Kitabı oku: «Come Una Preghiera», sayfa 2
MARTEDI e MERCOLEDI
Fragranza e fetore
…venga il tuo regno…
Si spande nell’aria come una nube di vapore, poi si estingue e poi, come in un gioco, torna a farsi sentire, e infine mi stuzzica l’olfatto godendo del piacere della sua invisibilità. Aspiro con gioia il profumo e sento i muscoli del mio viso rilassarsi, per quell’attimo di gioia. Mi sazio dell’aria profumata che si infiltra nelle mie narici, l’aspiro più a fondo con voluttà e mi perdo nella fragranza dei fiori. Quando apro gli occhi, il volto del ragazzo accanto a me mi riporta alla realtà delle mie abluzioni mattutine e, quando lo saluto, mi accorgo con piacere che sta meglio dalle sue guance rosee e profumate, che fanno da contrasto al puzzo del mio alito di prima mattina.
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Lascio che il ragazzo continui a riposare, e mi appresto a officiare la messa da solo. Questa volta ho sopportato con più leggerezza la sua assenza e ho tollerato con meno affanno il movimento orizzontale dell’incenso che mi ha coperto la pelle del profumo di resina. Ora lui se ne sta comodo sulla poltrona, e si soffia il naso in un fazzoletto color kaki che si colora di strani disegni in movimento, fino a riempirsi del tutto. Esco in strada, diretto al mercato.
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Malecon è deserta. Sento l’odore di acqua dolce del fiume che si mescola al tenue profumo delle palme sulla riva. La passeggiata sul suo greto è piacevole. Il vicolo invece mi accoglie con l'aroma di birra appena stappata e il fetore rancido dell’urina sparsa negli angoli bui, quasi fosse il puzzo di una nuova pestilenza. Ho accelerato il passo mentre, con la coda dell’occhio, davo uno sguardo all’insegna del nuovo negozio scritta a lettere maiuscole e in corsivo. Un luogo di perdizione, Signore, e nel mio vicolo preferito!
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Il mercato è un turbinio di odori. Legumi ed erbe, cereali e molluschi, cibi e frutta lavorati diffondono per l’aria una vasta gamma di profumi che solleticano l'olfatto. Il mio corpo quasi mi costringe a recarmi alla bancarella delle spezie, che subito mi avvolgono con le loro essenze di cannella, cumino, chiodi di garofano e peperoncino. Le pago con alcune monete che Isaac, il venditore, un uomo solitario con la faccia gonfia e sanguigna, accetta con gratitudine..
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Ho tagliato il branzino a fette larghe e spesse che prima immergo in acqua e poi sfiletto, condendolo con sale e limone. Lascio il tutto a marinare e lo sistemo in un piatto di porcellana. L'aroma è appetitoso e forte, tanto che Tomas ha lasciato il suo quartiere di battaglia quotidiano per vegliare su di me con la sua lingua affamata fermo sulla soglia della cucina, quasi a confutare il mio scetticismo nelle sue capacità olfattorie. Macino le palline di pepe, i bastoncini di cannella, i chiodi di garofano e il cumino. Vi metto l'aceto. Quando affetto le cipolle e le trito, per aggiungere al composto il loro dolce sapore, mi lacrimano gli occhi. Un velo di sherry, copro e lascio sobbollire il pesce sul fuoco.
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Ho implorato ancora una volta il perdono divino. Mi pento di aver peccato nel pensiero e nelle parole, nelle azioni e nelle omissioni. Signore, grazie per aver concesso a questo povero peccatore di ritrovare la retta via e di essere tornato a te.
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Sono lì, ballano di gioia nel marciume. Incantati dalla lascivia. La lussuria è soddisfatta nel fango del godimento carnale e della concupiscenza. I piaceri proibiti sono sublimati nei pesci orrendi, nelle conchiglie abissali, in quella turpe marmaglia. Capre, dromedari, cavalli e uccelli eccitati a quella vista approvano la dissolutezza. Tutto lo spazio intorno puzza di peccato, di lussuria. Corrompono l'ambiente con una piaga che emana dal lato più oscuro del nostro essere.
Smetto di guardare il dipinto e cerco di riposare qualche minuto, prima che le campane suonino.
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Sto per andare a messa con i muscoli completamente indolenziti. Bevo due bicchieri d'acqua che attenuano un po’ il mio mal di fegato, o almeno così credo e spero. Indosso la tonaca. Ora mi sento più pulito.
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Il ragazzo mi fa una domanda che sul momento mi lascia senza fiato. Taccio e indietreggio, fino a crollare sul divano. Lo incoraggio a sedersi accanto a me. Mentre mi è vicino riesco perfino a controllare i miei gesti e a nascondere la loro vera natura, deciso a non trasgredire questa volta. Gli sistemo con cura dietro l’orecchio un ciuffo di capelli scappato sulla fronte. Sento che aspetta con ansia la mia risposta. Cerco di non deluderlo e gli dico che Dio è un essere buono e misericordioso ma che non ha una forma fisica e di certo non possiamo immaginarlo come se fosse un uomo in carne e ossa, ma questa risposta che sa di banale catechismo non lo soddisfa. Mi mostro forte. Dico la verità, che dobbiamo amare Dio nella sua essenza e credere in lui come atto di Fede. Mi risponde, con un’espressione abbattuta e afflitta, che Dio è complicato.
Oh Signore, ho solo questa vita per respirare il suo dolce odore di muschio che mi riempie il naso, quando mi alzo dal divano! Lo chiamo. Lui si gira con uno sguardo luminoso, con quella innocenza che mi tormenta e che mi spinge ad afferrargli le guance e soddisfare i miei istinti. Chiedo aiuto al Signore, che può fare tutto, e poi, con rinnovato coraggio, accompagno il ragazzo nella mia stanza. Gli dico che devo rivelargli un segreto. Che ho visto Dio. E che posso mostrarlo anche a lui.
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Dio non è piccolo, anche se così può sembrare ad occhio nudo. Se ne sta nascosto, per avere una visione più ampia del mondo, tutto qui. Lui, si sa, è onnipresente. Se ne sta seduto sul suo trono, con la testa coronata da una tiara e il libro sacro che poggia sulle sue gambe. Sulle spalle porta un lungo mantello imperiale. Ora posso vederlo anch’io, mentre padre Misael mi mostra questo strano dipinto. L'oscurità che traspare dal quadro mi fa paura. Ma resisto. Lì sull’orizzonte, in mezzo a questa nebbia che rende opaco il cielo racchiuso nella palla di vetro, c'è Dio, e posso vederlo. Adesso so com’è. E vedo il suo sorriso.
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Mi preparo per andare a dormire con il profumo della sua nuca ancora dentro di me. Abbiamo pregato insieme, corpo a corpo, e abbiamo chiesto a Dio di non farci mai allontanare dalla retta via, e di poter seguire con letizia i suoi insegnamenti. C'è qualcosa di carico nell'ambiente che mi impedisce di respirare normalmente. Sento l'assurda premonizione che sto per cadere in un incubo da cui non sarò in grado di svegliarmi. Fuori, ha cominciato a piovere, dolcemente.
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La mattinata è gelida. La pioggia ha raffreddato l’aria. Ho dormito in pace, in pace con il mio spirito e accolto dall'infinita misericordia di Dio. Sono felice di constatare che gli incubi hanno finito di torturami nei sogni e mi hanno concesso una tregua. Non sono così ottimista da sperare che mi lasceranno in pace per sempre, però. Una parte di me sa che emergerò vincitore da questa battaglia col demonio, ma un'altra, la più fragile, mi mostra l'orrore della mia inevitabile sconfitta, perché in ogni momento la mia mente soccombe alla tentazione e ogni parte del mio corpo viola gli insegnamenti che fortificano l’ anima
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Ho deciso di fare un bagno. Mi sento sporco, e non solo a causa delle mie ascelle sudate, ma per i pensieri lubrichi che covo dentro. Prima di salire sull'altare devo essere purificato. Una bella doccia fredda mi aiuterà a raffreddare i miei istinti, e mi accingo ad insaponarmi. Risciacquo anche l'anima con la preghiera.
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L’autunno si avvicina e le sue avvisaglie sono già nell’aria. Chiunque può sentirle, ma sono soprattutto gli animali ad accorgersene, a causa dei loro sensi affinati dalla natura. Quindi Tomas, contrariamente a quanto pensa il ragazzo, ne riconosce i segni meglio di chiunque altro. Ne aspira l’indecifrabile aroma che si spande sul terreno dietro il mandorlo. Ecco perché marca frequentemente il suo territorio. Capisce che l’estate è sul finire dalle macchie di umidità alle radici dell’albero. L’autunno emerge dalle profondità della terra e inonda il mondo con la sua essenza.
Gli antichi affermavano che il petricore era il sangue degli dei, l'essenza che scorreva nelle sue vene. Oggi non è altro che un odore strano che di tanto in tanto, in quel breve attimo che riusciamo a percepirlo, ci provoca quasi un leggero fastidio, senza renderci conto che è ed è sempre stato, dalla notte dei tempi, il vero sudore di Madre Terra, la sua vera essenza che scaturisce dalle profondità degli abissi.
Ma Tomas lo capisce. Il suo naso non si è consumato al punto che il mondo gli è indifferente. Sa ancora riconoscere gli odori. Qualcosa gli è rimasto, della sua lunga vita da cane. Per questo improvvisamente smette di urinare sotto il mandorlo e si ferma in atteggiamento di punta, come non faceva da tempo, sulle foglie bagnate che formano un tappeto naturale. Il suo olfatto ha percepito l’aroma quasi mistico del cambiamento di stagione. E si mostra grato alla nuvola che si allontana facendo spazio al sole, permettendogli di riceverne i raggi luminosi sul corpo.
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Al mercato ho incontrato un vecchio amico. Abbiamo fatto quattro chiacchiere. E’ stato bello, ma è durato troppo poco.
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La signora Salomè è arrivata mentre ero fuori. Mi spiega, per giustificarsi, le sue difficoltà. Le dico di non preoccuparsi, che capisco la situazione, e di prendersi una settimana di ferie. Lei insiste per prepararmi il pranzo di oggi come ricompensa per la mia comprensione. La lascio fare. Mentre lei cucina mi chiudo nella mia stanza e tiro fuori dal suo nascondiglio segreto una bottiglia di vino. Comincio a bere, a lunghi sorsi.
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Ho bevuto la bottiglia per metà e la lascio in bella vista sul comodino. Il vino ingerito mi provoca una leggera sensazione di vertigine che forse potrei eliminare con una tazza di caffè. Imploro una mezz’ora di tempo per farmi una doccia, ma la signora Salomè mi dice che il pranzo è in tavola. Ho inghiottito la zuppa con un leggero mal di stomaco. Il suo calore però, un po’ attenua quel senso di vuoto, e quella pessima sensazione di amaro causato dal bere. Mi alzo dal tavolo mentre il ragazzo sta ancora mangiando e mi rintano in camera mia con una gran voglia di dormire.
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Ho aperto gli occhi, e la prima immagine che vedo è quella del mondo. La mia ubriachezza non è adatta per scrutare le luride delizie del tuo giardino, Signore. Immagino il corpo nudo del ragazzo con vera lussuria e poi ripiombo nel sonno. Quando mi sono svegliato ho notato che la tavola destra del trittico era spostata. Ho capito che qualcuno è entrato in stanza, mentre dormivo, e che si è messo a guardare il dipinto. Alla signora Salome è vietato entrare nella camera da letto e finora mi ha sempre obbedito, quindi il mio unico sospetto ricade sulla curiosità del ragazzo. Non mi arrabbio, ma non mi piace nemmeno la sua intrusione. Poi, sento il rivolo pastoso che mi ha macchiato le mutande durante il sonno.
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Oggi c’era meno gente in chiesa, rispetto a ieri. Per dispetto, la mia omelia è stata più lunga.
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L'ultimo libro della Bibbia annuncia un inferno pieno di fuoco e zolfo, come condanna per coloro che trasgrediscono agli insegnamenti del Signore. Un inferno di tufo e di vapori puzzolenti sarebbe un tormento insopportabile anche per un’ anima qualsiasi, immune alle tentazioni del corpo. Vado in bagno, e defeco con difficoltà e dolore. Il mio sfintere espelle una nuvola di gas, che, uscendo, fa un rumore acuto. Puzza, e sulla scia del miasma mi soffermo a immaginare come deve essere l’inferno mefitico e saturo di effluvi fetidi, di cui parla la Bibbia. Ma il solo odore del mio peto mi dà la nausea. Socchiudo la porta per far circolare l’aria e disperdere i miasmi dei miei escrementi, quel fetore acido che è uscito dal mio corpo.
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Tomas mi annusa una gamba, sicuramente ha notato l'odore di bagnoschiuma sulla mia pelle, dopo il bagno. Inizia a grugnire di brutto. Mi afferra per la stoffa dei calzoni del pigiama e me li strappa, dopo averli imbrattati di saliva. Cane cattivo. Ora lo vedo allontanarsi, fiero della sua cattiveria Mi tolgo la vestaglia e mi ritrovo nudo davanti allo specchio. Non posso resistere a farmi una carezza sul pube, accanto ai testicoli. Un brivido di eccitazione mi scuote. Il mio pene va in erezione e diventa viola. A quella vista mi allontano dallo specchio, con orrore. Prendo un altro pigiama e mi impongo di pensare ad altro.
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Il sinedrio dei sensi accoglie con favore la proposta di tradire l'anima.
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Gli tolgo la camicia con una serenità che sento estranea. Eppure sono mie, le mani che lo stanno spogliando. Lo giro, e sollevo il suo sedere verso la mia faccia, arrossendo di piacere. Gli accarezzo la schiena che sicuramente gli brucerà per il contatto pungente col mentolo. I suoi polmoni possono già sentirlo, ne sono sicuro, perché le mie mani si raffreddano, mentre lo accarezzo. Contemplo per l'ultima volta il suo culo perfetto da giovane maschio alpha. Lo giro con la faccia verso di me. Prendo ad accarezzarlo anche sui magnifici pettorali e godo al vedere i suoi timidi capezzoli ergersi senza paura. Il forte aroma di eucalipto m’invade.
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Stamattina dormono l’uno vicino all’altro sul letto, al rumore della pioggia che scroscia e invade la strada. Stanotte padre Misael non ha subìto l’incubo della lama del coltello, né il giovane Manuel quello della bestia. Forse, se ne sono liberati per sempre.
Ormai, è l’alba di un nuovo giorno. La pioggia porta via con sé tutti i fetori del vicolo del biliardo, e li raggruppa in fondo, ai lati del marciapiede. L'acquazzone ripulisce anche l'antico albero nel cortile. Qualcuno ancora crede che, durante la stagione delle piogge, è Dio che piange su tutti i peccati dell’umanità. Ma forse l’immagine più calzante non è quella lirica della pioggia di lacrime divine, bensì quella di uno scroscio di urina fetida che si abbatte su di noi, proprio come quella che sta facendo Tom in questo momento ai piedi del vecchio mandorlo.
Lacrime o urina che sia è sempre acqua, e piomba sul mondo direttamente dallo spirito di Dio.
GIOVEDI
Caldo e freddo
…sia fatta la tua volontà, come in cielo e così in terra.
Sono scosso da una scarica di eccitazione che mi parte dalla nuca e lentamente s’irradia per tutta la schiena. I miei tendini si svegliano e mi costringono ad allungarmi per tutta la lunghezza del mio corpo, nel piacevole dolore che si consuma fisiologicamente nelle mutande. Mi rendo conto di come il pene si stia lentamente ritirando, ormai sazio del piacere convulso del mio orgasmo, mentre nell’ anima mi si scava un intollerabile senso di vuoto.
Un freddo alito di vento penetra nella stanza attraverso la finestra aperta, e fa oscillare le tende con un sommesso ululare. Posso vedere il velluto che si appiattisce contro il muro e poi va a sbattere contro il vetro della finestra e la cornice di legno d’abete. Sento la brezza scivolare e nascondersi tra le mie ascelle, scuotermi la pelle in una scarica di minuscole raffiche che mi fanno drizzare tutti i peli del corpo. Così sia. Mi tolgo le mutande imbrattate del mio seme. Mi alzo e prego per la debolezza della mia carne.
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Il caffè troppo caldo non mi attira. Preferisco bere a piccoli sorsi del succo di pesca. Il ragazzo mi racconta una barzelletta sporca, ma non oso rimproverarlo. Lo guardo e gli faccio un sorriso tirato. Anche oggi non mi ha accompagnato alla Messa e mi mancava così tanto, specialmente quando il vescovo Pio ha benedetto gli astanti. Lo guardo e rimango ammirato dai suoi lineamenti, dal suo aspetto spensierato, dai capelli arruffati del mattino. Mi alzo dal tavolo frettolosamente, cercando di dirigere altrove i miei occhi che sono puntati su di lui ancora e ancora e ancora.
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Mi è venuta la febbre. Oggi resterò a casa e non mi occuperò dei miei parrocchiani, che si stanno preparando per il Venerdì Santo. Farò solo cose semplici, mettendo da parte tutti gli altri impegni, come mi ha prescritto il medico. Il ragazzo mi ha preparato un the, con cui prendo le medicine. Quando mi volto, riesco a percepire il movimento dei suoi glutei in uno swing provocatorio. Mi arrendo al sonno.
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Quando mi sveglio vedo il viso del ragazzo. E’ rimasto con me per tutto il tempo che ho avuto la febbre. Mi informa che ha preparato il pranzo e conforta il mio corpo con una zuppa calda, insistendo per imboccarmi, cucchiaio dopo cucchiaio.
Poi arriva un momento antipatico. Lo rimprovero per aver esaminato il quadro di nascosto e lui mi risponde che voleva capire cosa mostrava realmente quel dipinto. Gli dico che non ho intenzione di mortificare la sua curiosità, ma che deve sempre chiedere il permesso a un superiore, prima di fare o guardare cose per le quali potrebbe non essere pronto. Lui risponde che si sente abbastanza pronto e mi implora di guardare il dipinto insieme e aiutarlo a capire. Dopo una lunga tiritera di suppliche e rifiuti, cedo alla richiesta e gli permetto di aprire il trittico davanti a me. Mentre lo guarda, il suo volto esprime un’enorme meraviglia.
“È bello —dice— ma al tempo stesso è orribile”.
“Rappresenta la nostra anima”. mormoro tra me e me, come se pensassi ad alta voce.
Sono ancora intontito dalla febbre. Al momento voglio solo allontanarmi dal ragazzo, gridargli di lasciare la mia stanza e sparire per sempre, che Dio mi ha rivelato che è un emissario del diavolo. Il desiderio di scomunicarlo dalla mia vita mi invade. Cedo al penoso pensiero che invece farò il contrario, perché mi alzo e gli metto una mano sulla spalla e la stringo in un abbraccio pieno di passione.
“Quello che stai guardando qui rappresenta il paradiso, questo l’inferno, e questo —gli spiego dolcemente, indicandogli la parte centrale del trittico— è il Giudizio Universale. Per ora ti basti questo, la prossima volta lo analizzeremo punto per punto”.
Il mio corpo non resiste all'impulso e lo bacio sulla guancia mentre spingo la mano verso la parte bassa della sua schiena. Inaspettatamente, non si sottrae a me. Anzi, mi chiede di benedirlo.
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Ho mandato il ragazzo al mercato per fare la spesa. Sento il vuoto della sua assenza e provo a combattere il desiderio con una preghiera ma, mentre m’ inginocchio, le parole mi muoiono in gola. Questa volta non riesco a pregare. Mi alzo, faccio una doccia calda e mi preparo al suo ritorno nel miglior modo possibile.
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Finalmente il ragazzo ritorna ma, per pietà di Dio, accompagnato da Miss Raquel, una donna che fa volontariato per la Chiesa, giovanile a dispetto dei suoi quasi quarant'anni, e single malgrado la sua bellezza. Dietro di lei entra a farmi visita anche un gruppetto di mie parrocchiane cariche di dolci e frutta, evidentemente su stimolo della bella zitella. Thomas le accoglie con un abbaio nervoso. Mi mostro contento e grato del gentile pensiero, da bravo sacerdote dispenso loro consigli, gli affido dei compiti per la processione dell’indomani e infine le mando via presto, dicendo che sono stanco e devo riposare. Chiudo la porta dietro di loro, la sprango ben bene con il suo fermo arrugginito e mi metto a cercare il ragazzo per tutta la casa.
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Lo invito ancora una volta nella mia stanza. Lì ci mettiamo a parlare piacevolmente di alcuni aspetti teologici, che lui conosce appena. Lo istruisco con la mano appoggiata sulla sua coscia muscolosa. Poi lo invito a pregare insieme. Sono dietro di lui, posso sfiorare la sua schiena, condannato dalla mia insana e indomabile voglia. Sento il calore del suo corpo che spande calore nell’ambiente e, nel contempo, rinfresca il calore delle mie viscere.
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Il corpo mi arde. Mento a me stesso dicendomi che è per colpa della frutta che ho mangiato e che non riesco a digerire. So che non è vero. La mia testa non è qui, ma fissa sul ragazzo. Cammino con passi traballanti verso la sua porta. Entro nella sua stanza e scopro lentamente il bel corpo addormentato in posizione fetale, con il culo rivolto verso di me e che sembra tentarmi ad accarezzarlo, a prenderlo completamente. Sto per farlo, il corpo mi ribolle orrendamente di febbre e di lussuria… In un guizzo di lucidità torno ansimando nel mio letto.
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Mi sono svegliato con la sgradevole sensazione di sudore, di cui sono madido. Osservo i raggi del sole pomeridiano che si rifrangono nello specchio e inondano la stanza con il loro bagliore, invadendo ogni angolo. Mi rendo conto che devo lavarmi, la mia camera da letto è rovente e il cavallo dei miei calzoni è appiccicoso. La febbre è passata. Imploro un sorso d'acqua fresca.
Ho inviato istruzioni scritte ai fedeli per la processione del Venerdì Santo. Il ragazzo mi ha fatto compagnia mentre scrivevo la lettera, e ha accettato di consegnarla lui, a patto che poi gli illustrassi qualche altro pezzettino del dipinto. Questa volta non sono riuscito a nascondere che lo guardavo, che ero attratto dai suoi movimenti. Un paio di volte, mi è perfino caduta la penna a terra, mentre ero assorbito da lui.
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La custodia del disco ha come copertina l'immagine di una strada coperta di foglie autunnali, che si perde in un suggestivo orizzonte. Da lì il panorama giallastro sprofonda in una foresta di assoluta dolcezza. Nessun uccello può disturbare tale tranquillità. Nessun animale osa profanare la serenità del piccolo universo di foglie e terra. Tutti stanno per venire alla luce, spalancando la porta a un paradiso infernale.
Inserisco il disco nel mangianastri che lo costringe a girare rapidamente. Quel piccolo oggetto si trasforma in un minuscolo turbine che si muove a migliaia di giri al minuto. La musica invade la stanza, molto lentamente, come se stesse lottando per svegliarsi dall’antico sonno a cui forze maligne l’hanno costretta, instillando serenità, assorbendo il silenzio, librandosi nello spazio su cui a breve imporrà il suo dominio regale. Ma raggela con le sue note. Il basso segna il ritmo, si fa gradualmente parossistico, surclassa con il suo crescendo il timido intervento dei violini: sono i passi del pellegrino oppresso dal peso dei suoi travagli, sono gli scricchiolii del ghiaccio che sta per rompersi. Ora i fulmini scatenati dal violino solista sono fragorosi, la tempesta dell'orchestra ruggisce e scuote lo spazio e vibra ai piedi dello sfortunato. Vi nasce una lotta, segnata dall’impulso del basso che vibra ad una velocità impossibile, costringendo al suo ritmo l’intera esecuzione. Ma ecco che l’assolo del violino si libra nell’aria imponendo il proprio dominio, sferzando gli astanti con le sue raffiche di note gelide e di suoni glaciali, tali da far rabbrividire chi ascolta e costringerlo a battere i denti dal freddo.
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“Vedi quest’area qui? —mi dice, e mi mostra la zona in alto sul lato destro del trittico che stiamo studiando—. Quest’immagine simboleggia le torture del peccatore. Invece questa parte qui, in basso, è quella stereotipata, comune, che abbiamo dell'inferno. Una pioggia continua di fuoco e zolfo, alte montagne che si sgretolano e rovinano giù nel buio e le anime che gridano, oppresse da indicibili tormenti. Invece qui… —e fa un cerchio con il dito su una zona più sotto— c’è l’inferno di ghiaccio che fa da tremendo contrasto alla pioggia di fuoco perché, nella concezione classica dell'inferno come luogo di tormento senza fine, forse l’orrore del ghiaccio eterno è più temibile di una fornace ardente. Guarda qui come la povera anima sventurata si congela e si frantuma, annegata nel gelo mortale del ghiaccio...
Ancora più sotto c’è quello che nell’arte viene chiamato inferno musicale, perché vi si usano degli strumenti musicali come oggetto di tortura. E’ un’immagine che troviamo spesso nei cosiddetti pittori mistici. Vedi, questa è la cornamusa, qui c’è il liuto, ed ecco l'arpa. E in fondo, se riesci a vederlo, c’è un piccolo flauto…”
Mi chiedo se l'inferno sia davvero così. Dalla finestra noto che si è fatta sera.
“Bene, —continua lui— la disperazione e il martirio sono sicuramente ben rappresentati dall'artista, o meglio, dal pittore che ha copiato così mirabilmente il quadro originale, interpretandolo a modo proprio”.
Gli chiedo come vede l'inferno lui, sulla base di ciò che dicono le Sacre Scritture. Ma non risponde. Sembra essere immerso in un mondo proprio che in questo momento non capisco. Forse si sta chiedendo anche lui come sia davvero l'inferno.
“La Bibbia parla dell’inferno come un luogo di eterna sofferenza, in cui le anime verranno gettate nei laghi di zolfo. È così che il pittore lo raffigura sulla parte superiore del quadro. In effetti, anche il Cristo ne parla spesso nei Vangeli come il fuoco che non si spegne mai, in cui c’è lamento e digrignare dei denti, e lo cita come punizione senza fine”.
Parla senza guardarmi, come se stesse discutendo con se stesso.
“Per secoli, il fuoco e il ghiaccio, cioè il caldo insopportabile e il freddo glaciale, sono stati considerati come la tortura più atroce e più adatta ad una sofferenza eterna. Un grande poeta dell'antichità immagina un girone infernale come la solita pioggia di fuoco ma, in un girone più in basso, quello dei traditori, addirittura come un’ enorme distesa di ghiacci eterni. Lucifero, che è il sovrano di questo luogo di perdizione, è egli stesso prigioniero del ghiaccio e da lì piange e si dispera con i suoi sei occhi e le sue sei ali di pipistrello”.
Immagino un inferno di ghiaccio. L'Ade sarebbe un paradiso al confronto. Una tortura senza fine nel torpore perenne. Ma ciò che il mio corpo non riesce a tollerare, ora, è questo caldo. Un intenso calore che m’investe mentre sto qui ad ascoltare gli insegnamenti di padre Misael, e che cresce e mi opprime allo stretto contatto col suo corpo. Lo ringrazio per le sue parole illuminanti. Gli dico che non ho più intenzione di disturbarlo con le mie sciocche domande. Gli chiedo di benedirmi e lui mi accontenta con ardore, stampandomi un bacio casto sulla bocca.
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Abbiamo deciso di mangiare del pane, io ho del vino e lui ha una bottiglia di succo di frutta. A tavola chiacchieriamo su argomenti di particolare interesse per lui. Guardo i suoi occhi e mentre gli spiego certe verità teologiche sullo Spirito Santo, gli sfioro il dorso della mano. Lui si volta a guardarmi ed io arrossisco di botto. Gli accarezzo le guance e lo bacio di nuovo, ma questa volta in bocca.
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L'orrendo bacio che delimiterà la soglia del peccato e la discesa nei meandri infernali.
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Sono nella sua stanza e lui mi mostra un pigiama beige. Mi dice che sono adatto a servire un rappresentante di Dio nel mondo, e che d'ora in poi sarà il mio maestro spirituale. Mi spiega che l'abito talare è l'unico abito sacro che l'essere umano possa indossare. La mia nuova mansione sarà quella di aiutarlo a spogliarsi e a indossare il pigiama. Trovo che sia un compito facile e accetto di servire il sacerdote, un Unto del Signore.
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Le sue mani scivolano lentamente lungo le mie cosce. Mi sento caldo, rinfrescato, eppure così eccitato e ricettivo. Contengo un gemito. Mi sento vivo quando sento il suo respiro nell'area delle mie mutande, vivo nella trepidazione dei miei capelli che ondeggiano attratti dall'ondata di fascino che emana dalla sua pelle che tocca la mia, con le sue caste e rosee dita. Ora è il mio petto a sentirsene grato, si rallegra per un piacere di cui mi è proibito godere, in questo mondo. I peli mi si drizzano. Sono totalmente paralizzato dal piacere del suo tocco. Ammaliato dal contatto con la sua pelle immacolata. Le pieghe della mia camicia vibrano lievemente, quando me la sbottona con calma. Urlo dentro di me, ma non mi ascolta. Sembra che abbia iniziato a tormentarmi come fa il carnefice con la sua vittima, impedendole di fuggire. Percepisco questi attimi della mia esistenza come se fossero vitali. Lo abbraccio e lo tengo stretto così a lungo, che non saprei dire quanto.
Ma poi io stesso mi stacco da lui, con una furia che non riesco a controllare. Una vampata di vergogna brucia il mio corpo. Come se niente fosse, lui s’inginocchia davanti a me e mi chiede di benedirlo. Gli poso un bacio sui suoi folti capelli. Intuisco che la mia anima non avrà mai pace finché non permetterò al mio corpo di soddisfarsi, e che il mio corpo non riuscirà mai a godere se l’anima continuerà a vietarglielo. Non ce la faccio più e cedo alla dolce tortura del piacere solitario. Poi annego nel vuoto. Prego tutta la mattina per la salvezza della mia anima.
*
Il sacerdote accetta la sconfitta della sua anima, si è rassegnato e si affida alla volontà di Dio. Si prostra sul pavimento di piastrelle fresche e prega, con la faccia per terra.
“Padre mio, se puoi allontana da me questo calice! Tuttavia, sia fatta non la mia, ma la tua volontà”.
Confortato dal pensiero di non avere responsabilità reali nel suo tormento interiore, padre Misael cerca di riposare, ma non riesce a dormire. Guarda fuori dalla finestra e finalmente sente la brezza che colpisce il suo viso e placa il fuoco che gli brucia dentro.
Il giovane è entrato in un sonno profondo e, dietro di lui, arriva l’orrore dell'incubo che non lo abbandona. Questa volta cerca, nonostante la sua fragilità, di sfuggire ai rantoli della bestia ciclopica che è a un passo dal raggiungerlo con le zanne bavose. Ma conosce già l’inevitabile finale della storia. Il suo sudore sarà una goccia di sangue che cadrà sulla terra. L’ondata di calore che si diffonde improvvisamente nell’aria non riuscirà a scaldare il suo corpo freddo.
Sappiamo tutti che Dio, essendo spirito e il più supremo di tutti, non prova tormento. Almeno non come questo miserabile uomo, non come questo povero giovane che soffre le pene di un inferno che non brama nemmeno. È ora di dormire, padre, riposa, che domani il mondo porterà nuove tribolazioni. Dio non comprende il peso delle prove che invia.
Le spalle di padre Misael si piegano sotto l’enorme macigno delle sue tribolazioni. Esausto, crolla sul letto e chiude gli occhi. L'incubo del coltello e delle orecchie riemergerà ben presto dal suo mai sopito senso di colpa.
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