Kitabı oku: «Ogni Minuto», sayfa 6

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“Ti pentiresti di quel corn dog durante la tua corsa mattutina.” Garret annuì, felice di condividere la saggezza acquisita attraverso l’esperienza personale. “Fidati di me su questo.”

Le labbra di Adara si contrassero in un lieve sorriso.

Forse l’espressione era intesa come condiscendente o maliziosa, ma lui la prese come un incoraggiamento. Qualsiasi cosa anche solo vicina a un sorriso da parte di lei, se la sarebbe tenuta stretta al cuore. “Ho vinto la scommessa, quindi sono io che devo scegliere il luogo.”

Adara sollevò gli occhi al cielo ma la tensione tra i due non tornò.

Dopo qualche minuto arrivarono a destinazione, e Garret parcheggiò nella prima fila del lotto del centro scientifico, vicino alla porta d’ingresso.

Quando il motore tacque, Adara si chinò in avanti, quasi premendo il viso contro il vetro. “Sono abbastanza sicura che la caffetteria del centro scientifico sia chiusa per la notte. Bene. Possiamo tornare indietro per il corn dog.”

Garret fece tintinnare una chiave, aggrottando le sopracciglia. “È tutto chiuso, tranne che per noi.”

Adara sembrò veramente impressionata. “Hai rubato la chiave di proprietà dell’università? Hai imparato da Tatum?”

“Non rubato... manipolato. C’è una grande differenza.” Garret scese dalla macchina e si affrettò a raggiungere lo sportello dalla parte di lei, troppo lentamente. I muscoli delle gambe gli bruciavano ancora per il suo tentativo di jogging mattutino nell’inferno ghiacciato. Adara aveva già chiuso lo sportello e, quando lui la raggiunse, stava con un fianco appoggiato all’auto e teneva lo sguardo rivolto verso il centro scientifico. Senza l’agitazione degli studenti o della facoltà, il posto aveva l’aspetto inquietante e silenzioso di un cimitero.

“Se sei un serial killer che si nasconde dietro la maschera da musicista che scommette con le donne ai giochi di carnevale sperando di vincere per poterle trascinare di notte in centri scientifici deserti, luoghi perfetti per uccidere, sii sincero e dillo.”

“Un assassino sincero? Sembra legale.” Garret le fece cenno di seguirlo sul sentiero di cemento che conduceva sul retro, spalato per lo più senza neve.

Dopo un attimo di esitazione, Adara lo seguì.

Il pizzicore nelle sue spalle si attenuò. Non gli sarebbe piaciuto doverla trascinare con sé e confermare la teoria di lei. “E se fossi un musicista che commette semplicemente dei piccoli crimini?”

“Come le molestie?” Gli occhi di Adara scintillarono, mettendo in ombra la sua espressione seria.

“Più che altro attraversamento fuori dalle strisce pedonali, eccesso di velocità e, ogni tanto, aver fatto il bagno nudo.” Anche se aveva oltrepassato alcune linee semplicemente per portarla lì, non si era guadagnato lo status di stalker molesto. Lo stalking sfiorava il limite dell’ossessione egoistica, qualcosa che non avrebbe mai fatto. Ma se Adara avesse deciso di perseguitarlo, sarebbe stato una vittima volontaria.

“Il bagno nudo?” Lei lo guardò, abbastanza a lungo da dare l’impressione che lo stesse immaginando in acqua. Nudo.

Bene.

“Non hai vissuto veramente finché non ti sei ghiacciato i testicoli nel lago dei Quattro Cantoni in primavera.” Garret rabbrividì. “Quella era una scommessa che ho perso.”

“Oh, accidenti. Immagino che non vivrò mai quest’esperienza.” La bella bocca di Adara, la bocca cui lui non aveva smesso di pensare, si contorse. “Perché non ho i testicoli.”

“Esilarante.”

Si fermarono davanti alla solida porta di metallo che conduceva al planetario. Garret premette il codice dell’allarme, aspettò il bip e aprì la porta con la chiave che aveva scambiato per una futura esibizione al violino. C’era voluta più una negoziazione amichevole che una manipolazione con il direttore - il legame tra compagni di band della scuola media era eterno - ma Adara non aveva bisogno di saperlo. Inoltre, si sarebbe abbassato alla manipolazione, se necessario. Non gli dispiaceva infrangere qualche piccolo codice morale per una buona causa.

Garret le fece cenno di entrare e aspettò che lei oltrepassasse la soglia prima di seguirla. La porta si chiuse di scatto, inghiottendoli nel buio più totale.

“Avrei dovuto chiedere il tuo modus operandi.” La voce roca di Adara attraversò l’oscurità. “Usi un coltello, una pistola o un’ascia? Devo aspettarmi una sessione di tortura con parti del corpo tagliate ogni minuto?” Seguì uno schiocco di dita. “È per questo che mi hai dato quel biglietto con un numero sopra, vero? Ecco quante volte mi pugnalerai.”

Senza vedere, Garret seguì la voce di lei e il suo braccio percepì il calore di lei. Non si era reso conto che fosse così vicina, ma non aveva intenzione di allontanarsi. Si chinò, dove pensava potesse essere l’orecchio di Adara. I suoi capelli lisci gli solleticarono il mento. “Tatum ha ragione,” mormorò. “Hai una mente malata, Adara. Veramente morbosa. Ma se vuoi saperlo, preferisco una lima per unghie. Riduco le mie vittime, lentamente e inesorabilmente, finché non implorano la resa”.

Adara sbuffò, un rumore pericolosamente vicino a una risata. “Tatum ti ha detto che ho una mente malata?”

“Quando ti minacciano di morte con una lima per unghie, è questo che vuoi sapere?” Si arrese all’impulso di sfiorarle i capelli, una breve carezza. Forse lei avrebbe fatto finta di non accorgersene al buio o avrebbe pensato che lui l’avesse urtata. Era seta, morbida e liscia contro i suoi polpastrelli. Dei formicolii gli pulsavano lungo la spina dorsale, una scarica inebriante. Avrebbe voluto sentire anche i suoi capelli sulla bocca.

“Ci vuole una mente malata per conoscerne una.” La voce di lei si abbassò vellutata nel vuoto, accelerando l’elettricità che gli pompava nelle vene. “Comincio a pensare che sia una caratteristica della linea di sangue degli Ambrose.”

“Huh. E per tutto questo tempo ho pensato di essere un prodigio, non un genio pazzo.”

“Wow. Sei così sicuro di te?”

“Onesto. C’è una differenza.” Garret accese l’interruttore della luce.

Il planetario era stato allestito esattamente secondo le sue istruzioni. Lampade incandescenti circondavano l’intero pavimento della cupola, una luce appena sufficiente per vedere cosa ci fosse davanti. Un piccolo tavolo era stato sistemato al centro dell’auditorium, le candele al profumo di vaniglia donavano una delicata sfumatura nell’aria ma Adara non sembrò nemmeno notare quei dettagli. Il suo sguardo si sollevò immediatamente e il suo sussulto di meraviglia rese ogni secondo di preparazione utile. Se non avesse saputo cosa aspettarsi, avrebbe sussultato anche lui. Il cielo si estendeva sopra di loro, un cielo notturno limpido che mostrava innumerevoli stelle, nuvole vorticose tinte di rosa e viola, accentuate da uno sfondo di mezzanotte. Era lo spazio portato sulla Terra, solo per lei. In quel secondo, tutte le maschere di Adara caddero, lasciando solo una ragazza impressionata dalla natura, le ombre del suo dolore dimenticate.

Il petto di Garret si strinse, le meraviglie del planetario sparirono sotto la meraviglia di Adara. Ben-zonna, voleva vederla sempre così, felice, estasiata e libera. Peccato che lei non gli permettesse di usare la sua musica per metterle in faccia la stessa espressione. Un giorno. Un giorno, la meraviglia sarebbe stata solo una delle espressioni che lui le avrebbe ispirato. Lo scenario sarebbe stato pura magia con la musica, ma non voleva ancora mettere alla prova Adara in quell’area. Per lei, aveva scartato la colonna sonora di Star Wars che il regista aveva suggerito e si era accontentato del silenzio. Così com’era, non troppo male.

“Non voglio sapere cosa tu abbia escogitato per fare questo.” Adara era ancora rivolta verso le stelle, le rughe sul suo volto erano sparite. “Ne è valsa quasi la pena perdere al Lancio della carta igienica.”

Garret sorrise. “Quasi?”

“Confesso,” sussurrò lei. “Ne vale assolutamente la pena.”

Il corpo di Garret s’irrigidì in punti scomodi. Avrebbe scambiato il suo violino per sentirla parlare di lui con quella voce sexy e senza fiato. “C’è anche del cibo.” Il giovane aveva voglia di prenderle la mano, di stabilire un qualche tipo di contatto fisico. Invece, s’infilò le mani in tasca. “Meglio dei corn dog freddi e stantii.”

“Con questo scenario, non m’importa se si tratta di haggis e ostriche delle Montagne Rocciose.” La voce di Adara era ancora bassa, stupita.

“Questo è semplicemente sbagliato.” Forse avrebbe dovuto conservare le stelle per dopo, quando lei sembrava ansiosa di andare, qualcosa per convincerla a restare. Così com’era, non era sicuro di come avrebbe rivolto la sua attenzione su di lui. “Mangiamo. Puoi guardare le stelle tutta la notte, se è quello che vuoi.”

“Lo voglio.” Adara usò lo stesso tono affannato.

Garret si contorse immaginando lei che gli si rivolgeva in quel modo, con quella voce. Lo voleva anche lui e le stelle non ne facevano parte. Anche se avrebbero potuto. Più avanti, durante la loro relazione, una notte nel planetario da solo con Adara sarebbe stata astronomica: le stelle sopra la testa, lei tra le sue braccia, pelle contro pelle. Si grattò la mascella. Dato che Adara doveva ancora guardarlo di nuovo, aveva del lavoro da fare prima che ciò accadesse.

Delicatamente, le fece strada tenendole una mano sulla schiena esile. Le sue dita stese la abbracciarono per intero. Aveva bisogno di più cibo e meno corse. Le afferrò il gomito mentre lei inciampava in una delle sedie a sdraio per osservare le stelle sparse per il planetario. “Le stelle non vanno da nessuna parte, Adara. Se inciampi e ti fai male, dovrò portarti all’ospedale. Allora non ci saranno più stelle e ci sarò solo io per molto più tempo della cena.”

“Ottima osservazione. Sarebbe terribile.” Il fatto che la sua voce fosse ancora avvolgente e affannata ammorbidì qualsiasi insulto intenzionale. Lei oltrepassò il divano, interrompendo il lieve contatto con la mano di lui.

Raggiungendo il tavolo, Adara si girò improvvisamente e lo affrontò. A pochi centimetri di distanza, il profumo di lei scivolò lungo i suoi sensi, qualcosa di dolce e tropicale. Forse cocco. “Perché stai facendo questo? Non m’interessa avere una relazione e se dovessi uscire con qualcuno, non sceglierei mai un musicista.” Adara sollevò elegantemente un dito in aria, come se le fosse appena venuta in mente un’idea brillante. “Dovresti chiedere a Gia di uscire. Sareste perfetti insieme. Le piacciono i musicisti.”

“Gia non è il mio tipo.” Anche se Gia poteva essere attratta dai musicisti, Garret sospettava che le sue preferenze si fossero spostate verso i vestiti, le cravatte e le aule di tribunale, non che avesse intenzione di tirare fuori quel particolare argomento. Voleva concentrarsi su Adara, non sulla collisione di Ian e Gia che si profilava all’orizzonte. “Non devi avere paura di me e scappare dalle tue paure non le risolverà. Credimi, lo so. La maggior parte delle persone non si rende conto che avevo il terrore del palcoscenico. Le mie mani tremavano così tanto che riuscivo a malapena a tenere in mano il violino, figuriamoci a suonare, finché la mia insegnante, una novantenne ebrea che parlava a malapena l’inglese, mi diede questo consiglio.” Abbassando la voce, le si avvicinò di più. “Dai un nome alla tua paura. Possiedila e lei non ti possiederà.” Le fece l’occhiolino. “Yutzi.

Gli occhi di Adara scintillarono e la sua bocca si contorse. “Idiota. La tua insegnante sapeva di cosa stava parlando. Tu, invece, non ne hai la minima idea. Io ho paura di te?” Sollevò il mento. “Non credo.”

“No?” Garret le scivolò più vicino, costringendola a inclinare il mento per reggere il suo sguardo. “Allora lasciami suonare il violino per te.”

“Non mi piace molto la musica.” Disse la giovane in un modo troppo disinvolto per essere creduta.

Garret inarcò un sopracciglio. “A tutti piace la musica di qualche tipo. In un modo o nell’altro riempie tutto il mondo. Gli uccelli, il vento tra gli alberi, il mare contro la riva, gli insetti, la pioggia... È ovunque, ineluttabile. Cercare di evitarlo è come cercare di impedire al tuo cuore di battere. Fa parte di te, anche quando lo neghi.”

“Hai mai sentito un gallo cantare all’una di notte?” Adara agitò le dita, sprezzante, impaziente. “Non la chiamerei musica.”

“Le galline potrebbero non essere d’accordo.” Garret si strofinò il labbro inferiore, il suo battito accelerò. La stava perdendo. Il cibo non l’avrebbe tentata e nemmeno le stelle l’avrebbero trattenuta lì se lui avesse fatto la mossa sbagliata. “E se promettessi di suonare solo canzoni che non hanno un significato personale? E se creassimo nuovi legami emotivi, tu, la musica ed io?” Schioccò le dita. “Indovina la canzone.

Lei lo guardò come se avesse perso la testa. “Cosa?”

“Ti sto sfidando a una partita di Indovina la canzone. Se riesci a nominare le venticinque canzoni che suono con il mio violino, ti porto a casa, scommessa compiuta. Tre strike e sei fuori. Più velocemente le nomini, meno dovrai sopportarmi.”

“Hai portato il tuo violino?” La voce di Adara tremò sull’ultima parola, quel tanto affinché qualcuno che prestasse attenzione lo notasse.

Lui annuì, pronto a rincorrerla se fosse scappata.

“Hai fiducia in te stesso.” L’insieme teso delle sue spalle non si allentò.

“Speranzoso.” Garret infilò le mani nelle tasche posteriori. “C’è una grande differenza.”

Dopo un momento, gli occhi di lei s’illuminarono in segno di sfida e lui si rilassò. Che contraddizione, Adara. Se la solitudine era il suo obiettivo finale, non avrebbe rischiato accettando la scommessa di carnevale. Non l’avrebbe accompagnato mentre zoppicava lungo il sentiero di corsa. Non avrebbe risposto quando lui aveva suonato il campanello.

Sembrava che le sfide avessero eclissato la solitudine nella playlist di Adara Dumont.

“Controfferta.” Adara armeggiò con i bottoni del cappotto. “Dieci canzoni ma devono essere state rilasciate al pubblico e suonate alla radio, niente canzoni composte da te o da qualche altro artista obsoleto. Devono contenere parole... niente musica classica.”

“Artista obsoleto? Mi hai ferito.” Garret nascose il suo sorriso trionfante dietro una maschera di tranquillità. Almeno per quella sera, lei era sua. Adara non lo sapeva ancora e lui non voleva rovinare tutto dicendoglielo, ma non era possibile che lei conoscesse più canzoni di lui. “Sono famoso in Belgio - cercami su Google se hai il coraggio - e accetto le tue condizioni ma dieci sono troppo poche. Venti.”

“Undici.”

Garret incrociò le braccia. “Sono sceso di cinque e tu ne aggiungi una? Che razza di negoziatrice sei?”.

“Il tipo non disperato.”

“Determinata, non è la stessa cosa di disperata. Diciannove.”

Adara sollevò lo sguardo. “Bene. Quindici.”

Quindici, venti, il numero non aveva molta importanza. Quella era una scommessa che non poteva perdere. Garret abbassò il mento e sorrise lentamente. “Aggiudicato.”

Il sorriso di lei era ampio, bello e un po’ sornione, come se fosse stata lei a fregarlo. Garret avvertì una sensazione di calore irradiarsi nel suo petto, riempiendone ogni angolo. Anche se aveva fatto un errore con questa scommessa, non poteva pentirsene. Lei aveva sorriso e, per il momento, questo era tutto ciò che contava.

Capitolo Otto

Appollaiata sul bordo di un divano rotondo per osservare le stelle, Adara masticava l’ultimo boccone di un pollo arrosto delizioso, assaporando ogni secondo. Il cibo da solo valeva quasi la pena di sprecare la sua serata. Non riusciva nemmeno a ricordare l’ultima volta che aveva mangiato del cibo vero. Mentre Garret accordava il suo violino dal cuscino di fronte, Adara mantenne un’espressione vuota. Lui sfoggiava un lieve sorriso, per mostrare quanto fosse sicuro di sé. Chiaramente, pensava che l’avrebbe schiacciata nella gara Indovina la canzone perché era un musicista.

Adara sorseggiò un po’ di acqua frizzante al gusto di lampone - la sua preferita, un altro piccolo tradimento di Gia - per nascondere un sorrisetto. La musica poteva non essere la sua passione, ma era stata quella di Joey. Quindi sì... Ambrose, l’aspirante pirata, stava per essere demolito e lui non ne aveva idea. L’attesa era esaltante.

“Dobbiamo fissare delle regole.” Adara posò il bicchiere sul pavimento, prese l’ultima carota dal piatto e la puntò verso di lui. “Le melodie che abbracciano secoli sono troppo ampie.” Masticò la carota a metà, sperando che quel rumore lo infastidisse.

Le corde tintinnarono allegramente sotto le dita lunghe del giovane che sollevò lo sguardo dallo strumento. “Per te, accetterò un handicap.” La luce delle stelle scintillò d’argento nei suoi occhi scuri. “La tua proposta?”

Adara corrugò il naso verso di lui. “Abbiamo già stabilito niente classica e niente Fantasma dell’opera. Solo anni ottanta e novanta.”

“Una finestra musicale troppo ristretta.” Il sorriso di Garret vacillò prima di tornare al suo posto. “D’accordo. Niente piagnistei quando si perde.” Garret raccolse l’archetto sulla sedia accanto. “E non mettere in dubbio il mio onore, accusandomi di avere imbrogliato.”

“Smettila di prendere tempo. Ho un appuntamento con un cruciverba alle otto.”

“Cancellalo.” Garret mise il violino sotto il mento. “Questa notte è appena iniziata.” Uomo presuntuoso. Mettendo l’archetto sulle corde, il giovane aggrottò le sopracciglia. “Il gioco inizia ora, signorina Dumont.”

Adara incrociò le gambe e strinse le mani sopra il ginocchio. Era la regina dei quiz. Una nota lunga e alta uscì dal violino e si alzò verso il cielo. Anche senza l’aiuto di una band o di un ritmo completo, non era preoccupata.

Il cuore di Adara pulsò una volta, duro e terribile.

With or Without You, gracchiò Adara per la gola stretta. L’archetto si fermò immediatamente e lei emise un respiro silenzioso. Joey aveva un affetto imperituro per gli U2. Avrebbe dovuto aggiungere la band alla lista delle canzoni da non usare.

“Un punto per te.” Sia che simpatizzasse con lei o che sperasse di approfittare della sua debolezza, non le diede il tempo di riprendersi. Dallo strumento uscì una canzone più lenta, cadenzata e innegabilmente irlandese.

Red Is the Rose. Adara si pulì i palmi umidi delle mani sui jeans e, con il tono da insegnante, disse “Basta con il celtico.”

Garret abbassò il violino, con le sopracciglia aggrottate. “Non puoi cambiare le regole in corso.”

“Basta musica celtica,” ripeté lei, con la mascella serrata. Non era sicura di poter sopportare un altro colpo involontario di Garret. Sembrava avere un talento nello scegliere le canzoni preferite di Joey.

Studiandola con il suo sguardo indagatore, lui inclinò la testa. “Per una X nella tua colonna, sono d’accordo.”

“Fatto.” Si rilassò leggermente. Era uno scambio equo. Mai e poi mai voleva sentire tutte le canzoni irlandesi che Joey amava, ricordandole il viaggio in Irlanda che avevano progettato prima che lui si ammalasse.

Garret sorrise, come se fosse una vittoria da parte sua, e rimise a posto lo strumento. Seguì una melodia lenta e campagnola, una di quelle che lei gli lasciò suonare per tutto il tempo del ritornello. Non c’era niente di meglio di un falso senso di speranza per spezzare la fiducia di un avversario e lui aveva proprio bisogno di essere messo al tappeto.

Garret terminò di suonare e puntò l’archetto verso di lei, sorridendo e mettendo in mostra le sue fossette. “Dai un nome a quella canzone, se ci riesci.”

Adara si batté il mento e guardò il soffitto di stelle. La parte più difficile era controllare il suo sorriso.

“Attenzione, tre secondi.” L’anticipazione gli allargava la voce, come se non vedesse l’ora di festeggiare... cioè di gongolare.

“La campagna non fa per me.” Adara giocherellò con l’orlo sfrangiato della felpa. “Misguided Angel?”

Garret spalancò la bocca e cancellò il sorriso. I suoi occhi si strinsero. “Ti stai prendendo gioco di me?”

Adara sbuffò, ma la sua bocca la tradì, contraendosi.

“Sfida accettata di cuore, signorina Dumont.” L’intensità adombrava i lineamenti di Garret, la stessa intensità usata per vincere alla festa di Carnevale. Impostò la mascella e rimise il violino sulla spalla, il suo sguardo ardente non lasciò mai quello di lei.

Un brivido delizioso scivolò attraverso di lei e si raccolse in basso nel suo ventre, caldo e formicolante. Lo attribuì al fastidio, sicuramente non al desiderio o a una delle sue controparti, ma forse ingannarlo era stato un errore. Garret, che la guardava come se fosse il premio che avrebbe fatto di tutto per vincere, le fece quasi dimenticare l’obiettivo di stasera. Adara si raddrizzò e strinse le mani, concentrandosi. Doveva mettere fine a tutto questo e farla finita con lui.

Dopo un giro veloce di generi misti, dall’hard rock all’indie al pop, Adara si appoggiò sulle mani, godendosi l’universo stellato sovrastante e il buon sapore della vittoria. “Non c’è nessuna vergogna nel riconoscere la propria sconfitta, violinista. Ti ricorderò solo dal lunedì al venerdì.”

“Quella parola non è nel mio vocabolario.” Disse Garret con un tono tagliente. A nessun uomo piaceva perdere e alcune persone non sapevano quando cedere.

“Quale? Vergogna?” Adara mostrò i denti.

“Dai un titolo a questa canzone.” Le note agrodolci iniziarono a tessere una melodia fantasiosa che si abbinava alle stelle. Garret girò lentamente intorno al divano, l’espressione di Adara si rilassava a ogni colpo di archetto. Le scapole dell’uomo si spostavano sottilmente sotto gli strati della camicia mentre suonava e lei avvertiva il bisogno snervante di sfiorare quell’ampia schiena, di sentirla muoversi sotto le sue dita. Era così facile da guardare, così ipnotizzante, che lei non lo fermò subito. Ma per favore. Ogni insegnante delle elementari conosceva le sigle dei film d’animazione. L’ultima nota s’increspò nell’oscurità e svanì nel silenzio. Lui la guardò in attesa, con un’espressione speranzosa.

Era quasi dispiaciuta per lui. La Bella e la Bestia.

Invece di accigliarsi, Garret iniziò a suonare un ritmo lento e sensuale, fissandola per tutto il tempo. Seducente, la musica s’insinuò nel sangue di Adara, riscaldando ogni molecola del suo corpo lungo la strada, ricordandole quanto tempo era passato da quando aveva anche solo pensato di essere toccata. Baciata. Tenuta. Adara accavallò le gambe e finse di essere annoiata, finse di non essere tentata di prendere il posto del violino nelle mani di Garret e lasciare che lui suonasse lei al suo posto. Fu la prima a interrompere il contatto visivo.

Questo non era un appuntamento.

Alla fine, non conosceva ancora la canzone. Ma in un certo senso ne era contenta, un segreto che non avrebbe mai rivelato. Garret abbassò il mento, aspettando la risposta di Adara.

Ignorando i formicolii danzanti nel suo flusso sanguigno, la giovane scosse la testa.

Il sorriso di Garret diventò più luminoso della luna appesa nel cielo dell’anfiteatro dietro di lui. “Non sei una fan della Dave Matthews Band?”

“Ovviamente. E non puoi suonare altre loro canzoni per vincere.” Più tardi, però, avrebbe familiarizzato con quella particolare canzone, un’altra cosa che lui non aveva bisogno di sapere.

“Non devo contare su Dave per vincere.” Garret puntellò il violino sull’anca e si grattò la mascella con l’archetto, il suo tono arrogante. “Ti resta solo un colpo.”

“E ti rimangono solo quattro canzoni.”

“Nessun problema.” Si lanciò in una melodia veloce e brillante, una che qualsiasi violinista o un violinista esperto conosceva, per non parlare delle masse in generale.

“Per favore.” Lei roteò gli occhi. “Devil Went Down to Georgia, e non mi sono iscritta per una festa.”

Il sorriso di Garret si allargò. Continuando a suonare, iniziò a ballare saltellando come un pollo che piroetta - quasi sicuramente una mossa che avrebbe potuto causare il panico in pubblico.

Quando lui raggiunse la parte culminante del brano, Adara si gettò indietro sul divano e fissò le stelle, soprattutto per non essere più tentata di sorridere. Joey aveva odiato il country e lei aveva colto ogni occasione possibile per cantare con una pronuncia nasale da zotica. Infastidire il fratello era il dovere di ogni sorella e lei lo prendeva molto sul serio.

Garret mescolò le canzoni senza pause, esattamente come aveva fatto alla festa, passando senza soluzione di continuità dal country al lento e al dolce. Con quel sorriso sognante, rinunciò a ballare e si sedette accanto a lei, come per assicurarsi che Adara sapesse che aveva suonato per lei. Non aiutava che la sua colonia di agrumi e miele invadesse lo spazio della giovane, rendendo impossibile ignorarlo. Accidenti. Adara non poteva negare che fosse bravo con il violino, ma non abbastanza da distrarla dal gioco.

Ancora distesa sulla schiena, Adara inarcò un sopracciglio finché Garret non finì. “World Stand Still, e questo ti costa una canzone perché è del XXI secolo.”

“Ne vale la pena.” Troppo veloce e inaspettato perché lei potesse scansarsi, Garret le passò un polpastrello calloso sulla guancia e scivolò fuori dalla sua portata.

La linea dove era passato il dito di lui rimase decisamente calda. Con le stelle sparse sopra di lei, l’oscurità rilassante vicina e il modo in cui Garret la agganciava comodamente nel suo spazio, il suo bisogno di vincere si attenuò a causa di una strana fitta al petto. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che si era sentita normale con qualcun altro.

“È il momento cruciale, Ambrose.” Le parole le uscirono come sussurrate, più di quanto avesse previsto.

Garret respirò, assumendo uno sguardo serio, rifiutando di perdere. Senza dire una parola, rivolgendole ancora uno sguardo ardente, suonò l’ultima canzone.

Le note la investirono e il suo cuore iniziò a battere tenendo il tempo nella sua testa. I Knew I Loved You. Senza preavviso, un impeto di desiderio si liberò, così acuto e struggente che Adara rimase completamente immobile. Aveva dimenticato la canzone, aveva dimenticato che un tempo aveva sognato di trovare l’unica persona creata proprio per lei, quel tipo di amore che era inesorabile. Irresistibile. Profondo e destinato. Il sogno lo poteva sopportare. Era il dolore della realtà che faceva schifo.

Il violino cadde in una quiete dolorosa. Garret sprofondò sul divano di fronte a quello di Adara e appoggiò delicatamente lo strumento sulle ginocchia. Giocando distrattamente con un buco nei suoi jeans, la studiò con occhi scuri, il suo solito sorriso assente.

Se Adara avesse nominato la melodia, Garret avrebbe mantenuto la sua parola e l’avrebbe riportata a casa, al suo rifugio sicuro. Non ne dubitò nemmeno per un secondo. Eppure, tornare ai cruciverba, ai fantasmi e al silenzio aveva perso il suo fascino da qualche parte tra le stelle. Voleva restare. Restare non significava nulla. Anche i monaci introversi volevano compagnia ogni tanto. Domani, sarebbe potuta tornare alla vita di sempre, senza danni.

Adara scosse la testa e mentì. “Non la so.”

“Vergogna.” La danza della vittoria che si aspettava non arrivò. Invece, Garret rimise il violino nella custodia e cambiò posto per sedersi accanto a lei, abbastanza vicino che le loro ginocchia si toccassero. “Forse dovresti espandere la tua selezione musicale a Top Forty. I Knew I Loved You. Canzone popolare.”

Garret sapeva che lei aveva mentito. Il volto di Adara si scaldò. Non poteva tornare indietro e ammettere di aver mentito, ma doveva fare qualcosa. Non avrebbe mai confessato di aver perso solo per continuare a vivere quella magia qualche minuto in più. Avrebbe rovinato tutto. “Sei sicuro che la canzone sia nel periodo giusto?” Adara prese il telefono prima che lui potesse obiettare. “Sto controllando.”

Garret rimase immobile e in silenzio mentre lei faceva le ricerche, il suo sguardo su di lei non vacillò mai.

“Ha raggiunto la prima posizione in classifica nel gennaio 2000.” Certo, era uscita alla fine del 1999, ma forse lui non lo sapeva. “2000, Ambrose.”

Garret si strofinò il labbro inferiore, i suoi occhi scuri continuavano a scrutarla. “Se vuoi essere precisa, dobbiamo concordare un pareggio.”

Un pareggio. Poteva starle bene. Adara sospirò per depistarlo. “Immagino di sì.”

“A volte un pareggio è buono come una vittoria,” disse Garret con voce bassa e seria e rivolse la sua attenzione alle stelle.

Elaborare completamente il significato di quella frase non era qualcosa che interessava ad Adara. La tranquillità anormale di Garret le irritava i nervi. L’oscurità dell’osservatorio sembrava troppo vasta, troppo consapevole. Il vuoto doveva essere riempito. Immaginava di dover rispolverare le sue capacità di conversazione ormai arrugginite. Adara si schiarì la gola. “I musicisti difficilmente hanno problemi a trovare una compagnia volenterosa. Esclusi i secchioni della banda della scuola media, ovviamente. Perché molestare me, invece?”

Garret rise dolcemente, con l’attenzione ancora rivolta al cielo. “Sono tornato a casa per ricaricarmi, per trovare la mia ispirazione nella connessione più personale dei locali più piccoli. Mi è mancato negli ultimi tre anni.”

Non era proprio una risposta alla sua domanda ma Adara lasciò correre, dato che aveva fatto la domanda solo per farlo parlare di nuovo.

“Amo la musica perché ispira,” continuò Garret, come se percepisse il disagio di lei. “Evoca emozioni, unisce le persone, crea ricordi. Avevo bisogno di far rivivere i miei.” La voce di lui divenne un sussurro. “Tu lo stai facendo per me.”

Adara sbatté le palpebre. In nessun modo l’aveva sentito bene. Il massimo che il suo mondo sicuro e silenzioso poteva risvegliare era uno sbadiglio. Ma l’espressione di lui era serena, sincera. “Mi stai prendendo in giro?”

“In nessun modo.”

“Questo non ha alcun senso.” Sempre che... Gia non gli avesse detto qualcos’altro, più di quello che aveva confessato. Si girò verso di lui. “Che cosa ti ha detto Gia di me, esattamente?”

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