vignanello forte per sito, e cinta di buone mura. Si difendevano i Napolitani virilmente, sapendo, che questa fazione era di grandissima importanza; erano anche ajutati dai terrazzani, nemicissimi del nome Francese. Ma Mathieu tanto fece con le armi e con le minacce, che sforzava i Napolitani a lasciar la terra libera al vincitore. Entraronvi i Francesi trionfando, non senza qualche licenza, come di gente vincitrice, ed irritata. Acquistato Vignanello, correva Mathieu ad assicurare il ponte di Borghetto.
Restava la quinta schiera, che camminava verso Magliano, ma udite le infelici novelle delle compagne, se ne tornava, senza aver combattuto, per Ponzano, al principale alloggiamento dell'esercito regio. Così pel valore delle sue genti, e per l'arte egregia, con la quale le mosse, venne fatto a Macdonald di variare lo stato della guerra, e di riuscir vincitore da un assalto molto pericoloso. Bene si può biasimare Mack dello aver diviso i suoi in tante parti, convenendogli piuttosto, siccome a quello che aveva l'esercito molto più grosso, il marciare unito; perciocchè con un solo sforzo avrebbe vinto, mentre con molti perdè. Ma voleva Mack mostrar sempre in tutte le sue cose un'arte molto squisita e non gli andavano a grado le mosse semplici. Così nella propria perizia ravviluppandosi, ed impacciandosi, si esponeva ad un più gran numero di casi fortuiti, ed apriva un maggior adito alla fortuna. Ma, non ostante le battaglie combattute infelicemente dal generale Napolitano sulla destra riva del Tevere, la guerra non era ancora vinta; perchè da una parte il conte Ruggiero di Damas venendo da Orbitello si avvicinava, dall'altro rimanevano ancora sulla sponda sinistra del fiume ai Napolitani genti superiori per numero ai loro nemici. Per la qual cosa Mack, non disperando ancora delle sorti, si accingeva a fare un nuovo sforzo sulla sponda medesima, il cui fine era di rompere la schiera di mezzo di Championnet: il che avrebbe disgiunto le due ali Francesi, di cui la destra guidata da Macdonald insisteva tra il mare ed il Tevere, e la sinistra militava sotto la condotta di Duhesme oltre l'Apennino, tra questo monte e le spiagge dell'Adriatico. Ebbe il generale Francese sicuro e pronto avviso dell'intento del suo avversario. Laonde per resistere a quel nuovo impeto, e non si commettere se non con vantaggio alla fortuna, ristringeva i suoi ed affortificava con nuove genti i luoghi di Contigliano e di Magliano. Poi fe' ritirare Macdonald da Civitacastellana, solo lasciato un presidio nel forte a Borghetto, affinchè quivi validamente difendesse il passo del fiume. Finalmente chiamava il generale Lemoine, che oltre l'Apennino sotto il freno di Duhesme combatteva contro il cavaliere Micheroux, generale del re, ad occupare Civitaducale, e Rieti, la prima, città del regno, la seconda, dello stato Romano. Pensier suo era in questo, che Lemoine tempestando sulla destra di Mack, gli troncasse il suo pericoloso pensiero di spartire in due l'esercito repubblicano. Dal canto suo Mack aveva per primo fine, spingendosi avanti, di acquistare Terni, il che sarebbe stato il compimento del suo disegno. Con questo intento, mandata una colonna ad occupare Civitacastellana, avviava grosse squadre ai monti di Buono, a Cantalupo, ad Aspra, e già faceva le viste di assaltare Otricoli, fazione, per la posizione dei luoghi, di grandissima importanza. Aveva poi il suo alloggiamento principale, e come quasi primario fondamento alla vittoria, sul monte di Calvi. Le cose succedevano a prima giunta prosperamente ai Napolitani; conciossiachè, sebbene per opera di Mathieu fossero stati cacciati da Magliano, che già avevano conquistato una loro schiera di gran polso, sotto guida del generale Moesk, si era, cacciatone di forza i Francesi, impadronita di Otricoli, e già faceva correre da suoi cavalleggieri la strada per a Narni. La guerra diveniva pericolosa pei Francesi. Ma non perdutisi punto d'animo, si risolvevano al combattere, e provarono tostamente, che nelle battaglie più può l'ardire che la prudenza; poichè Mathieu, per comandamento di Macdonald, assaltò furiosamente i Napolitani in Otricoli, e quantunque valorosamente vi si difendessero, gli vinse con perdita di due mila soldati, di cinquecento cavalli, di otto cannoni, e di tre bandiere. Diedero in questo fatto pruove di singolar valore i Polacchi, e fu ferito gravemente in una gamba un Santacroce, principe Romano, che combatteva per la repubblica. Ritirossi Moesk colle reliquie de' suoi a Calvi, dove per la fortezza del sito si poteva sostenere, e fare ancor dubbia la vittoria. Ma lo stesso Mathieu, già vincitore di tanti fatti per valore di questa Napolitana guerra, mandato da Macdonald, vincitore ancor esso dei fatti medesimi per perizia, occupate le eminenze, che stanno a sopracapo alla terra, e minacciato aspramente Moesk, se non si arrendesse, il costringeva, ajutato anche dalla presenza di Macdonald sopraggiunto in quel frangente, alla dedizione. Questo fatto ruppe ad un punto tutte le speranze che Mack aveva concette di poter durare nello stato Romano, e lo fece accorgere, che niun altro scampo gli restava, che quello di ritirarsi con presti passi nel regno. Già il re, udite le sinistre novelle, ed abbandonata Roma, si era avviato, prima a Caserta, poscia a Napoli: Mack, raccolti più prestamente che potè tutti i suoi, andava a Capua, in cui sperava di difender Napoli, giacchè non aveva potuto difender Roma nè a Calvi, nè a Cantalupo. Entrarono i Francesi vittoriosi in Roma, donde diciassette giorni prima erano partiti non vinti. Tornaronvi i consoli ad occupare le perdute sedi.
Le cose dei Napolitani non avendo fatto sulla destra del Tevere quella resistenza, che il conte Ruggiero aveva sperato, gli era divenuto impossibile di congiungersi con la sua schiera sinistra: le rotte sulla sinistra gli tagliavano ogni strada a potersi congiungere col grosso dell'esercito, e niun altro scampo gli lasciavano, che quello di aprirsi il passo per forza, o di conseguirlo di queto dal vincitore, o di retrocedere per andarsi a rimbarcare in Orbitello. Rifulse in sì estremo accidente la virtù del conte; poichè non isgomentatosi punto, se ne continuava a marciare con settemila soldati da Baccano verso Roma. Championnet attonito a caso tanto improvviso, mandava il suo ajutante Bonami a sapere, che cosa volesse dir questo. Gli fu risposto dal conte, che voleva passare o per amore, o per forza per ritornare nel regno; ed ottenuto un indugio dal nemico per trattare un accordo, avvisando che Bonami non aveva dato tempo per altro motivo, che per far accorrere nuove genti, levava, più tacitamente che poteva, il campo, incamminandosi più che di passo alla volta di Orbitello. Giunto alla Storta, vi fu il suo retroguardo combattuto dai repubblicani: ma difesosi virilmente, acquistava facoltà del continuare a ritirarsi. Calava intanto a far le sue condizioni più pericolose Kellerman da Borghetto. Incontratisi repubblicani e regj a Toscanella, si travagliavano con un conflitto molto aspro. Il conte, contuttochè fosse ferito gravemente da una scheggia in una gamba, continuava a combattere valorosamente; i Napolitani incoraggiti dall'esempio del loro capo, si difendevano anch'essi con molta costanza: nè si spiccarono dalla battaglia, se non quando per l'arrivo delle cavallerìe di Kellerman, era diventata troppo disuguale. Intanto non aveva omesso il conte, mentre col retroguardo arrestava l'impeto dei repubblicani, di accostarsi vieppiù coll'antiguardo, e col grosso della schiera, ad Orbitello. Queste due squadre nella cercata terra essendo giunte, tostamente vi s'imbarcarono sulle navi Napolitane, che quivi le attendevano. Restava, che si conducesse a salvamento il retroguardo, che era furiosamente seguitato dai Francesi; ma non così tosto il conte col retroguardo medesimo (imperciocchè sebbene molto patisse della sua ferita, aveva sempre in mezzo a quest'ultima parte del suo esercito combattuto) vi entrava, che chiuse le porte sul viso al nemico, faceva le viste di volersi difendere. Si appiccava intanto una pratica tra di lui e Kellerman, per la conclusione della quale fu fatto abilità al conte d'imbarcarsi con tutte le sue genti, solo lasciando in mano dei Francesi le artiglierìe. Bello e lodevole fatto del conte Ruggiero fu questo, e che dimostrò, che se i buoni soldati fanno i buoni generali, ancora e molto più i buoni generali fanno i buoni soldati. Viterbo vinta ed occupata dal vincitore, pagò le pene dello aver anteposto lo stato antico e dispotico, allo stato nuovo e tirannico. Ciò non ostante non vi furono vendette esorbitanti, ed il giovine Kellerman vi si portò più moderatamente che i tempi non comportavano.
Riconquistata Roma, ed atterriti i Napolitani, pensava Championnet ad assicurarsi, e ad ampliare la vittoria; ed ancorchè non avesse un esercito bastante pel numero dei soldati a conquistare il regno, tuttavia, considerato il loro valore, l'efficacia della fresca vittoria, il terrore dei nemici, e la forza delle opinioni favorevoli, che da lungo tempo e largamente vi si erano sparse, e che ora più potentemente operavano per la vicinanza dei Francesi, e per la sconfitta dell'esercito regio, si risolveva a tentar l'impresa. A questo fine era necessario il debellare Capua, ultimo propugnacolo di Napoli per la fortezza della città, per la profondità delle acque del Volturno, e per avervi Mack adunato tutte le genti, ancora forti, se non per valore almeno pel numero. Adunque il generale della repubblica spartiva i suoi in due principali schiere, delle quali la sinistra governata da Macdonald, correndo pei luoghi superiori e più vicini agli Apennini, doveva, là dove è meno grosso per la prossimità de' suoi fonti, varcare il Garigliano ai passi del Castelluccio e di Caprano, e al tempo stesso dare facoltà alle genti di Duhesme e di Lemoine di congiungersi con lui a sforzo comune contro Capua. La seconda schiera sotto la condotta di Rey, radendo il lido, s'incamminava verso Terracina, con pensiero di acquistare, strada facendo, Gaeta per una battaglia di mano, poi comparire sotto le mura della desiderata Capua. Nè l'esito fu diverso del disegno; perchè e Macdonald e Rey, superati tutti gli ostacoli, arrivavano alla destinata oppugnazione sulle sponde del Volturno. Ai passi stretti e forti di Fondi e d'Itri fecero i Napolitani debole resistenza: a Gaeta, piazza forte per sito e per arte, e con un presidio di più di tremila soldati, con provvisioni e munizioni abbondanti, niuna. Vennero a Gaeta in poter dei vincitori circa cento pezzi di cannoni, piatte per ponti, barche armate, e barche annonarie provviste, e vettovaglie in copia. Precipitavano a gran rovina le cose del regno, non essendosi mostrato in sua difesa valore nissuno, se si eccettua il caso del conte Ruggiero. Duhesme e Lemoine, ai quali andava avanti, come speculatore ed apritor di strade, quell'arrisicato condottiere Rusca, sui sinistri gioghi dell'Apennino insistendo, travagliavano più per gli assalti improvvisi delle popolazioni mosse a romore, ed armate di ogni sorte d'armi, che per le battaglie delle genti regolari. Principalmente nelle contrade del Tronto, e verso Teramo, i paesani mossi a romore, e condotti dai preti, infestavano le strade, davano addosso agl'isolati, ed impedivano le comunicazioni tra l'una parte e l'altra dei repubblicani. Ciò ritardava l'impeto dei Francesi, che da questa parte non poterono seguitare di pari passo le genti vincitrici di Championnet, e di Macdonald. Tuttavia appoco appoco prevaleva il valore regolato. Lemoine acquistava Aquila, dove trovava munizioni da bocca in abbondanza. Poi si conduceva a Sulmona, dove mettono capo tutte le strade dell'Abruzzo, con intenzione di aspettar quivi Duhesme, che più vicino correva le sponde dell'Adriatico. Grave intoppo ai disegni di Duhesme era Pescara, città, che con la sua fortezza situata in luogo eminente domina tutto il pian paese all'intorno, e la sola strada a riva il mare, per la quale possono passar le artiglierìe. Questa era la principale piazza dei Napolitani su quei lidi, sì per l'importanza del passo, e sì perchè difende la foce del fiume Pescara, che si distende a guisa di porto. Due mila soldati la presidiavano; ma non fecero miglior pruova dei difensori di Gaeta; perchè, come prima i soldati leggieri della repubblica si mostrarono sulle alture che stanno a sopracapo al ponte di Pescara, e le altre truppe a Pianella ed a Civita di Penna, il comandante pensò alla dedizione, dando in mano dei Francesi quel luogo tanto forte per arte e per natura, e tanto importante alla sicurezza del regno. Vi trovarono i vincitori armi, e munizioni in copia. Acquistata Pescara, procedeva Duhesme a congiungersi per la strada di Popoli con Lemoine a Sulmona, donde varcato il sommo giogo dell'Apennino, condussero entrambi tutta l'ala sinistra sotto le muraglie di Capua. Così non solo erano in veemente movimento le cose di Napoli, ma ancora cominciavano a precipitare a manifesta rovina.
Naselli, lasciato Livorno, perchè oltre le sconfitte dei regj, aveva udito che Serrurier con una mano di soldati della repubblica già aveva occupato Lucca, e si apparecchiava ad andarlo a combattere, imbarcate le genti sulle navi apprestate, veleggiava alla volta del Garigliano.
Non erano senza fortezza i nuovi alloggiamenti di Mack. Posto il campo col grosso de' suoi nella pianura di Caserta, per modo che fosse abile a difendere il passo del Volturno, aveva fatta Capua sicura con un presidio di diecimila soldati. Tra per questi, e le genti del campo, aveva ancora un novero di combattenti superiore a quello dei Francesi, e se avesse avuto o migliori soldati, o più fedeli capitani, o minore capriccio in una certa squisitezza d'arte, che gli faceva sempre moltiplicare i casi fortuiti con allargar troppo il campo, poteva ancor tenere la fortuna in pendente. Bene l'evento dimostrò, che Capua si poteva difendere, e si perdè non per forza, ma per accordo. Ma già i casi di Napoli diventavano più forti di tutte queste condizioni unite insieme. Il ritorno tanto subito del re, le novelle sinistre che ad ora ad ora pervenivano, l'aver perduto in più breve tempo quello, che in breve tempo si era acquistato, le dedizioni tanto importanti d'Aquila, di Pescara, e di Gaeta, l'avvicinarsi continuo del nemico al cuore stesso del regno, i soldati o dispersi, o fuggitivi, che per escusazione propria magnificavano le cose, l'arrivo stesso di Mack in Napoli, venutovi per consultare sulle ultime speranze, rinnovando la memoria delle vittorie dei francesi in Italia, e il terrore delle armi loro rinfrescando, avevano prodotto un grande abbattimento d'animo in chi sapeva, rabbia e disperazione in chi non sapeva. Titubavano i consiglieri di Ferdinando sul partito, che fosse a prendersi, alcuni propendendo ad armare il popolo, altri opinando ch'egli avesse tostamente a ritirarsi oltre il faro. Intanto il volgo, fattesi alcune instigazioni, anche da parte del governo, si armava da se: la città fra il terrore ed il furore aveva un aspetto molto sinistro, e, come si usa in simili casi, le voci popolari già accusavano di tradimento i ministri. S'incominciava a por mano nel sangue degli avversari o veri o supposti del governo regio, poi si trascorse in quello degli amici. Un Alessandro Ferreri, corriero per gli spacci, mandato con lettere a Nelson, che con alcuni suoi vascelli stanziava nel porto di Napoli, restò ucciso a furia di popolo sul molo; il suo cadavere sanguinoso tratto a forza sotto le finestre della reggia, fu mostrato al re, gridando orrendamente i feroci uccisori, e l'invasata moltitudine, che gli accompagnava, muojano i traditori, viva la santa fede, viva il re. Già non vi era più freno. L'orrore concetto per la fresca uccisione del corriero aveva persuaso a Ferdinando, che, tralasciando anche la forza Francese, che si avvicinava, non poteva più rimanersi a Napoli con dignità, nè fors'anche con sicurezza. S'aggiunse che Mack, non confidando di poter far guerra felice con quei soldati, che per altro quanto potessero valere aveva dimostrato l'esempio del conte Ruggiero, consigliava un accordo.
Tutte queste considerazioni, e forse più ancora il timore di qualche congiura per opera dei novatori, essendo la rabbia loro grandissima pei sofferti supplizj, fecero prevalere la sentenza di coloro, che consigliavano, che il re si ritirasse in Sicilia. Fatta la deliberazione, si mandò tosto ad esecuzione, non senza terrore e confusione, come suole in simili accidenti; l'ultima notte del novantotto, s'imbarcarono sulle navi Inglesi e Portoghesi, che erano sorte nel porto, il mobile più prezioso dei palazzi di Caserta e di Napoli, le gioje della corona, il tesoro di San Gennaro, in cui erano meglio di venti milioni coniati, ed oro, ed argento vergati in quantità: a queste ricchezze s'aggiunsero le singolarità più preziose di Ercolano. Imbarcati i denari e le suppellettili, creava Ferdinando suo vicario il principe Pignatelli con facoltà amplissime, anche di concludere un accordo coi Francesi, col consentire all'occupazione di Napoli, purchè la città salva ed incolume si conservasse. S'imbarcava Ferdinando la notte medesima sulla nave di Nelson con Acton, Hamilton, ed i cortigiani. Il giorno seguente, non avendo ancor salpato pei venti contrarj, sorse uno spettacolo miserabile; poichè, fatte uscir prima le navi Napolitane, sì grosse che sottili, che potevano mareggiare, fece Nelson appiccare il fuoco alle altre, fra le quali campeggiava il Guiscardo grossa nave di settantaquattro cannoni. Arsero in cospetto del re, che di non lontano luogo rimirava il fumo ed il fuoco, che le proprie sue forze consumava. Si abbruciarono anche con disegno espresso le barche armate della costa di Posilippo, ed i magazzini dell'arsenale: la rabbia civile consumava le opere egregie della pace. Fu nella città desolata dolore e terrore per la partenza della reale famiglia. Il volgo sollevato mandò deputati a pregar Ferdinando, affinchè restasse proferendo le sostanze e le vite a difesa ed a conservazione sua, ma fu negata ai deputati la presenza di lui dagl'Inglesi. Nulla più restava da trasportare e da ardere: la dolorosa flotta salpava il dì due gennaio, infelice pell'aspetto terribile di Napoli, che ancora agli occhi dei naviganti appariva, più infelice pei venti avversi e le tempeste, che poco dopo la percossero. Fu lungo e travaglioso il tragitto: accrebbe la mestizia ed il dolore la morte del principe Alberto, figliuolo del re, fanciullo di sette anni, che in mezzo alle furiose burrasche rendè l'ultimo spirito nel grembo stesso della già tanto addolorata madre. Finalmente le sbattute e travagliate navi afferravano Palermo: le dimostrazioni amorevoli dei Siciliani, mitigarono l'amarezza concetta per l'esiglio, e per la fresca orbezza del morto figliuolo. Accrebbe una calunnia l'infelicità della madre, poichè trovo scritto, che la regina avesse, partendo, comandato, che si armasse il volgo a furia, che Napoli s'incendesse, che anima vivente, che sopra la condizione di notajo fosse, non vi restasse. Bene mostrò soverchia asprezza Carolina ai tempi, che seguirono, ma che abbia ordinato una immanità tanto barbara, non è da credersi, se non da coloro che si lasciano tirare dalle passioni estreme, e dall'amore detestabile delle parti.