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Kitabı oku: «Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V», sayfa 14

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«Voi vedete pertanto, venerabili fratelli, quanto giuste e gravi siano le cagioni, che ad intraprendere questo viaggio c'invitano. Muovonci gl'interessi della nostra santa religione, muoveci la gratitudine verso il potente imperatore, muoveci l'amore verso colui che con tutta la forza sua adoperandosi, ebbe in Francia alla cattolica religione libero e pubblico esercizio procurato, muoveci il desiderio, che d'avanzarla viemaggiormente in prosperità ed in dignità ci dimostra. Speriamo altresì, che quando al cospetto suo giunti saremo, e con lui volto a volto favelleremo, tali cose da lui a benefizio della cattolica chiesa, sola posseditrice dell'arca di salvazione, impetreremo, che giustamente con noi medesimi dello avere a perfezione condotto l'opera della nostra santissima religione congratularci potremo. Non dalle nostre deboli parole tale speranza concepiamo, ma dalla grazia di colui, di cui, quantunque immeritamente, siamo il vicario sopra la terra, dalla grazia di colui, che per la forza dei sacri riti invocato essendo, nei bene disposti cuori dei principi discende, specialmente quando padri dei popoli si mostrano, specialmente quando all'eterna salute intendono, specialmente quando di vivere e di morire veri e buoni figliuoli della cattolica chiesa deliberano. Per tutte queste cagioni, venerabili fratelli, e l'esempio seguitando di alcuni nostri predecessori che la propria sede lasciando, in estere regioni per promuovere la religione, e per gratificare ai principi, che della chiesa bene meritato avevano, peregrinarono, ci siamo ad intraprendere il presente viaggio deliberati, avvengadiochè da tale risoluzione avessero dovuto allontanarci la stagione sinistra, l'età nostra grave, la salute inferma. Ma non fia che a tali impedimenti ci sgomentiamo, solo che voglia Iddio farci dei nostri desiderj grazia. Nè fu il negozio, prima che ci risolvessimo, da ogni parte ed attentamente non considerato. Stemmo dubbj, ed incerti un tempo; ma con tali assicurazioni si fece incontro ai desiderj nostri l'imperatore, che ci rendemmo certi, essere il nostro viaggio a pro della religione per riuscire. Voi ciò sapete, che su di ciò a voi chiesi consiglio: ma per non preterire quello che ogni altra cosa avanza, sapendo benissimo, che conforme al detto della divina sapienza, le risoluzioni dei mortali, anche di quelli che per dottrina e per pietà più riputati sono, di quelli altresì, il cui parlare, quale incenso, alla presenza di Dio sen sale, sono deboli e timide ed incerte, le nostre fervorose preghiere al padre di ogni sapere indirizzammo, instantemente richiedendolo, che ci sia fatto abilità di solo fare quello che a lui piacer possa, solo quello che a prosperità ed incremento della sua chiesa tornare prometta. Ecci Dio, al quale coll'umile nostro cuore tante volte supplicammo, al quale nel suo sacro tempio le supplici nostre mani alzammo, dal quale e benigna audienza ed ajuto propizio in tant'uopo implorammo, testimonio, che niun'altra cosa vogliamo, a niun'altra intendiamo, che alla gloria ed agli interessi della cattolica religione, alla salute delle anime, all'adempimento dell'apostolico mandato, a noi, quantunque immeritevoli, commesso. Di questa medesima sincerità nostra voi stessi, venerabili fratelli, a cui tutto apersi, siete testimonj. Adunque quando un negozio sì grande con l'ajuto della divina assistenza vicino è a compirsi, qual vicario di Dio, Salvator nostro, operando, questo viaggio, al quale tante e sì ponderose ragioni ci confortano, imprenderemo.

«Benedirà, speriamo, il Dio d'ogni grazia i nostri passi, ed in questa epoca nuova della religione con uno splendore di accresciuta gloria si manifesterà. Ad esempio di Pio sesto di riverita memoria, quando a Vienna d'Austria si condusse, abbiamo, venerabili fratelli, provveduto, che le curie, e le audienze siano e restino secondo il solito aperte; e siccome la necessità del morire è certa, il giorno incerto, così abbiamo ordinato, che se durante il viaggio nostro a Dio piacesse di tirarci a lui, si tengano i pontificj comizj. Infine da voi richiediamo, voi instantemente preghiamo, che vi piaccia per noi sempre quell'affezione medesima conservare, che finora ci mostraste, e che noi assenti, l'anima nostra all'onnipotente Iddio, a Gesù Cristo nostro Signore, alla gloriosissima sua Vergine madre, al beato apostolo Pietro, acciò questo nostro viaggio, e felice sia nel corso, e prospero nel fine, raccomandiate. La quale cosa, se, come speriamo, dal fonte di ogni bene impetreremo, voi, venerandi fratelli, che di ogni consiglio nostro e di ogni nostra cura foste sempre partecipi fatti, della comune contentezza ancora voi parteciperete, e tutt'insieme nella mercè del Signore esulteremo, e ci rallegreremo».

Giunto il pontefice sulle Francesi terre, fu per ordine dell'imperatore, ed ancor più per la pietà dei fedeli in ogni luogo con riverenza veduto. A Parigi, anche quelli che non credevano nè al papa, nè alla religione, si precipitavano a gara, o per moda, o per vanità, o per adulazione, alla sua presenza per esprimergli con parole sentimenti di rispetto. Incoronava Napoleone il dì due decembre. Il fece l'imperatore aspettare nella chiesa di Nostra Donna in Parigi un'ora prima che vi arrivasse: vollero, quando il pontefice si mosse alla volta di lui, i pii circostanti applaudire al venerando vecchio; furonne da Napoleone con imperioso e forte segno impediti: partito da Nostra Donna il consecrato ed incoronato Napoleone, fu lasciato Pio, come un uom del volgo, avviluppato ed impedito fra l'immensa folla del popolo concorso; tristi presagi dei casi avvenire. Napoleone consecrato diè nel campo di Marte solennemente le imperiali aquile a' suoi soldati: le auliche insegne della repubblica, che avevano veduto le Renane, Italiche, Egiziache vittorie, lasciate nel fango, che era in quel giorno altissimo. Tanto i soldati di tutti già erano divenuti soldati di un solo! Disprezzar la gloria era segno, che non si sarebbe rispettata la libertà.

Andarono i magistrati, ed i capi dell'esercito a rendere omaggio all'incoronato loro signore. Cervoni, antico compagno, vedendolo non più così scarso del corpo, com'era una volta, con esso lui della prospera salute si rallegrava. , rispose il sire, ora sto bene.

LIBRO VIGESIMOSECONDO

SOMMARIO

Buonaparte creatosi imperatore di Francia, pensa a farsi chiamare re d'Italia. Gl'Italiani gli si rappresentano a Parigi, e il fanno pago di questo suo desiderio. Va a Milano per incoronarsi re. Genova cambiata, ed unita a Francia. Festa che danno i Genovesi all'imperatore e re. Dichiarazione di Scipione de' Ricci vescovo di Pistoja, al papa, ed accoglienza che il pontefice gli fa a Firenze. Astute insinuazioni dei gesuiti ai principi, e loro rinstaurazione nel regno di Napoli. Nuova guerra tra la Francia da una parte, l'Austria e la Russia dall'altra, e sue cagioni. Massena generalissimo di Francia, l'arciduca Carlo generalissimo d'Austria in Italia. Battaglia di Caldiero. Strepitose vittorie di Napoleone in Germania. L'arciduca si ritira dall'Italia: pace di Presburgo. Napoleone toglie il regno a Ferdinando di Napoli, e per qual cagione. Giuseppe, fratello di Napoleone, re di Napoli. Si fa sangue nelle Calabrie. Battaglia di Maida tra Francesi ed Inglesi. Accidenti delle bocche di Cattaro, e ferocia della guerra Dalmatica. La Dalmazia e Ragusi riunite al regno Italico.

La natura di Napoleone era irrequieta, disordinata, solo costante nell'ambizione. Però lungo tempo non stava nel medesimo proposito, sempre mutando per salire. Pareva, e fu anche solennemente, e con magnifiche parole detto da lui e da Melzi, che gli ordini statuiti in Lione per l'Italica fossero per essere eterni; ma non ancora erano corsi due anni, che già manchi, insufficienti, non conducenti a cosa che buona e durevole fosse, si qualificarono. Importava a chi s'era fatto imperatore, che re ancora si facesse. Erano, non senza disegno, stati invitati gl'Italici a condursi a Parigi per cagione di assistere, in nome della repubblica, alle imperiali cerimonie ed allegrezze. Vi andarono Melzi vice-presidente, i consultori di stato Marescalchi, Caprara, Paradisi, Fenaroli, Costabili, Luosi, Guicciardi; i deputati dei collegi e dei magistrati Guastavillani, Lambertenghi, Carlotti, Dambruschi, Rangone, Caleppi, Litta, Fe, Alessandri, Salimbeni, Appiani, Busti, Negri, Sopransi, Valdrighi. L'imperatore si lasciò intendere che il chiamassero re, e condannassero gli ordini Lionesi: disponendosi la somma delle cose non solo con un comando, ma ancora con un cenno di Napoleone, il fecero volontieri. Melzi certamente non nato a questi vituperj, appresentandosi il giorno diciasette marzo con gli altri deputati in cospetto di Napoleone salito sul trono nel Castello delle Tuilerie, in tali accenti con lingua e concetti servili favellava. «Voi ordinaste, o Sire, che la consulta di stato, e i deputati della repubblica Italiana si adunassero, e l'affare il più importante pe' suoi destini presenti e futuri, cioè la forma del suo governo considerassero. Al cospetto vostro io m'appresento, Sire, per compire appresso a voi l'onorevole carico d'informarvi di quanto ella fece e di quanto ella desidera. Primieramente l'assemblea molto bene ogni cosa considerando, venne in questa sentenza, che impossibile è, se troppo non si vuole dagli accidenti dell'età nostra discordare, le attuali forme conservare. Ebbero le Lionesi constituzioni tutti i segni di ordini provvisorj: accidentali furono, perchè agli accidenti dei tempi fossero rispondenti, nè in se alcun nervo avevano, per cui gli uomini prudenti e durata e conservazione promettere si potessero. Non che la ragione, l'evidenza stringono urgentemente a cambiarla. La qual cosa concessa, e confessata vera, come vera è realmente, la via da seguitarsi semplice diventa e piana: i progressi delle cognizioni, i dettami dell'esperienza la monarchia constituzionale, la gratitudine, l'amore, la confidenza il monarca ci additano. Voi conquistaste, o Sire, voi riconquistaste, voi creaste, voi ordinaste, voi fino a questo dì l'Italiana repubblica governaste; quivi ogni cosa le vostre gesta, la vostra mente, i vostri benefizi rammenta: un unico desiderio poteva essere fra di noi: un unico desiderio è sorto. Noi non preterimmo di maturamente considerare quanto nelle future cose profonda sapienza vostra indicava; ma per quanto gli alti e generosi pensieri vostri coi nostri più bramati interessi s'accordino, facilmente abbiamo a noi medesimi persuaso, che le condizioni nostre tanto ancora non sono mature, che possiamo aggiungere a quest'ultimo grado della politica independenza. L'Italiana repubblica, così porta l'ordine naturale delle cose, debbe ancora per qualche tempo restare impressa della condizione degli stati novellamente creati. Un primo nembo, quantunque leggieri, che l'aere oscurasse, sarebbe per lei d'affanni e di timore cagione. Nella qual condizione, quale maggiore sicurezza, quale più fondata speranza di felicità potrebbe ella, Sire, che in voi trovare? Voi siete ancora necessaria parte di lei. Solo nell'alta sapienza vostra sta, solo a lei s'appartiene il vedere il preciso termine della dependenza tra le gelosie esterne, e i pericoli nostri. Interrogati amorevolmente, rispondiamo sinceramente. Questo è il desiderio nostro, che a voi significhiamo, questa la preghiera, che a voi indirizziamo, che vi piaccia quelle costituzioni darne, in cui i principj già da voi pubblicati, dall'eterna ragione richiesti, alla quiete delle nazioni necessari, statuiti siano e confermati. Siate contento, o Sire, di accettare, siate contento di compire le preghiere, e i desiderj dell'Italica consulta. Per questa mia bocca instantemente tutti ve ne ricercano, e ve ne scongiurano. Se voi benignamente ci esaudite, agl'Italiani diremo, che voi con più forte legamento vi siete alla conservazione, alla difesa, alla prosperità dell'Italiana nazione congiunto. Così è, Sire, voi voleste che la Italiana repubblica fosse, ed ella fu: fate ora, che la Italiana monarchìa sia felice, e sarà».

Terminato il favellare, e fattosi avanti Melzi, l'atto dell'Italiana consulta espresse: il governo della repubblica Italiana fosse monarcale, ed ereditario: Napoleone primo re d'Italia si dichiarasse: le due corone di Francia, e d'Italia in lui solo, non ne' suoi discendenti o successori, potessero essere unite: insino a tanto che gli eserciti Francesi occupassero il regno di Napoli, i Russi Corfù, gl'Inglesi Malta, le due corone non si potessero separare: pregassesi Napoleone imperatore, passasse a Milano per ricevere la corona, e statuire leggi definitive pel regno.

Rispose Napoleone con voce forte, ma chioccia, come l'aveva, aver sempre avuto il pensiero di creare libera e independente la nazione Italiana; dalle sponde del Nilo avere sentito le Italiane disgrazie; essere, mercè del coraggio invitto dei suoi soldati, comparso in Milano, quando i suoi popoli d'Italia ancora il credevano sulle spiagge del mare Rosso; ancora tinto di sangue, ancora cosperso di polvere, sua prima cura essere stata l'ordinare l'Italiana patria: chiamarlo gl'Italiani a loro re; volere loro re essere, volere questa corona conservare, ma solo fintantochè gl'interessi loro il richiedessero: deporrebbela, quando fosse venuto il tempo, sopra un giovane rampollo volentieri, al quale del pari che a lui sarebbero a cuore la sicurezza e la prosperità dei popoli Italiani. Nè questa fu la sola dimostrazione, ch'ei fece in questo proposito.

Entrò il giorno seguente l'imperatore in senato. Taleyrand, ch'era uomo molto ambidestro, e capace di pruovar questa con molte altre cose ancora, pruovò, che per allora l'unione della corona d'Italia a quella di Francia era necessaria. Lessesi l'accettazione: poi Napoleone prese a favellare, pretendendo parole di moderazione e di temperanza. «Noi vi chiamammo, o senatori, disse, per darvi a conoscere tutto l'animo nostro intorno agli affari più importanti dello stato. Potente e forte è l'impero di Francia, ma più grande ancora la moderazione nostra. La Olanda, la Svizzera, l'Italia tutta, la Germania quasi tutta conquistammo: ma in fortuna tanto prospera misura e modo serbammo. Di tante conquistate province quello solo ritenemmo, che necessario era a mantenerci in quel grado d'autorità e di potenza, nel quale fu sempre la Francia posta. Lo spartimento della Polonia, le province tolte alla Turchìa, la conquista dell'Indie, e di quasi tutte le colonie hanno a pregiudizio nostro dall'un dei lati fatto ir giù la bilancia: l'inutile rendemmo, il necessario serbammo, nè mai le armi per vani progetti di grandezza, nè per amore di conquista impugnammo. Grande incremento alla fertilità delle nostre terre avrebbe recato l'unione dei territorj dell'Italiana repubblica: pure dopo la seconda conquista, l'independenza sua a Lione confermammo; ed oggidì più oltre ancora procedendo, il principio della separazione delle due corone statuiamo, solo il tempo di lei, quando senza pericolo pei nostri popoli d'Italia effettuare si possa, assegnando. Accettammo, e sulla nostra fronte l'antica corona dei Lombardi posammo: questa rattempreremo, questa rinstaureremo, questa contro ogni assalto, finchè il Mediterraneo non sia restituito alla condizione consueta, difenderemo, e questo primo Italico statuto a poter nostro sano e salvo conserveremo».

Creava l'imperatore Eugenio Beauharnais, figliuolo dell'imperatrice sua moglie, principe: poi, suo figliuolo adottivo chiamandolo, vicerè d'Italia il nominava. Creava Melzi guardasigilli del regno. Decretava, anderebbe a Milano, e la corona reale, la domenica ventisei di maggio, prenderebbe. Messosi in viaggio con grandissimo seguito di cortigiani, perchè voleva far illustre questa sua gita con apparato molto superbo, e più che regio, e festeggiato con grandissimi onori per tutta Francia, arrivava Napoleone il dì venti aprile a Stupinigi, piccola ed amena villa dei Reali di Sardegna, posta a poca distanza da Torino. Quivi concorsero a fargli onoranza i magistrati; Menou verso di lui umilissimo si mostrava. Ad alcuni parlò benignamente, ad altri superbamente, secondochè era da Menou Egiziaco susurrato. Riprese con parole aspre l'arcivescovo Buronzo, accusandolo di serbar tuttavia fede al re di Sardegna: tolse dalla carica Pico, presidente del tribunale, e lo voleva anche far ammazzare, perchè, come diceva, l'aveva tradito nelle faccende Veneziane. Infine trascorse in parole sdegnosissime contro i giacobini, chiamandogli scelerati, e più quelli che l'avevano servito: in ciò era stimolato particolarmente da Menou, che parlava come se non fosse mai stato giacobino egli. Aggiunse il sire, che gli avrebbe fatti arar dritto, e chi non avesse arato dritto, avrebbe a far con lui. Tutte queste cose disse, e fece con modi tanto plebei, che tutti restarono persuasi, che se aveva la forza non aveva la dignità, e che novizio ancora, male sapeva portare il nuovo imperio. Vennero a trovarlo a Stupinigi i deputati di Milano per fargli omaggio, re loro, rigeneratore loro, padre loro chiamandolo. Rispose onorevolmente, gli avrebbe in luogo di figliuoli: raccomandò loro, fossero virtuosi, l'attiva vita, la patria, e l'ordine amassero. Dell'ordine parlava per dar contro ai giacobini, credendo che questa fosse buona arte per adescare i re. Terminò minacciosamente dicendo, che se alcuno avesse concetto gelosia pel regno d'Italia, aveva una buona spada per disperdere i suoi nemici; il che era vero. I buoni Milanesi stupivano a quelle sì vive dimostrazioni, ed argomentavano, che il placido e grasso vivere fosse giunto al fine. Visitato Moncalieri, corse la collina di Torino: esaminata Superga, entrò trionfalmente nella reale città. Abitò il palazzo del re, con molto studio e diligenza a questo fine restituito ed addobbato dal conte Salmatoris. Correvano i popoli Piemontesi a vedere l'inusitato spettacolo: si maravigliavano, non del caso, che già ne avevano veduti tanti, ma della superbia. Arrivava in questo mentre papa Pio a Torino, tornando da Francia. Fu fatto alloggiare nella reggia con Napoleone: stettero molte ore ristretti insieme: Pio sperava. Napoleone lusingava, pubblicamente stretto accordo mostravano, l'imperatore ne godeva, perchè sapeva qual effetto sulla opinione dei popoli partorisse l'amicizia di un papa. Visitò le pubbliche singolarità, con incredibile imperturbabilità parlando di quel che sapeva, e di quel che non sapeva: ma che dicesse bene, o che dicesse male, tutti sempre applaudivano. Parlò con facilissima loquela di musica, di medicina, di leggi, di pittura: volle vedere la tavola d'Olimpia, pinta da Ravelli, pittore di nome. Lodò l'opera, ma notò qualche difetto: tutti fecero le maraviglie del quanto se ne intendesse. Il papa festeggiato, anche da Menou Abdallah, se ne partiva alla volta di Parma.

Dai discorsi civili si venne alla rappresentazione delle armi. Volle Napoleone vedere i gloriosi campi di Marengo, e quivi simulare una sembianza di battaglia. Rizzossi un arco trionfale sulla porta d'Alessandria per a Marengo con gli emblemi delle Italiche, Germaniche, Egiziache vittorie. Sul campo stesso del combattuto Marengo l'imperial trono s'innalzava. Compariva Napoleone in una carrozza molto splendida, e tirata da otto cavalli: non conobbe, quanto più grande sarebbe stato, se in quei medesimi luoghi si fosse rappresentato con modestia e da soldato; ma la vanità guastava la gloria. Stavano i soldati schierati, molti memori delle portate fatiche in questi stessi Marenghiani campi: Francesi, Italiani, Mamalucchi, sì fanti che cavalli: s'accostavano le guardie nazionali, tutte in abito, ed in bellissimo ordine disposte: magnifica comparsa poi facevano le guardie d'onore Milanesi venute a Marengo per onoranza del nuovo signore. Stavano appresso gli ufficiali di corte, i ciamberlani, le dame, i paggi, e molti generali in abiti ricchissimi. Splendeva il sole a ciel sereno: i raggi ripercossi, e rimandati in mille differenti guise da tanti ori, argenti, e ferri forbiti, facevano una vista mirabile. Una moltitudine innumerevole di popolo era concorsa: l'Alessandrina pianura risuonava di grida festive, di nitriti guerrieri, di musica incitatrice. Napoleone glorioso venuto al trono, e postovi l'imperatrice a sedere, scendeva dall'imperiale cocchio; e montato a cavallo s'aggirava per le file degli ordinati soldati. Le grida, gli applausi, i suoni di ogni sorta più vivi e più spessi sorgevano, ed assordavano l'aria. Terminate la rassegna e la mostra, ivi a sedersi sull'imperiale seggio ancor egli, essendo in lui conversi gli occhi della moltitudine, tutti imperatore e vincitore di Marengo con altissime voci salutandolo. Seguitava la battaglia simulata fra due opposte schiere, moderando le mosse e gli armeggiamenti Lannes, che dopo i nuovi ordini imperiali era stato creato maresciallo. Durò dalle dieci della mattina sino alle sei della sera con diletto grandissimo di Napoleone; la quale terminata, dispensò a parecchi soldati o magistrati le insegne della legion d'onore, nuovo allettamento pe' suoi disegni creato da lui novellamente, siccome quegli che ottimamente conosceva i repubblicani de' suoi tempi. Sceso poscia dal trono gettava le fondamenta di una colonna per testimonianza alle future genti della Marenghiana vittoria: ivi si fermarono le gloriose ricordanze. Arrivava Napoleone con tutti i grandi della corona il dì sei maggio a Mezzana-Corte sulla sponda del Po, dove passato il fiume sopra non so quale estemporaneo Bucintoro, fra le innumerevoli acclamazioni dei popoli, che sulle due opposte rive tripudiavano, sulle terre del suo Italico regno entrava. L'aspettavano in solenne pompa, il ricevettero, il lodarono il prefetto dell'Olona, il guarda-sigilli Melzi, il maresciallo Jourdan, che stava al governo dei soldati francesi alloggiati nel regno Italico. Rispose secco in un momento, in cui massimamente il suo cuore sarebbe dovuto aprirsi, e spander fuori da tutte le vene fonti d'affezione.

Giunto a Pavia, fece sua stanza nel palazzo del marchese Botta, ad uso di palazzo imperiale destinandolo, buon grado o malgrado che ne avesse il marchese, che per verità poco si curava di questo Napoleonico onore. Guardie d'onore, studenti addobbati, folle di popolo, arazzi spiegati, fiori sparsi, lumi accesi, applausi infiniti testificavano l'allegrezza dei Pavesi verso chi gli aveva avaramente, e crudelmente posti a sacco. Vide volentieri l'università, che l'ebbe con queste parole, per voce del rettore, e dei professori decani, lodato: «Voi assicuraste due volte colla vittoria, o sire, la sorte d'Italia, e due volte fra i travagli delle armi stendeste la mano generosa alle scienze profughe e mal sicure. Allora fu, che questo tempio sacro alla sapienza venne da voi rialzato all'antico splendore. Chiamati noi sotto l'ombra del vostro scudo all'onorato ministero del suo culto, fummo ognora penetrati da profonda riconoscenza. Il popolo Francese vi pose in capo la corona imperiale; ma gli Italiani vi prepararono quella degli antichi loro re: essi ve la offersero, voi l'accettaste, e la fronte piena d'alti pensieri si fregierà di un duplice diadema. Questo è l'istante, che apre libero il campo alla nostra gratitudine, e che ci guida a depositare a' vostri piedi l'omaggio solenne della nostra comune esultazione. Voi, cui circondano le pacifiche non meno, che le guerriere virtù, accogliete il rispettoso nostro discorso, e vogliate esserci padre, e nume tutelare. Apprenda da voi la posterità, che il genio delle armi unito a quello delle scienze e delle arti forma la felicità delle nazioni. Venite adunque fra noi, benefico e magnanimo eroe: per voi si diffonderanno vieppiù tutte le fonti del sapere. Già l'Italia, l'illustre patria de' Virgili, de' Galilei, de' Raffaelli ingrandisce le sue speranze sotto i potenti vostri auspicj. Il cielo vi formò per le grandi cose, e poichè tutto vi diede, vi conceda ancor lunghi e sereni giorni, onde compiere l'opera della vostra beneficenza, e gli alti destini, che ci avete preparati». Io ho voluto riferire questo discorso elogistico dell'università di Pavia, perchè, sebbene del tutto non sia purgato, è nondimeno a comparazione delle laide e deformi Italiane scritture di quei tempi, limpido e puro di parole, e di stile non isconveniente al soggetto.

Fu magnifico l'ingresso di Napoleone in Milano. Entrava per la porta Ticinese, a cui fu dato nome di Marengo. Gli appresentarono i municipali le chiavi posate sopra un bacile d'oro. Dissero, essere chiavi della fedel Milano; i cuori aversegli già da lungo tempo acquistati. Rispose, serbassero le chiavi; credere, amarlo i Milanesi, credessero, lui amargli. Pervenuto, traendo e gridando lietissimamente una foltissima calca di popolo, al Duomo, il cardinal Caprara, arcivescovo, fattosegli incontro sulla soglia, giurava rispetto, fedeltà, obbedienza e sommessione, augurava conservazione di sì gran sovrano, invocava gl'incliti protettori della magnifica città Ambrogio e Carlo, acciocchè a lui, ed a tutta la sua famiglia salute piena, e contentezza perenne dessero. Terminate le cerimonie del tempio, il palazzo dei duchi ornato a festa, e tutto esultante per l'acquistata grandezza accoglieva il novello re.

Ed ecco che, saputo ch'era andato a Milano per la corona, il venivano a trovare i deputati dell'Italiche e dell'estere città. Vennevi Lucchesini portatore dei Prussiani onori, e delle Prussiane arti: recava da parte del re Federigo l'aquila nera, e l'aquila rossa a Napoleone: fregiatosene il sire, compariva con loro al cospetto de' suoi schierati soldati. Queste cose si facevano per pungere l'Austria, perchè a questo tempo il re Federigo, a ciò confortato da Lucchesini e da Hagwitz, si era risoluto, con quale prudenza e felicità il mondo stupidito se l'ha veduto, a secondare in tutto e per tutto i disegni di Napoleone imperatore. Vennevi Cetto, inviato di Baviera, Beust, inviato dell'arcicancelliere dell'impero Germanico, Alberg mandato da Baden, Benvenuti balì mandato dall'ordine di Malta: mandovvi la montagnosa Vallesia il landamanno Augustini: mandovvi l'adusta Spagna il principe di Masserano, Lucca un Cotenna ed un Belluomini, Toscana un principe Corsini ed un Vittorio Fossombroni: tutti venivano ad onoranza, ed a raccomandazione appresso al potente e temuto signore.

Maggior materia era sotto i deputati della Ligure repubblica. Aveva mandato il senato Genovese Durazzo doge, cardinale Spina arcivescovo, Carbonara, Roggieri, Maghella, Fravega, Balbi, Maglione, Delarue, Scassi, senatori. A loro maggiori carezze, più squisiti onori si facevano. Studiavansi il ministro Marescalchi, ed il cardinale Caprara a soddisfar loro con mense, con udienze, con complimenti. Le medesime gentilezze usavano i ministri di Francia: ad ogni piè sospinto veniva dato dell'altezza serenissima al doge, e di ambasciatori straordinari ai senatori. Il signore stesso sempre gli guardava con viso benigno, e si allargava con loro in melliflue parole. Brevemente, fra tanto festeggiare non erano i Liguri legati la minor parte della comune allegrezza. Le quali cose considerando coloro, che la natura di Napoleone non conoscevano, chiamavano i Liguri fra tutti gli uomini felicissimi, e felicissime sorti argomentavano per la piccola repubblica. Ma quelli a cui era noto l'umore, stimavano che vi fosse sotto qualche disegno, e dubitavano di qualche mal tratto. I Liguri legati stessi, quelli almeno che non erano nella trama, perciocchè alcuni vi erano, di tanti onori ed accattamenti si maravigliavano, e gli animi non avevano del tutto sgombri da timore. Ammessi all'udienza del signore, il videro sereno e lieto. Con esso lui dell'acquistato imperio si rallegrarono, il commercio della prediletta Liguria instaurasse, supplicarono. Rispose umanamente, conoscere l'amore dei Liguri, sapere aver soccorso gli eserciti di Francia in tempi difficili; non isfuggirli le angustie loro; prenderebbe la spada e gli difenderebbe: conoscere l'affezione del doge, vederlo volentieri, veder volentieri con lui i Liguri senatori: anderebbe a Genova; senza guardie come fra amici v'anderebbe. Dopo l'udienza furono veduti ed accarezzati dall'imperatrice, e da Elisa principessa, sorella che era di Napoleone, sposata ad un Baciocchi, creato principe anch'egli. Tutti mostravano dolce viso ai Liguri legati nella Napoleonica corte.

Presa in Monza la ferrea corona, e non senza solenne pompa a Milano trasportata, si apriva l'adito all'incoronazione. La domenica ventisei di maggio, essendo il tempo bello, ed il sole lucidissimo, s'incoronava il re. Precedevano Giuseppina imperatrice, Elisa principessa in abiti ricchissimi; ambe risplendevano di diamanti, dei quali in Italia meno che in qualunque altro paese avrebbero dovuto far mostra. Seguitava Napoleone portando la corona imperiale in capo, quella del regno, lo scettro, e la mano di giustizia in pugno, il manto reale, di cui i due grandi scudieri sostenevano lo strascico, in dosso. L'accompagnavano uscieri, araldi, paggi, ajutanti, mastri di cerimonie ordinari, mastro grande di cerimonie, ciamberlani, scudieri pomposissimi. Sette dame ricchissimamente addobbate portavano le offerte; ad esse vicini con gli onori di Carlomagno, d'Italia, e dell'imperio procedevano i grandi ufficiali di Francia e d'Italia, e i presidenti dei tre collegi elettorali del regno. Ministri, consiglieri, generali accrescevano la risplendente comitiva. Ed ecco Caprara cardinale affaccendatissimo, e rispettoso in viso, col baldacchino, e col clero accostarsi al signore, e sino al santuario accompagnarlo. Non so se alcuno in questo punto pensasse, avere da questo medesimo tempio Ambrogio santo rigettato Teodosio tinto del sangue dei Tessalonici; ma i prelati moderni non la guardavano così al minuto con Napoleone. Sedè Napoleone sul trono, il cardinale benediceva gli ornamenti regj. Saliva il re all'altare, e presasi la corona, ed in capo postolasi, disse queste parole, che fecero far le maraviglie agli adulatori, cioè a tutta una generazione: Dio me la diede, guai a chi la tocca. Le divote volte in quel mentre risuonavano di grida unanimi d'allegrezza. Incoronato, givasi a sedere sopra un magnifico trono alzato all'altro capo della navata. I ministri, i cortigiani, i magistrati, i guerrieri l'attorniavano. Le dame specialmente, in acconce gallerìe sedute, facevano bellissima mostra. Sedeva sopra uno scanno a destra Eugenio vicerè, figliuolo adottivo. A lui siccome a quello a cui doveva restare la suprema autorità, già guardavano graziosamente i circostanti. Onorato e speciale luogo ebbero nell'imperial tribuna il doge, ed i senatori Liguri; stavano con loro quaranta dame bellissime e pomposissime. Giuseppina ed Elisa in una particolar tribuna risplendevano. Le volte, le pareti, le colonne sotto ricchissimi drappi si celavano, e con cortine di velo, con frange d'oro, con festoni di seta s'adornavano. Grande, magnifica, e maravigliosa scena fu questa, degna veramente della superba Milano. Cantossi la solenne messa, giurò Napoleone; ad alta voce dagli araldi gridossi: «Napoleone primo imperatore dei Francesi, e re d'Italia è incoronato, consecrato, e intronizzato; viva l'imperatore e re». Le ultime parole ripeterono gli astanti con vivissime acclamazioni tre volte. Con questo splendore, e con quel di Parigi oscurò e contaminò Buonaparte tutte le sue Italiane glorie; conciossiachè a colui, che od in pace, od in guerra, non per la patria, ma per lui s'affatica, anzi questo nell'abbominevole suo animo si propone, di servirsi dei servigj fatti a lei per soggettarla, e porla al giogo, il mondo e Dio faran giustizia; sono queste azioni scelerate, non gloriose. Se piacquero all'età, dico, che l'età fu vile. Terminata la incoronazione andò il solenne corteggio a cantar l'inno ambrosiano nell'ambrosiana chiesa. La sera, Milano tutta festeggiava: fuochi copiosissimi s'accesero, razzi innumerevoli si trassero, un pallone aereostatico andava al cielo; in ogni parte canti, suoni, balli, tripudj, allegrezze. A veder tante pompe si facevano concetti d'eternità; già gli statuali si adagiavano giocondamente sui seggi loro.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
25 haziran 2017
Hacim:
340 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain

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