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Kitabı oku: «Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V», sayfa 10

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Ogni cosa si componeva a concordia: più poteva a Vienna il terrore, che le Inglesi esortazioni. Negoziavasi a Luneville per l'Austria dal conte Luigi Cobentzel, per la Francia da Giuseppe Buonaparte, l'uno e l'altro avendo mandato e possanza di concludere. Dopo qualche contenzione, pigliarono forma, che il trattato definitivo di pace fosse sottoscritto il giorno nove di febbrajo. I capitoli principali, quanto all'Italia, furono quelli stessi del trattato di Campoformio, solo variossi pei confini: l'Adige, principiando dove sbocca dal Tirolo insino alla sua foce, fosse confine tra la Cisalpina e gli stati d'Austria; la destra parte di Verona, e così quella di Portolegnago spettassero alla Cisalpina, la sinistra all'Austria; si obbligava l'imperatore a dare la Brisgovia al duca di Modena in ricompensa del perduto ducato; rinunziasse il gran duca alla Toscana ed all'isola d'Elba, e la Toscana e l'isola si dessero all'infante duca di Parma; il gran duca si ricompensasse con stati competenti in Germania; conoscesse, e riconoscesse l'imperatore le repubbliche Cisalpina e Ligure, e rinunziasse ad ogni titolo, sovranità e diritto sopra i territorj della Cisalpina; consentisse alla unione dei feudi imperiali colla repubblica Ligure. Del Piemonte nulla si stipulava, perchè Buonaparte voleva serbarsi o una occasione per pigliarlo per se, od un appicco per piacere a Paolo.

Il re di Napoli ridotto alla necessità di obbedire alla forza lontana di Paolo, ed alla vicina di Buonaparte, si quietava anche col consolo, convenendo in un trattato di pace a Firenze il dì vent'otto di marzo sottoscritto per parte di lui da Micheroux, per parte della Francia da Alquier. Convenissi come nella tregua, e di vantaggio, che il re rinunziasse primieramente, e per sempre a Porto-longone, ed a quanto possedesse nell'isola d'Elba, secondamente cedesse alla Francia, come cosa propria, e da farne ogni voler suo, gli stati dei presidj ed il principato di Piombino; ancora perdonasse ogni delitto politico commesso fino a quel giorno; restituisse i beni confiscati, liberasse i detenuti, potessero gli esuli tornare nel regno sicuramente, e fosse loro restituita ogni proprietà; da ambe le parti si dimenticassero le offese.

Le cose si fermarono anche con nuova composizione colla Spagna, essendosi stipulato un trattato a Madrid il dì ventuno marzo da Luciano Buonaparte per parte di Francia, e dal principe della Pace per parte di Spagna. S'accordarono le due parti, che il duca di Parma rinunzierebbe al ducato in favore della repubblica di Francia, che la Toscana si darebbe al figliuolo del duca con titolo di re; che il duca padre si compenserebbe con rendite e con altri stati; che la parte dell'isola d'Elba che apparteneva alla Toscana, spetterebbe alla Francia, e che la Francia ne ricompenserebbe il re d'Etruria collo stato di Piombino; che la Toscana s'intendesse unita per sempre alla corona di Spagna; che se il re d'Etruria morisse senza prole, succedessero i figliuoli del re di Spagna.

Così in men che non fa un anno, ogni ostacolo cedendo ai Buonapartiani fati, vinse il consolo Austria ed Italia. Poscia, essendo in tutti, parte pei medesimi, parte per diversi rispetti la medesima intenzione alla pace, composte tutte le controversie, contrasse amicizia coll'imperatore Paolo, s'accordò coll'imperatore Francesco, e rinnalzò Francia da bassa ad eminente fortuna.

LIBRO VIGESIMOPRIMO

SOMMARIO

Il consolo s'accorda con Roma, e rinstaura la religione cattolica in Francia. Concordato. Discussioni nei consigli del papa su di questo atto. Articoli organici aggiunti dal consolo, e querele del pontefice in questo proposito. Ordini Francesi introdotti in Piemonte, che accennano la sua unione definitiva colla Francia. Menou mandato ad amministrar questo paese in vece di Jourdan. Murat in Toscana. Suo manifesto contro i fuorusciti Napolitani. La Toscana data al giovane principe di Parma con titolo di regno d'Etruria. Il consolo insorge per arrivare a più ampia autorità, ed a titolo più illustre. Fa per questo sue sperienze Italiane, e chiama gl'Italiani a Lione. Quivi il dichiarano presidente della repubblica Italiana per dieci anni con capacità di esser rieletto. Constituzione della repubblica Italiana. Genova cambiata, e sua nuova constituzione. Monumento in Sarzana ad onore della famiglia Buonaparte, natìa di questa città. Il Piemonte formalmente unito alla Francia. Carlo Lodovico, infante di Spagna, re d'Etruria per la morte del principe di Parma. Descrizione della febbre gialla di Livorno. Le bilustri trame di Buonaparte arrivano al loro compimento; si fa chiamar imperatore. Pio settimo condottosi espressamente in Parigi, lo incorona.

Le cose della religione cattolica erano in gran disordine in Francia. L'assemblea constituente aveva interrotto la unione con la sedia apostolica rispetto alla instituzione pontificia dei vescovi, qual era stata accordata tra Leone decimo, e Francesco primo, e tolto i beni alla chiesa con appropriargli alla nazione. I governi che vennero dopo, massimamente il consesso nazionale, non solamente distrussero gli ordini statuiti dall'assemblea, ma spensero ancora ogni ordine religioso, perseguitarono i ministri della religione, ed alcuni anche sforzarono, cosa nefanda, a rinegare il proprio stato, e le proprie opinioni. Il direttorio continuò a perseguitare i preti, ora confinandogli nell'esiglio, ora serrandogli nelle prigioni, e sempre impediendo loro, massime ai non giurati, che liberamente e pubblicamente celebrassero i riti divini. Fra tante amarezze dell'anime pie, qualche consolazione recavano i preti giurati colle esortazioni, e coi conforti loro: ad essi la Francia debbe restar obbligata della conservazione della fede; della conservazione medesima la sedia apostolica debbe sentir loro obbligo, sebbene abbia cagione di dolersene per la diminuzione da loro introdotta, e pertinacemente sostenuta con le parole, con le opere, e con gli scritti, nella giurisdizione della cattedra di San Pietro. Conservarono eglino la fede, che è la radice, senza la quale ogni religione, non che ogni disciplina ecclesiastica, sarebbe impossibile. Ma la religione senza un culto ordinato, e senza riti accordati con la pubblica autorità, e da lei riconosciuti e protetti, non potrebbe sussistere lungo tempo, la cattolica meno di ogni altra, solita a cattivar gli animi con le pompe e solennità esteriori. Ciò si vedevano gli uomini prudenti, nei quali era entrata la persuasione, che le credenze religiose sono un ajuto efficace alle leggi civili: quest'istesso vedevano gli uomini religiosi, che si dolevano, che quello che nelle menti e nei cuori loro pensavano ed amavano, non potessero in ordinato e pubblico modo manifestare. Era adunque nato un desiderio in Francia di veder ristorati i riti della religione cattolica, e molti Francesi in questo desiderio tanto più s'infiammavano, quanto più difficile sembrava la rintegrazione. Certo pareva, che ove una prima insegna di Cristo si fosse rizzata, là sarebbero concorsi cupidamente, e con amore avrebbero abbracciato coloro, che rizzata l'avessero. Buonaparte non era uomo da non vedersi queste cose, meno ancora da non usarle per edificare la sua potenza, e per arrivare a' suoi fini smisurati. Per questo aveva dato parole di pace, di religione, di rispetto, e d'amicizia verso il papa, quando ritornò, dall'Egitto arrivando, in Francia; per questo tenne i medesimi discorsi quando andò alla seconda conquista d'Italia; per questo le medesime protestazioni accrebbe quando vittorioso nei campi di Marengo se n'era tornato nella sua consolar sede di Parigi. Adunque divenuto libero dai pensieri, che più nella mente sua pressavano, della guerra, applicava viemaggiormente l'animo al negoziare col papa, col fine di venirne con lui ad un aggiustamento in materia religiosa. Offeriva di dare stato, culto, e comodi pecuniari alla religione cattolica, ed ai suoi ministri. Aggiungeva le solite lusinghe, favellando con accomodate parole della mansuetudine, e della santità del Chiaramonti, vescovo d'Imola. Nè tralasciava le consuete dimostrazioni del suo amore verso la religione, e verso i Francesi. Alcuni accidenti ajutavano queste pratiche, altri le disajutavano. Dava favore al consolo un concilio nazionale di vescovi giurati che dipendentemente da un altro tenuto nel novantasette, con suo consentimento espresso era per adunarsi in Parigi il dì di San Pietro. Non solamente ei non impediva che questi vescovi parlassero, ma gl'incitava anche a parlare, quantunque fossero giurati, e contrarj a quella pienezza di potestà, che i papi pretendono spettarsi alla sedia apostolica. Della quale facoltà largamente usando, mandavano circolari esortatorie ai vescovi, e preti loro compagni della chiesa gallicana, acciocchè imitando, come dicevano, quella carità, di cui Gesù Cristo aveva lasciato il precetto e l'esempio, venissero al destinato giorno ad unirsi nel concilio di Parigi. Compissesi, confortavano, l'opera incominciata nel concilio del novantasette, dessesi occasione ed incitamento al rinnovare queste nazionali e sante assemblee presso tutte le altre nazioni della cristianità, assemblee tanto raccomandate, e tanto commendate dalla veneranda cristiana antichità; nodrissesi speranza, che fossero esse il principio di un concilio ecumenico, la di cui convocazione già da più secoli interrotta, sebbene il concilio di Costanza avesse prescritto che ogni dieci anni si convocasse, era santa e necessaria cosa rintegrare. Mandavano al tempo stesso pregando il papa, col quale già il consolo negoziava per venirne allo statuire con lui precetti contrarj, inviasse suoi deputati per certificarsi, quale e quanta fosse la purità della fede loro: con lui si lamentavano di essere stati prima condannati che uditi da Pio sesto; affermavano, per opera loro non essere stato interrotto il corso della potestà episcopale: forse, sclamavano, poter essere loro imputato a peccato l'avere somministrato i sussidj, ed i conforti della religione a sì copioso numero di diocesi, e di parrocchie abbandonate dai pastori loro? Allegavano, che la facoltà di teologia, e di diritto canonico di Friburgo in Brisgovia aveva profferito una sentenza tutta a loro favorevole, sebbene non provocata; imploravano il parere di tutte le altre università cattoliche, offerendosi pronti a dire ed a scrivere quanto loro fosse addomandato a dilucidazione della controversia. Protestavano finalmente, essere figliuoli obbedienti della Chiesa una, santa, cattolica, apostolica, e romana; e con parole efficacissime testimoniavano, nel grembo suo voler vivere, nel grembo suo morire.

Trattavasi in queste controversie principalmente della elezione dei vescovi, cioè quanto al temporale, se la elezione fatta dal popolo fosse valida, come quella fatta dai re e da altri capi di nazioni, e quanto allo spirituale, se, perchè il filo della successione episcopale non fosse interrotto, fosse necessaria l'instituzione del pontefice Romano, o se bastasse quella fatta da un altro vescovo. Trattavasi poi anche di quest'altro punto, se gli ecclesiastici dovessero vivere per le sole obblazioni dei fedeli, o se dovessero possedere beni in proprio, e se dottrina eretica fosse il mantenere che la potestà temporale, pei bisogni generali dello stato potesse por mano senza il consenso del Romano pontefice nei beni della chiesa. Non era punto nè incerta, nè ignota la opinione dei vescovi giurati adunati in Parigi intorno alle annunziate questioni, poichè ognuno sapeva, che sentivano contro le dottrine della Romana sede. Nè solo queste opinioni in Francia erano sorte, ma a loro non pochi uomini dottissimi, e di ogni religiosa virtù ornati in Italia si erano accostati; conciossiachè, tacendo del Ricci, vescovo di Pistoja, che più vivamente di tutti procedeva, nella medesima sentenza erano venuti i professori Degola, Zola, Tamburini, Palmieri, e con loro Gautier, prete Filippino di Torino, Vailua canonico d'Asti, con molti altri sì Toscani, che Napolitani, che dal Ricci, o dai fratelli Cestari avevano le medesime dottrine imparato. Non dubitava Gautier di affermare, quale principio incontrastabile, che le elezioni dei vescovi sono di diritto divino, od almeno di apostolica constituzione, che sì fatto modo di elezione venne statuito dagli apostoli stessi, e servì di esemplare alla disciplina praticatasi universalmente nella chiesa nei secoli posteriori intorno ad un articolo di tanta importanza: allegava il Filippino a confermazione della sua dottrina, che l'elezione di San Mattia era stata fatta, non da San Pietro solamente, ma da tutti i discepoli adunati nel cenacolo, che sommavano a centoventi: finalmente usciva con dire, che se in fatto il pontefice Romano usava da più secoli la facoltà di instituire i vescovi, per mera usurpazione ne usava. Da tutto questo concludeva, che il papa doveva riconoscere, e confessare per veri e legittimi vescovi coloro, ch'erano stati creati in conformità degli ordini stabiliti dall'assemblea constituente di Francia. Voleva adunque Gautier, ed esortava i vescovi, andassero, non ammessa scusa alcuna, o pretesto in contrario, al concilio di Parigi per ingerirsi in quella gran causa, perchè pareva a lui, che chiunque diritto e senza prevenzione mirasse, avesse a venire in questa sentenza, che l'innocenza, la ragione, la giustizia, secondo i sani principj dei canoni stessero intieramente in favore dei pastori ordinati a norma della constituzione del clero di Francia; che essi veri e legittimi pastori fossero, siccome quelli che erano stati eletti dal popolo cristiano, ed appruovati e constituiti nelle loro chiese dai rispettivi metropolitani secondo i canoni primitivi dalla venerazione di tutto l'universo confermati, e contro i quali nissuna consuetudine potrebbe prevalere. A queste opinioni con l'autorità sua, e con gli scritti dava favore Benedetto Solaro, vescovo di Noli, mostrando gran desiderio di recarsi al concilio Parigino.

Pure da un'altra parte la Romana curia ardentemente impugnava le medesime dottrine: Pio sesto pe' suoi brevi dei dieci marzo e tredici aprile del novantuno, le aveva solennemente condannate, affermando, e costantemente asseverando, che la potestà di compartire la giurisdizione ecclesiastica secondo la disciplina da più secoli venuta in costume, e dai concilj, ed ancora dai concordati confermata, non apparteneva neppure ai metropolitani; che anzi questa potestà era alla fonte, dond'era derivata, ritornata, siccome quella che unicamente nell'apostolica sede ha la sua stanza, che presentemente al Romano pontefice spettava il provvedere di vescovi ciascuna chiesa, come spiega il concilio di Trento; dal che ne conseguitava che niuna legittima instituzione di vescovi può esservi, eccetto quella che dalla sedia apostolica si riceve; così avere statuito la Chiesa universale debitamente adunata in concilio; così avere constituito il concordato concluso tra Leone decimo pontefice, e Francesco primo re di Francia; dal che si vedeva, che sebbene solamente dal secolo decimoquinto i pontefici successori di San Pietro instituissero nelle sedi loro i vescovi, incontrastabile nondimanco era in questa materia il diritto loro, perciocchè vicarj di Cristo essendo, in se tutta avevano raccolta la potestà data da Dio in terra pel governo della chiesa; e se i vescovi erano posti a reggere le chiese particolari, ciò solamente potevano fare, quando dal supremo ed universal pastore ne avevano ricevuto il mandato.

A queste dottrine della curia Romana, come le chiamavano, non potevano star forti, nè udirle pazientemente gli avversarj, e con parole e con iscritti e con allegazioni di testi, e con sequele di ragionamenti continuamente le combattevano. Nè ciò facendo, del tutto modestamente procedevano: perciocchè, quantunque usassero discorsi artifiziosamente umili verso il pontefice, mescolavano nondimeno motti acerbi, e sentenze ancor più acerbe, quando favellano della potestà pontificia, e le disputazioni, come di teologi, s'innasprivano. Insomma, siccome per la constituzione civile del clero ordinata dall'assemblea constituente pareva loro avere vinto una gran causa, così con tutti i nervi, e con tutte le forze loro tentavano di riconfermare la conseguita vittoria.

Queste contese teologiche molto piacevano al consolo, e gli dimostravano una grande opportunità, perchè non dubitava che il papa, temendo ch'ei non fosse per gettarsi in grembo agl'impugnatori della santa sede, avrebbe mostrato più docilità nel concedere ciò che desiderava; perciò questi umori non solo favoriva, ma incitava. Questi erano gli accidenti favorevoli al consolo; ma per natura, e per uso, e per massima amava egli molto più il governo stretto e monarcale del papa, che il governo largo e popolare degli avversarj, e gli pareva che gli ordini papali, rispetto alla potestà unica ed universale, fossero un grande, utile e maraviglioso pensamento. Chiamava i giansenisti gente di molta fede, e di ristretti pensieri; nè gli pareva che la constituzione del clero, siccome cosa antiquata e cagione di molte disgrazie, si potesse utilmente rinfrescare. Un nuovo e vivace pensiero, e più conforme ai desiderj dei popoli, gli pareva che abbisognasse.

Da un'altra parte cadevano in questa materia molte e gravi difficoltà. La principale forza del consolo era posta ne' suoi soldati e non istava senza qualche timore, che quell'apparato religioso, al quale da sì lungo tempo erano disavvezzi, e quel comparir di preti, cui avevano e con fatti perseguitato, e con motteggi lacerato, non paresse avere agli occhi loro qualche parte di ridicolo, cosa di somma importanza in Francia. Temeva altresì su quei primi principj la setta filosofica, nemica al papa, assai più potente di quella che impugnava la larghezza dell'autorità pontificia. Egli aspettava dalla prima gran favore e gran sussidio. Ma più di tutto questo travagliava l'animo suo la faccenda dei beni della chiesa venduti dai precedenti governi; perchè l'ottenere del papa la confermazione di queste vendite era di sommo momento, e sapeva che il pontefice ripugnava al fare in questo proposito alcuna espressa dichiarazione. Pure la tranquillità dei possessori era fondamento indispensabile della sua potenza. Non pochi dei giurati erano di gran nome, e di qualche autorità, e il consolo gli voleva vezzeggiare: ma l'impetrare dal papa, che non solamente gli assolvesse, e nel grembo suo gli riaccettasse, ma ancora, come desiderava, che ai primi seggi della gallicana chiesa gli sollevasse, appariva intricato, e malagevole argomento. La medesima difficoltà sorgeva per gli ecclesiastici della parte contraria, che avevano conservato i seggi loro anche ai tempi dell'esiglio, ed ai quali non avrebbero forse voluto rinunziare, parte per insistenza nell'antiche opinioni, parte per affezione alla famiglia reale di Francia.

Nè mediocre impedimento alla definizione del trattato recava il capitolo della celebrazione dei riti cattolici; perciocchè essendo i medesimi andati in disuso da sì lungo tempo, non era senza pericolo di scandalo, in mezzo a popolazioni iniette di usi e di opinioni contrarie, il volere che tutto ad un tratto pubblicamente, e secondo tutti gli usi della chiesa si celebrassero: si temeva che nascessero enormità, dalle quali i fedeli ricevessero maggiore offensione, che edificazione. Ripugnava adunque il consolo, malgrado che il papa insistesse per ogni larghezza di culto pubblico, a questa condizione, volendo indugiare a tempo più propizio i desiderj di Roma.

Non ostante tutte queste malagevolezze in un negozio di tanta importanza, essendo nelle due parti grandissimo desiderio di convenire, mandava Pio settimo a Parigi il cardinale Ercole Consalvi, suo segretario di stato, Giuseppe Spina arcivescovo di Corinto, ed il padre Caselli, teologo consultore della santa sede. Dal canto suo dava il consolo facoltà di trattare e di concludere a Giuseppe Buonaparte, a Cretet, consigliere di stato, ed a Bernier, curato di San Lodo di Angeri. Da questi si venne il dì quindici luglio al trattato definitivo tra la santa sede, e la repubblica di Francia, atto piuttosto di unica che di molta importanza, poichè per lui si restituiva alla chiesa cattolica una parte nobilissima d'Europa, e si ridava la pace a tanti uomini di coscienza timorata e pia. Il fece il papa per motivi religiosi, il consolo per mondani; nè troppo ei se n'infinse; il che fu non senza scandalo, perchè gli uomini religiosi abbominavano, che la religione si usasse per mezzo, non per fine, antica, fondata, ed inutile querela.

Confessatosi dal governo francese; che la religione cattolica, apostolica e romana era professata dalla maggior parte dei Francesi, e confessatosi altresì da Sua Beatitudine, che dalla sua rintegrazione in Francia era per derivarle un grande benefizio ed un grande splendore, convennero e stipularono le due parti, che la religione cattolica, apostolica e romana avrebbe libero e pubblico esercizio in Francia, a quelle regole conformandosi, che il governo giudicherebbe necessarie per la quiete dello stato: s'accorderebbero la santa sede ed il governo ad ordinare una nuova circonscrizione delle diocesi: esorterebbe il pontefice i vescovi titolari a rinunziare alle sedi loro, e se nol facessero, con la elezione di nuovi titolari provvederebbe; nominerebbe il consolo tre mesi dopo la pubblicazione della bolla di Sua Santità gli arcivescovi, ed i vescovi secondo la nuova circonscrizione, e conferirebbe il papa l'instituzione canonica secondo le regole constituite per la Francia innanzi che il governo vi si cambiasse: le sedi vescovili, che in progresso vacassero ugualmente con nominazioni fatte dal consolo, si riempissero, e l'instituzione canonica, conforme al capitolo precedente, dal papa si conferisse; giurassero i vescovi, e gli altri ecclesiastici, prima dell'ingresso loro, fedeltà alla repubblica, e promettessero di svelare qualunque trama contraria allo stato; pregassero nelle chiese per la repubblica e pei consoli; i vescovi non potessero fare nuove circoscrizioni di parocchie, nè nominare parochi, se non a beneplacito del governo; le chiese non vendute si restituissero ai vescovi. Dichiarava inoltre il papa, avuto riguardo alla pace ed alla rintegrazione della religione in Francia, che nè egli, nè i suoi successori non sarebbero mai per molestare gli acquistatori dei beni ecclesiastici alienati, e che per conseguente la proprietà di essi beni, i diritti e le rendite annessevi, fossero e restassero incommutabilmente in loro, nei loro eredi, e negli aventi causa da essi. Obbligossi il governo di Francia a dare congrui assegnamenti ai vescovi ed ai parochi, a provvedere che i fedeli di Francia potessero legare alle chiese per benefizio della religione. Confessò e riconobbe il papa, essere nel consolo gli stessi diritti e prerogative, di cui appresso alla sedia apostolica godevano gli antichi sovrani di Francia. Se accadesse, che un consolo acattolico arrivasse al seggio supremo in Francia, i suoi diritti e prerogative, e così ancora la forma delle elezioni dei vescovi si regolassero per un nuovo accordo.

Concluso il concordato, dissolveva tostamente il consolo, non avendone più bisogno, il concilio nazionale di Parigi. Così gli sforzi dei vescovi e preti giurati, per astuzia del consolo, servirono alla rintegrazione dell'autorità papale piena in Francia.

Questa convenzione mandata a Roma per la ratifica del papa, vi destò gravi e pertinaci controversie. I teologi più stretti e più dediti alle massime della curia Romana, apertamente biasimavano i plenipotenziarj dello avere troppo largheggiato nelle concessioni, e grandemente offeso i diritti e le prerogative della chiesa cattolica. Il papa medesimo, siccome quegli che molto timorato era, e delle prerogative della santa sede zelantissimo, se ne stava in forse, non sapendo risolversi al ratificare. I capitoli, su i quali cadevano principalmente le controversie, erano, primieramente quello che statuiva, doversi il pubblico esercizio del culto regolare dalla potestà temporale senza nissun intervento dell'ecclesiastica, secondamente quello, per cui si dichiarava da parte del pontefice la proprietà incommutabile a favore degli acquistatori dei beni ecclesiastici. Pareva ad alcuni, che il sostenere che la potestà laica possa di per se, e senza l'intervento della potestà ecclesiastica far regole pel culto pubblico, quandanche fosse per ragione della quiete dello stato, e che ad esse regole sia la chiesa obbligata ad uniformarsi, fosse proposizione non solamente contraria ai canoni, ma ancora più che sospetta di eresìa, siccome quella che è contraria al detto dell'apostolo, che i vescovi sono posti dallo Spirito Santo al governo della chiesa di Dio. Allegavano, che non vi è chiesa senza culto, che chi regola il culto regola la chiesa, e che chi regola regge. O è dunque falso, concludevano, che i vescovi siano destinati dal divino Spirito a reggere la chiesa, il che è eresia, o è indubitato, che i vescovi soli, e non i laici debbono reggere il culto, il che è dogma. A queste ragioni vieppiù si peritava papa Pio, e stava dubbio del partito al quale dovesse appigliarsi. Deliberò, prima di risolversi, di consigliarsi coi teologi più dotti di Roma: richiese del parer loro il cardinale Albani, e frate Angelo Maria Merenda dei predicatori, commissario del sant'officio. S'accordarono ambidue, che il papa, salva coscienza, potesse ratificare.

Il Merenda principalmente, molto sottilmente di questa materia ragionando, statuiva, che se si trattasse di stabilire una bolla, un canone, una definizione, od una massima in materia di dottrina, il dire, che la potestà laica possa regolare il culto senza l'intervento della potestà ecclesiastica, e che alle sue regole debbano gli ecclesiastici uniformarsi, sarebbe proposizione eretica; ma non parimente quando si trattasse, come nel caso presente, di trattato, convenzione, o accordo, che si facesse coll'intento d'introdurre una regola, per cui si rintegrassero e si repristinassero la religione e l'ecclesiastica disciplina, in un paese del quale erano da molti anni miseramente sbandite, benchè da più secoli, come in loro propria sede vi dimorassero, e gli abitatori suoi fossero stimati veri e legittimi figliuoli primogeniti della chiesa. Sapersi, quanto fosse la parte acattolica potente in Francia, quanto disusata la religione, quanto facili a nascervi gli scandali: però le circostanze dei luoghi e dei tempi richiedere, che per evitare i danni maggiori che da un rifiuto nascerebbero, per non privare un gran numero d'innocenti di quegli spirituali sussidj, che potevano con la condizione presente concordarsi, per avviare insomma l'importantissimo affare della religione di un paese, che nel miglior modo che si potesse la desiderava, poteva, e doveva il sommo pontefice risolversi alla ratificazione; nè all'uomo prudente appartenersi il far gitto di tutto, quando si può conseguire una parte: nè a patto alcuno potere il pontefice di tale atto venir censurato, perchè soltanto faceva una concessione, la quale dalla sua autorità procedendo, non dava nissun diritto alla potestà secolare: avere voluto il divino Redentore, che in tempi avversi usassero gli apostoli la prudenza del serpente, e la semplicità della colomba; il quale precetto, siccome spiega San Tommaso, significare, che, siccome il serpente nel pericolo s'avviticchia, e nasconde il capo per salvarlo, così la chiesa deve studiarsi di salvar la fede, che è il capo e il fondamento, su cui rimane la chiesa medesima edificata; e siccome colomba, ella deve con la dolcezza, e con la lenità sforzarsi di mitigar l'ira degli avversarj. Il cardinale Albani a questo parere tanto più volentieri si accostava, quanto più sapeva, che i plenipotenziarj di Francia avevano dato promesse certe per iscritto, che le modificazioni e restrizioni della pubblicità del culto non in alcuna parte sostanziale, ma solamente nelle processioni esteriori, nelle sepolture, ed in altri somiglianti casi consistevano.

Quanto poi al capitolo che concerneva i compratori dei beni ecclesiastici venduti, manifestarono Albani e Merenda una opinione del pari conforme, e del pari favorevole alle stipulazioni, parendo loro, che secondo i termini in cui era espresso, non per altro Sua Santità riconoscesse i compratori, come proprietarj dei beni alienati, se non in conseguenza delle promesse che loro faceva di non molestargli, nè per se, nè pe' suoi successori; dalla qual promessa ne veniva loro assicurato il quieto e pacifico possesso, dal quale sorgeva necessariamente il diritto incommutabile di proprietà. Non era adunque, pensavano, che Sua Santità riconoscesse negli acquistatori l'anzidetto diritto di proprietà independente dalla sua concessione; che anzi il diritto stesso di proprietà, siccome il capitolo esprimeva, era una sequela della condonazione implicitamente contenuta nella promessa di non molestare i possessori, condonazione, che il papa loro faceva colla pienezza dell'apostolica suprema sua autorità. Che se, aggiungevano i due consultatori della santa sede, le due parti del capitolo fossero state concepite con ordine inverso, e si fosse detto che il papa dichiarava, dovere la proprietà dei beni ecclesiastici alienati rimanere immutabilmente presso gli acquistatori, e che in conseguenza non avrebbero essi mai ricevuto molestia nel possesso di tali beni da parte della santa sede, una dichiarazione di tal sorta sarebbe stata di grave censura degna, perchè con lei si sarebbe appruovato in certo modo l'errore già dai sacri concilj Lateranense secondo, e Constanziense condannato in Arnaldo da Brescia, Marsilio da Padova, Giovanni da Garduno, e nei Valdesi, Viclefiti, ed Ussiti: ma trovandosi le due parti del capitolo collocate, come sono, il capitolo era irreprensibile, poichè la proprietà risultava dalla condonazione del papa, non la condonazione dalla proprietà.

Stante adunque le dilucidazioni date dal cardinale e dal commissario, non soprastette più lungamente Pio settimo a dare il suo assenso, e ratificò il concordato. Scrisse al tempo stesso brevi ai vescovi titolari, acciocchè alle loro sedi rinunziassero. Alcuni rinunziarono, la maggior parte, massimamente quelli che si erano riparati in Inghilterra, ricusarono. Dei giurati Primat, le Blanc de Beaulieu, Perrier, Lecoz, Saurin, supplicato al papa che loro perdonasse, e nelle sedi destinate dal consolo gl'instituisse, impetrarono.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
25 haziran 2017
Hacim:
340 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain

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