Kitabı oku: «La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno», sayfa 4

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Capitolo Sette


Quando tornai ai Tavoli di Yzebel prima dell’alba, tutto era silenzioso. Usai l’attizzatoio per rastrellare i carboni, trovando alcune braci ardenti. Con un po’di ramoscelli e qualche soffio, il fuoco riprese vita. Vi aggiunsirami più grandi per ravvivarlo.

Yzebel uscì e si stiracchiò. “Buongiorno.”

“Buongiorno. Preparo la colazione?”

Guardò verso est, dove il sole sarebbe presto giunto sopra le cime degli alberi. “È meglio barattare per le provviste di buon’ora, mentre c’è ancora una vasta scelta.”

Jabnet ancoradormiva quando siamo partite.

Un marsupio di cuoio attaccato a una corda attorno alla vita di Yzebel conteneva tutte le monete, gli anelli e i ciondoli che i soldati avevano lasciato sui suoi tavoli la sera prima.

Abbiamo trovato il conciatoreal suo banco di lavoro nelle prossimità di un ruscello vicino al centro del campo. Rimasi in silenzio a guardare mentre Yzebel contrattava riguardo i vari tagli di carne. Una volta soddisfatta del montone e di un piccolo maiale che l’umo aveva steso, discussero molto sul valore dei gioielli che lei gli offriva in pagamento. Alla fine, lanciò un anello d’oro nell’affare e chiese tre polli vivi oltre alla carne. Il conciatoreesaminò l’anello per molto tempo prima di accettare. Yzebel gli chiese quindi di includere anche la gabbiadove erano custoditi i polli.

Sulla via di ritorno verso la tenda di Yzebel, bilanciai sulla testa la gabbia con i polli che schiamazzavano, mentre lei portava il maiale macellato sulla spalla. Avremo dovuto fare un secondo viaggio per il montone.

“Ora,”disse Yzebel con voceallegra, “questo è quello che chiamo un buon affare.”Il tono della sua voce variò con le parole. “Non solo abbiamo ottenuto il doppio della quantità di carne che volevo, ma anche i polli.” Si chinò per sbirciare sotto la gabbia che portavo. “Cosa ne pensi, Liada?”

“Penso che hai ottenuto molto per una moneta, due collane e un piccolo anello d’oro, ma non volevo parlare mentre contrattavi con l’uomo.”

“Sì.” Yzebel si raddrizzò e spostò il maiale sull’altra sua spalla. “È bene che tu guardi e impari. Non solo devi conoscere la qualità delle cose per le quali stai barattando, ma anche il valore degli articoli che hai da scambiare.”

Arrivammo alla tenda e Yzebel urlò al figlio pigro di svegliarsi. Dovette chiamarlo di nuovo prima che finalmente inciampasse fuori dalla tenda alla luce del sole, stropicciandosi gli occhi.

Borbottò qualcosa che non riuscivo a capire quando lei gli disse di fare la guardia al maiale e ai polli mentre andavamo a prendere il resto della carne.

Sulla via del ritorno dal conciatore, ci siamo fermate vicino ai piedi dellaCollina Rocciosa per barattare per il vino passito e il grano duro. Tornammo alla tenda con le braccia piene.

Dalla lunghezza delle nostre ombre capii che era quasi metà mattina.

“Ti ha rubato il vestito,” disse Jabnet mentre stendevamo le provviste su un tavolo.

Yzebel prese una brocca e versò del vino per me e per sé stessa. “No, nonl’ha fatto.”

“Allora perché lo sta indossando?”

“Jabnet.” Yzebel raccolse la borraccia per diluire il mio vino con una grande quantità di acqua. “Lo indossa perché gliel’ho dato. Mi stai stancando con le tue domande insensate. Vai nella foresta e raccogli della legna così possiamo iniziare a cucinare. Ho anche bisogno di un ramo forte per arrostire quel maiale sul fuoco. Non prendere il pino, la linfa rovina il sapore della carne.”

Jabnet mormorò qualcosa sulla linfa quando passò tra di noi. Yzebel alzò la mano e pensai che l’avrebbe colpito, ma lei scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. Mi sorrise e si nascose un ricciolo ribelle dietro l’orecchio.

Quando finimmo di bere, mi diede due monete di rame, una minuscola catena d’oro e un paio di orecchini d’argento a cerchio. “Va’da Bostar,”mi disse. “Digli che abbiamo bisogno di sette pagnotte.”Esitò per un momento. “No, prendine otto oggi. Mostragli le monete e i gioielli e prenderà ciò di cui ha bisogno. È l’unico commerciante nel campo di cui ti puoi fidare in questo modo. Bostar non prende mai più del valore del suo pane. Impara da lui cosa cercare in un uomo; è uno dei migliori.”Fece cadere il resto delle sue monete e i gioielli su un quadrato di stoffa e mi consegnò la sua borsa vuota.

“Chi è l’altro?”Chiesi mentre mettevo i gioielli per Bostar nella borsetta.

Yzebel rise e piegò il panno in una custodia per contenere il resto dei suoi gioielli. “Non importa. Se ne viene uno, te lo indicherò.” Si infilò la borsetta appena fatta dietro le corde del grembiule, poi strinse la cintura del mio vestito. “Vedi dove si trova il sole?”

Mi protessi gli occhi e guardai il cielo. “È quasi mezzogiorno.”

“Torna prima che il sole raggiunga le cime degli alberi.”

“Lo farò. Non ti preoccupare.”

* * * * *

Sulla strada per la tenda di Bostar, mi imbattei nella ragazza schiava del giorno prima. Era seduta su un piccolo sgabello fuori dalla tenda nera, con un cesto di cotone accanto a lei. Mi fermai a guardarla prendere un bastone affusolato non più lungo del suo avambraccio. Una spirale di argilla, come una piccola ruota, era montata vicino a un’estremità del bastone. Mi fece un sorriso smagliante e prese una capsula di cotone dal cestino, buttò via alcuni semi, dipanò alcuni fili e li unì alla lunghezza di quello già avvolto attorno all’asta del suo strumento. Quindi fece girare la pesante ruota e iniziò adaggiungere le fibre dalla capsula di cotone mentre un nuovo filo si avvolgeva attorno all’asta rotante.

La ragazza era così esperta nel suo compito, e le sue dita erano così veloci e agili che il filo sembrava allungarsi da solo. Prese altro cotone dal cestino, tolse i semi, dipanò le fibre e lolavorò nel filo di lana, continuando a far girare la ruota.

Quando lo strumento prese a ruotare più velocemente, si alzò e aggiunsealtro cotone alla fine del filo. Presto fermò l’asta rotante, che si era ingrossata nel mezzo per via del filo che vi si era avvolto intorno, quindi legò l’estremità del nuovo filo a quello già arrotolato in un gomitolo e iniziò a srotolare il filo astaper aggiungerlo al gomitolo crescente.

“Tin tinbansunia,” mi disse porgendomil’asta.

Il marchio lerovinava il bel viso. Anche lo schiavo di Lotaz aveva un marchio, ma il suo era un simbolo diverso che si era cicatrizzato molto tempo fa. Il marchio di questa ragazza sembrava una freccia con tre punte e aveva un serpente attorcigliato all’asta. La brutta bruciatura sembrava essere recente e non ancora completamente guarita.

“Cosa?”Chiesi.

“Tin tinbansunia.” Tirò il filo ancora avvolto attorno all’asta.

“Tin bim sole?”

“Tin tinbansunia.”

“Tin tinbansunia,”dissi e allentai la presa sulle estremità dell’astache avevo tra le mani in modo che ruotasse liberamente.

La schiava annuì e tornò a lavorare avvolgendo il filo sul gomitolo mentre io tenevo l’asta dello strumento.

“Non capisco cosa significhi.”

Quando finì il filo sull’asta, la prese e ne iniziò a girare uno nuovo.

“Conosci la donna chiamata Lotaz?”Le chiesi.

La ragazza schiava fece girare la ruota e lavorò il filo sempre più a lungo, apparentemente ignorandomi.

“Lotaz ha i capelli lunghi e ricci,” dissi. “E si tinge le labbra ele guance.”

Presi una capsula di cotone dal cestino, rimossi i semi e dipanai alcune fibre come avevo visto fare alla ragazza. Mi prese il cotone e lo lavorò rapidamente in tutta la sua lunghezza. Presi un’altra capsula e continuammo a lavorare, ma lei non reagì a nessuna delle mie parole.

“Senti quello che sto dicendo?”

Nessuna risposta.

“I tuoi capelli sono in fiamme!”

Prese un’altra capsula di cotone dalla mia mano ma non disse nulla.

“C’è un soldato orribile che corre qui per tagliarci a pezzetti e darci da mangiare ai leoni!”

Ancora nessuna risposta. Alla fine, dissi,“Tin tinbansunia.”

La ragazza sorrise. Apparentemente, poteva sentire ed era soddisfatta di ciò che le avevo detto, anche se non avevo idea di cosa le avessi detto.

Continuammo in questo modo, lei filava, mentre io dipanavo il cotone e parlavo del campo, Yzebel, Obolus e la mia avventura con la brocca di vino. Le ho anche raccontato di aver visto Annibale e di quanto fosse bello.

Pensavo avesse circa la mia età, dodici estati, forse un po’più giovane, snella e alta meno di due frecce. La sua carnagione era più profonda del colore di una pesca color cannella, con gli occhi scuri come la notte nella foresta. Non disse una parola e non mi prestò alcuna attenzione se non per prendere le capsule di cotone dalle mie mani per lavorarle.

Presto trasformammo il cestino di cotone in tre grandi gomitoli di lana. La ragazza li mise nel cestino, poi lo raccolse e mi passò accanto.

“Tin tinbansunia,” mi disse.

Per quanto ne sapevo, avrebbe potuto significare “Arrivederci, piacere di averti conosciuta” oppure“Ho finito, ora puoi andare” oppure“Per favore, non disturbarmi di nuovo.”

Mentre sedevo a gambe incrociate sul tappetino quadrato dove ero stata per gli ultimi due gomitoli di lana, fissavo la ragazza che si allontanava da me, sentendomi sola.

Dopo qualche passo, si fermò, guardò indietro e con un grande sorriso disse, “Tin tinbansunia.” Inclinò la testa nella direzione in cui si era diretta, come per dire: “Dai, vieni. Cosa stai aspettando?”

Mi alzai di scatto e corsi a camminare accanto a lei. “Tin tinbansunia?”

Indicò il sentiero e mi diedeun manico del cestino, così lo portammo tra di noi. Il sentiero conduceva su una ripida salita, dove poi si snodava attraverso una pineta sul lato oscuro dellaCollina Rocciosa. Le tende e le baracche sottostanti lasciavano il posto a capanne fatte di tronchi, con tetti di rami di paglia. Sembrava che avessimo lasciato il quartiere più povero e fossimo entrati in uno più ricco.

Le capanne erano distanziate e nessuno sembrava esserci nei paraggi. In basso, il rumore delle attività continuava, con molte persone che si occupavano delle loro faccende, ma lì nella foresta, tutto ciò che sentii fu la brezza tra le cime degli alberi e un corvo solitario gracchiare in lontananza.

“Chi abita qui?”

Non mi aspettavo alcuna risposta, ma pensai di poter leggere qualcosa nell’espressione della ragazza. E infatti così fu. Il semplice sorriso della ragazza era sparito, sostituito da uno sguardo di apprensione.

“Tin tinbansunia,” sussurrò e indicò una piccola capanna alla fine di un sentiero laterale, lontano dagli altri. Era circondato da alberi alti e scuri.

L’apprensione sul viso della ragazza divenne un’espressione di terrore. Capii che non voleva andare lì.

“Torniamo indietro.”Indicai il sentiero.

Guardò dove avevo indicato ma poi si trascinò verso la capanna. Tenevo ancora il manico opposto del cestino, quindi andai con lei, ma senza alcun entusiasmo.

Quando ci avvicinammo alla capanna, la porta si aprì cigolando sui cardini di cuoio e uscì un uomo ripugnante. Indossava solo la parte inferiore di una tunica legata con una corda sotto il suo enorme ventre e un paio di stivali neri. La sua testa con i capelli arruffatiera poggiata su spalle arrotondate, e sembrava che non avesse il collo. Non avevo mai visto così tanti peli su nessuno prima d’ora. Gli coprivano il petto, la pancia e gran parte del viso. Probabilmente anche la sua schiena, ma non volevo vederealtre parti di lui.

Rosicchiò l’ultimo pezzetto di carne dall’osso di un piccolo animale e lo gettò da parte. “È tutto quello che hai fatto?”Ringhiò alla ragazza, facendo un gesto verso il cestino.

La sua voce roca e rauca mi irritò. Qualcosa di grasso gli scorreva dall’angolo della sua bocca.Sputò per terra ai miei piedi. Mi guardò e si asciugò il mento con il dorso della mano.

La ragazza e io arretrammo. Non avevo mai saputo che un uomo grasso potesse muoversi così in fretta, ma si sporse in avanti e fece oscillare la mano prima che avessi l’occasione di voltarmi. Chiusi forte gli occhi, aspettandomi di sentirlo colpire il mio viso, invece colpì la ragazza. Non era uno schiaffo, le aveva tirato un forte pugno. Il colpo la fece sbattere contro un albero. La parte posteriore della sua testa colpì il tronco e lei si afflosciò, cadendo a terra.

Lasciai cadere il cestino e corsi dalla ragazza, inginocchiandomi al suo fianco. La feci girare e piansi. Il sangue le scorreva dalla bocca e dal naso e un livido viola cominciava a formarsi sul lato del suo viso. Aveva gli occhi chiusi.

“Tin tinbansunia,” sussurrai e la presi tra le braccia.

Non vidi arrivare lo stivale dell’uomo.

Capitolo Otto


Lo stivale pesante dell’uomo grasso mi colpì nel fianco, facendomi cadere all’indietro. Provai a gridare, ma non ne avevo fiato. Mi misi in ginocchio e mi sporsi in avanti, stringendomi lo stomaco con entrambe le mani, facendo fatica a respirare. Mentre l’uomo afferrava il braccio della ragazza per trascinarla verso la sua capanna, provai ad alzarmi, ma sentii una grande pressione sul mio petto e caddi di nuovo a terra, ancora senza fiato.

La ragazza aprì gli occhi e fece un debole tentativo di rimettersi in piedi, ma inciampò e cadde mentre l’uomo la trascinava via. Gridò e afferrò un palo vicino alla porta con la mano libera, ma lui la staccò via, la portò dentro e sbatté la porta. Sentii poi il bullone di legno cadere in posizione, segno del fatto che la porta veniva bloccata.

* * * * *

Non so per quanto tempo restai lì a piangere, ma alla fine riuscii ad alzarmi. Mi girava la testamentre raccoglievo le foglie e i ramoscelli dai tre gomitoli e li mettevo nel cestino. Quando poi posizionai il cestino accanto alla porta, non sentii alcun rumore all’interno. Bussai e aspettai una risposta, ma non ne arrivò nessuna. Bussai più forte e cercai di aprire la porta, ma non cedeva.

“Tin tinbansunia,” sussurrai attraverso una crepa nel legno. Non mi rispose nessuno

Dopo un altro momento, mi allontanai, dirigendomi verso il sentiero. Per quando arrivai alla tenda di Bostar, le mie lacrime si erano asciugate. Mi sentivo male. Non solo mi faceva male lo stomaco e il fianco, ma mi sentivo ferita nel profondo. Non era un sentimento che riuscivo a capire. Mi disturbava, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato non aiutando la ragazza. Volevo solo andare da Obolus e rannicchiarmi in quel luogo morbido tra il suo mento e il petto dove avevo dormito la sera prima.

Feci un sorriso a Bostar perché sembrava felice di vedermi e disse che gli piaceva il mio vestito. Era un omone come quello sullaCollina Rocciosa. Gli diedi il quadrato di stoffa del giorno prima, che avevo nascosto dietro la cintura, e lo vidimettere fuori le pagnotte. Sicuramente non era paragonabile all’uomo che aveva colpito Tin Tin Ban Sunia così forte.

“Hai…”cominciai con tono rauco, non rendendomi conto del fatto che non avessi più la voce. Deglutii e ricominciai. “Possiedi uno schiavo, Bostar?”

Lui corrugò la fronte e studiò il mio viso prima di rispondere. “No, bambina mia. Non posso permettermi schiavi.”

“Oggi abbiamo bisogno di otto pagnotte.”

Lo guardai per un momento mentre sistemava il pane sul panno. Quindi presi due monete e i gioielli che Yzebel aveva spedito con me e glieli porsi.

“Quanto costa uno schiavo?”Chiesi.

Bostar prese la minuscola catena d’oro per esaminarla. “Uno schiavo costerebbe una manciata di queste.” Teneva la catenina da una sua estremità.

“Oh.” Rimisi il resto dei gioielli nella borsa.

“Aspetta qui un momento.” Andò nella sua tenda.

Strinsi le corde della mia borsa e raccolsi gli angoli del panno per legarli insieme, però Bostartornò con altre pagnotte.

“Questa catena d’oro è troppo per otto pani. Eccone altri tre, così siamo pari.”

“Mm,”dissi. “Yzebel aveva ragione.”

“Riguardo cosa?”Aggiunsele pagnottealle altre sul panno.

Yzebel mi aveva detto che Bostar era un uomo buono, un commerciante leale. Come faceva a saperne degli uomini? Come fa una ragazza a imparare la differenza tra le persone, distinguendo il bene dal male?

“Vedi dov’è il sole, Bostar?”

Lanciò uno sguardo al cielo. “Quasi alle cime degli alberi.”

“Yzebel mi ha detto di tornare ai suoi tavoli prima che raggiungesse le cime degli alberi.”

“Allora dovresti sbrigarti, Piccola.” Mi legò la cintura dietro; si era allentata quando avevo tolto il panno per il pane. “Ti vedrò domani?” chiese.

“Potresti vedermi ogni giorno per molto tempo.”Lo guardai.

“Ottimo. Questo significa che gli dei non sono scontenti di me.” Si fermò, mi guardò, poi aggiunse, “Non ancora.”

Lo fissai, chiedendomi a quali dei pregasse e perché. Quell’uomo di Via degli Elefanti aveva detto che gli dei degli inferi dovevano avermi creato per provare a far ribellare gli elefanti contro gli ammaestratori. Forse quegli stessi dei stavano operando quando quell’uomo ha ferito Tin Tin Ban Sunia.

“Non pensarci su così tanto, Piccola. Questo è solo un po’ di umorismo da fornaio.”

“Bostar?”

“Sì?”

“C’è un uomo sullaCollina Rocciosa, che vive in una baracca tra gli alberi. È grande come te, ma è coperto di peli. Lo conosci?”

Bostar tirò su i quattro angoli del panno per legarli insieme.“Quello che commercia i fili?”

Annuii.

“Ne ho sentito parlare.”

“Ha una schiava che tratta molto male.”

“Sì, dicono che si occupi di schiavi.”

“Penso sia un po’più giovane di me e molto dolce, anche se non parla la nostra lingua.”

“Molti degli schiavi portati a Cartagine provengono da luoghi lontani dove si parlano lingue strane.”

“Sono stato lassù con lei oggi, e lui le ha tirato un pugno.”

Le mani di Bostar si fermarono dov’erano, in cima al fascio.

“Tutto ciò che ha fatto di sbagliato è stato fare solo tre gomitoli per lui. Non pensava che fossero abbastanza, quindi l’ha colpita in faccia.”

Bostar scosse la testa. “Così crudele,”disse. “Non c’è mai alcun motivo per colpire un bambino.”

Non gli ho parlato del fatto che dell’uomo che mi abbia dato un calcio nel fianco.

Quando presi il fagotto, Bostar mi mise una mano sulla spalla. “I mercanti del male alla fine incontreranno la salvezza.”

Non capii cosa significasse.

Bostar deve aver visto l’espressione confusa sul mio viso, perché sorrise e disse: “Non preoccuparti, bambina. E ricorda, le cose vanno sempre per il meglio.”

“Me lo ricorderò, Bostar. Arrivederci.”

“Arrivederci,” disse mentreme ne andavo. “Fai attenzione.”

* * * * *

Non volevo passare per dove avevo incontrato Tin Tin Ban Sunia prima. Mi chiesi se ci fosse un altro sentiero che mi avrebbe portato a Yzebel, ma mi sentii forzataa passare vicino alla tenda della ragazza schiava. Vidi un altro cestino di capsule di cotone poggiato sul tappetino e accanto al suo strumento per la filatura. Lei non c’era e il posto sembrava deserto.

Poco oltre la tenda, qualcuno mi parlò da dietro. Mi girai, quasi perdendo l’equilibrio e anche il carico di pane.

“Mi hai spaventata.”

“Mi dispiace.” Queste erano le parole morbide di Tendao.

Il mio fianco midoleva più di prima, ma non volevo dire a nessuno cosa era successo. Felice per un po’ di riposo, appoggiai il mio fardello sull’erba accanto al sentiero e pensai a quanto Tendao sembrava essere come Annibale, tranne per il fatto che Tendao non possedeva la forza dell’autorità che vedevo in Annibale. Obolus, anche se un elefante, era anche lui un maschio, più forte di tutti loro, ma si spaventava per le piccole cose, come facevo io.

“Andraida Lotaz per me?” Chiese Tendao.

Esitai, non volendo vederla di nuovo. Ma sapevo che Tendao aveva problemi a parlare con le persone e mi aveva aiutato, per cui non avrei neanche dovuto fermarmi per pensarci.

“Certo.”

Mi diede un oggetto. “Questo deve arrivare da lei prima del tramonto.”

Quando lo presi da lui, era molto più pesante di quanto mi aspettassi. “Che cos’è?”

“È la nostra dea, Tanit. Lotaz la vuole per il suo altare.”

La figura in cima all’oggetto era adorabile e aggraziata, alta due mani e scolpita in onice nera, con pietre blu lucide per occhi. Le due perle che Lotaz mi aveva regalato la sera prima erano ora modellate in orecchini pendenti. La dea Tanit sedeva su un trono che si trovava su una base quadrata, il tutto scolpito da un unico blocco di pietra.

“L’hai fatto tu?”Lo guardai.

“La pietra è stata scolpita un paio di giorni fa. Avevo solo bisogno delle perle per completare la statua.”

“È così bella.”Notai alcune parole scolpite sulla base. “Sai fare le parole?”

“Sì, un po’.”

“Dimmi le parole.”

“Io sono Tanit tua dea tua Tanit sono io,” lesse Tendao.

“Mi insegnerai?”

Tendao mi guardò per un momento, poi distolse lo sguardo e si volse verso il sentiero. Alla fine, si girò di nuovo verso di me.

“Perché tu–”Abbassò la voce. “Perché vuoi imparare le parole?”

“Voglio imparare tutto. Parole, elefanti, persone.”

“Ti insegnerò, ma devi promettermi di non dirlo mai a nessuno. I sacerdoti vietano a chiunque al di fuori del tempio di saper leggere e scrivere.” Indicò ogni gruppo di simboli sulla statua mentre li pronunciava. “Noti qualcosa di insolito nello schema delle parole?”

Le guardai di nuovo ma non riuscii a capire cosa volesse dire. “Mi dispiace, Tendao, non so leggere. Vedo solo che alcune parole sono ripetute.”

“Sei più brillante di quanto pensi, amica mia. Sì, le parole si ripetono.”Lesse di nuovo, questa volta partendo dall’estremità sinistra della riga anziché dalla destra, ma tutto suonava esattamente come prima. “Vedi, si legge lo stesso, siada destra che da sinistra.”

“È fantastico, Tendao. Tutte le parole sono scritte in questo modo?”

“No, non tutte.”

Poi mi ricordai del mio braccialetto. “Puoi leggere questo?”

Spostai la statua nell’incavo del braccio destro e gli tesi il polso sinistro per farglielo vedere. I suoi occhi si spalancarono mentre ruotava il braccialetto sul mio polso per esaminare le belle incisioni.

“Dove l’hai preso?”

“Uno dei soldati l’ha lasciato sul tavolo di Yzebel ieri sera. Me l’ha dato lei.”

“Questo non è stato fatto qui o a Cartagine.” Esaminò l’altro lato. “Nessun artigiano della nostra regione può fare un lavoro di così tanta qualità.”

“Riesci a leggere le parole?”

“Parole?”Chiese. “Dove?”

“Intorno al cerchio in alto, parole molto piccole.”

“Ah, sì. Adesso le vedo. Queste parole sono nostre, ma l’artigiano non proviene da qua.”

“Dì le parole per me.”

“‘Tutti gli elefanti tornano in Valdacia,’”disse Tendao.

“Valdacia?”

“C’è dell’altro. Inclinò la testa per leggere il resto, continuando attorno al cerchio, da destra a sinistra. “Non importa quanto lontano vaghino.”

“Che cos’è Valdacia?”Domandai.

“Non ho mai sentito parlare di quel posto.”

“Tutti gli elefanti tornano in Valdacia,” dissi. “Qual è il resto?”

“Non importa quanto lontano vaghino.”

“Tutti gli elefanti tornano in Valdacia, non importa quanto lontano vaghino.” Ripetei la frase e tolsi il polso dalla sua mano per vedere le parole da sola. Mentre socchiudevo gli occhi nella luce fioca, improvvisamente mi resi conto che il sole sarebbe presto scomparso dal cielo. “Oh, no!”Eslamai.“Devo tornare in fretta ai tavoli di Yzebel.”

“Sì,”disse Tendao. “Si sta facendo tardi.”

“Guarda il pane mentre vado a Lotaz con la statua.”

“Lo farò.”

Corsi lungo il sentiero, tenendo tra le braccia la statuetta di Tanit. Il dolore al fianco era quasi insopportabile, ma dovevo sbrigarmi.

Quando arrivai alla tenda di Lotaz, il suo grande schiavo sedeva sul tappeto, con le caviglie incrociate e gli avambracci appoggiati sulle ginocchia. Si alzò quando rallentai.

“Dunque,” disse. “La Ragazza Elefante ritorna.”

“Ragazza Elefante?”

“Ho sentito di come hai creato frastuono tra tutti gli animali su Via degli Elefanti.”

“Non ho creato alcun trambusto tra di loro.”

“Davvero?” Lui sorrise, e potei vedere che non intendeva nulla di male; mi stava solo prendendo in giro.

“Beh,” dissi, “c’è stato un po’di trambusto.”

“Un po’di tumulto a volte è una buona cosa.”

“Come ti chiami?”

“Sono Ardon. E tu?”

“Liada.” Mi piacevaArdon e pensai che potesse aiutarmi. “Voglio parlarti di una schiava, ma devo tornare ai tavoli di Yzebel. Posso dare questo a Lotaz ora? È di Tendao, il lavoro che ha promesso per la brocca di vino passito.”

“Lotaz non è qui al momento. È andata a incontrare Artivis. Di quale schiava parli?”

“Quella che fa i gomitoli di cotone, alla tenda da quella parte.” Feci un cenno con la testa.

“Quellaalta più o meno così?” Tese la mano, con il palmo verso il basso. “Con gli occhi scuri?”

“Sì,”risposi.

“Perché chiedi di lei?”

“Per favore, devo andare adesso. Lo darai a Lotaz quando tornerà?” Gli tesi la statua. “Parlerò domani della ragazza schiava.”

Prese la statua e io corsi di nuovo da Tendao. Gli riferii che Lotaz non era lì.

“È andata da qualcuno chiamato Artis.”

Tendao parve sorpreso da questa notizia. “Vuoi dire ‘Artivis’?”

“Sì, Artivis. Il suo schiavo ha detto che Lotaz è andata a incontrarlo.”

“Devo andare.”

Si allontanò in fretta, lungo il sentiero.

* * * * *

Quando arrivai ai tavoli di Yzebel con le sue pagnotte, era il tramonto, ma non era ancora buio. Nessuno dei soldati era ancora arrivato.

“Hai un grosso carico da trasportare,”mi disse quando misi il mio fagotto su un tavolo.

“Sì, Bostar ci ha dato undici pagnotte per la catenella.” Le porsi la borsa, poi, senza pensare, premetti la mano sul fianco destro.

“Perché ti tieni il fianco in quel modo?”

“Oh,” dissi, togliendomi la mano per sciogliere il nodo del panno con il pane. “Non è niente.”

Se le avessi detto cosa era successo con il grassone sullaCollina Rocciosa, avrebbe potuto decidere di non mandarmi più a fare commissioni. Oppure avrebbeanche potuto insistere sul fatto che Jabnet mi accompagni. Volevo dimostrarle che avrei potuto lavorare da sola e non finire nei guai.

Yzebel aprì la borsa e si versò nel palmo le monete di rame e gli orecchini rimanenti. Sorrise.

“Hai fatto un buon lavoro con Bostar.” Ripose gli oggetti nella borsa e tirò forte il cordoncino. “Ma ora mettiamoci al lavoro. I soldati saranno qui presto.”

Jabnet aveva il maiale allo spiedo su un secondo fuoco, quindi mi sono data da fare con le lampade. Quando furono tutte illuminate, tagliai i meloni gialli e raccolsi i semi, sentendomi molto sollevata dal fatto che Yzebel non mi avesse chiesto perché ci avevo impiegato così tanto tempo per prendere il pane.

“Per favore, sguscia quelle arachidi per me,” mi disse da accanto al fuoco, dove stava tagliando le carote per lo stufato. “Metti una ciotola piena su ogni tavolo e cospargili di sale. Ma solo un poco. Il sale è prezioso fino a quando i prossimi carri con i buoi non attraverseranno il deserto.”

Finii con le arachidi e misi otto ciotole di terracotta vuote su ogni tavolo, insieme a cucchiai di legno, come se gli uomini li avrebbero mai usati.

Subito dopo il tramonto, arrivarono due soldati e chiesero di essere nutriti. Riempii le loro ciotole con lo stufato e servii loro fette di melone, insieme a piccole fette di pane. Arrivarono altri uomini e presto tutti i tavoli furono occupati. Mi affrettai da un soldato all’altro con i succosi bocconcini di maiale che Yzebel aveva tagliato.

“Annibale verrà stasera?” Chiesi quando allungai una ciotola per prendere un pezzo che Yzebel stava tagliandodall’osso.

“No. Probabilmente sta cenando con quella donna, Lotaz.”

La guardai. ‘Quella donna?’Cosa intendeva? Ho sentito un accenno di veleno nelle parole di Yzebel, come se Lotaz fosse un tipo di creatura diversa da lei?

Proprio mentre stavo per chiederle cosa intendesse, un uomo affamato urlò per avere altra carne.

Per tutta la notte, ci fu un andirivieni di soldati. Cercai Annibale, ma quella notte non venne. Alla fine, solo tre uomini rimasero ai tavoli. Impiegarono molto tempo con il loro cibo e le bevande, parlando di una grande spedizione in preparazione per Gadir, in Iberia. Non sapevo nulla dell’Iberia, quindi decisi di chiedere a Yzebel più tardi.

Qualche tempo dopo mezzanotte, gli ultimi tre uomini se ne andarono. Yzebel, Jabnet e io iniziammo a pulire i tavoli.

“Bene,”disse Yzebel, “almeno hanno lasciato un po’di cibo per noi stasera.”

Raccogliemmo le monete e i gioielli dai tavoli, poi ci sedemmo per cenare.

“Dov’è Iberia?”Chiesi a Yzebel.

Prima che potesse rispondermi, quattro uomini ubriachi vennero lungo il sentiero, barcollando verso di noi.

“Ha-ha!”Urlò uno di loro. “Guardate là, amici miei. È proprio la Ragazza Elefante.” Mi indicò e rise. “Chiamiamo il potente Obolus, e lei lo farà ballare sui tavoli per l’intrattenimento di stasera.”

Riconobbi l’uomo odioso. Era l’ultima persona che avessi mai voluto vedere.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
09 kasım 2020
Hacim:
411 s. 36 illüstrasyon
ISBN:
9788835411895
Telif hakkı:
Tektime S.r.l.s.
İndirme biçimi:
epub, fb2, fb3, ios.epub, mobi, pdf, txt, zip

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