Kitabı oku: «Il bacio della contessa Savina», sayfa 9
Il sole, dardeggiando i suoi ultimi raggi dietro la montagna, tingeva di porpora e d'oro le nuvolette increspate che vagavano pel firmamento.
– Come sono stupende queste scene della sera fra i monti!.. – io osservava.
– Soltanto dopo un giorno sereno… – mi rispondeva l'Agata. – Ma i giorni burrascosi hanno un tetro tramonto, senza luce, senza splendore, con un corteggio di nuvoloni neri, minacciosi… Avete mai pensato alla rassomiglianza fra il periodo d'un giorno e l'intiero corso della nostra vita?
– Ci ho pensato sovente… – io soggiunsi, – e se dipendesse da me, vorrei che ogni giorno fosse sereno, ogni vita felice, ogni tramonto bello come quello di questa sera…
– Il giorno bisogna prenderlo come ci vien dato dalla natura… ma dipende da noi che la nostra vita sia calma o burrascosa, senza macchie, senza rimorsi, senza nuvole al tramonto, come una giornata serena.
La guardai in volto tacendo, e mi parve grave e severa.
Camminavo in silenzio dopo qualche istante, quando un magnifico falco attraversando la valle ci passò rapidamente davanti gli occhi, penetrando nel bosco vicino, dal quale dopo uno stormire di fronde s'intese un confuso cinguettìo, e si videro uscire alcuni uccelletti spaventati.
– Un bel falco!.. – dissi io.
– Bello, ma crudele!.. – essa mi rispose. – La bellezza è un dono della sorte, non è un merito; e, – proseguì, – se la bellezza non è accompagnata da buon cuore e da onestà, io la compiango. Quando vedo un falco, non penso alla sua bellezza, ma al dolore dei poveri uccelletti che avranno il nido invaso e insanguinato dal rapitore, che, portandosi via la madre a tradimento, mette il padre in disperazione, e lascia i piccini nell'abbandono… Mio Dio! quante vittime per una preda!..
Io sentiva che i colpi venivano al mio indirizzo… e che erano meritati.
Pensai seriamente alla colpevole leggerezza che mi valeva quella severa lezione. Anch'io come il falco grifagno tentava rapire la pace ad una onesta e tranquilla famiglia… che nel suo eremo, ai piedi delle Alpi, non era ancora abbastanza riparata dalla rapacità d'un cuore spietato… Ma almeno il falco cercava una preda per vivere… io invece facevo il male per soddisfare un vano capriccio… per saziare un desiderio colpevole… per distrarmi da un dolore profondo con una insidia… per vendicarmi contro persone innocenti dei mali prodotti dalla mia dabbenaggine!.. ed ecco che come al solito io compariva peggiore della bestia… più crudele del falco… e meno fortunato di lui, perchè non avevo nè la sua destrezza per cogliere la preda, nè le ali per fuggire dalle maledizioni delle vittime!..
Io invidiava la sorte di quell'uccello di rapina, che dopo il delitto poteva almeno volare in lontane regioni, ove si ignoravano le sue prodezze sanguinose!.. io invece non potevo nascondere la vergogna davanti al mio giudice.
Tuttavia sentivo il bisogno di rispondere qualche cosa; ma misurando i miei torti non trovavo giustificazioni ammissibili, e mi sentivo così aggravato, che proruppi in queste parole:
– Agata, avete ragione, disprezzatemi, io sono un uomo abbietto!.. se fossi vicino ad un precipizio, mi vedreste scomparire dai vostri sguardi…
– Con un delitto non si ripara una colpa… – mi rispose freddamente.
Allora mi venne il pensiero ch'essa mi credesse forse più colpevole che in fatto non era, e volli giustificarmi… per non essere condannato in contumacia.
Le confessai ingenuamente la mia ammirazione per la bellezza plastica della moglie di Zaccheo, assicurandola però che tale ammirazione non ebbe altro effetto che alcune visite senza conseguenza… Tacqui dell'assedio tentato invano, della resistenza valorosa e dell'artiglieria formidabile della mugnaia, e promisi che avrei abbandonato per sempre il mulino, e gli studi delle cascate!..
– Me lo promettete seriamente?.. – mi chiese.
– Ve lo prometto sulla mia parola d'onore.
– Accetto la promessa in nome di vostra madre, – ella mi rispose, – della quale m'avete impartita l'autorità. – Così dicendo mi sporse la mano.
Io gliela strinsi coll'animo commosso e le chiesi umilmente:
– E mi perdonate?..
– Vi perdono, – mi rispose, – a condizione che siate galantuomo… ricordandovi che chi ruba la donna altrui è un ladro più infame di chi invola il denaro… Il denaro rapito può lasciare le vittime nella povertà… ma la donna che tradisce il marito lo lascia nel disonore, che è peggior cosa d'ogni miseria!..
Eravamo giunti al villaggio e dopo i soliti saluti rientrammo nelle nostre case.
XIII
Ho dunque abbandonato l'assedio, e ripiegata la tenda; non più marcie forzate, nè speranze, nè timori, nè tutte le emozioni della lotta. Ho battuto la ritirata, per riprendere la vita monotona del soldato di guarnigione.
A vent'anni avevo già spasimato d'un amore ideale, e raccoglievo un amaro disinganno; avevo tentato l'amore positivo, materiale, il frutto vietato; e ne riportavo qualche ferita e un rimorso. In complesso erano due fiaschi solenni coi quali inauguravo la mia esistenza, due fiaschi che mi mettevano in uggia le ragazze e le donne.
Ora, a vent'anni, senza un amore che riscaldi il cuore, come si fa a vivere in un gelido villaggio della Valtellina?..
La scuola?.. me ne appello a tutti i maestri spregiudicati: la scuola, tanto per chi insegna quanto per chi ascolta, non è che una fabbrica di noia perfezionata. La tragedia?.. essa giaceva abbandonata sul tavolo, ogni ispirazione era svanita, il fuoco sacro s'era spento alla scomparsa della Vestale; non avvi poesia senza musa, nè arte senza donna!.. L'orto?.. era incolto, vi crescevano i cardi selvatici e le ortiche. Senza famiglia non si hanno nè fiori… nè legumi. L'uomo, solo, vive di qua e di là, senza centro e senza circonferenza. Avrei potuto cercare qualche divagamento nella coltura delle piante, ma ignoravo ancora quest'arte, trovandomi sempre alle prime pagine dell'Ortolano dirozzato.
Non sapevo più a che santi votarmi. Psiche, Venere e Melpomene mi erano sfuggite di mano; del divino Olimpo non mi restava altro che Bacco. Mi sono dato alla divozione del suo culto, e mi parve che mi si mostrasse propizio.
Questo nume benefico agli infelici, esiliato dagli altari dell'umana ingratitudine, andò vagabondo e ramingo sulla terra, arrestandosi di preferenza sui clivi ridenti di vigneti, ove continua in modo clandestino l'esercizio dei sacri suoi riti. Tutto il bene e il male del mondo, l'amore o l'odio, le gioie e le lagrime, la poesia e i dolori della vita umana, l'incenso profumato, e il fumo graveolente dei roghi, tutto svapora, tutto sale all'empireo, tutto si confonde nell'etere. Le meteore raccolgono tutte le emanazioni della terra, materiali e morali, visibili ed invisibili; il vento le agita, il tuono le scuote, il fulmine le riscalda, l'umidità le discioglie, e quando piove tutto ricade sulla terra. Questo è il circolo eterno dello spirito e della materia; nulla si perde nell'universo, tutto si rinnova. Colla pioggia benefica ritornano al nostro globo gli elementi vitali del corpo e dell'anima umana. Le piante assorbono quegli umori, li elaborano, ed essi ritornano all'uomo cogli alimenti. Le pioggie benefiche apportano la gioia; le grandini sono maledizioni retrocesse, le rugiade baci ed amplessi che brillano nuovamente sulla superficie terrestre, e ingemmano l'erbe ed i fiori colla loro comparsa. Per questo sulla terra germogliano sempre le stesse piante e le stesse passioni, nascono gli stessi animali, e si ripetono le medesime vicende.
Ogni pianta ha le sue facoltà assorbenti, non solamente per i principii materiali che somministra la terra, ma altre pei principii spirituali che oscillano nell'aria, riscaldati dal sole. Il frumento non assorbe soltanto i fosfati, ma raccoglie dall'aria gli elementi confusi del bene e del male; e l'uomo, nutrendosi di pane, inghiotte non solo un alimento sostanzioso, ma altresì gli elementi delle gioie e dei dolori che si manifesteranno nella sua vita.
Alcune piante godono lo speciale privilegio di non assorbire che un solo principio. Se è il principio del male sono piante velenose, come la cicuta, la belladonna, il giusquiamo; se è il principio del bene sono piante benefiche, come la china del Perù, l'arancio, la vite. Le prime uccidono, le seconde risanano l'uomo.
È certo che le dosi modificano la loro azione, potendo tornar giovevole una piccola dose di veleno, e micidiale una forte dose di vino. Ma nel mondo morale succede lo stesso: un eccesso di gioia uccide, un dolore corregge un vizio.
La vite ha la specialità di non raccogliere colle sue radici, e di non assorbire colle sue foglie altro che gli umori soavi ed esilaranti: lo spirito, l'ilarità e l'entusiasmo. Ecco il motivo pel quale mi sono votato a Bacco: mi pareva nelle mie critiche circostanze d'aver sommo bisogno della particolare assistenza di questo dio. Infatti esso distilla nel succo dei grappoli la quintessenza dell'umana felicità. Questa si assimila al vino, entra nelle botti e nelle bottiglie, brilla nei bicchieri come i rubini e i topazi d'oro, esala nell'aria gli effluvi de' suoi aromi sottili. Buon vino e buon umore sono sinonimi, e chi ne ha ne usi moderatamente per goderne a lungo, e chiuda le bottiglie con tappi solidi di sovero di Spagna, e metta capsule metalliche sul turacciolo per conservare scrupolosamente il profumo e lo spirito dell'umana felicità distillata. Nel fondo d'ogni buona bottiglia si trovano arcane consolazioni, affatto ignote a chi non beve che acqua. Ma le passioni intemperanti spingono l'uomo ad abusare di tutto, ond'egli avvelena l'aria destinata al suo respiro, intorbida le pure sorgenti e guasta i migliori succhi della vite. Con alcuni buoni pensieri si possono fare pessimi vini; la colpa è tutta dell'uomo, di questo guastamestieri della natura.
Ma non basta fare il vino eccellente, bisogna anche saperne usare con moderazione.
Che cosa è più soave negli ardori della canicola d'una immersione in un bagno fresco? ma l'uomo non si contenta di tuffarsi nell'acqua fino al collo, egli corre ove il fiume è più rapido, ove il mare è più profondo; non si limita a nuotare alla superficie, ma vuole entrare sott'acqua colla testa, e trova talvolta un pescecane che lo divora… o un filo d'erba che gli lega una gamba… e l'uomo s'annega.
L'umana intemperanza riduce la vita ad un incubo insopportabile, quando si potrebbe goderne come d'un sogno delizioso!
Così pure il vino subì la sorte di tante cose eccellenti e salubri ridotte nauseanti e pericolose. Bacco ci offre un frutto che contiene le dosi d'un elisire di lunga vita, e noi troviamo il modo di snaturare l'essenza di questa divina materia per produrre un tossico ingrato e micidiale! E i legislatori che condannano ai lavori forzati il falsario delle monete, non trovarono la benchè minima pena per punire i falsificatori del vino, che sono causa di gravi mali sociali, che avvelenano i loro simili, che guastano gli stomachi e i cervelli, che producono coliche e delitti!
L'oste del mio villaggio, come tutti gli osti che godono questa impunità, aveva del vino buono e del cattivo. Dapprincipio preferii la qualità alla quantità, e ne sentii gli effetti benefici al corpo ed all'anima. Il buon vino mi facilitava la digestione e mi disponeva ad una benevolenza universale: io sentivo un bisogno di perdonare le offese, di tollerare le imposte più gravose, dimenticavo i mali sofferti, speravo nell'avvenire. I più dolci pensieri danzavano nella mia fantasia come sopra un tappeto di fiori, uno spirito di conciliazione animava il mio cuore, e mi addormentavo contento e beato, e sognavo che la contessa Savina mi dava un bacio, che la mugnaia me ne dava due, e poi si baciavano fra loro, e ci abbracciavamo tutti e tre. Erano visioni di paradiso!..
Ma io non ho saputo contenermi nei limiti prescritti dalla ragione, dal buon senso e dall'onestà!
Tuttavia, prima di raccontare i particolari di questo nuovo errore della mia gioventù, sento il bisogno di reclamare nuovamente le circostanze attenuanti, anche a benefizio di Bacco, accusato ingiustamente di connivenza ai miei falli.
No, il vino non è la causa della mia intemperanza, come l'acqua non è responsabile dei suicidii che si commettono nel suo seno.
Non è l'uso del vino, è l'abuso che mi trascinò… sotto al tavolo.
La giustizia deve passare prima di tutto; nè il vino, nè l'oste sono colpevoli; io solo devo subire la censura d'una condotta irregolare.
Se il vino lo avessi portato a casa, e me lo fossi bevuto a pranzo, mi avrebbe fatto del bene. M'ha fatto male perchè ho sbevazzato all'osteria, senz'ordine e senza misura.
Il vino è assolto… veniamo all'oste.
L'oste, poveretto! quando s'accorse che il mio cervello divampava, ha fatto la parte del pompiere, mettendomi dell'acqua nel vino, procurando con sincera filantropia di moderare l'incendio che non poteva più spegnere.
È verissimo che nel conto mi ha fatto pagare il vino annacquato come vin pretto, ma anche questo è lodevole, tenuto conto dell'intenzione che deve averlo guidato d'infliggere una multa alla mia intemperanza. – Ma chi ha dato diritto all'oste di far pagare ai suoi avventori più di quanto gli è dovuto?.. Forse l'agente delle tasse, il quale attribuendogli una rendita immaginaria, superiore alla vera, e facendogli versare una imposta relativa, aperse la strada dell'arbitrario, divenuto indispensabile per pagare l'ingiusto! – Dunque si assolva anche l'oste.
I veri colpevoli furono i falsi amici e i cattivi compagni. Alla testa di tutti pongo Uguccione della Fagiuola, il quale avendo scoperto in me i germi d'una nuova passione, che si andavano sviluppando, invece di mostrarmi i pericoli a cui andavo incontro, mi fece coraggio a persistere nelle prave abitudini. Egli era molto più vecchio di me, e l'esperienza doveva tenergli luogo d'educazione. Avrebbe potuto dirmi amichevolmente: – Bada, Daniele, a quello che fai; tu sei costantemente innamorato delle cose pericolose, e trapassi con inconcepibile leggerezza dall'amore della donna all'amore della botte. Sta in guardia, non fidarti troppo nè dell'una nè dell'altra; entrambe ci lusingano da principio con prestigiose illusioni, entrambe producono soavi emozioni, brillano ai nostri occhi con ismaglianti colori, sorridono ai nostri sguardi, ai primi baci esaltano il nostro spirito, ci promettono la suprema felicità!.. ma poi!.. a misura che la passione si riscalda, esse abusano della loro fatale influenza, intorbidano la nostra mente, ci espongono a mille pericoli, e ci fanno smarrire la ragione ed il senno!.. Daniele, non fidarti nè della donna nè della botte; tu non sai quanto il loro profumo sia ingannatore, tu ignori gl'istinti malvagi che ascondono in seno, e i funesti veleni che circolano nel loro sangue. Fuggi la donna e la botte. Se m'avesse detto così, io andava frate, e tutto sarebbe stato finito; rinunziando alle gioie terrene mi assicuravo almeno il paradiso per l'altro mondo, ma Uguccione tenne un altro linguaggio.
– Bevi, bevi, – egli mi diceva, – il vino consola di tutto, la vita non ha che disinganni e dolori, in fondo della bottiglia si trovano le illusioni e le gioie: bevi e cerca l'oblio dei mali nel bicchiere, esso ti farà dimenticare la miseria e i tradimenti, gli amori infelici, le noie della solitudine, le amarezze del destino; bevi e sarai felice.
Ed io bevevo… ma bevevo come un sifone…
Egli mi faceva compagnia, e si stava allegri. Poi, per tenermi più a lungo all'osteria, mi mise in mano le carte. Dapprincipio giuocavo con indifferenza, ma a poco a poco m'entrò la passione dei fanti e dei cavalli, delle spade e delle coppe; gli assi mi mettevano in convulsione, avrei dato cento scudi per un dieci di danari, mi pareva impossibile che l'uomo potesse vivere senza le carte, ci pensavo il giorno e la notte, e le vicende del giuoco unite al liquore di Bacco mi agitavano il sonno terribilmente. Le giornate mi parevano più lunghe, la scuola sempre più noiosa; io attendeva con ansietà il momento di fare la partita, e quando all'ora della mia passeggiata Bitto voleva condurmi per la campagna a respirare l'aria pura e serena, io obbligava la povera bestia a rinunziare a questo esercizio salutare per accompagnarmi all'osteria a passare la sera in quell'afa infetta di vivande, di vino e di tabacco. Le carte non rispettano le affezioni più sacre, non riconoscono amici, nè credono ad altri piaceri all'infuori di quelli del tavolino.
Così in breve tempo divenni giocatore e beone.
Pare impossibile come è facile diventare viziosi quando il cammino della virtù riesce tanto faticoso! Eppure l'esperienza insegna che l'uomo non può essere felice se non ha la coscienza tranquilla. Tutti vogliono essere felici, ma molti fallano la strada, cercando da lontano e per vie remote ciò che si trova da vicino, anzi dentro di noi.
Io giuocavo e bevevo gran parte della notte; le perdite al giuoco mi animavano a raddoppiare le partite, e il vino mi eccitava la sete. Uguccione della Fagiuola colle carte, e l'oste col conto mi pelavano penna a penna, come si farebbe d'un pollo. Io era sempre pronto ad essere spiumato da tutti e due; giuocavo come una ruota, bevevo come una spugna, ed alla notte soffiavo come un mantice.
Una sera giuocando e bevendo, bevendo e giuocando, ho perduto tutto il denaro che doveva bastarmi per vivere un mese; poi non avendo più denaro, e volendo prendere la rivincita, ho perduto l'orologio, poi la giubba, poi la cravatta… poi il cervello e le gambe, e sono andato a finirla sotto al tavolo!..
Dopo un sonno profondo mi svegliai indolenzito, ammaccato, scapigliato, sconcio, colla testa pesante e la borsa leggiera, in maniche di camicia.
Ero sotto il tavolo, all'oscuro, dimentico d'ogni cosa, sbalordito.
Chiamai la Rosa. Bitto venne a leccarmi il volto con affezione inquieta, e pareva che volesse parlarmi. Non sapevo ove fossi, strepitai tanto che finalmente vidi comparire l'oste in mutande e pantofole, con un fanale in mano.
– Ha chiamato, signor maestro?
– Altro che chiamato!..
– Ebbene come va?
– Ma!.. mi pare che la vada malissimo… che non potrebbe andar peggio. Ditemi un po' che cosa faccio qui in questo arnese… e in questo letto un po' duro, ma a padiglione?
– Eh, quando si ha un buon sonno si dorme da per tutto.
– Benissimo… che ora è?
– Incomincia il crepuscolo.
– E perchè mi avete lasciato in terra tutta la notte?
– Per non farle male… gli ubbriachi bisogna rispettarli.
– Vi ringrazio dell'onore… ma come mi trovo qui?
– Vedo che la cotta è stata proprio solenne, se non si ricorda più nulla! Ecco come passarono le cose: ha giuocato e bevuto fino a che ha potuto reggersi in piedi, poi ha scivolato sotto al tavolo. I suoi compagni volevano accompagnarlo a casa, ma erano cotti fino alle midolle; ho pensato che andrebbero a dormire in un fosso. Ho detto fra me: vadano pure, essi sono veterani avvezzi alle bastonate, ma un coscritto non bisogna abbandonarlo. Se si rompe la testa possono darmene la colpa, e così mi sono fatto scrupolo di disturbarla. Dormiva tanto bene che pareva morto… L'ho lasciato in pace al posto naturale scelto dalla natura… ed io pure sono andato a dormire.
– Nel vostro letto.
– S'intende… nel mio letto.
– Fortunato mortale!.. Ed ove sono i miei panni?
– Li ha giuocati e perduti, con l'orologio… povero maestro!
– Ora mi rammento benissimo… pazienza… è stato il fante di spade che mi ha tradito!.. Mi dispiace che non avendo più un soldo nè in tasca nè in casa, non posso pagarvi il mio debito prima d'aver trovato i contanti.
– Di questo non si dia pensiero, signor maestro, mi pagherà un altro giorno. Intanto vada a casa a vestirsi finchè le strade sono deserte; e non si perda di coraggio per così poco. E mi aperse la porta.
Uscii con Bitto, che vedendomi mezzo spoglio mi guardava con compassione.
Io mi vergognavo davanti al mio cane.
Spirava una fresca brezza mattutina, il cielo era sereno, l'aurora tingeva i monti d'un roseo dorato. Il sorriso della natura mi faceva male. Avevo in saccoccia la chiave di casa, entrai come un ladro, penetrando con precauzioni infinite nella mia stanza per non essere sorpreso in quello stato miserevole dalla Rosa. Il sole si alzava quando io poggiava sul cuscino la mia povera testa pesante, e grave di pensieri dolorosi ed umilianti.
All'indomani tutto il villaggio parlava della mia avventura. Uguccione della Fagiuola l'aveva raccontata in piazza, il campanaro in canonica, il cursore in ufficio, le donnette ai mariti. Le autorità civili ed ecclesiastiche censurarono altamente la condotta scandalosa del maestro, tutti ciarlavano, commentavano, infioravano, esageravano il fatto e ridevano.
Se la coppa dell'amore appressata due volte alle labbra mi lasciò sempre deluso, anche in mezzo ai fiaschi… ho fatto fiasco!.. Tre delusioni successive era troppo! Avrebbero bastato a schiacciare un gigante; io, che non era che un insetto, mi trovai polverizzato addirittura.
Più di tutto mi crucciava il pensiero di ciò che avrebbe pensato la famiglia Bruni de' miei stravizii, e mandai la Rosa con un pretesto per esplorare il terreno. Al suo ritorno le andai incontro per abbreviare la mia ansietà.
– Ebbene, che cosa pensano di me?.. – le chiesi.
– Dicono, – mi rispose, – che siete un buon ragazzo, onesto e dabbene, vittima degli astuti, degl'intriganti, degli arruffoni, che abusando della vostra bonarietà vi rendono tributario dei loro disordini, dei loro vizii, e poi vi denigrano e vi mettono in ridicolo… La signora Agata vi aspetta dopo pranzo per fare una gita con sua madre, non potendo il signor Nicola accompagnarle a motivo delle sue occupazioni.