Kitabı oku: «La famiglia Bonifazio; racconto», sayfa 10
XII
Metilde o Maria?.. questa interrogazione martellava continuamente il cervello di Silvio, e gli toglieva la pace. Egli desiderava di contentare, almeno in parte, suo padre, e di seguirne i consigli. Nei vari disinganni della vita, ogni qual volta ad una speranza delusa gli succedeva uno scoraggiamento, quando vedeva una causa giusta perduta, un'opinione onesta derisa, un'intrigante che scavalcava un uomo di merito, si sentiva spinto a fuggire in un ritiro tutte le ingiustizie sociali, a ritornare a casa sua a piantar cavoli in famiglia, e a prender moglie. Ma guardandosi d'intorno non si trovava troppo incoraggiato al passo fatale; il matrimonio gli faceva paura. Passeggiando per Venezia incontrava dei fidanzati inseparabili, sotto l'occhio vigilante della mamma. Gli pareva che dovessero affrettare le nozze per liberarsi da quel caro cerbero che spiava i loro dialoghi e quasi i pensieri. Come si amano! egli pensava, come saranno felici di poter rifare queste passeggiate, senza quell'intollerante testimonio materno! Finalmente si celebrava il matrimonio, facevano il loro viaggetto di nozze, ma quando ritornavano a Venezia, il marito andava da una parte, e la moglie dall'altra, e nessuno li vedeva più insieme!
E poi dove trovare una moglie che corrisponda a tutti gl'ideali del marito, che appaghi tutti i suoi desideri, che contenti tutti i bisogni della vita? Che sia amabile e brava in casa, che sia gentile ed onesta con tutti? E se non ha questi pregi, quali saranno le conseguenze di ciò che le manca?
«Ne conosco tante delle ragazze, pensava Silvio, e quasi tutte belle, ma vedendole più volte, e studiandole con attenzione e perspicacia, vi si scopre sovente qualche difetto, invano dissimulato da false apparenze. Donnine appariscenti, ma senza profumo, come i fiori falsi del loro cappellino, cervellini vani e leggieri come le penne di struzzo, anime misteriose e furbette da far paura ai più intrepidi. Non ne ho trovate che due sole che mi attraggano con eguale prestigio, ma anche queste non sono perfette; a quale delle due devo dare la preferenza? – a Metilde o a Maria?..
«Metilde mi rappresenta la grazia e la coltura, è la più bella bionda di Venezia, e la ragazza più intelligente e più colta che possa soddisfare il giusto orgoglio d'un marito. Essa mi inebbria come un vino spumante, i suoi occhi, la sua voce sono affascinanti, quando mi parla o si mette al pianoforte, mi rapisce in estasi, mi fa echeggiare nell'anima le più soavi melodie, io ho bisogno di tutta la forza della mia volontà per frenare quell'entusiasmo che mi spingerebbe a stringerla fra le braccia, e a coprirla di baci, e resto muto e immobile come un imbecille. Ma questo gioiello della società veneziana non acconsentirebbe mai di venirsi a nascondere ne' miei boschi, segregata dal mondo che la ammira, sacrificando la sua esistenza per un bellimbusto della mia specie, contentandosi della mia capanna e del mio cuore, nella solitudine del deserto domestico, come una monachella in un chiostro. Nemmeno per sogno!..
«Maria è una bella figlia della natura; è un'anima sana in un corpo solido e scultorio. È donna positiva, senza ideali, ma utile e buona, come un'amandorla dolce dalla ruvida scorza. Ma santo Dio! che pettinature! che vestiti! che stivalini!.. È un angelo in veste da camera!.. Ma che sciocchezze! un parrucchiere, una sarta e un calzolaio dei migliori ne farebbero prontamente un'altra donna… e che donna!..»
E divagava tutto il giorno con simili pensieri, senza decidersi a nulla, senza saper sciogliere il più arduo problema della sua vita: – Metilde o Maria?..
Papà Gervasio ristabilito in salute andò a trovarlo coi soliti doni. Silvio molto occupato nelle sue corrispondenze ai giornali non potè accompagnarlo in casa Ruggeri. Il babbo ci andò solo, depose un involto in anticamera, e si fece annunziare alle padrone nel salotto. La signora Emilia, tutta a svolazzi, scuotendo i cincinnoli della fronte, e dimenando i fianchi, con matronale dignità, gli andò incontro per presentargli le più gentili felicitazioni per la ricuperata salute. Metilde sorridente seguì la madre, e gli strinse cordialmente la mano. Finiti i soliti complimenti lo invitarono a sedere.
– Le prego di concedermi un momento, disse Gervasio, sederò dopo, prima di tutto ho una presentazione da fare… il migliore dei miei figli!..
– Silvio! esclamò Metilde.
– Ma come? interruppe la signora Emilia, avete un altro figliuolo?..
Papà Gervasio non le rispose, ma con un rapido sgambetto sguisciò in anticamera, e un momento dopo ricomparve, ripetendo:
– Vi presento il migliore dei miei figli!.. era un enorme melone che teneva orgogliosamente fra le braccia, facendolo girare in modo che lo si vedesse da ogni parte.
Risero di cuore della presentazione, lodarono ripetutamente la sua bellezza ed il profumo di quel portento, ed ascoltarono sorridendo una breve dissertazione sulla coltura dei cucurbitacei.
– È singolare, osservava la signora Emilia, la grandezza di tutti i vostri prodotti!
– Effetto dell'educazione, cara signora.
– Ma voi trasformate le vostre terre nel paese della cuccagna!
– Vengano dunque a vederci, almeno una volta…
– Verremo di sicuro, saremmo già venuti se l'avvocato avesse un solo giorno di libertà.
In questo istante entrava nel salotto l'avvocato, gli additarono il frutto enorme, che egli credette una zucca. Ma questo equivoco che destò l'ilarità delle signore, fu accolto come un elogio dal donatore, che lo interpretò come un paragone di grandezza.
Misero il melone sotto il naso dell'avvocato per farglielo conoscere dall'odore, e gli raccontarono la bizzarra presentazione. Anch'egli ne fece i più grandi elogi.
Papà Gervasio non teneva più nella pelle dalla consolazione, il suo orgoglio era soddisfatto molto più di quel giorno che suo figlio fu fatto dottore. Tutti abbiamo le nostre passioni, egli aveva l'ambizione dell'orto. Raddoppiò le istanze per una gitarella alla sua villa, e per invogliarli alla visita enumerava i piaceri della giornata.
– Un giro pel parco, sulle rive del laghetto, e pei boschi, una colazione all'aperto, sotto la pergola dei gelsomini, una passeggiata al frutteto ed alla vigna. Quest'autunno sarà matura quell'uva d'oro, moscata, che piace tanto alla signora Metilde, dei bei pomi, delle pera, dei fichi d'ogni colore, un po' di tutto. Vedranno in orto delle altre meraviglie. Farò assaggiare al signor avvocato i miei vini, alle signore delle conserve. Non abbiamo da offrire nè spettacoli, nè teatri, ma prometto una giornata di riposo e di svago, un'accoglienza senza cerimonie, ma davvero cordiale.
Metilde batteva le mani, e guardava suo padre con occhio supplichevole, mostrando il più vivo desiderio di passare una così bella giornata in campagna, in quel luogo di delizie. Lo avevano promesso tante volte, era giunto il momento di mantenere la parola. La signora Emilia secondava la figlia, l'avvocato assentì, e fu pattuito che nel prossimo autunno si manderebbe ad effetto quella visita.
Papà Gervasio gongolante dalla gioia corse ad annunziare la buona notizia a suo figlio, che ne fu lieto, e s'incaricò di ribattere il chiodo perchè il progetto non andasse sventato, e d'informare a tempo la famiglia del giorno preciso dell'arrivo, per le disposizioni opportune.
E anche questa volta papà Gervasio ripetè con insistenza il desiderio di vedere il figlio ammogliato, eccitandolo alla buona scelta d'una sposa, mostrando la più viva impazienza di vederlo stabilito prima di morire, e confortandolo con buoni consigli.
– La felicità della famiglia dipende in gran parte dalla donna, egli diceva; essa attira o allontana il marito dalla casa, secondo le sue buone o cattive qualità; essa procura il benessere o getta il disordine in famiglia, bisogna pensarci seriamente. I figli allevati con molta severità al tempo del governo austriaco, hanno saputo combattere e morire per la libertà; i figli che crescessero nell'abbandono ci condurrebbero all'anarchia. Non seccarti delle mie prediche, lasciami dire tutto quello che penso, tutto quello che ha diritto di pensare un padre che ha pagato la libertà con infiniti sacrifizi. I futuri cittadini saranno ottimi o pessimi secondo le loro madri, perchè le azioni umane dipendono in gran parte dall'indirizzo dei primi anni. La palla che corre, se non trova ostacoli che la deviano, arriva sempre dove la spinse la mano che le diede il primo impulso.
Silvio gli promise di contentarlo, si mostrò disposto a risolversi a questo passo scabroso, facendo una buona scelta, e pensava fra sè: «La gita dei Ruggeri in campagna sarà una bella occasione per decidermi; Metilde e Maria trovandosi insieme, potrò osservarle con attenzione, e finalmente sarò in caso di giudicarle senza pericolo di ritrattarmi il giorno seguente. Fino che sono divise e lontane, preferisco sempre quella che mi sta più vicina, ne subisco l'influenza magnetica, e l'assente ha sempre torto.»
Due mesi dopo l'ultima visita di papà Gervasio, venne stabilito dai Ruggeri il giorno preciso per fare la scampagnata. Silvio ne diede avviso alla sua famiglia, la quale prese le opportune disposizioni per accoglierli degnamente.
Era d'autunno, la bella stagione delle vendemmie e delle frutta mature, della temperatura mite, e dell'abbondanza. Non si poteva scegliere un'epoca migliore.
Quando la carrozza entrò nel parco dal cancello spalancato, papà Gervasio attendeva al vestibolo, Pasquale era pronto per aprire lo sportello, la nonna e Maria corsero a ricevere gli ospiti.
Furono condotti nelle stanze del primo piano, per spolverarsi, e riparare ai piccoli disordini del viaggio. Passarono per brevi istanti al salotto, fino che vennero introdotti sotto la pergola dei gelsomini e dei caprifogli, ove era stata apparecchiata la colazione quasi tutta coi prodotti della villa. La tavola coperta da una bella tovaglia era adorna di fiori e di frutta, fra le quali spiccavano dei pomi color porpora, e dell'uva d'oro. E stavano intorno dei piatti piccoli e grandi col burro fresco, il miele dell'arnie, le uova del mattino, il prosciutto e il formaggio di casa. I ravanelli rossi e verdi uniti al sedano bianco mostravano i colori nazionali, che non mancavano mai in casa Bonifazio. Servirono una frittura di pollo che fece onore alla nonna, una torta di frutta che ottenne molti elogi, guadagnati da Maria, e il vino della cantina fu portato alle stelle, con somma soddisfazione di Gervasio.
Pasquale in cravatta bianca, rasato a fondo, col muso in aria, la schiena curva, le gambe un poco storte, serviva in tavola, come le scimmie dei saltimbanchi alla fiera.
L'aria mattinale ed il viaggio avevano messo gli ospiti in appetito, l'aspetto attraente dei piatti lo spronava. Mangiarono allegramente, prodigando gli elogi su tutte quelle ghiottonerie le più golose.
Peccato che le signore Emilia e Metilde guastassero il vino, mescendovi dell'acqua, e che l'avvocato bevesse pochissimo. Papà Gervasio non poteva consolarsi che non lo lasciassero riempiere i bicchieri a suo talento, e gli pareva che non sapessero apprezzare degnamente gli aromi deliziosi delle sue vecchie bottiglie.
Le due ragazze, sedute vicine, presentavano il più bel quadro che potesse desiderare un artista. Maria aveva una rosa fresca nei capelli morbidi e abbondanti, la semplice natura era bastata ad abbellire la sua testa giovanile, che rappresentava la salute e la freschezza dei campi, ravvivata dalla gaiezza degli occhi ridenti.
Portava al collo un fazzoletto di seta di vari colori vivaci, messo alla rinfusa per difendersi dalle brezze autunnali. Ma questa semplice precauzione era bastata a mascherare i difetti del vestito, che solevano dispiacere al cugino.
I capelli d'oro di Metilde un po' sviati dal viaggio e dall'aria, svolazzavano capricciosamente sulla fronte e sul viso candido della ragazza, con pittoresco disordine. La straordinaria levata mattiniera le aveva lasciati gli occhi un po' languidi, ciò che abbelliva la delicata espressione de' suoi lineamenti. Due grossi solitari di brillanti splendevano alle sue piccole orecchie come due stelle, e la somma semplicità del vestito accollato, che le disegnava il busto graziosamente digradante con curve eleganti fino ad una vita sottile di vespa, era rialzata da un'ampia cravatta bianca leggierissima di velo e pizzi, artisticamente annodata. Un mazzolino d'asclepie carnose introdotto in un occhiello dei bottoni, pallido come il suo volto, esalava un profumo penetrante.
Metilde e Maria si sorridevano come due amiche, ma poi voltata la testa, si rivolgevano certe occhiate clandestine colla coda dell'occhio, che tradivano una reciproca diffidenza, ed una ripulsione istintiva.
Silvio le divorava cogli occhi, contemplava attentamente le più minute agitazioni, i movimenti quasi impercettibili dei loro volti, la luce degli occhi, gli atteggiamenti di quelle rosee labbra che si studiavano di dissimulare il pensiero. Erano belle entrambe, d'una diversa bellezza, e dopo una lunga lotta di pensieri, e un grave imbarazzo nella scelta, egli volava col pensiero ai paesi della poligamia, che gli parevano più fortunati dei nostri, ove egli avrebbe sciolto agevolmente il quesito: Metilde o Maria? con queste sole parole: tutte due!..
E stava appunto mulinando in segreto tali pensieri colpevoli, quando, finita la colazione, tutti mostrarono il desiderio di muoversi, di passeggiare pel parco, di visitare la villa.
Uscirono dalla pergola, la nonna chiese il permesso di ritornare in casa per accudire alle faccende domestiche, papà Gervasio si mise in testa della comitiva per servire di guida, e cominciò subito le sue spiegazioni. Egli si mostrava entusiasta dei colori dell'autunno, e indicava le varie tinte delle foglie nelle grandi masse degli alberi di varie specie, e nelle macchie degli arbusti:
– Quale tavolozza!.. egli esclamava, il nostro Tiziano, il grande colorista, non aveva tanti colori, nè un simile impasto! guardino quel rosso vivo delle foglie di cotogno della China, osservino il giallo d'ocra di quel platano, e il lionato oscuro del suo vicino. Quell'ipocastano ha una tinta tané come il guscio delle castagne, quella robinia è tutta d'oro! E quel verde cupo degli abeti come si stacca dal verde tenero degli strobus! Favoriscano un'occhiata a quella idrangea a foglie di quercia; mi dicano se quelli non sono i colori metallici dei bronzi antichi, e delle armature di ferro irrugginite?! Vogliono vedere uniti la porpora e l'oro?.. contemplino quella ampelidea vergine che è salita sul liriodendron tulipifera!..
Mentre il vecchio coltivatore si animava nella descrizione delle tinte autunnali, ed era assorto nella declamazione di quelle bellezze pittoresche, l'avvocato guardava intorno sbadatamente, non vedeva nulla, e si andava concentrando coi suoi soliti pensieri del contenzioso giuridico. La signora Emilia osservava in aria canzonatoria le pieghe assurde del vestito di Maria, e ne dava d'occhio a Metilde, mentre essa accennava alla madre la calzatura della ragazza. Silvio soffriva del fiato perduto di suo padre, che si spolmonava invano spiegando davanti ad occhi profani il gran libro della natura.
Argo seguiva fedelmente la sua amica, e per starle più presso si fregava agli abiti di Metilde, che pareva poco contenta della compagnia di quel cane. Giunti al vigneto si ridestò l'attenzione di tutti, e approfittando del cortese invito del padrone di casa, ciascuno si mise a beccare i bei grappoli d'uva bianca e purpurea che brillavano al sole. Così fu fatto anche davanti al frutteto, ma la signora Emilia non volle che sua figlia mangiasse altre frutta, papà Gervasio le incoraggiò a farne almeno una bella scelta fra le migliori, per portarle a Venezia. Poi visitarono l'orto, fornito d'ogni varietà d'erbaggi, entrarono nelle serre, ammirarono le aiuole all'aria aperta, e ne raccolsero tanti fiori che le due ragazze ne erano cariche, e dovettero depositarli nel chiosco del giardino. Poi saliti sopra una torricella che si chiamava il belvedere, papà Gervasio fece vedere il panorama delle Alpi lontane, i verdi colli sottoposti, il bosco Montello, e tutti i paeselli bianchi disseminati nella vasta pianura. Additò anche i suoi poderi in blocco, colle relative case coloniche sparse per la campagna intorno alla villa, le praterie ove pascolavano i suoi armenti, e i campi coltivati a lunghi filari di gelsi e di viti.
Frattanto erano giunti due altri invitati a pranzo che passeggiavano sulla spianata davanti la casa. Quando la comitiva si avanzò, Silvio fece le presentazioni.
– Il maestro Zecchini, Andrea Pigna.
Il giovane che non era avvezzo alle cerimonie cercava di nascondersi dietro il maestro, il quale si avanzava con rispettose riverenze alle signore, col cappello basso nella destra, e la sinistra appoggiata al bastone, che lo aiutava a camminare.
Papà Gervasio gli strinse la mano, dicendo all'avvocato;
– È un vecchio amico di casa, che si ricorda ancora di Napoleone I; amico fedele di mio padre, maestro di parecchie generazioni, pensionato dal Comune.
– Senza mio merito, rispose modestamente il maestro.
Papà Gervasio volle condurre i suoi ospiti a visitare anche le stalle.
Egli amava tutte le bestie per istinto di bontà che gli rendeva cari tutti gli esseri viventi, e poi come agricoltore, pei vantaggi che ricavava da queste valorose alleate.
Il maestro faceva gli elogi delle mucche:
– Sono le più belle del paese, egli diceva all'avvocato, e ce ne sono poche di migliori in tutta la provincia.
L'avvocato le guardava senza vederle, la signora Emilia si alzava l'abito e le sottane fino a mezza gamba, e storceva il naso, perchè l'odore della stalla le dava fastidio, Metilde si teneva dietro le colonne perchè aveva paura di tutto, e diceva:
– Guai se una di quelle bestie rompesse la catena che le tiene legate!
Le mucche la guardavano con placidi sguardi, e alzavano il muso ruminando tranquillamente. Maria rideva clamorosamente, entrava nelle poste, accarezzava la Mira, che mostrava di conoscerla.
Il maestro asseriva che le bestie hanno spesso più sentimento degli uomini, e molte buone qualità che scarseggiano nella vita sociale…
Per somma fortuna Pasquale venne ad annunziare che il pranzo era servito, e così risparmiò la dissertazione del maestro, che dopo l'elogio delle bestie, sarebbe indubbiamente finita col solito atto di accusa dell'uomo.
La sala da pranzo era stata apparecchiata dalla nonna con quelle cure che soddisfano la vista, e mettono gli ospiti in buone disposizioni. I cristalli brillavano sulla lucida tovaglia fra i piatti fermi e l'argenteria. Un bel vaso di fiori confondeva i suoi profumi colle esalazioni delle pietanze. In principio non si udiva che l'acciottolio dei piatti, tutti mangiavano in silenzio, ma la signora Emilia s'accorse subito che Maria soffiava sul cucchiaio colmo, e mangiava la minestra col pane. Una bottiglia di vino bianco lucido trasparente color dell'ambra animò la conversazione che divenne sempre più animata e briosa.
Il maestro raccontava le sue paure al tempo dei Tedeschi, quando cominciò a sospettare che il capitano Bonifazio appartenesse alla setta dei Carbonari. Egli si trovava gravemente compromesso e sognava tutta la notte sbirri, catene, sotterranei, e la forca!
Papà Bonifazio per eccitarlo a tenere allegri gli ospiti gli riempiva continuamente il bicchiere. Un'immensa trota del Piave fu trovata eccellente. Tutto era buono e servito in punto.
Andrea teneva gli occhi fissi costantemente sulle due ragazze, Silvio fremente spandeva il vino sulla tovaglia.
Maria prese colle dita uno stinco di pollo e si mise a rosicchiarlo e a succhiarlo con disinvoltura, tagliava le vivande a pezzettini, e parlava colla bocca piena, teneva la forchetta colla destra, e il coltello colla sinistra.
La signora Emilia faceva dei segni a Metilde per indicarle questi scandali; Silvio se ne avvedeva e si sentiva umiliato.
Ma il malanno più grande si manifestò nei dialoghi, ai quali la povera ragazza ebbe l'imprudenza di prender parte. Essa diceva con ingenuità degli spropositi madornali, che provocavano dei sorrisi male dissimulati dalle signore e dall'avvocato e facevano salire il rossore al volto dell'infelice cugino.
Si parlava dei suicidi che si vanno moltiplicando, ed essa raccontò il caso d'un giovane speziale che si era ucciso colla strachinina.
Il maestro sostenne che il suicidio è una viltà, che la morte non è un eroismo che quando si va ad incontrarla per la patria… e Maria soggiungeva:
– Come i mille che andarono in Cicilia!..
Si parlò di Venezia, del lido, dei bagni d'Abano…
– Che sono eccellenti, osservò Maria, per le irruzioni alla pelle.
– E pei dolori reumatici, disse il maestro.
– Ma questi, continuò l'intrepida fanciulla, si possono guarire anche coll'essenza di Clementina!
Quest'ultima essenza spinse l'avvocato ad un irresistibile scroscio di risa, al quale fece eco la signora Emilia. Metilde arrossì. Silvio aveva gli occhi fuori della testa. Per consolarsi delle continue sciocchezze di sua cugina egli beveva senza misura, e fra il vino, gli spropositi e le umiliazioni perdeva il cervello. La nonna dissimulava, papà Gervasio nella sua bonarietà non capiva che una cosa sola, che gli ospiti stavano allegri, ed egli era soddisfatto. Il maestro si rammentava i consigli che aveva dati inutilmente per l'educazione della fanciulla, e deplorava vivamente la brutta figura che essa faceva a quella prima prova.
L'arrosto delle lodole venne ad accrescere le sconvenienze di Maria. Curvata sul piatto, lacerava gli uccelli colle dita, ne cavava le polpe coi denti, poi ritirava le ossa dalla bocca sporca. Quando finì di divorarli, si versò un bicchiere di vino ben colmo, e se lo bevette d'un tratto lasciando il cristallo appannato dall'unto, e mettendo i gomiti sulla tavola, si riposò, guardando tranquillamente d'intorno.
Le signore Ruggeri che avevano assistito a quello scandalo scambiando dei sogghigni ironici, abbassarono gli occhi per non lasciar scorgere la loro meraviglia. Alle frutta Maria sputava i noccioli sul piatto, e scherzava così insulsamente che gli ospiti ridevano per pietà. Il solo Andrea la trovava spiritosa, e s'innamorava sempre più di lei; mentre il cugino si vergognava d'aver preso sul serio una scioccherella, e la guardava con disprezzo.
Dopo il caffè tutti sentivano bisogno d'aria aperta, e uscirono in giardino.
Giunto il momento della partenza, papà Gervasio riempì i cassetti del calesse colle frutta raccolte alla mattina. Infiniti complimenti e strette di mano si andavano avvicendando con reciproca insistenza, tutti volevano ringraziare, nessuno voleva essere ringraziato. Quando le signore si accomodarono in calesse, furono coperte di fiori, l'avvocato e Silvio non trovavano il loro posto sotto quella valanga odorosa, ma finalmente si collocarono alla meno peggio. Papà Gervasio, il maestro, Andrea, la nonna e Maria circondavano la carrozza, reiterando i saluti e le strette di mano.
Silvio slanciò un'occhiata sprezzante all'indirizzo di Maria, che voleva significare: – ti ripudio; – e salutò Andrea con un sorriso strano, accompagnato da un'alzata di spalle, che voleva dire: – prendila pure, che te la cedo volentieri.
La signora Emilia partì dalla villa riportando la più ferma persuasione dell'opulenza della famiglia Bonifazio. Aveva veduto una bella casa, con tutti gli agi della vita, un parco principesco, e le campagne che aveva osservate dal belvedere le parevano immense. E infatti il padrone di casa non aveva trovato necessario d'indicarle i confini, nè di avvertirla che il verme dell'ipoteca rosicchiava quelle colture, e produceva gli effetti della filossera.