Kitabı oku: «Definita», sayfa 2
“Di cosa stai parlando?” lo interruppi. I suoi giri di parole mi stavano stancando. Volevo solo che arrivasse al punto e che si togliesse dai piedi e dal mio ufficio. “Gli elettori non si interessano a me. Si interessano solo dei politici che finiscono con il diventare miei clienti.”
“Si interesseranno molto a te a novembre.”
Novembre?
Lo guardai con cautela. Mio padre aveva sempre un ordine del giorno che pensava solo a se stesso e stavo cominciando a pensare che non fosse venuto lì solamente per la questione Cochran.
“Perché sei venuto a trovarmi oggi?” domandai con cautela.
“Non ci vorrà molto tempo prima che Cochran annunci le sue dimissioni. Il suo tentativo di assumerti era semplicemente un tentativo disperato. Sa che è fuori. Una volta che darà ufficialmente le dimissioni, ci sarà un posto libero in Virginia. E sarai tu a occuparlo.”
Scossi la testa, i miei sospetti erano confermati.
No, ancora questo.
Aveva sollevato l’argomento della mia candidatura alcune volte in precedenza, ma non l’avevo mai preso seriamente. Tuttavia, questa volta c’era qualcosa di diverso nella sua espressione che mi fece gelare il sangue.
“Te l’ho già detto in precedenza, non ho nessun interesse per la politica.”
“Non he importanza quali siano i tuoi interessi. Non hai comunque più scelta.”
Ignorai il suo commento e lo salutai con la mano.
“Non c’è già Bateman pronto per correre?” chiesi, ricordando un’intervista che avevo visto pochi mesi prima in uno dei notiziari locali. “Lascia che lo faccia lui.”
“Bateman è un idiota. Si fa influenzare troppo facilmente dagli altri e non è per nulla sicuro che vinca. Ho già parlato con gli membri del partito. Tu sei una sicurezza, non Bateman. Hai gli agganci familiari e del passato per darti supporto. Le persone votano per coloro che li fanno sentire a loro agio. E tu sei a persona giusta, Fitzgerald.”
“Sono felice di fare quello che sto facendo. Io e Devon abbiamo un’azienda di successo e che fa profitti e che non lascerò perdere. E anche se volessi sarebbe impossibile. Le primarie sono fra due mesi. Non posso mettere insieme una campagna in così poco tempo,” insistetti.
“Abbiamo già i numeri dal comitato esplorativo che ho organizzato,” proseguì lui come se non avesse sentito una parola di quello che avevo detto. “Il comitato nazionale dei senatori repubblicani è d’accordo nel sostenerti. Non vogliono Bateman, ma non vogliono anche apparire prevenuti. Se decide di gettarsi nella mischia non lo fermeranno ma non gli daranno neppure il loro completo appoggio. Una volta che Cochran si dimetterà sarà come se l’elezione fosse incontrastata.”
“Anche senza il mio consenso sei andato avanti e sei partito comunque.” Sentendomi incredulo mi sedetti sulla sedia e scossi la testa. “Qualche volta sei veramente incredibile. Pensi di aver già risolto tutto, vero?”
“La tua più grande preoccupazione sarà a novembre. I sondaggi dicono che una donna da Richmond vincerà le primarie democratiche. Lei è l’unica che potrà mettersi sulla tua strada per la conquista del posto di Cochran.”
Mi chinai in avanti, allargai le mani sulla scrivania e lo guardai direttamente negli occhi.
“Non correrò per quel posto,” dissi per la seconda volta in meno di cinque minuti. “E se avessi anche un minimo desiderio di farlo, non sarebbe certamente per il tuo partito.”
Mio padre si alzò in piedi e colpì con il pugno il bordo della scrivania.
“Maledizione! Non cercare di giocare con me! È ora di crescere, cazzo, Fitzgerald!” urlò. “La tua aziendina ha successo solo perché ci ho pensato io. Ti ho lasciato divertirti, ma il tempo dei giochi è finito! Lascia che sia Devon a gestirla per un po’. Lo farai per il tuo paese e per il partito—il partito per cui sei registrato!”
“O altrimenti?” chiesi alzando un sopracciglio. Poteva infuriarsi quanto voleva. Mi rifiutavo di mostrarmi anche minimamente intimidito.
Lui incrociò le braccia sul petto e sollevò il mento. La sua rabbia si dissolse lentamente in qualcosa di freddo—quasi sinistro—mentre mi guardava con sufficienza.
“Allora farò trapelare la tua piccolo disavventura con quella ragazza durante i tuoi anni a Georgetown.”
Strinsi gli occhi guardandolo.
“Questo è successo anni fa ed è stato un tragico incidente. Lo sai tu come lo so io. Non sono più un ragazzino. Non puoi minacciarmi e continuare a tenere questa tegola sulla mia testa.”
“Non posso?” Disse con un sorriso ampio e a tutti denti. “Credo che la stampa divorerà una storia di una povera ragazza che è affogata a causa tua, incidente o meno. Riesci a immaginarlo? Il mediatore di Washington non è stato in grado di sistemare i suoi casini. Papà ha dovuto salvarlo. La tua vita sarà rovinata. La tua azienda affonderà. E tuo figlio ne soffrirà le conseguenze.”
Impallidii mentre una sensazione di paura cominciava a penetrarmi nelle ossa. Non me ne fregava un cazzo di quello che faceva a me, ma mio figlio era tutta un’altra faccenda. Era la mia vita. La mia responsabilità. La mia completa ragione di vita.
“Non faresti questo a Austin. Non puoi.”
“Posso e lo farò. E parlando di tuo figlio,” disse con disprezzo, enfatizzando la parla come se gli lasciasse un sapore amaro in bocca. “É tempo che tu ti trovi un’altra moglie. Bethany se ne è andata ormai da quasi undici anni. Gli elettori vorranno vederti mostrare forti valori famigliari. Maggiore stabilità.”
Il mio stomaco si contrasse. Era come se stessi vedendo una ripetizione della mia vita, il passato che costantemente tornava. Non gli avrei permesso di farmi questo di nuovo. Roteai gli occhi in un debole tentativo di mostrare che non ero intimorito dalle sue minacce.
“Tu mi stai prendendo in giro. La vecchiaia ti sta dando di volta al cervello. Con tutto quello che ho da fare, ho a malapena il tempo di avere un appuntamento, lasciamo perdere la sola idea di sposarmi.”
“A malapena? Quando è stata l’ultima volta che sei uscito con una donna?”
Strinsi gli occhi.
“Questi sono affari miei.”
“Beh, ora li sto facendo diventare miei. Non provare a prendermi per un idiota. So che non hai avuto nessun appuntamento. Ti stai ancora consumando per quella ragazza da—quanto tempo è passato ora? Sedici anni? La ragazza da—”
“Smettila. Adesso. Non hai idea di quello che stai dicendo,” brontolai. “Non esco a causa di Austin. Non ha bisogno di essere confuso da donne che entrino ed escano dalla mia vita. Tu mi hai insegnato anche troppo bene come è. Non seguirò il tuo esempio.”
Lui sbuffò e fece uscire un’altra risata crudele.
“Ho un incontro programmato con i leader dell’RNC domani sera. Ti farò mandare i dettagli dalla mia segretaria. Assicurati di esserci. Dobbiamo discutere della strategia della campagna. L’orologio sta già correndo,” mi ammonì come se non avessi detto una parola. Si mosse verso la porta per andarsene. Lo stronzo in realtà non sembrava per nulla turbato. Anzi più che sicuro di sé.
Poi…se ne andò. Ai suoi occhi la questione era definita. Mi sedetti alla mia scrivania, sentendomi relativamente stupefatto mentre pensavo a cosa mi fosse successo.
Mi massaggiai il volto con le mani, la barba che mi era cresciuta durante il giorno si fece sentire sui miei palmi. Mi alzai dalla scrivania, andai verso l’angolo bar e mi versai un drink forte. Buttandone giù un sorso il Johnnie Walker etichetta nera scese bruciando e mi scaldò le interiora. Ora, rimasto solo con i miei pensieri, camminai verso la finestra che costituiva la mia parete posteriore e osservai distrattamente il traffico.
Non avevo alcuna intenzione di correre per quel posto, ma le minacce di mio padre incombevano. Dovevo pensare a Austin. Mentre ero riuscito a difendere mio figlio dalla crudeltà di mio padre, sapevo che non era stupido. A quindici anni potevo vedere molto di lui in me—nel bene e nel male. C’era un lato ribelle in lui che mi faceva preoccupare. Anche se sentivo che avevo un buon rapporto con lui, avevamo litigato parecchio ultimamente.
Maledetti adolescenti.
In ogni caso, potevo essere in grado di superare l’imbarazzo di uno scandalo di quasi vent’anni prima ma non ero sicuro che Austin, un adolescente impressionabile, potesse gestirlo. Pensavo anche che una dura campagna politica e un esame pubblico che ne sarebbe derivato non fosse un’alternativa migliore.
“Fanculo,” sussurrai e gettai via quel che rimaneva del mio drink. Fissai il bicchiere vuoto, lottando contro il desiderio di versarmene un altro. L’alcool non era la risposta, un fatto che sapevo anche troppo bene.
Cosa sto facendo?
In quel momento avevo bisogno di un modo per scacciare tutta quella follia ma annegarla nell’alcool non era la risposta. Una rapida corsa attorno al National Mall era l’unica cosa che realmente mi schiariva la mente. Solitamente correvo di mattina quando la temperatura era più fresca, ma una bella sudata sarebbe stata la terapia perfetta dopo aver sentito gli ultimatum di mio padre.
Sciogliendomi la cravatta, mi diressi verso il mio bagno privato collegato all’ufficio per vestirmi da corsa. Mentre mi toglievo la mia camicia button down Calvin Klein, vidi allo specchio il mio tatuaggio sull’avambraccio. Lo fissai mentre le parole precedenti di mio padre mi riempirono la mente.
“Ti stai ancora consumando per quella ragazza…”
Quando l’aveva detto avevo quasi riso. Lui non sapeva delle molte notti che avevo gettato dopo la morte di Bethany, affogando in una bottiglia di scotch e scopando con qualsiasi corpo senza nome che avessi voluto scopare. Non ero a lutto per la morte di mia moglie come avrei dovuto essere. Usavo invece le donne e l’alcool come se avessero il potere di cancellare quello che avevo veramente perso. Non mi ci volle molto per rendermi conto che non mi sarei mai liberato del senso di vuoto che avevo provato da quando avevo lasciato dietro di me il mio primo e unico amore.
Ricordi che avevo cercato di sopprimere per anni ritornarono alla carica—ricordi di Cadence. L’immagine del suo volto mi annebbiava la visione. Per quanto ci provassi non c’era modo di dimenticare un volto come il suo.
Il nostro inizio poteva essere stato comune e dimenticabile se si fosse trattato di chiunque tranne lei. Con i suoi lunghi capelli biondi e il bagliore dei suoi stupendi occhi smeraldo, nessuno poteva dire che Cadence fosse bella. Era troppo stupenda per usare una parola così banale. Cadence non era solo bella. Era meravigliosa. E contrariamente alla maggior parte delle donne in cui mi ero imbattuto nei miei trentanove anni su questa terra, la sua bellezza non era solo superficiale. Non era insolente e aveva un entusiasmo per la vita che nessun altro aveva. Era fragile ma anche decisa e determinata.
Anche se a soli ventidue anni sapevo che lei era la donna che stavo cercando per passare il reso della mia vita, ma non avevo mai avuto modo di farlo. Era deliziosa ed era ancora il mio rimpianto più grande. Eravamo così giovani e il nostro tempo insieme era stato così breve. Era stata una sola estate. Quello era stato tutto il tempo che avevo avuto con lei. Ma era stata l’estate che mi aveva cambiato la vita.
3
Cadence
“Oh, Kallie! Ma guardati!” dissi quasi rimanendo senza parole e scacciando le lacrime che mi stavano riempiendo gli occhi. “Sei così bella!”
La mia meravigliosa figlia sorrise mentre scendeva le scale della nostra modesta casa in stile Cape Cod. I suoi capelli erano raccolti in uno chignon a conchiglia che lasciava solo poche ciocche dei suoi capelli biondi scendere attorno al suo viso. Il suo trucco, anche se aveva passato un’ora a perfezionarlo, era sottile e accentuava i suoi lineamenti già stupendi.
Dopo aver sceso l’ultimo gradino, Kallie lentamente roteò su se stessa. La sua gonna azzurra mulinò attorno a lei, rendendola ancora più splendida e brillante per la luce che arrivava dal bovindo del soggiorno. Se avesse avuto le ali, chiunque avrebbe giurato che fosse un angelo venuto dal cielo.
“Non muoverti,” dissi e mi mossi velocemente verso la fine del tavolo. Volevo catturarla proprio così come era, avendo il bisogno di fermare in tempo quest’attimo. Aprii il cassetto e cercai all’interno. Telecomandi, vecchie batterie, cavi di corrente—nulla di quello che stavo cercando. “Maledizione. Avrei giurato che fosse qui.”
“Cosa stai cercando?” chiese Kallie.
“La mia macchina fotografica bella. Credo che potrebbe essere di sopra nel mio comodino.”
“Mamma,” si lamentò Kallie. “Hai già scattato un centinaio di foto con il tuo telefono. I miei amici saranno qui a minuti.”
“Sì, ma la qualità del telefono non è così buona. Lascia solo che vada di sopra a prendere la mia macchina. Abbiamo tempo. La limousine non arriverà qui per altri dieci minuti.”
“Uff,” brontolò.
“Oh, smettila. Mi ci vorrà solo un secondo per prenderla,” le dissi e corsi su per le scale verso la mia camera da letto.
Come previsto, non appena aprii il cassetto trovai la mia costosa Nikon in cima a un mucchio di altre attrezzature. Era stata una delle mie rare follie, un acquisto d’impulso che avevo fatto quando Kallie aveva iniziato la scuola superiore. Mi ero improvvisamente resa conto che stavo esaurendo il mio tempo. Era strano. Quando era piccola, speravo sempre che crescesse. Volevo che parlasse, camminasse, si nutrisse da sola. Le giornate sembravano sempre così lunghe e poi la sua giovinezza era passata in modo incredibilmente rapido. Ora avrei dato qualsiasi cosa per avere indietro quel tempo. Presto sarebbe diventata maggiorenne, pronta per iniziare la fase successiva della sua vita. Le fotografie non avrebbero mai rimpiazzato i ricordi che condividevamo, ma almeno avrei avuto le foto da guardare.
Presi la macchina fotografica e stavo per chiudere il cassetto ma quello che c’era sotto la macchina fotografica attirò la mia attenzione. Mi fermai un attimo e allungai il braccio per prenderlo. Era un biglietto per la Festa della Mamma che Kallie aveva fatto per me quando era alle elementari. Se la memoria non mi ingannava doveva avere otto anni quando lo aveva fatto.
Piegandomi lentamente per sedermi sul bordo del letto fissai la costruzione di carta rosa ormai sbiadita. Improvvisamente mi sentii molto vecchia anche se avevo appena trentacinque anni. Sembrava solo ieri quando era tornata da scuola con quel cartoncino. Era così eccitata. Era un venerdì ma non era riuscita a resistere fino alla domenica per darmelo. Tuttavia, era rimasta molto delusa il giorno della Festa della Mamma quando si era resa conto che non aveva una sorpresa da darmi. Determinata a farmela comunque era quasi riuscita a far scoppiare un incendio cercando di farmi la colazione a letto con il tostapane.
Sorrisi al ricordo. Era così tipico di Kallie. Anche da bambina aveva sempre messo gli altri per primi e io ero orgogliosa di poterla chiamare mia figlia. Era difficile da credere che fosse diretta al suo primo ballo di fine anno. Anche se mi aveva assicurato che il suo accompagnatore era solo un amico, ero comunque preoccupata. Stava crescendo troppo in fretta.
“Mamma! La limousine ha appena parcheggiato!” urlò Kallie, distogliendomi dai miei pensieri.
“Sto arrivando, sto arrivando,” risposi e mi alzai per scendere lungo le scale. “Aspetta. Non uscire di corsa dalla porta. Il tuo accompagnatore dovrebbe entrare e presentarsi.”
Quando raggiunsi il fondo delle scale, colsi Kallie che alzava gli occhi al cielo.
“Sai che ti voglio bene, mamma, ma accidenti. Ti consideri una femminista, ma qualche volta hai delle idee proprio all’antica.”
“Non c’è nulla di sbagliato nell’essere corteggiata nel modo giusto. È un segno di rispetto,” ribattei.
“Non hai appena detto ‘corteggiata,’ vero?” I suoi occhi si spalancarono per l’incredulità.
“Okay, okay! Hai ragione,” dissi ridendo. “Forse qualche volta sono un po’all’antica. Che posso dire? Sono tua mamma e tu stai per andare al ballo. È il mio lavoro preoccuparmi che un ragazzo ti tratti con rispetto.”
“Te l’ho detto migliaia di volte. È solo un amico della classe di francese. Mi sta facendo un favore perché non avevo nessuno con cui uscire. Inoltre, è un anno più giovane di me. Non posso uscire con uno del secondo anno! Sarebbe come rompere delle regole. Si presume che le ragazze non escano con i ragazzi più giovani!”
Feci un sorrisetto ironico.
“É proprio così?”
“Sì, lo ha detto la mia amica Gabby—”
Il campanello suonò, interrompendo quello che stava per dire. Ebbi a malapena il tempo di reagire. Kallie fu alla porta in un attimo.
“Ciao,” la sentii dire dopo che l’ebbe aperta.
“Ehi, Kallie. Wow, stai benissimo!” disse una voce maschile. Non ero in grado di vedere il suo volto perché Kallie lo stava coprendo. Mi mossi verso la porta, avendo il bisogno di valutare il ragazzo che era lì per portar fuori la mia bambina. Quando Kallie mi sentì arrivare al suo fianco, fece le presentazioni.
“Mamma, lui è Austin. Austin, mia mamma.”
“É un piacere conoscerla, ah…signora Riley,” disse con un timido sorriso.
Cominciai a restituirgli il sorriso ma mi bloccai. C’era qualcosa di familiare in lui. Era strano. Mi ricordava…
Battei due volte le palpebre, cercando di scacciare un preoccupante senso di dejà vu. Allungai lentamente la mano per stringergliela.
“Austin, è un piacere anche per me conoscerti.”
Le mie parole furono esitanti, caute. Conoscevo il suo volto. Quegli occhi. Grigi penetranti con macchioline scure. Quel sorriso sghembo. I capelli erano un po’ più chiari, ma…
No. Non può essere. Mi sto solo sentendo nostalgica per aver trovato quel cartoncino per la Festa della Mamma.
“Mia mamma voleva fare altre foto,” gli disse Kallie. “Chiediamo a tutti di uscire dalla limousine così possiamo fare una foto di gruppo.”
Battei di nuovo le palpebre.
Sì, foto. Devo fare delle foto.
Scossi la testa per schiarirmi le idee e seguii Kallie e Austin all’esterno. Dopo che il gruppo di dodici adolescenti della St. Aloysius Prep si mise in fila, scattai alcune foto di tutti loro vestiti eleganti nei loro smoking e nei loro abiti da sera. Alcuni restarono in attesa mentre gli altri si mettevano in posa e così riuscii a scattare qualche sciocca foto di loro che saltavano e si facevano le boccacce. A ogni foto, cercai con discrezione di guardare meglio Austin attraverso il visore. Era tutto così strano. Mi sentii come se fossi stata catapultata in qualche tipo di contorta curvatura spazio temporale. Una sensazione di timore cominciò a impadronirsi di me.
Kallie e i suoi amici cominciarono ad agitarsi, ansiosi di cominciare la loro grande notte. Li avevo bloccati anche troppo a lungo. Abbassai la macchina fotografica e indicai loro di andare verso la limousine.
“Divertitevi!” dissi al gruppo mentre cominciavano a salire nell’auto in attesa. Kallie mi lanciò un sorriso raggiante che intensificò il nodo che mi si era formato nello stomaco. D’impulso le feci cenno di venire verso di me.
“Che succede?” mi chiese frettolosamente.
“Divertiti. Non bere. Comportati in modo prudente.” Le diedi un leggero bacio sulla guancia.
“Andiamo, mamma. Mi conosci. Mi comporto sempre bene.”
“Non è di te che sono preoccupata,” dissi, lanciando un’occhiata verso Austin. Kallie vide la direzione del mio sguardo e alzò gli occhi al cielo.
“Rilassati. Non devi preoccuparti di Austin,” cercò di rassicurarmi.
“Sarai a casa alle undici?”
“In punto!”
Mi diedi un breve abbraccio prima di girarsi e unirsi ai suoi amici, ma io la presi per un braccio. Dovevo sapere se mi stessi solo immaginando le cose.
“Kallie, come si chiama di cognome Austin?”
Lei alzò le sopracciglia, confusa per la mia domanda.
“Quinn. Perché?”
Lo stomaco precipitò verso i miei piedi e il cuore cominciò a battermi all’impazzata.
No. No, no, no!
Le probabilità dovevano essere una su un milione.
Era inconcepibile.
Le possibilità erano così basse.
Una immagine di un ritaglio di un giornale che avevo conservato anni prima mi tornò in mente. Sapevo che Fitz si era trasferito da qualche parte vicino a Washington, ma avevo smesso di seguire i suoi spostamenti dopo la nascita di Kallie. Dovevo farlo. Era l’unico modo per riuscire a sopravvivere emotivamente.
Ma ora questo.
Poteva essere solo una coincidenza, ma nel profondo sapevo che non lo era. Era possibile—anche probabile. Le somiglianze nell’aspetto fisico tra Austin e Fitz erano troppe per considerarle una coincidenza. E condividevano lo stesso cognome.
Non può accadermi veramente. Non ora. Non dopo tutto questo tempo.
Per quanto ne sapeva Kallie, io non sapevo chi fosse suo padre. Avevo mentito per proteggerla, e non sapevo come dirle la verità in quel momento. Eravamo unite ma poteva non perdonarmelo. Era la sera del suo ballo e quel segreto vecchio di diciassette anni stava per rovinare tutto e distruggere ogni cosa che considerava cara.
“Mamma, stai bene?” chiese Kallie, con preoccupazione evidente.
Guardai mia figlia. Così giovane e innocente. Proprio come lo ero io una volta.
Dio aiutami. Cosa faccio?
Le strinsi con forza gli avambracci, lottando contro il soverchiante impulso di vomitare.
“Kallie, promettimi che Austin è solo un amico.”
Lei spalancò gli occhi come se mi fossero improvvisamente cresciute le corna.
“Sì! Rilassati mamma. Sei troppo presa da tutto questo. È solo un ballo. Cosa farai fra un paio di settimane quando andrò a Montreal per la gita con la classe di francese? Stasera andrà tutto bene e sarò a casa ancora prima che tu te ne accorga.”
Un lampo di quello che mi aveva detto prima su Austin mi tornò in mente. In meno di un secondo i miei nervi già a pezzi sembrarono crollare definitivamente.
“Kallie, hai detto che Austin era nella tua classe di francese. Ci sarà anche lui in gita?”
“Mamma, smettila. Forse quando torno a casa stasera, potremmo tare in piedi fino a tardi e guardare un vecchio musical. Magari con i popcorn? Proprio come facevamo quando ero piccola? Dopo tutto ho sedici anni e vado per i diciassette…” iniziò a canticchiare ripetendo il testo di una canzone da Tutti insieme appassionatamente. Si avvicinò per abbracciarmi ancora una volta ma né le sue parole né il suo abbraccio mi fecero sentire meglio.
Guardai la limousine. Tutti i suoi amici erano già stipati dentro, in attesa solo di Kallie.
“Certo, tesoro. Sembra una bella idea,” risposi distrattamente sentendomi come in una puntata di Ai confini della realtà.
Non la fermai quando alla fine se ne andò. Forse avrei dovuto, ma non sapevo come spiegarglielo. Non c’era un modo facile per dire a mia figlia che, fra tutte le persone dell’intero mondo, stava per andare al ballo con il suo fratellastro.