Kitabı oku: «Raji: Libro Tre»
Raji
Libro Tre: Dire Kawa
di
Charley Brindley
charleybrindley@yahoo.com
www.charleybrindley.com
A cura di
Karen Boston
Sito webhttps://bit.ly/2rJDq3f
Copertina di
Charley Brindley
© 2019
Tutti i diritti riservati
Tradotto
da
Giulia Geppert
© 2019 Charley Brindley, all rights reserved
Stampatonegli Stati Uniti d’America
Prima EdizioneFebbraio 2019
Questo libro è dedicato a
Tatta Marie Brindley
Qualche libro di Charley Brindley
è stato tradotto in:
Italiano
Spagnolo
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Tedesco
Turco
Cinese
Ucraino
e
Russo
I seguenti libri sono disponibili in formato audio:
Raji, LibroUno (in Inglese)
Non resuscitare (in Inglese)
L’Ultima Missione della Settima Cavalleria (in Inglese)
La Ragazza dell’Elefante di Annibale, LibroUno (in Russo)
Enrico IX (in Italiano)
Altrilibridi Charley Brindley
1. La miniera di Oxana
2. L’ultima missione della Settima Cavalleria
3. Raji Libro Uno: Octavia Pompeii
4. Raji LibroDue: L’Accademia
5. Raji Libro Quattro: La casa del vento dell’Ovest
6. La ragazza dell’elefante di Annibale
7. Cian
8. Ariion XXIII
9. L’ultimo posto sull’Hindenburg
10. Il Re e la libellula: Libro Uno
11. Il Re e la libellula: Libro Due
12. Il mare della tranquillità 2.0 Libro Uno:Esplorazione
13. Il mare della tranquillità 2.0 Libro Due:Invasione
14. Il mare della tranquillità 2.0 Libro Tre
15. Il mare della tranquillità 2.0 Libro Quattro
16. Il mare dei dispiaceri, Libro Due di Il bastonedi Dio
17. Non resuscitare
18. La ragazza dell’elefante di Annibale, Libro Due
19. Il bastone di Dio, Libro Uno
20. Enrico IX
21. L’incubatrice di Qubit
22. Il Gioco di Casper
In arrivo
23. Il Re e la libellula: Libro Tre
24. Il viaggio a Valdacia
25. Le acque calme scorrono profonde
26. La Signora Machiavelli
27. Ariion XXIX
28. L’ultima missione della settima cavalleria Libro 2
29. La ragazza dell’elefante di Annibale, Libro Tre
Dettagli alla fine del libro
Indice
Capitolo Uno
Capitolo Due
Capitolo Tre
Capitolo Quattro
Capitolo Cinque
Capitolo Sei
Capitolo Sette
Capitolo Otto
Capitolo Nove
Capitolo Dieci
Capitolo Undici
Capitolo Dodici
Capitolo Tredici
Capitolo Quattordici
Capitolo Quindici
Capitolo Sedici
CapitoloUno
Raji
Nell`autunno del 1932, Fuse ed io stavamo attraversando il campus quasi deserto della Theodore Roosevelt University, a Richmond, in Virginia.
Eravamo studenti del terzo anno della scuola di medicina e saremmo stati i primi della classe, se ce ne fosse stata una. Due giorni prima, eravamo seduti sulle rigide sedie di legno davanti alla scrivania della Dottoressa Octavia Pompeii. Lei era direttrice della facoltà di medicina e sembrava che portasse sulle sue piccole spalle il peso di tutta l`università. I suoi bellissimi capelli rossi si stavano assottigliando, e negli ultimi due anni le mèche grigie si erano insinuate tra i riccioli sulle sue tempie. Le occhiaie le rattristavano gli occhi.
La dottoressa Pompeii tirò un sospiro. ”Raji, Fuse, ho cattive notizie”.
Fuse ed io ci guardammo l`un l`altro. Sapevamo che l`università era in difficoltà finanziarie, come tutte le scuole. Facoltà e studenti si erano allontanati fin dal crollo del 1929.
"Stiamo chiudendo la scuola di medicina", disse la dottoressa Pompeii.
"Oh, no", dissi. "Perché?"
Giocò un attimo con una matita gialla. "Abbiamo perso il settanta per cento dei nostri finanziamenti e l'iscrizione per il prossimo semestre è quasi nulla".
Fuse era tranquillo, ma sapevo che era sotto shock, proprio come me. Avevamo parlato proprio di questo evento nel corso dell'ultimo semestre, ma non credo che credessimo davvero che sarebbe successo. Nessuno parlò per un po'.
"Dottoressa Pompeii", disse finalmente Fuse. "Cosa farà?”
Il mio vecchio amico Fuse, sempre a pensare prima agli altri.
"Anche se sembrerà strano", disse, "torno a scuola".
"È meraviglioso, dottoressa Pompeii", dissi. "Dove?"
“Cornell University. Studierò Ortopedia.” Guardò i documenti sulla sua scrivania. "Ho preparato una lista di dieci scuole in cui voglio che entrambi facciate domanda. Ho inviato lettere di raccomandazione, insieme alle vostre trascrizioni, a tutte e dieci. Non ho idea di quale sia la situazione delle borse di studio, ma dovete provarci".
"Dottoressa Pompeii", disse Fuse. "Non credo che..." Si fermò a guardarmi. "Credo che nessuna di loro abbia soldi per le borse di studio".
"Non puoi saperlo. Se nessuna di queste dieci ti accoglierà, allora ne troveremo altri dieci. Non c'è nessuno in questo Paese più meritevole di borse di studio di te e Raji".
Presi la lista delle scuole. "Grazie mille, dottoressa Pompeii", dissi, poi mi alzai in piedi. "Ci mettiamo subito al lavoro".
La dottoressa Pompeii si alzò dalla sua sedia e si avvicinò alla scrivania per prendermi la mano. "Auguro ad entrambi tutta la fortuna del mondo". Tese l'altra mano verso Fuse.
“Grazie, Dottoressa Pompeii,” disse Fuse. “Grazie per tutto quello che ha fatto per noi.”
* * * * *
Non so perché, ma la nostra passeggiata ci portò al campus vicino l'Accademia Octavia Pompeii. Pensai al giorno della mia iscrizione, nell'agosto 1926. Fuse non finì la gara tra i primi cinquanta, ma fu invitato a partecipare quando uno degli altri studenti dovette andarsene a causa di un decesso in famiglia.
Ora l'Accademia, un tempo vivace, era deprimente, con le finestre e le porte sbarrate e le erbacce che ricoprivano i marciapiedi e i campi da tennis. Ci fermammo davanti a Casa di Annibale e vedemmo un trio di corvi beccare il parapetto disgregante sopra la porta.
"Ho scritto una lettera alla mamma", disse Fuse, tenendo lo sguardo sui corvi.
"Te ne vai, vero?"
Annuì, senza guardarmi. Girai sul marciapiede, guardando le crepe del cemento che si sgretolava. Lui camminava accanto a me.
"Dove andiamo?" Gli chiesi.
Si fermò per guardarmi in faccia, e vidi quel sorriso storto che conoscevo così bene.
"Ho sempre voluto vedere l'India".
"Anch'io." Gli restituii il sorriso.
Erano passati quindici anni da quando ero stata prelevata da casa mia a Calcutta. Ripensando alla mia vita in America, credo davvero di dover essere grata a quei teppisti che, nel 1912, mi avevano rapita dalla strada, insieme ad altre venti ragazze. Fummo spedite a New York nella stiva di un battello assieme al bestiame, e poi vendute per diventare serve a pagamento. Dopo il mio tredicesimo compleanno, ero scappata dalla casa nel Queens dove ero stata tenuta prigioniera. Due giorni dopo, ero finita a dormire in un fienile in Virginia.
Che fortuna per me che il fienile appartenesse alla famiglia Fusilier. Fuse, che all'epoca era un ragazzo di quattordici anni, mi scoprì la mattina dopo, e passai l'anno più bello della mia vita con lui e la sua famiglia. Marie Fusilier mi accolse come se fossi sua figlia.
"Dovrei scrivere anch’io a Mamma Marie". Presi la mano di Fuse.
"Le ho detto che saresti venuta con me".
"Beh, presuntuoso da parte tua."
“Ah-ah.”
Quella sera, io e Fuse facemmo le valigie e ci facemmo dare un passaggio fino a New York City sul retro di un camion di patate, poi camminammo lungo il molo di Lower Manhattan.
Due giorni dopo, ci imbarcammo sulla Borboleta Nova, sotto il comando del capitano Sinaway. La Borboleta era una bellissima nave da carico nuova, a soli sei mesi dai cantieri navali di Lisbona. Era diretta a Calcutta con un carico di dinamite, e siccome né Fuse né io avevamo esperienza di navigazione, il capitano assegnò Fuse alla sala macchine, a spalare carbone, e a me fece fare il marinaio. Non ci importava cosa avremmo dovuto fare, volevamo solo scappare. Da cosa, credo che nessuno di noi due lo sapesse.
Ero molto preoccupata di vedere la mia famiglia, soprattutto mia madre, Hajini. Sette anni prima, mi aveva scritto alla fattoria dei Fusilier, informandomi che mi aveva organizzato un matrimonio. Era stato uno shock, a quattordici anni, sapere che mia madre mi aveva promessa sposa a un uomo di quarantasette anni. Mamma Marie Fusilier era altrettanto sorpresa. Mi disse che se un uomo avesse sposato una bambina in America, sarebbe andato in prigione.
Marie mi aveva aiutato a scrivere a mia madre in India, spiegandomi che avrei voluto aspettare il matrimonio fino all'età di almeno diciotto anni, poi avrei voluto scegliermi mio marito.
Mia madre mi aveva risposto, dicendomi che ero irrispettosa e che questo tipo di comportamento non era permesso. Inoltre, lei e mio padre avevano acquistato un passaggio per me su una nave in partenza dall'America per Calcutta. Il biglietto sarebbe arrivato presto.
Il biglietto mi era arrivato per posta. L'avevo rispedito indietro, dicendo a mia madre che ero abbastanza grande per prendere le mie decisioni. Passarono quattro mesi prima di sentirla di nuovo. Mi disse che mia nonna stava morendo e che sarei dovuta andare a trovarla il prima possibile, ma non fece alcun accenno al fatto di pagare il mio passaggio. Le risposi che se avessi avuto abbastanza soldi sarei andata, ma sarebbe stato un biglietto di andata e ritorno.
Passò un anno prima di ricevere un'altra lettera, in cui mi dava notizie di tutta la famiglia. Includeva molti dettagli sui miei nipoti, e diceva che mia nonna era ancora viva, ma sempre più debole. Le scrissi dei miei progressi all'Accademia e le dissi che avevo intenzione di frequentare la scuola di medicina.
Nei cinque anni successivi non ricevetti alcuna lettera di mia madre.
* * * * *
Fuse
Trascorsi una settimana molto tesa con Raji e la sua famiglia a Calcutta. Lei e sua madre erano esattamente uguali nel temperamento e nella franchezza, ognuna diceva quello che pensava su qualsiasi questione si presentasse. Sua nonna di ottantasette anni era altrettanto estroversa, ma senza la forza di concludere una discussione, spesso si addormentava nel bel mezzo di essa.
In una calda serata di un venerdì sera di ottobre, un giovane arrivò a casa Devaki.
"Questo è Panyas Maidan", disse la Signora Devaki, che lo condusse in soggiorno, dove io e Raji eravamo seduti per terra, ad insegnare ad alcuni bambini a giocare a scacchi.
Raji si alzò prima di me, e mi sembrò che il suo sorriso fosse un po’ più vivace del necessario.
“Sono Vincent Fusilier.” Dissi in hindi e lo raggiunsi per stringergli la mano.
“Questa è mia figlia, la Signorina Rajiani Devaki,” disse sua madre, spingendo avanti Raji.
Il Signor Maidan guardò Raji, poi si rivolse a me. “È un onore conoscerla, Signore.”
Il suo inglese era perfetto e preciso. La sua stretta di mano era ferma, ma non prepotente. Devo ammettere che fu un po' un sollievo sentire la mia lingua madre dopo una settimana di interminabili conversazioni in hindi. La sua corporatura era atletica, e la sua carnagione di un abbronzato leggero. Era qualche centimetro più alto del mio metro e ottanta, e forse tre o quattro anni più vecchio di me, il che lo rendeva circa venticinquenne.
“Il Signor Maidan è un architetto,” disse zampillando la Signora Devaki. “Ha costruito diversi bellissimi edifici in tutta l'India.” Solo i splendenti denti bianchi di Raji riuscivano a sovrastare la radiosa dentatura della madre.
“Oh, no,” disse il Signor Maidan. “Io disegno solo le immagini degli edifici. Devo lasciare i difficili compiti della costruzione a mani più esperte.”
Guardò Raji. Aveva ancora quel ridicolo sorriso sul viso, e inclinò la testa di lato con un movimento carino ma piuttosto imbarazzante.
Il signor Maidan guardò le mani di Raji, poi le mie. "Lei gioca a cricket, Signor Fusilier?"
"Non sono un grande appassionato di sport. Ogni tanto gioco a tennis". Sentii il bordo del sandalo di Raji premere sul mignolo del mio piede.
"Davvero? Forse potresti venire al mio club per qualche set di tennis domani pomeriggio".
Mi sarebbe piaciuto molto stare su un campo da tennis. Dopo cinque settimane sul cargo, e poi essere rimasto rinchiuso per un'altra settimana in casa Devaki, qualche ora di duro tennis era proprio quello di cui avevo bisogno.
"Sarebbe fantastico". Spostai il piede dolorante per la reazione di Raji. La guardai e la vidi fare un rapido movimento con la mano destra verso l'orecchio, poi spostò i capelli dietro la spalla. "Tuttavia", dissi al Signor Maidan, con gli occhi ancora puntati su Raji, "non potrò accettare il suo generoso invito, perché...".
"Hai promesso ai bambini che li avresti aiutati con..." Raji si guardò intorno nella stanza. "Con le loro acrobazie di domani".
"Giusto, acrobazie." Tornai al Signor Maidan. "E comunque, Raji è un tennista molto più bravo di me".
"È un dato di fatto?" Guardò Raji dalla testa ai piedi. "Un tennista donna?"
Annuì.
"Va bene, allora. Mentre il Signor Fusilier insegna ginnastica, forse mi insegnerete qualcosa sul tennis".
Se la scena davanti a me fosse stata una gara di sorrisi, credo che Raji avrebbe perso contro sua madre.
* * * * *
Supposi che la tecnica del signor Maidan non fosse molto buona, perché apparentemente aveva avuto bisogno di molte istruzioni quel sabato pomeriggio. Raji tornò molto tardi quella sera, e andarono a giocare di nuovo il giorno successivo e quello dopo ancora.
Martedì mattina presto, Raji ed io ci sedemmo sulla veranda, sorseggiando del tè e guardando l'alba.
"Raji", dissi, "c'è un battello che risale l'Irrawaddy da Rangoon mercoledì prossimo".
Lei mi guardò, alzando un sopracciglio, il suo modo di chiedere ‘E quindi?’.
"Devo andarci. La barca è diretta a Mandalay, poi attraversa il nord della Birmania fino a Myitkyina, sul confine cinese".
Per un momento guardò la luce del sole del mattino filtrare tra i banani, mentre io guardavo il caldo bagliore del suo bel viso.
"Va bene", disse. "Aspettami a Mandalay, e andremo a vedere cosa combinano quei cinesi".
Avevo proprio sperato che dicesse qualcosa del genere. Viaggiavamo bene insieme, ma non volevo che si sentisse obbligata a lasciare la sua famiglia o il signor Maidan. Tuttavia, conoscevo anche Raji meglio dei suoi genitori. Erano persone simpatiche, e un po' prosperose nonostante la crisi economica. Il signor Devaki era professore di storia all'Università Jawaharlal Nehru, e sua moglie lavorava in una specie di ufficio governativo, quindi avevano un reddito ragionevole. Ma una volta che Raji si fosse messa in pari con tutta la storia della famiglia e sua madre e suo padre fossero tornati ai rispettivi uffici, Raji si sarebbe annoiata senza gli stimoli intellettuali a cui era abituata; almeno questa era la mia speranza. Naturalmente, se avesse trovato altre fonti di stimolo, probabilmente sarei andato in Cina da solo.
Il padre di Raji, che si recava spesso a Mandalay per ragioni che variavano da ‘iniziative commerciali’ a ‘escursioni panoramiche’ o ‘piacevoli studi sulla natura’, mi raccomandò un hotel chiamato Nadi Myanmar, sulla 62a strada, appena fuori dal centro città, come un posto conveniente per me e sua figlia per incontrarci.
Sapevo da Raj che suo padre era profondamente coinvolto nella lotta contro gli inglesi quando sia l'India che la Birmania cercavano di liberarsi dal giogo dell'impero britannico. Non solo aiutava ad organizzare i finanziamenti per i gruppi di opposizione, ma viaggiava anche in Birmania per aiutare ad organizzare incontri clandestini con le organizzazioni ribelli. Un anno prima, gli avrei detto che sapevo bene cosa stava facendo in Birmania, e probabilmente mi sarei schierato dalla parte degli inglesi nel cercare di mantenere le loro colonie lontane. Ma mentre lui, sua moglie, Raji ed io, insieme agli altri nove figli e ad una moltitudine di nipoti, sedevamo sul pavimento intorno al tavolo basso, mangiando curry e mango dal - mango con fagioli e peperoni rossi, ringraziai educatamente il signor Devaki per l'informazione, prendendo nota mentalmente del nome dell'hotel e dell'indirizzo di Mandalay.
Due settimane dopo, incontrai Kayin nella hall dell'hotel Nadi Myanmar.
CapitoloDue
Una giovane donna sorridente batté forte il campanello con il palmo della mano per chiamare il fattorino.
"Le auguro un buon soggiorno, signor Busetilear", disse Kayin consegnandomi una ricevuta da tre dollari per una settimana di soggiorno nell'albergo. Non riusciva mai a pronunciare correttamente il mio cognome, Fusilier.
Riavvitai il cappuccio della mia stilografica e la misi via, ma prima di poterla ringraziarla per il gentile augurio, il fattorino afferrò la mia valigia e strappò la chiave della stanza dalle nostre mani ancora che si toccavano. Kayin aveva posato la chiave nella mia mano, ma sembrava riluttante a lasciarla, quanto lo fossi io a perdere il suo tocco.
"Affrettati con Po-Sin da questa parte, sbrigati", disse il ragazzo, trascinando la mia pesante valigia sul pavimento. "Salta sull'ascensore prima che parta, se vuoi".
Po-Sin aveva apparentemente fretta di finire con me e il mio bagaglio, per poter raccogliere la sua mancia di dieci centesimi e tornare all'ingresso e al suo posto in fila con gli altri ragazzi, in attesa del prossimo spendaccione. Aveva circa quindici anni ed era vestito elegantemente, indossava un berretto senza visiera - simile ad un fez senza nappa - una giacca marrone aderente in vita con tre strisce gialle sulle maniche. Indossava anche un longyi dai colori vivaci, l'indumento tradizionale a forma di gonna avvolgente indossato sia dagli uomini che dalle donne in Birmania.
Presi il mio berretto dal bancone e mi voltai per seguire Po-Sin. Dopo pochi passi, sbirciai indietro e vidi Kayin che mi guardava. Un breve cipiglio le attraversò le labbra prima di far rivivere il suo sorriso commerciale per il prossimo ospite.
"Benvenuto all'Hotel Nadi Myanmar", disse ad un rigido giovane inglese che sventolava il suo ombrello arrotolato davanti a sé come se fosse una specie di arma benigna usata per liberare il suo cammino da qualsiasi persona indesiderata. L'uomo indossava un immacolato completo bianco e un elmetto coloniale abbinato, con una lunga piuma d'albatro che spuntava dalla fascia.
Abbassai lo sguardo sul mio vecchio berretto da marinaio sporco, poi di nuovo su Kayin. Le sue parole e il suo sorriso per l'inglese erano identici a quelli che aveva rivoltoa me solo pochi istanti prima.
* * * * *
Fu un incidente, il mio incontro con Kayin alla porta d'ingresso dell'hotel - lei usciva mentre io rientravo dopo una passeggiata al fiume. Fu il giorno dopo averla incontrata per la prima volta alla reception. Quando ero uscito dalla mia stanza, avevoguardato verso la reception, sperando che fosse libera per poterle fare qualche domanda su dove trovare il tempio buddista più vicino o quanto fosse lontano il fiume, solo per parlarle. Ma era occupata con il direttore, un inglese, e ho pensato che fosse meglio non interrompere.
"Le mie scuse, signor Busetilear", mi disse Kayin fuori dalla porta d'ingresso, dopo esserci scontrati. "Sono così imbarazzata". Si inginocchiò per raccogliere i suoi pacchetti.
"No, no." Mi inginocchiai e sbattei deliberatamente la testa contro la sua. "È stata colpa mia".
Lei rise e si strofinò il lato della testa, e io la fronte. "Forse sarà meglio che la prossima volta, manteniamo le distanze l'uno dall'altro per non fare altri danni" disse.
La sua risata era bellissima, ed esattamente la risposta che avevo previsto.
"Sai per caso, dov'è il tempio buddista più vicino?” Chiesi.
I suoi occhi si spalancarono. "Sei buddista?"
"No." Le presi il gomito per aiutarla ad alzarsi. Non potevo mentirle. L'avevo già ingannata con la testata, ma quello era giustificato. "No, non sono buddista, ma mi piacerebbe vedere l'interno di un tempio". Ero certo che fosse buddista, come la maggior parte dei birmani.
"Ho solo un'ora per il pranzo, e devo fare una commissione in banca per quel signor Haverstock, il nostro direttore, e poi anche all'ufficio dell'American Express".
"Oh." Ero sconcertato. Questo era senza pretese. Ero davvero deluso dal fatto che lei fosse occupata. "Capisco." Ebbi un'ispirazione improvvisa. "Posso fare la strada con te fino alla banca? Poi potrai indicarmi la direzione di un tempio".
Se si era inventata la storia delle commissioni per il direttore dell'hotel e stava andando a incontrare il suo ragazzo, o marito, allora mi avrebbe detto di farmi gli affari miei e di trovare un tempio da solo. Una donna bella come lei doveva sicuramente avere un fidanzato, se non un marito.
"Certo", rispose subito. "Sarei felice della tua compagnia durante la passeggiata fino alla banca. La strada è piuttosto lunga".
Lungo la strada, chiacchierammo tranquillamente della Birmania, Mandalay, l'hotel, il suo lavoro, il suo capo, e proprio quando stavamo arrivando alle informazioni personali che tanto volevo sapere, mi fermò.
"Bene", disse lei, "eccola qui, la banca dove devo lasciare i soldi dell'albergo".
Guardai l'imponente edificio romanico che si ergeva per quattro piani. Su una lastra di marmo sopra la porta c'era scritto "Reserve Bank of India". A quel tempo, la Birmania faceva ancora parte dell'India e gli inglesi usavano la stessa moneta in tutta la zona.
"Già!" Ero sinceramente sorpreso che fossimo già lì. "Ma avevi detto che la strada era lunga".
"Abbiamo fatto più o meno dodici isolati". Era accanto alla porta della banca, con un dolce sorriso.
"Oh", dissi dopo un istante. "Dov'è il tempio?".
"Basta andare da questa parte per due o più isolati, poi giri a sinistra, cammini un po’ fino a quando vedi una casa colore giallo brillante. Fermati e cerca un piccolo ponte davanti a te, gira a sinistra, un altro paio di minuti e ti troverai di fronte al tempio Shwe Nadaw".
Non potevo esserne sicuro, ma ebbi la netta sensazione che cercasse di disorientarmi con le sue rapide indicazioni.
"Hai detto che sulla mia sinistra c'è il negozio giallo o a destra?" Cercai di rendere la cosa ancora più confusa.
"Aspettami qui tre minuti, poi ci passeremo davanti insieme".
Con un sorriso luminoso, entrò in banca. La guardai dalla finestra mentre consegnava i soldi dell'albergo ad un cassiere, poi si avvicinò ad una giovane donna seduta ad una scrivania e si chinò per dirle qualcosa. La signora diede un'occhiata nella mia direzione, e io distolsi lo sguardo su un poliziotto che passava in bicicletta.
Dopo aver lasciato la banca, camminammo lungo Yadanar Street fino alle rive del canale di Nadi, dove acquistaidell’ohno khauk swe da un venditore ambulante per il nostro pranzo. Il cibo consisteva in spaghetti di riso e pollo cotto nel latte di cocco. Era molto piccante, come la maggior parte del cibo birmano, e delizioso.
Tornammo in ritardo all'hotel, ma Kayin mi assicurò che era tutto a posto. Le dissi che se avesse avuto qualche problema con il direttore, mi sarei fatto perdonare con una bella cena in un ristorante vicino.
“Beh,” disse, “forse potrei trovarmi un po’ nei guai.”
Alle sei del pomeriggio, quando avrebbe finito il servizio, sarebbe andata a casa a cambiarsi, disse, poi ci saremmo incontrati davanti al ristorante alle otto.
Fu una lunga attesa per me, e durante quell'interminabile pomeriggio mi resi conto che non avevo mai avuto un appuntamento con una ragazza. Io e Raji avevamo fatto molte cose insieme, ma niente che si potesse definire un appuntamento. Avevo ventun’anni e non ero iniziato, come direbbe mio padre. Mi chiedevo se Kayin fosse iniziata. Perché non ero mai uscito con una donna? Perché io e Raji non avevamo mai fatto l'amore? Com'era fare l'amore? E perché ci stavo pensando così tanto ora, visto che non l'avevo mai fatto prima? E andò avanti così, per molte ore.
Finalmente arrivò la sera, e già da quarantacinque minuti stavo camminando davanti al ristorante, chiedendomi se non avessi sbagliato strada. Ma lei era lì, puntuale alle otto, che percorreva il marciapiede verso di me, con il rumore dei tacchi in rapida cadenza.
Ero molto nervoso e consapevole di me stesso. Sedersi ad un tavolo a lume di candela con una bella donna era una novità per me. Non sapevo se fare domande o parlare di me stesso. Avevo passato molto tempo con un'altra bella donna, Raji, ma avevamo un rapporto facile, quasi familiare. Niente di romantico. Avevo la sensazione che non ci sarebbe stata nessuna storia d'amore nemmeno tra me e Kayin. Ero così imbranato che sicuramente l'avrei annoiata a morte. Se avesse sbadigliato, decisi, ce ne saremmo andati e l'avrei accompagnata a casa.
Ma Kayin non fu una cafona. Parlòtranquillamentedella Birmania, del suo lavoro all'hotel, e fece domande sull'America e sulle libertà di cui godevamo.
All'inizio mantenni le mie risposte brevi e mirate, non volendo dominare la conversazione. Lei passava da un argomento all'altro, mantenendo un buon equilibrio tra domande e risposte.
Il nostro cibo arrivò e passò velocemente un’ora, poi un'altra.
Dopo la deliziosa cena, passeggiammo per ore attraverso i parchi, passando davanti a molti templi, e fino al Palazzo d'Oro, con il suo ampio fossato e le alte torri ai quattro angoli.
"Sei mai stata all’interno? Chiesi.
"Dentro il Palazzo d'Oro?" chiese lei. "È dove vive il re Rama".
"Ah, il palazzo del re Rama. Ma ci sei stata dentro? Mi chiedo come sia".
"Oh." Esitò e guardò per un momento una delle torri prima di continuare. "Nelle foto che ho visto, è, come dite voi, ornato?"
"Ornato", dissi.
"Sì, ornato. Mi dispiace che il mio inglese non sia così buono".
"Il tuo inglese è meraviglioso. Mi insegnerai il birmano?"
Mi guardò a lungo. "Perché sei venuto a Mandalay?"
Eravamo in piedi sul bordo del fossato, a lanciare sassolini nell'acqua scura.
"Sto andando a Myitkyina", dissi. "Una persona a me cara mi raggiungerà in albergo tra qualche giorno. Ci ho ingaggiati su un battello fluviale chiamato Gaw-byan. Credo che lavoreremo come marinai, non ne sono sicuro. Ma il lavoro duro non ci dispiace".
"Perché Myitkyina?"
"Per vedere cosa c'è".
"Ma cosa fai?", chiese lei.
A quel tempo, mi definivo ancora uno studente di medicina. In realtà, non lo ero più e probabilmente non lo sarei stato mi più. Quindi cos'ero? Un barbone, era l'unica cosa che mi veniva in mente, ma non potevo dirglielo.
"Sono uno studente di medicina".
"Quando finirai la scuola di medicina?"
Le sue domande erano molto meglio delle mie. Stava andando al succo delle cose, e io mi sentivo un po' a disagio.
"A dire la verità, Kayin, potrei non tornare mai più a scuola".
"Perché?"
"Sono scoraggiato, disilluso e stufo di come i politici e gli uomini d'affari hanno rovinato il nostro mondo".
"E sei venuto nella mia Birmania per trovare cosa?".
Effettivamente. Perché ero in Birmania? Perché ero lì? Non era così che pensavo sarebbe andata la nostra serata.
"Comincio a credere di essere venuto in Birmania per trovare te".
Kayin si tolse i sandali e si sedette sul bordo del fossato. Si bagnò i piedi nell'acqua fresca, poi raccolse una manciata di sassolini.
"Non è possibile", disse.
Mi sedetti accanto a lei. "Cosa non è possibile?"
Lei non rispose, gettò le piccole pietre nell'acqua, una alla volta. Mi tolsi le scarpe e i calzini. L'acqua era molto più fredda di quanto mi aspettassi.
"Non è possibile che tu abbia fatto tutta questa strada per trovarmi".
"Ma ti ho trovata".
"Allora sei venuto per niente, senza motivo".
Sembrava lottare con le sue emozioni mentre le pietre schizzavano nell'acqua scura. Alla fine si voltò verso di me e tenne il mio sguardo per un lungo momento, poi lasciò cadere l'ultima pietra nel fossato e si spolverò le mani. "Vedi questi occhi?" chiese.
Annuii.
"I miei occhi sono di mio padre, uno scozzese. Per tutta la vita sono stata una, come si dice, una fuorilegge?".
"Un’esclusa?"
"Sì, un’esclusa. La mia gente, i birmani, mi trattano come un’intoccabile". Abbassò lo sguardo sulla sua mano, che ora tenevo nella mia. "Capisci un’intoccabile in India?".
"Sì, una dalit, la più bassa delle caste".
"E gli inglesi mi trattano peggio di come trattano i birmani puri. Pensano che io sia una specie di aberrazione. Mia madre è stata l'unica persona che mi abbia mai amato, e lei...". Kayin mi strinse la mano e capii che stava piangendo. "Non potrò mai fare questo a un altro bambino", sussurrò.
"Kayin". Le sollevai il mento e la guardai negli occhi umidi. "Se avrai un figlio con gli occhi blu, pensi che anche lui verrà trattato come un emarginato?".
"Sì."
"Credi che dovresti rimanere senza figli per tutta la vita a causa di qualcosa che tua madre e tuo padre hanno fatto come atto d'amore?”
Lei non diede alcuna risposta.
"Tu, mia bella amica birmana, dovresti essere orgogliosa di far parte di due mondi diversi. Hai, credo, circa diciotto o diciannove anni?".
"Diciannove."
"Abbiamo quasi la stessa età. Ne ho ventuno". Le presi l'altra mano. "E mi hai appena fatto capire che negli ultimi sei mesi mi sono picchiato per qualcosa che non era colpa mia".